Vangelo di Luca 8,19-21
In quel tempo, 19 andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
20 Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
21 Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
Legami
Pur rispettando infinitamente i percorsi affettivi e relazionali di tutti gli uomini e le donne della terra, i legami familiari generati dall’umanità attraverso il sangue e le relazioni affettive, Gesù non riconosce a questi legami nessuna utilità ed efficacia per creare tra le persone legami veramente sani, vantaggiosi, reali, energetici, generatori di unità e di unione. A costo di sembrare irritante per il perbenismo e le morali tradizionali, scortese nei confronti dei suoi familiari, Gesù non perde occasione per ribadire che i legami di parentela, i legami di sangue, i legami familiari non sono in nessun modo paragonabili con la potenza, l’efficacia, il valore dei legami generati da coloro che condividono il vivere l’intimità con Gesù, l’amore, la dedizione per la Parola di Gesù e il desiderio e l’impegno di mettere in pratica le procedure del vangelo. L’unico legame che Gesù riconosce e condivide, l’unico legame che considera reale, vero, efficace, profondo, unente è il legame che si genera quando le persone condividono nello spirito lo stesso amore e ardore per la Parola del vangelo e lo stesso desiderio di realizzarla e metterla in pratica, per la propria felicità e il benessere di tutti.
Perché Gesù non fa alcun affidamento sui legami di sangue, familiari, parentali? Perché più volte li pone come il primo e il più potente degli intralci in grado di impedire all’uomo di poter seguire e realizzare la sapienza del vangelo, come quando in Matteo 10,37 precisa in modo inequivocabile: chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me, perché? Semplicemente perché Gesù sa che i legami di sangue, i legami familiari e relazionali non hanno alcun potere, forza, possibilità, utilità per rendere felice l’uomo e garantire il benessere dell’umanità. Gli uomini e le donne della terra cercano relazioni e stabiliscono legami affettivi e di sangue per essere felici, per vivere nel benessere, ma in realtà questi legami, per loro intrinseca natura, non hanno alcuna possibilità e utilità per rendere l’uomo felice e procurargli una vita di benessere e di armonia. I legami affettivi, familiari, parentali, i legami di sangue non sono conduttori di felicità, maturazione, benessere, gioia, pace, armonia. Gesù spiega in dettaglio questa verità, praticamente sconosciuta all’umanità, quando in Matteo 24,38-39 afferma: Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti, così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo.
Le relazioni umane, i legami umani, gli affetti umani, i legami parentali e familiari, i legami di sangue non hanno in sé alcun potere di far crescere gli uomini e le donne nella consapevolezza della realtà, nella comprensione di Dio e del suo muoversi e agire nella storia. Sono completamente inefficaci per aiutare un uomo a crescere spiritualmente e intellettualmente, non sono di alcuna utilità per predisporlo alla sua evoluzione e illuminazione, non servono assolutamente a nulla per preparare l’umanità all’incontro con Dio e con Gesù suo Figlio e lo Spirito Paraclito.
Anzi, Gesù mette sullo stesso piano l’occupazione di vendere e comprare, cioè di provvedere al proprio sostentamento e benessere, con il prendere moglie e marito, cioè con lo stabilire legami affettivi e parentali, definendole occupazioni perfettamente inutili e inservibili per far crescere l’uomo nella consapevolezza, nella sapienza, nella conoscenza. Occupazioni così inutili e inservibili per la crescita intellettuale e spirituale dell’uomo, che – rivela Gesù – gli uomini e le donne di questa generazione, occupati a vendere e comprare, prendere moglie e marito, vivranno la sua seconda venuta, la sua venuta intermedia assolutamente in uno stato di totale inconsapevolezza, completamente impreparati, ignari, ignoranti, ciechi, sprovveduti, così come ai giorni di Noè, non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti.
Gesù non demonizza i legami affettivi umani, i legami familiari e di sangue, ma rivela con assoluta chiarezza che sono perfettamente inutili all’uomo per raggiungere il benessere integrale e per vivere felice. Chi affida la propria crescita intellettuale, la propria evoluzione spirituale, la maturazione della propria consapevolezza e comprensione, ai legami familiari e di sangue, è come se si affidasse a un palo di cemento da cui un giorno poter raccogliere fichi. Chi pretende di raggiungere la propria felicità e il proprio benessere, attraverso il fruire quotidiano dei legami familiari e di sangue, è come colui che pretende uva da un rovo. Chi cerca la gioia attraverso i legami familiari e di sangue è come chi cerca una sorgente d’acqua zampillante in un sasso che tiene in mano. Incaricare i propri legami familiari, parentali e di sangue di poter sprigionare e donare felicità e benessere è la scelta più sciocca, sconsiderata e inutile che l’uomo possa compiere. I legami affettivi umani, i legami familiari e parentali, i legami di sangue per loro intrinseca natura non possono fornire all’uomo nessuna forma di benessere reale e felicità. Questo è il motivo per cui Gesù insiste nel ricordare all’uomo che sono possibili legami, relazioni, intimità, unioni, che hanno il potere, la forza, l’energia di farlo maturare nella consapevolezza, di farlo crescere nella felicità e nel benessere, e sono i legami che si creano quando le persone, indipendentemente dai legami familiari e di sangue, iniziano a condividere, amare, comprendere la Parola di Gesù con il forte desiderio di realizzarla e metterla in pratica. Nessun legame affettivo, spirituale, intellettuale sarà mai più forte, ottimo conduttore di benessere e felicità, del legame che si genera tra coloro che nel loro cuore condividono l’amore per la meditazione della Parola di Gesù, per la contemplazione della persona di Gesù per realizzare la sapienza della sua Parola. Nessun legame affettivo, spirituale, intellettuale sarà mai più forte, ottimo conduttore di benessere e felicità, del legame che si genera tra coloro che nel loro cuore condividono il desiderio di ascoltare, comprendere, amare e mettere in pratica le procedure evangeliche per il bene e la felicità dell’umanità.
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Il Giorno della natività di Nostra Signora (8 settembre) nasce un sito dedicato solo per il racconto narrato degli accorgimenti con cui seguire le neoconversioni, o la scoperta di non essere mai stati felici perchè non in stato di Grazia; richiamandoci al Ciao Ciao evangelico dell’APOTASSO: ossia prendere le distanze da Mammona
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Vangelo di Luca 6,20-26
In quel tempo, Gesù, 20 alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri
perché vostro è il regno di Dio.
21 Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22 Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24 Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25 Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26 Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Beati
All’uomo e alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a cacciare, a seminare e raccogliere, a vendere e a comprare, a lavorare, a innamorarsi, a riprodursi. All’uomo e alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a diventare uomo e
donna liberi, sapienti, maturi, illuminati, consapevoli. All’uomo e alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a raggiungere il successo, la fama, il plauso, la popolarità. All’uomo e alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a studiare, a crescere nella cultura, nell’arte, nella scienza, nella civiltà. All’uomo e
alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a raggiungere i primi posti, essere vincenti, ricchi, potenti, influenti, per imparare a esercitare dominio, controllo, supremazia, egemonia. All’uomo e alla donna non è stata concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare a fare bella figura, per imparare a non deludere qualcuno, per rendere fiero qualcun altro, per diventare quello che gli altri si aspettano, desiderano, impongono.
All’uomo e alla donna è stat
a concessa l’opportunità di vivere l’esperienza della vita sulla terra per imparare solo e unicamente a essere felici. La felicità è lo stato eterno in cui l’uomo e la donna vivranno nella città celeste insieme a Dio nel cielo di Dio. È decisivo e fondamentale per l’uomo e la donna imparare a essere felici già su questa terra, per poter vivere la felicità per sempre. In qualsiasi modo l’uomo e la donna optino di vivere su questa terra,
scelgano di educare le nuove generazioni su questa terra, stabiliscano ciò che è legale e ciò che non è legale, ciò che è buono o cattivo, giusto o sbagliato, non avrà nessuna importanza per la vita eterna, assolutamente nessuna importanza, se non sarà servito a imparare a essere felici. Qualsiasi sia la concezione che un uomo e una donna possano aver avuto di Dio e dell’essere umano su questa terra, sarà del tutto irrilevante per la vita eterna, se non sarà servito a imparare a essere felici.
Per entrare nella vita eterna di Dio sarà del tutto irrilevante per l’uomo e la donna
vivere sulla terra degli affetti, delle amicizie, intrecciare delle relazioni, generare dei legami di sangue, di parentela, faticare, impegnarsi, dedicarsi, affannarsi, se in queste realtà l’uomo e la donna non avranno imparato a essere felici. Nella vita terrena è assolutamente immorale e perverso quello che non ti rende felice e quello che non espande la felicità per tutti. Ciò che nella vita terrena non serve all’uomo per imparare a essere felice, è contro Dio e contro la vita eterna in Dio.
L’uomo può evolversi spiritualmente tanto da imparare a essere felice anche vivendo realtà non facili, non armoniose, perché nella vita terrena la realtà, a causa della pressione e dell’inganno satanico, non è sempre facile e armoniosa, ma non c’è dubbio che in (via) qualsiasi situazione in cui l’uomo e la donna non riescono a essere felici, è un luogo di morte. Quando l’uomo e la donna non riescono a essere felici, è un tempo di morte. Gesù è chiaro, e non lascia sp
azio a interpretazioni e discussioni nel cuore stesso del suo messaggio, che sono le Beatitudini. O l’uomo e la donna si incamminano sulla strada della beatitudine, crescono nella felicità, si riempiono di gioia, o nulla, assolutamente nulla ha senso. Quando Satana si è messo contro Dio, non ha perso i suoi poteri, la sua forza, la sua intelligenza, ma ha perduto immediatamente
la sua gioia, e lui l’ha perduta per sempre, per questo usa tutto ciò che è e che conosce per togliere in qualsiasi modo la gioia agli uomini e alle donne della terra. O l’uomo e la donna usano la vita, ogni istante e realtà della vita, per imparare a essere felici e a moltiplicare per tutti la felicità, o la vita umana, in ogni istante e in ogni realtà, è una vita che non raggiunge il suo scopo, non ha direzione, non raggiunge la vita eterna nella felicità senza fine di Dio.
Nulla senza gioia.
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DOVE E’ CARITA’ E AMORE, LA’ C’E’ DIO
Manuale ragionato per l’avvicinamento di coppia alla Conversione: perchè dalla vita possa nascere vita e la famiglia sia prospera di beni
Un ringraziamento davvero speciale a Stefania, “l’ultima” che ho tanto amato, e che con durezza mi ha ricostruito dentro “sottoponendomi ad un percorso di purificazione in Maria”; “accompagnandomi con dolci e soavi suoni musicali nonchè ammonimenti fraterni”; consigliandomi di “performarmi al Cristo oltre le intenzioni”; poi portandomi per mano e talvolta a calci per consegnarmi tra le “braccia di Gesù”. Ma, tutto d’un tratto si è diramata tra le tenebre perchè il “nuovo uomo” che aveva accompagnato dal Signore, non aveva più nulla a che vedere con il Mondo. E lei che era del Mondo non aveva ancora preso le misure di ciò che significava chiedere agli Altri di essere totalmente di Dio e nella Pace
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“Io Gesù, Vi racconto del mio sacrificio cruento sulla Croce”.
Sono Io che vi ho creati perchè volevo vedervi Felici. Volevo e potevo darvi tutto perchè poteste godere nella gioia di tutta la Mia Potenza. Invece qualcosa non è andata come doveva essere. Per questo Mi sono assumo tutte le responsabilità se grazie al “libero arbitrio”, che ho dato a tutti voi, il motore che serviva a rendervi Felici, non sempre ha funzionato. Potevate scegliere e non sempre avete saputo scegliere. Avete cercato spesso percorsi contorti, più lunghi, avete ceduto tempo in cambio di effimere chimere e così avete perso di mira la felicità che avevate à a portata di mano. Vi siete mai guardati intorno per godere delle meraviglie della Natura che ho creato per voi? Vi siete mai stupiti per un parto? Non avete mai pensato se il piacere che provate durante un amplesso non sia stato io a darvelo? E il sorriso, le piccole e grandi gioie della vita, la gratuità dei prodotti della terra che saziano anche le più piccole ed invisibili delle mie creature, pensate siano state le multinazionali o i petrolieri o i governanti a fornirveli? Alcuni Mi si sono rivoltati contro, mi hanno voluto rinnegare di fronte al mondo intero e per questo hanno manifestato tutto il Male contro le Mie creature, m soprattutto contro te.
Mi piacerebbe dirti che dopo la Mia Passione Morte e Resurrezione tutti, indistintamente siete stati definitivamente liberati dal Male. Invece devo sirvi che ciò è avvenuto Potenzialmente. Ora spetta a voi capire e darvi da fare per liberarvi dalle catene del Male e dell’Inganno che vi legano a Mammona privandovi della “gioia” di esistere a Mio Nome e scoprire la Felicità; Io ho infatti riscattato ogni “debito” contratto da Adamo e da Caino e da ogni Figlio della Perdizione, sequela dell’Iniquo, dell’Empio, della Menzogna, dell’Assassino Antico. Ma voi, ogni giorno, ne contraete di nuovi attraverso la subdola formula del dio denaro. Da questo debito Io non posso liberarvi, se non con la vostr diretta partecipazione e consapevoleza. Perchè la brama di potere di chi vi avvita e “inchioda” attorno all’idea che senza denaro non possa esservi Felicità, ha lavorato incessanemente per creare una società umana fatta a sua immagine e somiglianza, pervasa da strutture di Peccato, da Paure, Ingustizie facendovi apparire delizie il Vizio. E così, senza che ve ne accorgiate, vi rubano continuamente il Tempo che avreste potuto dedicare per stare con Me, per essere Felici con le persone che amate, per godervi tutte le immenze Bellezze del creato. Ma loro hanno fatto di più: le hanno rese inaccessibili queste bellezze e se non bastasse le stanno distruggendo con atti vandalici e criminali, costruzioni che danneggiano il paesaggio, veri e propri ecomostri, guerre devastatrici che portano carestie, pestilenze, morte, morte e morte. Che ad un certo punto vi portano ad odiare la vita stessa. E così, come Io ho riscattato i vostri debiti spirituali presso Mio padre, voi invece di affidarvi a noi, porgete lo sguardo altrove e tentate nel vano tentativo di riscattare i vostri debiti temporali e materiali, di raggiungere dei compromessi con i vostri aguzzini per avere un minimo di Felicità e di Tempo per godervela. Ma non vi accuso per questo di essere stolti e mal avveduti. Perchè, invece, alcuni di voi, i Sacerdoti, hanno contratto una loro dose di responsabilità per quel che fanno e dicono, ma ancor di più per ciò che “non fanno”; perchè li Ho nominati alla Mia destra e gli Ho dato un potere divino che nemmeno gli Arcangeli e Mia Madre hanno. Costoro infatti, attraverso la Santa Eucaristia, la Santa Messa, i Sacramenti, la Benedizione, l’esempio santificatore ed evangelizzatore devono ricordarvi perchè Sono “volutamente” andato sulla Croce e soprattutto dove è la Felicità che voi perseguite giorno e notte senza trovarla. Dovrebbero dirvi perchè Mi sono sottoposto al rituale, pur non avendone bisogno, della Purificazione e del Battesimo. Dovrebbero insegnarvi a riconoscere le strade per la Felicità e la Gioia. Ed invece come pompieri cercano solo di spegnere il fuoco dopo aver lasciato che i piromani lo appiccassero senza diventare guide e testimoni del Mio messaggio.
Mi sono voluto porre, al contrario di voi che dalla croce sfuggite, nella sequela di chi vive del castigo a causa del Peccato Originale. Ma non per questo si può dire che Mi sia fatto Peccato. Il fatto vero è che nell’ordine delle responsabilità, Mi sentivo il primo responsabile, anche per le malefatte dei Miei stessi amici che si sono fatti traditori. E’ stato proprio un Mio traditore a consegnarMi agli aguzzini per un pugno di soldi; e sempre per mano traditrice, molte Mie creature rischiano di perdersi se non fissano, se non Mi si propone come Unica Pace, Salvatore e Redentore. Io che sono la Vera Luce, in quanto Via, Verità e Vita. Io che sono Carità e Amore. Ma perchè tutto questo fosse da voi percepito in forma inequivocabile, dovevo vivere anche su di Me la Morte e vincerla. Ed essere la Persona, prima che il Dio, da Imitare. Perchè a che serve Credere al Mio Vangelo, avere Fede nel Mio Nome, se poi disperdete il vostro tempo e le azioni, e le intenzioni della vostra anima fra i mille flutti che Mammona vi consegna ogni dì? Vi ho consegnato Me stesso per essere Miei Imitatori nella costruzione del Regno che è quello che voi cercate sognando, scrivendo, invocando, progettando, amando…
Adamo, infatti, come alcuni angeli, volle anche lui come voi, mettersi in proprio; e generò per una accelerazone della sua superbia, contro il Mio avviso, il figlio Caino, che avrebbe risposto direttamente all’asse del Male di coloro che sono Contro Natura e contro la procreazione, Contro la Mia Volontà che è Desiderio, contro l’Ordine Naturale che è parte integrante del Regno con la Sua sublime Legge che Mio Padre consegnò a Mosè e che io perfezionai nello Spirito d’Amore come traspare in tutto il Vangelo diffuso su tutta la terra.
Ora però, voi che sapete tutto, non potere dire che non sapevate. Non potete dire che le Mie colpe liberano dall’Inferno anche coloro che non vogliono essere liberati, che non amano, che non Mi desiderano ardentemente. Io infatti vi pongo di fronte ad una seconda scelta: dopo quella di liberarvi con il Battesimo comunitario e la Cresima personale dai Peccati di “indipendenza e autonomia” da Me, che Adamo vi ha trasferito geneticamente attraverso il Figlio della Perdizione che fu Caino, ora cambiate Abito; vi esorto a questa novità, che non piacque al Giovane Ricco che voleva essere salvo per l’Eternità: di indossare dopo questa mia invocazione, che è anche una Chiamata (perchè sono là alla Porta e busso sin dal vostro concepimento), un abito Nuovo; per vostra iniziativa, per vostra scelta, per vostra convinzione. A costoro, a tutti coloro che sentiranno viva questa chiamata, darò tutto per vincere la propria battaglia: in Provvidenza,Virtù e Carità.
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Vangelo di Luca 5,33-39
In quel tempo, 33 i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!»
34 Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35 Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
36 Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. 37 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. 38 Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”»
Vecchio e nuovo
Nessuno prende un pezzo dal tessuto del vangelo, che è sempre nuovo e innovativo, per metterlo sul tessuto vecchio di una mente cristallizzata in fossilizzate convenzioni e convinzioni, altrimenti l’innovativa intelligenza del vangelo strappa il vecchio di quella mente, perché al vecchio di quella mente non si adatterà mai l’innovativa conoscenza e sapienza del vangelo. Nessuno versa il vino nuovo delle procedure evangeliche negli otri vecchi di vecchi cuori, logorati dalla rabbia, consunti dall’inganno, deteriorati dai pregiudizi, altrimenti il vino nuovo, frizzante ed effervescente delle procedure evangeliche spaccherà gli otri vecchi di quei vecchi cuori, si spanderà disperdendosi, e quei cuori andranno perduti. Il vino nuovo del vangelo bisogna versarlo in otri-cuori nuovi. Nessuno che beve il vino vecchio delle vecchie convenzioni, convinzioni, abitudini, consuetudini desidera il vino nuovo, innovativo del vangelo, perché troverà il vino vecchio delle tradizioni, delle religioni, delle filosofie, degli addestramenti umani più gradevole, e ripeterà a se stesso: non ha senso cambiare. La metanoia evangelica, il cambiamento di mentalità, l’inversione del modo di pensare che Gesù propone all’umanità per liberarla dalla paura, dall’ignoranza, dall’inganno satanico non è per i vecchi, e per vecchio il testo evangelico non intende certo vecchio per età cronologica, ma vecchio perché mentalmente cristallizzato in inamovibili certezze acquisite dall’addestramento sociale, vecchio, perché fissato in immutabili sicurezze morali, scientifiche, religiose, psichiche, culturali. Il vangelo non è per ciò che è vecchio. Il vangelo è per coloro che, indipendentemente dall’età, sono felici di poter rinunciare al proprio addestramento mentale, sono grati di poter cambiare il proprio orientamento mentale, sono onorati di poter mutare il proprio sistema di pensiero alla luce meravigliosa del vangelo, per incamminarsi verso l’evoluzione intellettuale e spirituale che Dio desidera per l’umanità.
Il vangelo è per tutti coloro che ritengono l’opportunità di poter sostituire i propri dialoghi interiori con le Parole di vita del vangelo, la realtà più importante e preziosa della propria vita. Gesù è chiaro: il vangelo è solo per quelli che hanno deciso, con amore, di farlo cantare incessantemente nella mente, nel cuore, nelle mani. Per gli altri, il vangelo è meglio che taccia.
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“Devo al Libro su La Imitazione di Cristo e al Trattato sulla Vera Devozione a Maria se mi sono rialzato immediatamente dopo essere caduto in un profondo baratro di tristezza e solitudine. Tramite loro, alla Insegna del Vangelo sopporto, supero ogni asperità e afflizione della vita e dell’amore e mi sottometto alla volontà e ai castighi del Signore con fervida compunzione del cuore; e ricevo il balsamo dell’umiltà e del discernimento e la cura per la mia anima.
Ma è il Saio che indosso che ora più che mai mi tiene fermamente legato a questi e a tutti i propositi confermati il 25 marzo 2011 a Fatima di voler essere, passo dopo passo, nel superamento delle matrici di inganno e delle strutture di peccato (radicate in questo mondo), un pellegrino, una guida ed un testimone verso la strada stretta della Salvezza che passa anche per i Tempi Finali dell’Apostasìa e della Grande Tribolazione; fondando e realizzando in me, con cuore ardente, la fortezza del Vangelo Vivente, anticamera del Regno; è il Saio di Arciere ed il proposito di riempire le Giare e gli Otri in attesa del Vino Buono che mi rende costante nella Recita del Rosario; che mi consente, ancor di più che se vivessi laicamente e quindi per piacere alla mondanità, di accostarmi, con molta più solerzia di quanto abbia fatto prima, al Confessionale di Dio; è il Saio che mi predispone e mi rinnova giornalmente il riconoscimento della Grazia di poter partecipare vivamente ed intensamente alla Santa Messa -senza distinzione di sorta tra giusto e falso secondo la Tradizione dei Padri- tenendo fermamente fra le dita i grani del Santissimo Rosario di Maria, nostra Sacra Arca della Bellezza e Avocatessa; e per cui, inginocchiandomi nel ricevimento della Eucaristia, provo con vivo stupore e grandissima meraviglia di sentirmi amato nella mia miseria e nella mia inutilità di servo; è proprio con il Saio di Discepolo di Nostra Signora della Tenda – figlio montfortiano di Don Bosco- che mi lascio trasportare lieve nell’Adorazione del Signore mio Dio, davanti al Santissimo Tabernacolo, ponendo Le due Colonne, Gesù e Maria -in questo mio nuovo modo di essere nel mondo- ancor di più e con consapevolezza fervente, sopra ogni cosa di questo mondo surreale, bellicoso, ingrato ed effimero” (Parusìa – Marco Turi Daniele Primo Preposito Generale dell’Arca)
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Vangelo di Luca 14,25-33
In quel tempo, 25 una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26 «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30 dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Ciao ciao
È un’evidenza. La vita, in tutto il creato, da miliardi di anni, si prende cura perfettamente e prontamente di tutto e di ogni cosa, e regola, muove, organizza e sostiene, rigorosamente e con precisione l’esistenza di tutti gli esseri viventi. L’uomo che si attacca alle cose e alle persone, per paura che gli venga a mancare qualcosa o qualcuno, non conosce e non vive questa evidenza. Con il suo orientamento mentale, l’uomo che diventa possessivo rispetto a cose e persone nega questa evidenza, rinnega la perfezione della vita, maledice la perfezione con cui la vita si prende cura di tutto ciò che esiste, sfida l’organizzazione delle energie cosmiche, si pone in aperta rivolta con la vita stessa. È un’evidenza. Colui che vive di attaccamento e possessività dimostra non solo che non si fida affatto della vita, della sua organizzazione perfetta, ma attesta che si sente così scollegato dall’esistenza, che ritiene indispensabile, per la propria sopravvivenza, separarsi dall’organizzazione e dalla perfezione cosmica del sistema della vita, per organizzare per se stesso una forma distinta di garanzia, assicurazione, protezione e sicurezza.
Quando un uomo si attacca alle cose e alle persone è unicamente perché sospetta della vita, dubita dell’esistenza, non riconosce la perfezione e l’armonia del creato e della vita. Per questo si sconnette dalla propria dimensione spirituale, si scollega dalla propria intelligenza e lacera intimamente tutto il proprio sistema neuro-psico-emotivo, diventando un uomo fragile, pauroso, incerto, dipendente, ignorante, pigro, conflittuale, aggressivo. L’uomo che sospetta della vita, che non si fida della perfezione dell’esistenza, del modo in cui l’esistenza ha cura di tutto e di ogni cosa, è costretto a trovare le proprie sicurezze in ogni forma di attaccamento a cose e a persone, e questo genera inevitabilmente in lui lo stato spirituale della separazione, lo stato psichico della sospensione, lo stato fisico della tensione. È questa necessità di attaccarsi e di possedere che rende l’uomo immediatamente dipendente, e che, con il tempo, lo rende stupido, e, nel lungo periodo, pazzo. Ogni forma di attaccamento e possessività avvelena il dialogo interiore con ogni tipo di sospetto, dubbio, preoccupazione, e aumenta drasticamente la sete di controllo e dominio, generando ogni forma di invidia, gelosia, aggressività e violenza. Ogni forma di attaccamento e possesso è un atto di separazione dalla vita e da Dio. È un’evidenza. Chi crede nella vita e in Dio non ha bisogno di possedere nulla e di attaccarsi a nessuno e, al tempo stesso, chi desidera credere nella vita e in Dio non può possedere nulla né attaccarsi a nessuno.
Gesù dice: chi non rinuncia [greco: apotàsso, “dire ciao ciao”] a tutti i beni, non può essere mio discepolo. Il verbo greco apotàsso, usato in questo versetto del vangelo, significa proprio salutare, rinunciare, abbandonare, dire addio a una persona o a una cosa, separarsi. Gesù pone addirittura il “dire ciao ciao” ai propri beni – che in greco sono espressi con il termine ypàrchonta, i “possessi” – come la condizione essenziale e imprescindibile per poterlo seguire. Chi desidera unirsi a Gesù e al vangelo deve separarsi dai possessi. Perché Gesù è così drastico? Perché chi possiede i possessi, si separa ed è separato dalla vita e da Dio, e chi si separa dai possessi, si unisce ed è unito alla vita e a Dio. I possessi di cui parla Gesù non solo sono nell’ordine delle cose, ma anche e soprattutto nell’ordine degli affetti, delle relazioni umane, infatti precisa ulteriormente: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Ti prego Signore Gesù,
nella mia vita fai tutto,
fai sempre, fai tu.
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L‘Imitazione di Cristo Libro I di IV |
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Questo piccolo libro ha costituito per secoli un preciso punti di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto che si può considerare “il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel mondo”. L’Imitazione di Cristo, il cui autore resta sconosciuto, benché possa essere collocato in ambiente monastico attorno ai secoli XIII-XIV, costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all’abbandono dell'”uomo vecchio” per costruire l'”uomo nuovo”, per radicare interiormente una profonda spiritualità personale. |
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Indice completo de La Imitazione di CristoLibro IINCOMINCIANO LE ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO Cap 01.– L’IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITA’ DEL MONDO Cap 02. – L’UMILE COSCIENZA DI SE’ Cap 03. –L’AMMAESTRAMENTO DELLA VERITA’ Cap 04. –LA PONDERATEZZA NELL’AGIRE Cap 05. – LA LETTURA DEI LIBRI DI DEVOZIONE Cap 06. – GLI SREGOLATI MOTI DELL’ANIMA Cap 07. – GUARDARSI DALLE VANE SPERANZE E FUGGIRE LA SUPERBIA Cap 08. – EVITARE L’ECCESSIVA FAMILIARITA’ Cap 09. – OBBEDIENZA E SOTTOMISSIONE Cap 10. – ASTENERSI DAI DISCORSI INUTILI Cap 11. – LA CONQUISTA DELLA PACE INTERIORE E L’AMORE DEL PROGRESSO SPIRITUALE Cap 12. –I VANTAGGI DELLE AVVERSITA’ Cap 13. –RESISTERE ALLE TENTAZIONI Cap 14. – EVITARE I GIUDIZI TEMERARI Cap 15. – LE OPERE FATTE PER AMORE Cap 16. – SOPPORTARE I DIFETTI DEGLI ALTRI Cap 17. – LA VITA NEI MONASTERI Cap 18. – GLI ESEMPI DEI GRANDI PADRI SANTI Cap 19. – COME SI DEVE ADDESTRARE COLUI CHE SI E’ DATO A DIO Cap 20. – L’AMORE DELLA SOLITUDINE E DEL SILENZIO Cap 21. – LA COMPUNZIONE DEL CUORE Cap 22. – LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA Cap 23. – LA MEDITAZIONE DELLA MORTE Cap 24. – IL GIUDIZIO DIVINO E LA PUNIZIONE DEI PECCATI Cap 25. – CORREGGERE FERVOROSAMENTE TUTTA LA NOSTRA VITALibro II INCOMINCIANO LE ESORTAZIONI CHE CI INTRODUCONO ALL’INTERIORITA’ |
Cap 01. – IL RACCOGLIMENTO INTERIORE
Cap 02. – L’UMILE SOTTOMISSIONE
Cap 03. – CHI E’ COLUI CHE AMA IL BENE E LA PACE
Cap 04. – LA LIBERTA’ DI SPIRITO E LA SEMPLICITA’ DI INTENZIONE
Cap 05. –L’ATTENTO ESAME DI SE STESSI
Cap 06. – LA GIOIA DI UNA COSCIENZA RETTA
Cap 07. – L’AMORE DI GESU’ SOPRA OGNI COSA
Cap 08. –L’INTIMA AMICIZIA CON GESU’
Cap 09. –LA MANCANZA DI OGNI CONFORTO
Cap 10. –LA GRATITUDINE PER LA GRAZIA DIVINA
Cap 11. –SCARSO E’ IL NUMERO DI COLORO CHE AMANO LA CROCE DI GESU‘
Cap 12. – LA VIA MAESTRA DELLA SANTA CROCE
Libro III
INCOMINCIA IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE
Cap 01. – CRISTO PARLA INTERIORMENTE ALL’ANIMA FEDELE
Cap 02. – SI FA SENTIRE DENTRO DI NOI SENZA ALTISONANTI PAROLE
Cap 03. – UMILE ASCOLTO ALLA PAROLA DI DIO, DA MOLTI NON MEDITATA A DOVERE
Cap 04. – INTIMAMENTE UNITI A DIO, IN SPIRITO DI VERITA’ E DI UMILTA’
Cap 05. – MIRABILI EFFETTI DELL’AMORE VERSO DIO
Cap 06. –CHI HA VERO AMORE, COME NE DA’ PROVA
Cap 07. – PROTEGGERE LA GRAZIA SOTTO LA SALVAGUARDIA DELL’UMILTA’
Cap 08. – LA BASSA OPINIONE DI SE’ AGLI OCCHI DI DIO
Cap 09. – RIFERIRE TUTTO A DIO, ULTIMO FINE
Cap 10. –DOLCE COSA, ABBANDONARE IL MONDO E SERVIRE A DIO
Cap 11. – VAGLIARE E FRENARE I DESIDERI DEL NOSTRO CUORE
Cap 12. – L’EDUCAZIONE A PATIRE E LA LOTTA CONTRO LA CONCUPISCENZA
Cap 13. –METTERSI AL DI SOTTO DI TUTTI IN UMILE OBBEDIENZA, SULL’E. DI GESU’ C.
Cap 14. – PENSARE ALL’OCCULTO GIUDIZIO DI DIO, PER NON INSUPERBIRCI DEL BENE
Cap 15. – COME COMPORTARCI E CHE COSA DIRE DI FRONTE A OGNI NOSTRO DESIDERIO
Cap 16. – SOLTANTO IN DIO VA CERCATA LA VERA CONSOLAZIONE
Cap 17. – AFFIDARE STABILMENTE IN DIO OGNI CURA DI NOI STESSI
Cap 18. – SOPPORTARE SERENAMENTE LE MISERIE DI QUESTO M. SULL’ESEMPIO DI CRISTO
Cap 19. –LA CAPACITA’ DI SOPPORTARE LE OFFESE E LA VERA PROVATA PAZIENZA
Cap 20. – RICONOSCERE LA PROPRIA DEBOLEZZA E LA MISERIA DI QUESTA NOSTRA VITA
Cap 21. – IN DIO, AL DI SOPRA DI OGNI BENE E DI OGNI DONO, DOBBIAMO TROVARE LA PACE
Cap 22. –RICONOSCERE I MOLTI E VARI BENEFICI DI DIO
Cap 23. –LE QUATTRO COSE CHE RECANO UNA VERA GRANDE PACE
Cap 24. –GUARDARSI DALL’INDAGARE CURIOSAMENTE LA VITA DEGLI ALTRI
Cap 25. – IN CHE CONSISTONO LA STABILITA’ DELLA PACE INT. E IL VERO PROG. SPIRITUALE
Cap 26. – L’ECCELSA LIB. DELLO SPIRITO, FRUTTO DELL’UMILE PREG. PIU’ CHE DELLO STUDIOCap 27. – PIU’ DI OGNI ALTRA COSA L’AMORE DI SE STESSO RALLENTA IL NOSTRO PASSO VERSO IL SOMMO BENECap 28 – CONTRO LE LINGUACCE DENIGRATRICI
Cap 29 – INVOCARE E BENEDIRE DIO NELLA TRIBOLAZIONE
Cap 30 –CHIEDERE L’AIUTO DI DIO, NELLA FIDUCIA DI RICEVERE LA SUA GRAZIA
Cap 31 –ABBANDONARE OGNI CREATURA PER POTER TROVARE DIO
Cap 32 –RINNEGARE SE STESSI E RINUNCIARE AD OGNI DESIDERIO
Cap 33 – L’INSTABILITA’ DEL NOSTRO CUORE E LA INTENZIONE ULTIMA, CHE DEVE ESSERE POSTA IN DIO
Cap 34 – CHI E’ RICCO D’AMORE GUSTA DIO IN TUTTO E AL DI SOPRA DI OGNI COSA
Cap 35 – IN QUESTA VITA, NESSUNA CERTEZZA DI ANDARE ESENTI DA TENTAZIONI
Cap 36 – CONTRO I VUOTI GIUDIZI UMANI
Cap 37 – L’ASSOLUTA E TOTALE RINUNCIA A SE STESSO PER OTTENERE LIBERTA’ DI SPIRITO
Cap 38 – IL BUON GOVERNO DI SE’ NELLE COSE ESTERNE E IL RICORSO A DIO NEI PERICOLI
Cap 39 –NESSUN AFFANNO NEL NOSTRO AGIRE
Cap 40 – NULLA DI BUONO HA L’UOMO DA SE’ E DI NULLA PUO’ VANTARSI
Cap 41 – IL DISPREZZO DI OGNI ONORE DI QUESTO MONDO
Cap 42 – LA NOSTRA PACE NON DOBBIAMO PORLA NEGLI UOMINI
Cap 43 – CONTRO L’INUTILE SCIENZA DI QUESTO MONDO
Cap 44 –NON CI SI DEVE ATTACCARE ALLE COSE ESTERIORI
Cap 45 –NON FARE AFFIDAMENTO SU ALCUNO: LE PAROLE FACILMENTE INGANNANO
Cap 46 – AFFIDARSI A DIO QUANDO SPUNTANO PAROLE CHE FERISCONO
Cap 47 – OGNI COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA, PER CONSEGUIRE LA VITA ETERNA
Cap 48 – LA VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE
Cap 49 – IL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA. I GRANDI BENI PROMESSI A QUELLI CHE LOTTANO
Cap 50 – CHI E’ NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO
Cap 51 – DEDICARSI A COSE PIU’ UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU’ ALTE
Cap 52 – L’UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI ESSERE COLPITO
Cap 53 – L’UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI ESSERE COLPITO
Cap 54 – GLI OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA
Cap 55 – LA CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA
Cap 56 – RINNEGARE SE STESSI E IMITARE CRISTO NELLA CROCE
Cap 57 – NON CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE QUANDO SI CADE IN QUALCHE MANCANZACap 58 – NON DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE SUPERIORI COSE DEL CIELO E GLI OCCULTI GIUDIZIO DI DIOCap 59 – PORRE OGNI NOSTRA SPERANZA E OGNI FIDUCIA SOLTANTO IN DIO
Libro IV
INCOMINCIANO I CONSIGLI DEVOTI PER LA SANTA COMUNIONE
Cap 01 – CON QUANTA VENERAZIONE SI DEBBA ACCOGLIERE CRISTO
Cap 02 – NEL SACRAMENTO SI MANIFESTANO ALL’UOMO LA GRANDE BONTA’ E L’AMORE DI DIO
Cap 03 – UTILITA’ DELLA COMUNIONE FREQUENTE
Cap 04 – MOLTI SONO I BENEFICI CONCESSI A COLORO CHE SI COMUNICANO DEVOTAMENTE
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Vangelo di Matteo 22,34-40
In quel tempo, 34 i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?»
37 Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Amare la gioia
Quando ami, non puoi avere paura.
Quando hai paura, non puoi amare.
Quando hai paura di Dio, non puoi amare, né farti amare.
Quando hai paura di te stesso, non puoi amare, né farti amare.
Quando hai paura degli altri, non puoi amare, né farti amare.
Quando eserciti pressione e tensione sugli altri,
quando giudichi e condanni gli altri,
non stai vivendo amore, e non stai amando.
Quando eserciti dominio sugli altri,
non stai vivendo amore,
e non puoi amare nemmeno quelli che credi di amare.
Quando eserciti controllo sugli altri,
non stai vivendo amore,
e non puoi amare nemmeno quelli che dici di amare.
Quando sei possessivo, geloso, sospettoso,
non stai vivendo amore,
e non puoi amare nemmeno quelli che sei persuaso di amare.
Quando ti attacchi alle cose o alle persone,
non stai vivendo amore, e non stai amando.
Quando combatti, per qualsiasi motivo tu combatta,
qualsiasi cosa tu combatta, anche se combatti il male, l’ingiustizia, l’iniquità,
ma non vivi per seminare il bene, il benessere per tutti,
la gratitudine, la gratuità, la giustizia, la condivisione,
non stai vivendo per amare, né per amore,
e non stai amando niente e nessuno.
Quando pretendi ed esigi che quelli che dici di amare
cambino e modifichino il loro modo di essere e di vivere
perché tu li possa amare,
e tu possa essere fiero e orgoglioso di loro,
non stai amando niente e nessuno.
Quando non ami, puoi comunque fare ciò che vuoi della tua vita,
e puoi avere tutto ciò che riesci a conquistare nella vita,
ma non potrai mai, mai, mai vivere la gioia e provare la felicità.
Non sei costretto a essere felice su questa terra,
ma se per caso tu vuoi essere veramente felice,
devi sapere che senza amore non c’è gioia e non è possibile la felicità.
Amare Dio, con tutto il cuore e con il meglio di sé,
amare se stessi, e amare gli altri come si ama se stessi,
conduce alla gioia, porta alla gioia.
Non c’è legge, politica, istituzione, economia, psicologia, farmaco,
successo, ideologia, filosofia, scienza, istruzione, insegnamento,
educazione, civiltà, cultura, religione, che possa dare gioia all’uomo,
solo imparare ad amare, solo amare dà gioia all’uomo.
Solo amare, solo l’amore può far nascere la gioia nel cuore dell’uomo.
Dio è gioia, noi siamo fatti di gioia,
e, per raggiungere Dio e vivere la gioia, non c’è altra via che l’amore.
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Vi giunga a voi tutti questa considerazione vissuta direttamente su di me.
Avere Gesù nel cuore non vuol dire vivere, aver vissuto o intendere vivere come dice e ci insegna il Suo Vangelo e come ci tramanda la Chiesa dai tempi della Pentecoste, e quindi sostenuta e difesa dalla tradizione apostolica e apologetica.
Anzi.
Possiamo dire a ragione che esistono diversi modi di essere cristiani, senza per questo essere testimoni del Vangelo. E questi sono:
– credenti in Cristo
– fedeli in Cristo
– imitatori di Cristo
Essere credenti è molto diverso da essere imitatori o fedeli: può essere un forte e motivato motto razionale che non ci esime però dal tralasciare la vita così come la stiamo vivendo; la Chiesa avrebbe dovuto essere più dura, forse, nelle espressioni evangelizzatrici, e la Gerarchia più severa con se stessa, nei ostumi, tralasciando le cose del mondo e dedicandosi alla formazione dell’individuo e della sua spiritualità interiore, per poi mandarlo a governare il mondo secondo le leggi di Dio e non degli uomini; e oltre ad affidarci lo statuto del Credo, di dichiarazione apostolica, e la fedeltà agli atti trasmessi anche sotto forma di Dottrina, sarebbe anche opportuno chiederci, individualmente, qualcosa di più circa la mortificazione di noi stessi. Ciò anche per farci uscire dal torpore in cui cadono spesso i Tiepidi, che oltre alla mancanza di amore per il prossimo, mancano di amore per Dio e per se stessi e di impegno e buone intenzioni verso gli indigenti a riparazione anche delle colpe e dei peccati; si lasciano piuttosto spesso soggiogare dal lassismo o dalla accettazione del proprio stato (ivi compreso l’abitudine ai peccati veniali) convinti che la fede ed il credere bastino da se stessi; e non mettono in campo nessun accorgimento secondo gli insegnamenti di Gesù. Nel gradino più basso quindi ci sono i credenti, ed in quello più alto gli imitatori. I fedeli sono solo in parte giustificati, perchè hanno fiducia nella Trinità ed in buona parte di ciò che Dio permette avvenga nella loro vita sia nel bene che nel male; ma ciò finchè tacciono, finchè restano nella loro vigile ignoranza, finchè temono Dio e non si insuperbiscono mettendosi in proprio; quando pur non imitando Gesù evitano anche di fare moralismi in nome di Dio; ma non per questo e per solo questo possono diventare Santi. Se non poniamo infatti come obiettivi successivi il perfezionamento cristiano di ognuno di noi verso la Santità, rischiamo di morire di accidia e ignavia, arroganza ed incontinenza, vizi e supponenze, vanità e orgoglio; la vera e unica Conversione in Cristo è quella di voler con ogni proposito, sacrificio, rinuncia, disprezzo per se stessi e per il mondo diventare Santi secondo il Vangelo a pura e sola imitazione di Cristo. In fondo, si può diventare credenti o fedeli per Convinzione, per Logica, per Opportunità, per Interesse ma non necessariamente per Conversione. E poi, quando si parla di Fede ci si riferisce a cosa? Ad un progetto che riconosciamo Buono e che vorremo imitare o ad un progetto che riteniamo valido per altri, per la società umana ma non per noi peccatori? E’ forse un “armiamoci e partite”? O è una promessa a Dio di indossare un altro abito, quello che si addice di più alla chiamata di far parte del Regno? L’impegno di fedeltà non è un fatto a se stante che si risolve con una preghiera o una andata settimanale all’Eucaristia domenicale che noi chiamiamo Messa. La Conversione è una Rivoluzione totale della nostra vita. Nulla più sarà come prima, forse nemmeno il matrimonio, il lavoro, il proprio stato di vita. Questa è l’unica vera Rivoluzione che si conosca capace di cambiare se stessi dalla radice.
Per maggiori informazioni leggiti:
Tommaso da Kempis – Imitazioni di Cristo
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Ciò premesso arriviamo a noi….
Fregene, 30 giugno 2013
Eccellenza Reverendissima Giovanni Marra,
Arcivescovo Emerito di Messina Lipari Santa Lucia del Mela; ArchiMandrita del Santissimo Salvatore; Ordinario Militare Emerito dell’Italia; già amministratore Apostolico della Diocedi Orvieto-Todi, Pax et Bonum.
Mi pregio ringraziarLa nuovamente per la dolce fermezza con cui ha parlato al mio cuore il giorno 27 giugno 2013, in una occasione del tutto particolare, come è stata quella che ha ricordato a tutti i presenti i 50 anni di matrimonio di Orazio e Maria Luisa, persone a me care come un papà ed una mamma. Apprendo, in seguito, che il giorno appresso, 28 giugno, alla vigilia della Festa dei Santi Pietro e Paolo, Lei ha compiuto 27 anni di Consacrazione Episcopale. E voglio, anche per questo, Le giungano con forza, anche se con due giorni di ritardo, a nome mio e dei miei amici Arcieri della Resilienza Cattolica i nostri più sinceri e sentiti motti d’amore di felice anniversario nel Signore per quanto da Lei compiuto nell’esercizio episcopale in questo arco di tempo; e per quanto ancora potrà fare anche per le nostre anime e per l’onore della Santa Sposa la Madre Chiesa.
Spero ardentemente, con supplica di discepolo di Maria Nostra Signora della Tenda e in quanto figlio montfortiano di don Bosco, che Lei voglia accogliere la umile richiesta di un incontro, tra Lei e me, nei modi, nei tempi e nei luoghi che mi indicherà; affinchè possa piegare, con il Suo sostegno ed il Suo incoraggiamento, le mie ginocchia di fronte alla Verità e alla Carità con un sano discernimento e sottomissione alla Sua guida spirituale la mia vocazione di cristiano e anche l’intero progetto della Confraternita dell’Arca della Bellezza; affinchè le Condotte, i Cenobi, le Diaconie, le Certose, gli Horti, le Skole, gli Areopaghi, le Domus Ecclesiae, ed i Lazzaretti di Fregene, Soriano, Fatima possano assumere un profilo Santo, consono alle attese della Chiesa per gli Ultimi Tempi.
Dopo il nostro incontro del 27 u.s.. mi sono fatto parte in causa di informare i miei amici, in particolare i più diretti consiglieri, riguardo i temi che abbiamo trattato e
che convergono sulle questioni più necessarie e più “scottanti” dei nostri tempi. E oltre a trovarli felicemente sorpresi e sinceramente innamorati di quanto il Signore ci prospetta (quando meno possiamo immaginarcelo), mi hanno sollecitato ad approfondire con Lei tutto ciò che ho nel cuore, e che rappresenta in grandissima parte ciò che vivono anche loro personalmente, singolarmente e in famiglia, con forti slanci ma anche grandi ambascie; affinchè possano loro stessi farsi animo ancor di più che il Signore, attraverso La Madre, Nostra Signora della Tenda, Augusto Tabernacolo, nuova Arca della Bellezza, tutrice della Santa Casa di Loreto, Nutrice del Dio Nostro Vivente, Signora di La Salette, Lourdes e Fatima, Madre Mercedaria e del Rosario, in un modo ed in un altro, ci sta chiamando tutti ad un atto di “partecipazione” proficua alla Redenzione, in questi tempi di desolazione, apostasìa e tribolazione.
Sono Pronto ad ascoltare, e loro attraverso me e magari in seguito anche attraverso la Sua voce, ogni Suo diretto suggerimento e insegnamento rispetto al progetto della nostra Confraternita che ha al centro il culto di Gesù e Maria nella fondazione delle CAERP (Cappellette di Adorazione Eucaristica e del Rosario Perpetuo) e costituzione di Comunità d’Amore secondo la Verità del Vangelo e per la rievangelizzazione della cultura attorno ai Borghi Eucaristici di Xenobia, a cui ci attestiamo e aiutiamo facendo nostra l’unica regola delle Tre Arche (o tre Bauli così come si chiamano a Fatima) che sono i Tempi di Missione, Comuntà e Famiglia; dalla cui pre-disposizione ed esercizio delle virtù di Prontezza, Umiltà, Degnità e Gratuità si dipartono le filiere della Carità con opere di Pietà, Misericordia Corporali e Spirituali e tutte le attività culturali, agricole e artigianali antiMammoniche; ed in qualunque caso a sottomettermi con Obbedienza inopinabile ed insindacabile a tutto quanto mi chiederà di fare, dire, annunciare, rinunciare, studiare, correggere e sospendere; confidando nella certezza che Lei è Degno successore degli Apostoli, avendo peraltro, nella Sua genealogia apostolica un ammiraglio e viceré di Sicilia, discendente di chi ha combattuto a Lepanto (Marcantonio Colonna); e chi ha suggerito al Clero, attraverso una santa enciclica (Pascendi Domini Gregis di Papa San Pio X), il Giuramento Antimodernista.
Rimetto a Lei e al giorno in cui l’ho conosciuta; e partecipo con amicizia e amore a questo evento tutti i miei confratelli, i sentimenti di gioia che ho riscontrato in questi giorni e che mi hanno dato molta animosità e rinnovato viva speranza nel mio percorso di fede e di desiderio di santità; per sentirmi ancor di più amato da Gesù e Maria (se già non bastasse quanto Loro si prodigano a fare per me da quando ho ricevuto il Santo Battesimo) nel desiderio di essere chiamato a condividere con Lei ed i miei amici il Regno di Dio ed il Paradiso da noi tanto agognato.
La abbraccio nell’amore sincero per il Signore, nella Domenica del Signore, restando in attesa di un Suo riscontro riguardo il prossimo nostro incontro.
Parusìa
in Gesù Adveniente e Maria CorRedentrice
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La battaglia della Resilienza Cattolica contro il Nuovo Ordine Mondiale anticristiano
La Religione Cattolica è vestire un Abito Nuovo per uscire tutti insieme dai problemi che la politica non riesce e non può risolvere se non rivolta al Regno, passando dagli Ultimi e dagli Indifesi. In questo senso la Società che ammette l’Aborto già è nell’Apostasìa
Se non pensate al Prossimo, al più prossimo, non parlatemi di Conversione, di Missioni e di visite agli Indigenti rimanendo sul piano delle parole che vi proiettano in Africa o addirittura in terre che vivono di guerre, carestie e pestilenze. Avete più bisogno di un buon analista o anche semplicemente di scegliere il Confessore a cui riuscite a raccontare tutto, ma proprio tutto, senza remora alcuna. Perchè è quando possiamo dire che schifo di persone siamo che allora diventa più semplice la diagnosi e ottenere risposte.
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La base dell’Innamoramento è l’occasione celeste
Questo non è più solo tempo di Conoscere e avere Fede in Gesù, ma quello della pienezza della Conversione nell’Amore e nella Partecipazione alla fondazione del Regno di Dio. Altrimenti rischiamo di rimanere inermi indifendibili Tiepidi.
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Perchè un Trattato sulla Vera Conversione alla base della coppia?
Pur essendo stato battezzato cattolico a giovanissima età ed aver osservato, poi, nel limite del possibile, in età della ragione, i requisiti della Fede, e i precetti della Chiesa sulla Morale e secondo i dispositivi del Catechismo Cattolico, ho dovuto lavorare molto e profondissimamente sul concetto di Conversione, sulla gradualità con cui si diventa veri cristiani “convergendo e non divergendo, amando e non convincendo, imitando e non solo credendo” senza dare per scontato nulla riguardo alla Salvezza tout court e alla Fede come un dato di fatto imperscrutabile; sui valori antropologici intrinseci al cattolicesimo che non è l’apice della Conversione, ma la compagine all’interno della quale si realizza e si inverano i propositi che ci siamo posti come condizione di testimonianza cristiana ed evangelica; e quindi su quanto lavoro avevo da compiere ancora su di me, senza andare a nominare Dio e Amore invano, per riuscire a liberarmi da taluni schemi che una volta per una ragione, un’altra per una certa consuetudine, un’altra ancora per taluni insegnamenti che si trasmettono da generazioni senza per questo costituire una tradizione ma esclusivamente una usanza; per altra via, seguendo l’interesse di comodo da parte di comunità dominanti, delle caste tra cui quelle sacerdotali e aristocratiche o borghesi considerate primizie (secondo loro) del sistema delle cose, ossia della filiera socio-economica, del capitolo culturale e pseudo-religioso di diritto romano e medioevale, del principio di rispetto, lealtà, sudditanza al potere pre-costituito per ceto, anzianità, primato “accademico”. Critica alla “dogmatica” imperante sulle prassi più che sulla teologia che non mi consentiva di uniformarmi, performarmi all’unico vero obiettivo della mia Conversione che è Gesù, in quanto: Via, Verità e Vita.
Quello che è difficile lasciar correre per un “non cristiano”, un “non convertito”, ma persino chi è incamminato in un percorso lineare, è il fatto di essere coinvolti in un rapporto di relazioni che comunque lo escludono dal diritto di partecipare direttamente o indirettamente in una decisione così definitiva che è la Conversione tout court che esclude completamente l’altro, il Prossimo, dall’orizzonte della propria nuova Dimensione.
In questo percorso, infatti, è necessario consegnarsi completamente ad un Padre Spirituale, a cui non si nascondono i particolari e nessun dettaglio possa essere determinante per capire gli eventuali danni ed entità di danno che si possono lasciare alle spalle. E’ quindi necessario per i neo Convertiti non solo, prima, risolvere le controversie umane, ricevendo il perdono qualora avessero sbagliato e non solo chiedendo scusa, ma cercando di creare i presupposti, anche aiutati dalla persona di cui si gode di maggior fiducia come un Sacerdote e un Confessore di ragionarla civilmente, anche in un consesso allargato di confronto franco e leale.
In fondo quello che queste persone spesse volte non fanno è di saper dire ad una eventuale moglie, marito, fidanzato o fidanzata, figlio, madre, ecc. , che “ora” loro non appartengono più direttamente alla loro vita. Lasciano tutto in sospeso come per lasciarsi una eventuale possibilità di recupero. E così questi neo Convertiti finiscono solo nascosta per chiudere uno dopo l’altro ogni contatto senza fare i conti con i sentimenti, quando questi sono ben inoltrati. Perché, in fondo, se la gente sapesse come stanno realmente messe le cose e se qualcuno le sta seguendo in tutti i punti, non ti sentiresti come un oggetto usato e abbandonato in un momento di esaltazione verso Dio, ma che un altro sorveglia per te senza trascurare i dettagli che sono anche questi importanti, al fine anche di evitare tragedie e colpi di testa. Perché a volte un chiarimento ragionato e ben argomentato, evita ai delusi di mettersi a lottare contro i mulini a vento. La faccenda andrebbe gradualmente a chiudersi per formare una nuova piattaforma di dialogo e sereni scambi di vedute e di esperienze.
Gli Arcieri, per esempio, possono sempre affidarsi ad un Manuale scritto appositamente per aiutare a compiere un buon discernimento, sugli “ammonimenti fraterni” intesi come Opera di Misericordia Spirituale, centrando la questione alle base delle scelte: vuoi vivere per Dio o per Mammona. Perchè, nella sostanza, “Tertia non datur”, non ci sono altre scelte prima di questa. Le altre le si subordinano tutte. Solo che molti neo Convertiti si rifugiano da tutto ciò che ha a che fare con questa scelta primaria, hanno paura, spesso non riescono ancora ad amare Dio e quindi temono ancora l’altro come un nemico; da cui ne uscirebbero indenni solo pochi essendo tutti, prevalentemente coinvolti con Mammona, e si finisce che i veri cristiani che vivono secondo il Vangelo, poi restano i più scottati, i più feriti, i più isolati, senza un Tribunale umano che gli renderà giustizia. Allora potremmo dire che questi che si dichiarano neo Convertiti, di cui ho raramente una considerazione particolare ma solo molta pena e pietà per colpa dei pessimi curatori di anime che si chiamano con il titolo di Sacerdote, faranno sempre e solo il discernimento in base a ciò che gli passa davanti agli occhi, nella mente e nel cuore e a ciò che al momento più gli conviene per modificare il meno possibile il proprio status quo: quindi, se erano conviventi, continueranno a rimanere tali; se facevano un lavoro usurante e non necessario per il menage della famiglia e per la salvaguardia di un equilibrio familiare, finiscono col rinviare il tempo per un ritiro spirituale, per una vacanza, per una valutazione concreta del nuovo stato spirituale ed emotivo. Dio anche vuole valutare se siamo al 100%, in quel momento, le persone fatte per la Salvezza, per non far credere che la Conversione sia un’autostrada dove chiunque può passarci ad alta velocità, esporre cartelli, parlare di Dio, in Nome dello Spirito Santo secondo le proprie convinzioni e le proprie esperienze. E se poi questi neo Convertiti scoprissero che era solo un colpo di sole e tornassero ad una vita secolare dopo aver detto a tutti che avevano avuto una folgorazione sulla via di Damasco, siamo sicuri che tutto ciò non noccia alla buona causa del Vangelo? Oggi tutto si usa e consuma come un pacchetto di patatine, un panino da McDonald, un piercing o un tatoo. E’ diventato moda anche “convertirsi” ed io mi sentirò sempre di dare calci tanti quanti ne prendo io, perchè sono salutari per misurare la consistenza del nostro Amore per Dio. Per esempio, questo modo di scomparire dandosi alla fuga e poi alla macchia, come fanno molti, trincerandosi dietro un “no comment”, “dont disturb”, ecc. senza un confronto sereno non serve a niente e crea solo disturbo, inquietudine e disaffezione verso la religione. Soprattutto se l’interlocutore è un cristiano che potrebbe anche aiutare a trovare un senso o comunque, anche se si tratta di una persona con cui hai condiviso tutto o pure solo un percorso di Fede. Sarebbe davvero forte la tentazione di lasciare queste persone cuocersi nel loro brodo, perché prima o poi qualche “Falso Profeta” o qualcuno che saprà strapazzarlo per bene, lo troveranno. Ma non è questo il compito di chi ha l’obbligo di prendersi cura di una simile anima che come un bambino ha bisogno di essere seguito e aiutato. E guardate che se scrivo tutto ciò è perché conosco i casi e come Arciere e Vigilante ne ho conosciuti molti e raramente se ne esce fuori indenni, perché Mammona ti risucchia nelle sue sacche e risacche e tu nemmeno te ne accorgi e pensi che la colpa sia dello sciagurato che si è preso cura di te e della tua anima (e che magari non di rado si spinto ben oltre) portando uno scombussolamento aggiunto e disordinato della chiamata di Dio. E se a questa chiamata alla Conversione, poi, si aggiungono delle persone che ti circondano con pareri e giudizi, e che vorrebbero anche darti consigli, o porti dei tempi, un programma, delle decisioni, allora il danno è fatto. E non ti accorgi che in realtà non sono quelle le persone più fastidiose, ma la tua incapacità di comprendere che la Conversione è possibile solo se cambi stato di vita ed esci dal peccato in cui stavi, che può essere una vita delinquenziale, un pensiero esoterico, una convivenza immorale (vissuta non castamente), l’appartenenza ad un’altra religione o alla massoneria. E questo è fondamentale per comprendere una volta per tutte se c’è possibilità di vivere la Conversione come uno stato di amore duraturo e felice verso Dio e per Suo tramite verso tutti gli esseri umani o no.
Una vera e buona Conversione mette tutti in pace con il mondo e ognuno può così trovare un percorso per sopravvivere anche se la chiamata porterà a prendere i Voti o a scegliere il Sacramento del Matrimonio o dell’Ordine Ecclesiastico.
La valutazione previa è questa: se un neo Convertito dice di aver generato un confusione all’inizio della sua relazione con altre persone, alimentando un sentimento senza esserne pienamente convinte, di sicuro il caos che potrebbe generare successivamente abbandonando un eventuale partner o socio su due piedi è di gran lunga peggiore. Se queste persone, infatti, sperano di risolvere quanto prima le questioni esistenziali della propria vita senza fare i conti con l’oste, devono anche valutare il modo di essere coerentemente seguiti da chi non si lascia coinvolgere direttamente dai sentimenti e che ti aiutano a sciogliere quanto prima ogni riserva: come per esempio se sussistono le reali condizioni per cambiare compagno di vita, se lasciare tutto e partire per una missione, se chiudere con il lavoro, se cambiare casa, città, abito, ecc. ecc. ecc..
Una persona che si Converte, spesse volte, però, ha altre attività e relazioni in corso. Tutto questo va rimesso in discussione. E nel contempo non va mai scisso il modo di come si risolvono le questioni passate dalle controversie che queste generano. In altro verso, ogni giorno la cronaca ci segnala di crimini efferati che alla base hanno un sentimento di gelosia, di abbandono, di conclusione di una storia, di un atto di gelosia esasperato, di un adulterio scoperto in fragranza di reato, ecc.. Oggi lo chiamano impunemente “femminicidio”. In realtà è un dramma molto più diffuso e sconosciuto ai più: è l’incapacità di risolvere le controversie facendosi assistere da persone capaci di motivare e animare la nostra nuova condizione umana e farlo capire, spiegandolo con argomentazioni plausibili a chi ne è potenzialmente vittima. Quello che accade nella società umana è uno specchio di quello che noi chiamiamo Conversione. Solo che la Conversione è lasciare Mammona per scegliere Dio. Le altre scelte, invece, avvengono prevalentemente dentro uno schema ben definito che fa riferimento solo ed esclusivamente a Mammona. Esistono anche casi di delusioni, tradimenti, inganni all’interno del Regno di Dio, ma questi fatti li chiariremo meglio nel nostro Dizionario che segue, addentrandoci sull’uso della terminologia.
Quello che è importante è definire i limiti entro i quali una persona estranea alla nostra Conversione può essere coinvolta o meno, e soprattutto come renderla informata senza offendere la sua intelligenza, senza farlo reputare colpevole di qualcosa, senza denigrarlo, umiliarlo, isolarlo, perché ciò renderebbe tutto molto più complicato e persino ridicolo, in un certo verso. La Conversione, infatti, è un fattore dell’anima assai complesso per i precedenti legami che avevamo con uno stato di vita disordinato e annesso alle logiche di Mammona, con cui comunque, continueremo per molto tempo a dover fare i conti, a meno che non ci andiamo da subito a chiudere in un monastero o a isolarci su un eremo o su una colonna come facevano molti “stiliti”. Però è vero che le persone più prossime con cui avevamo una relazione stabile e quotidiana meritano, almeno all’inizio, di essere coinvolti in questo percorso; e non è sufficiente chiedere scusa o spiegare che non te la senti di imbastire un discorso o riprogrammare tutto. In parte pensiamo di essere stati chiari, ed effettivamente possiamo esserlo stati anche con due righe, spesse volte scritte perché a parole si rischia di dire ciò che non vorremmo dire per non offendere o per non turbare la quiete della nostra Conversione. Ma di fronte abbiamo sempre un essere umano, con i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue idee, i suoi sogni, i suoi progetti, i suoi ricordi, le sue aspettative, una vita che fino allora sembrava funzionare, produrre frutti, circondata di affetti e sicurezze. Ora gli sta crollando il mondo addosso e questo potresti non percepirlo perché sei rinchiuso nel tuo nuovo percorso, in una scelta che potrebbe diventare essenziale e determinante per il futuro dei tuoi giorni. Senza accorgertene potresti star armando la violenza in quella persona che fino allora ti sembrava pacifica, comprensiva, disponibile, buona, affettuosa, persino speciale. Potresti trovarti all’improvviso, invece che di fronte ad un uomo o ad una donna che amavi, stimavi, rispettavi, una bestia, pronta a farti pagare il prezzo sella tua dabbenaggine; e in men che non si dica scopri di aver costruito attorno a te l’Inferno, dove il Sacerdote Confessore potrebbe essere avvicinato perché lui capisca il male che sta procurando a te e alla tua relazione; potrebbe essere avvicinata la famiglia che ha ignorato tutto ciò o che ne è stata sostanzialmente la causa esplosiva per tutto un trascorso di incomprensioni, errori, sottovalutazioni, educazione distorta alla vita e ai sentimenti religiosi, ecc.. E quindi quella frase banale come può essere: non ti desidero più, non credo di poter continuare a lavorare qui con voi, non parto più per la vacanza perché ho altro da fare, non mi interessa più uscire con te la sera, cambio facoltà, mi faccio suora o prete, non mi sento più di far sesso con te, prima di avere figli vorrei risolvere la mia questione spirituale, interrompo il fidanzamento, smetto di correre, per il momento sospendo ogni mia partecipazione diretta al gruppo di lavoro o di preghiera, consideratemi fuori dal progetto, può nascondere una insidia senza misura. Perché dall’altra parte potrebbero scattare delle trappole infernali dal punto di vista umano, ma persino legale e formali. Il problema è che tu in quel momento in cui sei esaltato dalla Conversione, stai lasciando così su due piedi in mezzo ad una strada, senza preavviso, persone che avevano confidato in te ed ora si sentono traditi senza una motivata spiegazione. Dio conosce la profondità del nostro animo e quando la Conversione è sincera, Lui ci soccorre con la Grazia e le Virtù dello Spirito Santo. Il momento della Conversione, ma anche i momenti che seguono quella adesione alla Chiamata, sono meravigliosi perché divampa un fuoco purificatore come non si è mai visto nella tua vita. Chi ti è vicino resta disarmato e raramente avviene in quel momento ciò che si sviluppa dopo, quando subentrano le combinazioni umane, il calcolo, la rozzezza delle nostre intenzioni, dei nostri flop, delle nostre asserzioni, dei convenevoli, delle giustificazioni, delle spiegazioni senza senso e pieni di contraddizioni. Non serve essere istruiti o esperti per comprendere che se parli di Dio e di Conversione dal Peccato non puoi contestualmente vivere un’altra forma di Peccato. Non esiste Peccato grave e meno grave: esiste l’impegno a prenderne le distanze, se no in quel momento, la Conversione è solo una bolla d’aria. Perché quelli sono i momenti in cui è più forte il desiderio di astinenza, di povertà, di semplicità, di amore e altruismo, di pazienza e forza d’animo. E’ quello il momento in cui, un buon Ritiro Spirituale ti può portare in meno di una settimana a entrare in un Seminario. Una volta tutto ciò era semplice perché strutturato nella società attraverso le parrocchie, i Curati, le famiglie, che subito si prendevano la briga di portarti dalla autorità più alta per un discernimento del livello di Conversione e di Vocazioni, ossia di Chiamata. Si prendevano poi cura loro, il Vescovo o il Parroco di informare chi di dovere e lasciavano le persone Convertite nel pieno riposo dell’anima per potersi dedicare esclusivamente alla valutazione del suo nuovo stato che stava per inverarsi. Se poi era un abbaglio allora tutto rientrava nella normalità senza compromettere nulla; ma sempre con i dovuti supporti e l’esperienza millenaria della Chiesa per accertarsi che nessun essere umano potesse risentirne negativamente di eventuali reazioni emotive incontrollate, con dei sentimenti anche istintivi, di innamoramenti sfociati in tragedia. Perché, noi tutti lo sappiamo, come un inganno o una sottovalutazione dei rischi conseguenti, può portare alla pazzia, all’odio contro le religioni, all’autodistruzione, alla disistima per se stesso e al disprezzo per il mondo, per le persone come i neo Convertiti, per la struttura ecclesiastica, per i comportamenti incoerenti e illogici.
Dio quindi ci dice: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti; lasciate che ognuno venga a Me come un bambino; vieni seguimi lascia tutto, prendi la tua croce; se sono Io a chiamarti non prenderti la briga per papà e mamma, per tua moglie, per tuo marito, per i tuoi figli, perché sarò Io stesso a prendermi cura per loro ed essi comprenderanno. Per questa ragione, però dobbiamo essere coerenti con il nostro stato. A che serve infatti che diciamo di aver ricevuto la Conversione se poi ci accompagniamo con un convivente o ci facciamo l’amante; a che serve che lasciamo un lavoro se poi ne prendiamo appresso un altro e magari più remunerativo. Cambiare vita vuol dire fare nostri nella pienezza della Grazia, i Sacramenti. Senza alcuna sbavatura, senza l’onta del Peccato o del Vizio. Ma prima di tutto la Conversione è cambio di stato: da Mammona a Dio. E questo significa valutare ogni situazione: il lavoro è legato in qualche maniera a Mammona? Mi prende la Domenica, mi allontana dal concetto di Famiglia? Produco o vendo per gente che vive di consumo e che indirettamente sfrutta bambini o donne del Terzo Mondo e che per ottenere ciò si corrompono governi, si portano guerre in Paesi lontani? C’è sfruttamento dei lavoratori e competizione meschina tra colleghi per la sopravvivenza ed il mantenimento del contratto? Ho tempo per stare con Dio? E via dicendo. Ecco in cosa consiste il discernimento per un buona e vera Conversione.
Insomma, il vero danno è che da una Conversione possa scaturire un Inferno proprio attorno a noi, fra le persone con cui abbiamo condiviso un percorso professionale una relazione sentimentale e che sono i nostri primi testimoni, che dovrebbero essere i nostri primi sostenitori e tifosi e che invece rischiano di diventare la nostra croce, il nostro assillo, il nostro dilemma, il segno della contraddizione portato al paradosso e non alla Croce di Gesù. Queste persone potrebbero cominciare a bestemmiare contro il tuo Dio, contro tutto quello che fai, contro ogni minima scelta, ogni minimo atteggiamento, parola, omissione; contro internet, contro l’informazione, contro i sacerdoti, contro le scienze, contro l’Adorazione che fai senza Amore (avendo appena finito di accoltellare persone che ti avevano dichiarato Amore). Insomma, se ti sei appena Convertito o credi di esserlo da tempo, devi saper valutare tutto quanto ti gira attorno, quando pensi di volerti dedicare solo all’Amore di Dio. Perché questo Amore si concretizza con il Prossimo, non con il Lontano. Oggi, potenzialmente, potresti star creando un criminale, uno che odia tutto e tutti e che potrebbe smettere di credere nell’Amore perchè l’amore di una persona che si credeva tutta di Dio, lo ha tradito nella maniera più disumana, screanzata e anticristiana.
Per parafrasare un antico detto sulla elezione del Papa, potremmo dire per la Conversione che la prima è dell’uomo, la seconda è del diavolo e la terza è quella dello Spirito Santo. Questo per spiegare che la Conversione ha i suoi tempi prima di diventare Centrata e non navigare nel Periferico.
Basti pensare che la Conversione quasi sempre se è immatura e acerba, non tiene conto che chi hai di fronte è una persona, non un animale, ma che può reagire come un animale ferito ed inveire contro un mondo che è proprio quello che tu dovresti rappresentare: il Regno di Dio. Ma la visione distorta che tu gli dài con il tuo comportamento potrebbe indurlo a pensare che hai scelto un Regno che procura solo dolore, mentre quello che hai scelto potrebbe essere solo un modo diverso di vivere Mammona, ma questo, al momento, lui o lei non lo sanno e d il danno se lo carica tutto Gesù, sulla Croce, stillando una ulteriore goccia di Sangue, se quello già versato non fosse stato sufficiente.
La seconda è di colui o colei che crede di sapere tutto, e va avanti per schemi precostituiti e miete anime a non finire.
Ora, siccome noi che abbiamo la pessima usanza di scrivere, e abbiamo un buon uso della testa in due secondi potremmo smontare tutto un teorema e dire che i cristiani neo Convertiti, oggi, sono solo delle suole di scarpa. E che a forza di metterli alla prova, a breve riusciamo a identificare la Conversione vera. Mi faccio briga di enunciarne tutte le contraddizioni, quando non si concretizzasse nella enunciazione che ripeto: da Mammona a Dio. A nessuno che pensa di vivere una Conversione autentica piacerebbe essere considerato come il testimonial di una pessima ingiuria e mistificazione contro Dio. Ti piacerebbe che io pensi questo di te, che il tuo Dio non mi piace? Abbi il coraggio, allora, di affrontare questo tema, affidandoti completamente ad un vero Padre Spirituale.
Parlare di Preghiere, di Dio, di Vangelo o che tutto questo è un modo per sentire Dio che ti parla, è come quello che entra in chiesa e si strappa gli occhi dicendo che ha sentito una vocina dentro; la gente ti capirebbe fino ad un certo punto. Infatti è e resta una esperienza privata, che mentre la vivi non serve a nulla che lo vai raccontando in giro. Ci sono anche quelli che sparano per strada, come fosse una giaculatoria, e non sapevano cosa facevano. Perchè sono in molti che vanno in chiesa e poi non si rendono conto che stanno uccidendo nei fatti, nei modi, nelle loro scelte egoistiche un’altra persona nel profondo della sua anima e che magari ama davvero con tutto il cuore. Questo ostentare della propria Conversione non è cristiano, sappiatelo e nemmeno valgono le scuse, cristianamente parlando.
Dovremmo imparare a dire tutti insieme questa frase: la mia “pazzia” è amore per Gesù, e quindi il rifiuto per il mondo così come ce lo propinano i media e le sue convenzioni.
Tutto ciò che dicevo facevo, pensavo, argomentavo, erano mal comprese e mal considerati: perchè secondo molti, a partire dai miei genitori, prima avevo l’obbligo dei doveri secondo il mio stato e dimostrare di essere capace di laurearmi, trovare un buon lavoro, mettere su famiglia per non apparire la mia pazzia una semplice fuga dalla realtà. Ma quella pazzia era la mia Conversione.
Così è cominciato un percorso di smantellamento di ogni categoria assunta per giusta, ma defraudata di ogni suo contenuto intrinseco per la vera Conversione. Ossia il grande ostacolo che andava rimosso per non dire che si poteva stare con un piede in una staffa (Regno di Mammona) ed un altro nell’altra staffa (Regno di Dio), E sopratutto l’impegno di imparare a contraddire quei sacerdoti, quei religiosi, quegli esegeti che nell’enumerazione delle cose da farsi e da dirsi se ne stavano comodi seduti sulle loro comodità, rendite di posizione, cure di interessi che in un modo o nell’altro avevano a che fare con l’abuso della religione e dello sfruttamento della stupidità umana.
Ebbene, quale è stata in definitiva l’unica strada percorribile per liberarmi da tutte le incrostazioni accumulate negli anni, che hanno costituito la forma del plagio emozionale e della prassi cui ero vittima e che non mi consentiva di raggiungere Gesù come sarebbe dovuto essere? Quella di San Francesco. Ossia spogliarmi di tutto per poter essere libero e nudo di fronte a Dio nell’impegno di una continua e progressiva Conversione spirituale, religiosa e programmatica che mi porta verso il Regno di Dio e dell’Amore nella Pace del Signore.
Ma la vera risposta alla mia domanda primaria di poter Amare Dio con tutto il cuore, l’anima, lo spirito, la mente ed il corpo è stato farmi prendere per mano da Maria, la Madre di Gesù attraverso il precetto che “chi è figlio di Maria è fratello di Gesù”. E questo lo devo a San Luigi Grignion da Montfort dal quale riprendo il senso del titolo del Dossier che sto per realizzare sotto forma di Trattato.
La tesi che è alla base del mio studio segue questo criterio: quale è il fondamento che lega la nostra Conversione alla Salvezza? Vogliamo essere Santi per giungere il Paradiso? Allora dobbiamo avere una percezione chiara di cosa sia il Paradiso. Ce l’abbiamo? E’ un bene a cui aneliamo o speriamo solo che la Conversione all’Amore verso Gesù ci aiuti solo a superare le contingenze con tutti i suoi problemi quotidiani? Consideriamo la Conversione come un surrogato alle malattie dell’anima, alla tristezza che ci prende nei momenti più down della nostra vita, al desiderio di pacificazione con noi stessi e con il mondo, alla speranza che tutto cambi perchè si possa vivere in un mondo di armonie, di gioia e di felicità perenne, oppure c’è qualcos’altro? Ecco il punto che caratterizza tutto questo studio. Decisamente c’è qualcos’altro che solo i Santi possono aiutarci a percepire. E dai Santi e dalla loro vita, senza necessariamente citarli tutti, prenderò spunto per mostrare il senso di ogni parola che usiamo correntemente ma privata del senso più logico. Cercherò di compiere pertanto lo sforzo di misurare l’attaccamento che ognuno ha per le cose della terra e del mondo e poi, di contro, mostrare che la Conversione ne è esattamente il distacco, lo sforzo di adeguarsi alla Grazia che si è appena ricevuta, di prenderne le distanze, con un impeto che solo la Conversione e l’Amore di Dio ci dà. Senza questa premessa è impossibile avere una percezione di cosa sia la Conversione e di dove ci sta portando. Serve un discernimento sano che questo studio dovrebbe aiutare a completare nella sua base semantica, per avere tutto in una visione chiara e cristallina.
Infatti, se non risolviamo questo vuoto creato dalla superbia dei dotti che tengono per loro la Verità, accusa più volte fatta da Gesù ai Farisei e ai Sadducei, continueremo a pensare che la Conversione avviene una sola volta nel momento in cui ci diciamo Cattolici e pensiamo di risolvere la nostra esistenza andando a Messa, seguendo i Precetti, recitando il Rosario, rispettando i Comandamenti, compiendo Opere di Misericordia, allestendo una famiglia, comportandosi bene con il Prossimo, prendendo un lavoro giusto e onesto e portandolo avanti fino agli ultimi giorni della nostra vita. Nulla di più errato! Perchè Gesù incontrando il Giovane Ricco, gli chiede se ha rispettato tutto questo e la risposta fu affermativa. Allora disse al “mal capitato” (e che mai poteva pensare che Gesù non si accontentasse e pretendesse da lui di più?): lascia tutto e seguimi. Caricati la tua Croce sulle spalle e vieni alla Vita. Ecco cosa cercava di spiegare Gesù e che sul momento nemmeno gli Apostoli intesero: esistono due forme di Conversione, alla Legge e alla Vita. Voi normalmente vi fermate alla Legge e vi aspettate che vi dicano che siete stati bravi, che avete obbedito, che siete buoni cristiani. Ma questo è ancora vivere secondo Mammona, anche se siete tra i migliori, i più diligenti, il modello. Dovete, invece, compiere uno sforzo in più e mostrare che siete miei veri Discepoli vivendo non secondo il Mondo, ma secondo la prospettiva che avete del Regno di Dio. Eppure a questo Regno non offrite nulla delle vostre fatiche, del vostro tempo, di voi stessi. Ricavate qualche minuto per la preghiera, per l’Eucaristia, per gli altri, ma sempre quando vi avanza del tempo. Prima vengono le incombenze quotidiane, il lavoro, i debiti da appianare, le vacanze, le malattie, il sonno, il mangiare. E, quando andrete a vedere, praticamente anche tutti i vostri problemi. E diventa come un cane che cerca di mordersi la coda.
Prima di tutto dunque, occorre avere una visione del Paradiso e del Regno di Dio. Una visione che Gesù non ci ha dato direttamente perchè non l’avremmo capita, ma che passa dall’Amore per Gesù che ci chiama a seguirlo. Gesù ci dice: intanto cominciata a vivere come vi ho insegnato, ossia nella maniera semplice, senza ambizioni, senza grandi pretese. Mia nonna diceva sempre: la tunica di Gesù non aveva tasche. Ecco, dovremmo rivedere il nostro rapporto con il denaro ed il suo accumulo e affidarci di più alla Provvidenza, agli aiuti Celesti. Questo non lo facciamo mai: parliamo di Fede senza affidarci. Siamo sostanzialmente degli sparvieri e dei fanfaroni e facciamo del nostro concetto di Conversione una arma che poi utilizziamo come ci pare: accettiamo i peccati sopra i quali ci accomodiamo per tirare a vivere la giornata senza rimanere soli e magari in virtù che li condividiamo e dividiamo con altri; poi facciamo il moralismo su quei peccati che invece sono più facilmente convertibili in bene. Diventiamo giustificazionisti in nome di una esistenza precaria e per questo non riteniamo nemmeno di doverne parlare con il Confessore che in questa epoca di Modernismo preferisce anche lui salvaguardare il suo gregge per non diventare un prete controcorrente e duro nella Verità. Mala tempora currunt, da quando la Messa è finita!
Per questo ho analizzato intensamente quali sono i gradi della Conversione che ti portano gradualmente a condividere la visione del Paradiso allontandoti giorno dopo giorno dal mondo e acquisendo una visione chiara che la vita monastica è il concentrato in terra di ciò che sarà il Paradiso, accresciuto di una dose di quel piacere psicofisico che è simile a quello che solo l’Amore Coniugale può riservarti se non esistessero anche le incombenze conseguenze del Peccato Originale che non consentono mai di stabilire uno status definitivo di gioia.
Dunque Conversione vuol dire “cambiare il proprio stato di vita da come era prima ad una nuova forma esistenziale che ha al centro della giornata il Regno di Dio nella Sua forma ideale e pratica. Noi dovremmo cominciare a concepire il lavoro solo in questa funzione apicale, massima, sublime, eccellente e porre il resto in secondo ordine, come funzionale al massimo conseguimento prefisso. Conversione vuol dire impegnarsi su se stessi per promuovere e propagare a chi ci è vicino la nuova forma che stiamo dando alla nostra esistenza prendendoci per mano con chi sta compiendo lo stesso percorso di Fede e chi già stringe forte a sè le mani di Gesù e Maria nella concordia, con un unico Cuore.
La Vera Conversione in definitiva consiste nel “decidere” di voler cambiare quanto prima l’abito vecchio con uno nuovo di Conversione, di cambio rotta che dall’allontanamento da Dio ci riporti a Lui dopo un brusco giro di boa, nel momento che riterremo opportuno dare un senso alla nostra Conversione. E ci si augura sempre che sia il più presto possibile, senza tentennamenti, senza infingimenti, senza inganni, senza giustificazioni tanto più quando non hanno nemmeno l’assillo di essere impossibili o dovuto ad impegni improrogabili, che di fronte a Dio non esistono nemmeno fosse una moglie infelice, un marito burbero, un figlio scontento, un creditore o un contratto.
Può coinvolgere anche il partner o la partner ma non se prima non si imbastisce un percorso in comune nella ricerca prima del proprio percorso di santificazione e poi della santificazione come percorso di coppia. Quindi, non state allarmati. Qui non parleremo di come portare le mogli, le fidanzate, i fidanzati ed i mariti lontani dall’amore coniugale. Anzi, il nostro impegno è curare questi rapporti pur senza sminuire l’importanza di sostenere la Vocazione qualora vi sìa di una vita sacerdotale, monastica o consacrata. Tenuto conto che normalmente i rapporti di coppia santi, proprio perché Viziati, sono destinati spesso ad una profonda crisi se non accompagnati da un ravvisato Padre Spirituale. Ma siccome le Comunità degli Arcieri sono intese come sponsali e diaconali è solo nel nostro interesse far sì che da una unione di coppia nasca un amore coniugale e quindi familiare e comunitario. Viceversa si creerebbero scissioni, separazioni, liti, allontanamenti clamorosi dalla fede, da Dio e dalla comunità sociale in tutti i sensi.
Il mio punto di partenza, per questa analisi comparativa sui vari stadi di Conversione sta dunque nelle parole che apprendiamo da subito, sin nella giovane età e che costituiscono nella loro comunicazione apicale un fatto non opinabile, perchè percepito come un unicum irremovibile di prassi, teorie, dati, conoscenze senza che necessariamente si fondino su una logica dinamica che invece ne costituiscono la forza vivificante. Vado ad elencarle in ordine alfabetico nonostante avrei potuto stabilire anche un ordine analitico più razionale e categorico, sperando per ogni voce di dare una definizione esaustiva secondo l’uso proprio che trasferisco agli Arcieri e ai Cattolici Resilienti nel loro personale percorso di Conversione, senza voler orientare lo studio con l’introduzione di alcuna terminologia tipica della Resilienza Cattolica, per non fuorviare l’attenzione sul principio che mi sono riproposto come tesi che: non esiste la Conversione al Cattolicesimo, ma ad un unico Progetto che coincide con Gesù che è la Via, la Verità e la Vita. la “critica” e la ricerca naturale delle risposte di quanto siamo stati condizionati nel tempo dalla declinazione impropria di termini che in origine, declinati sotto la voce “Conversione”, avevano tutt’altro significato:
– Abitudine, Costume, Prassi;
Ø
– Aborto;
Ø
– Abuso di Credulità Popolare;
Ø
– Accidia;
Ø
– Accumulazioni di Beni e Ricchezze;
Ø
– Accusare;
Ø
– Adorazione;
Ø
– Adozioni;
Ø
– Adulazione;
Ø
– Agio, Agiatezza;
Ø
– Agricoltura;
Ø
– Aiuto;
Ø
– Alleanza Nuova ed Eterna;
Ø
– Altare;
Ø
– Amarezza;
Ø
– Ambiente e Sviluppo Sostenibile;
Ø
– Ambizione;
Ø
– Amicizia;
Ø
– Ammonimento Fraterno;
Ø
– Amore e Odio;
Ø
– Angeli e Arcengeli;
Ø
– Anima;
Ø
– Animali, amarli, rispettarli e prendersi cura di loro;
Ø
– Ansia;
Ø
– Antichi Detti;
Ø
– Anticristo;
Ø
– Apocalisse;
Ø
– Apologetica;
Ø
– Apostasìa;
Ø
– Apostoli e Discepoli;
Ø
– Apparizioni Mariane;
Ø
– Approfondimenti Teologici;
Ø
– Armonie, Sintonie e Sincronie;
Ø
– Arroganza;
Ø
– Arte e Artisti;
Ø
– Assistenza;
Ø
– Assurdità;
Ø
– Astinenza;
Ø
– Ateismo;
Ø
– Auguri;
Ø
– Autorità e autorevolezza.
Ø
– Avidità;
Ø
– Avvocato del Diavolo;
Ø
– Babbo Natale;
Ø
– Baci, Carezze, Abbracci ed Efusioni
Ø
– Banche;
Ø
– Banco Alimentare;
Ø
– Baratto e Scambio di Beni e Servizi;
Ø
– Battaglia per la Salvezza;
Ø
– Beatitudini;
Ø
– Befana, o meglio Epifania;
Ø
– Bellezza, Eleganza, Stile, Buon Gusto;
Ø
– Bene, Male e la loro eventuale dicotomia;
Ø
– Beni Comuni;
Ø
– Beni Archeologici, Letterari, Artistici e Attività Culturali;
Ø
– Bibbia – Antico e Nuovo Testamento, Atti degli Apostoli;
Ø
– Biblioteche e Videoteche;
Ø
– Bigottismo;
Ø
– Blasfemia, Sacrilegio e Irriverenza;
Ø
– Borghesia;
Ø
– Buon Governo;
Ø
– Buone Opere e Buoni Frutti;
Ø
– Calendario;
Ø
– Cambiar vita;
Ø
– Cameratismo;
Ø
– Carenza;
Ø
– Carestia, Pestilenza, Cataclismi
Ø
– Carisma e Carismatici;
Ø
– Carità;
Ø
– Casa;
Ø
– Castello dell’Anima;
Ø
– Castità;
Ø
– Cataclismi;
Ø
– Catechismo;
Ø
– Catechismo;
Ø
– Cattolicesimo;
Ø
– Cattolici Integrali;
Ø
– Censura;
Ø
– Certezze;
Ø
– Chiesa Cattolica e Comunità dei Santi;
Ø
– Chiesa e Stato;
Ø
– Chiese, Cattedrali, Ornamenti;
Ø
– Cibo e l’arte del saper mangiare;
Ø
– Città e Conglomerati Urbani;
Ø
– Civiltà;
Ø
– Classici;
Ø
– Coerenza;
Ø
– Coincidenze;
Ø
– Colpa e senso di colpa;
Ø
– Comandamenti o Decalogo o Legge Morale;
Ø
– Comodità;
Ø
– Comprensione;
Ø
– Comunicazione;
Ø
– Comunità Religiose Consacrate e Laicali;
Ø
– Comunione e Ostia;
Ø
– Concupiscienza;
Ø
– Condivisione;
Ø
– Condizionamenti Psicologici e Plagio Emozionale;
Ø
– Confessione;
Ø
– Conoscenze;
Ø
– Consacrazione e Voti;
Ø
– Consapevolezza;
Ø
– Consenso, Dissenso, Disapprovazione;
Ø
– Conservatori e Innovatori;
Ø
– Consumo e Sprechi;
Ø
– Contraccezione e Depopolamento;
Ø
– Contraddizione e Principio di non Contraddizione;
Ø
– Controllo Globale;
Ø
– Conversione;
Ø
– Convivenza;
Ø
– Convivialità, Convitto, Convento e Convivere;
Ø
– Coraggio delle Idee;
Ø
– Corporeità e Nudità;
Ø
– Corruzione dei Costumi e del Senso del Pudore;
Ø
– Corruzione;
Ø
– Coscienza;
Ø
– Creazione vs Evoluzionismo;
Ø
– Credenze;
Ø
– Credo Apostolico o Atto Costitutivo della Chiesa;
Ø
– Credo, Credenti, Credibili;
Ø
– Creduloneria;
Ø
– Cremazione;
Ø
– Cripta;
Ø
– Crisi;
Ø
– Cristianesimo;
Ø
– Cristiani Separati;
Ø
– Cristo;
Ø
– Crociate e Guerre Sante;
Ø
– Crocifisso e Croce;
Ø
– Culto Mariano;
Ø
– Cultura Contadina;
Ø
– Cultura;
Ø
– Cuori Immacolati;
Ø
– Cuori Tiepidi, Caldi (ardenti, ferventi) e Freddi;
Ø
– Curare lo Spirito elevando la Psiche;
Ø
– Debito, Debitocrazia e Sudditanza;
Ø
– Dedizione e Impegno;
Ø
– Degnità;
Ø
– Delusione;
Ø
– Depressione;
Ø
– Desiderio;
Ø
– Determinazione;
Ø
– Devozione;
Ø
– Diaconi e Diaconie;
Ø
– Diavolo;
Ø
– Dieta;
Ø
– Difesa della Fede;
Ø
– Diffidare;
Ø
– Diffamazione;
Ø
– Dio (Trinità);
Ø
– Diritti e Doveri;
Ø
– Diritto Canonico e Sacra Rota;
Ø
– Discernimento;
Ø
– Disciplina;
Ø
– Discriminazioni;
Ø
– Diseredati;
Ø
– Dispensa Apostolica;
Ø
– Distrazioni;
Ø
– Disturbi Caratteriali e Instabilità Emotiva;
Ø
– Divina Commedia;
Ø
– Divorzio;
Ø
– Dogma;
Ø
– Dolore;
Ø
– Domenica;
Ø
– Dono;
Ø
– Doppi Fini e Doppio Giochismo;
Ø
– Ebrei e Altre Religioni;
Ø
– Ecologia del Territorio;
Ø
– Economia Domestica e non solo;
Ø
– Ecumene ed Ecumenismo;
Ø
– Educazione e Metodi Educativi;
Ø
– Egoismo;
Ø
– Egocentrismo;
Ø
– Elaborazione del Lutto;
Ø
– Elemosina e Obolo;
Ø
– Eletti?
Ø
– Emarginati;m
Ø
– Equa Distribuzione delle Ricchezze;
Ø
– Eredità;
Ø
– Eresia;
Ø
– Erotismo e Fantasie Sessuali;
Ø
– Esempio, Esemplare, Esemplificativo;
Ø
– Esistenza e motivazioni esistenziali;
Ø
– Esorcismo e possessione;
Ø
– Esperienza;
Ø
– Estremizzazione;
Ø
– Etica;
Ø
– Eutanasia;
Ø
– Evangelizzazione;
Ø
– Fallimento;
Ø
– Falsi Profeti;
Ø
– Fame nel mondo;
Ø
– Famiglia;
Ø
– Fanatismo Religioso;
Ø
– Farisei;
Ø
– Fatti e Argomenti;
Ø
– Fede;
Ø
– Fedeli;
Ø
– Felicità;
Ø
– Feste Patronali;
Ø
– Festività;
Ø
– Figli della Perdizione;
Ø
– Figli, Crescerli, Aiutarli e Liberarli;
Ø
– Filosofia di Vita;
Ø
– Fine dei Tempi;
Ø
– Fioretto;
Ø
– Fondamentalismi;
Ø
– Forma, Formalità e Formalismo;
Ø
– Formazione Professionale e Regola d’Arte;
Ø
– Gelosia;
Ø
– Genitori e Genitorialità;
Ø
– Gesù Cristo;
Ø
– Giaculatorie;
Ø
– Gioco di Squadra;
Ø
– Gioco, Giocatori e Regole del Gioco;
Ø
– Gioia;
Ø
– Giudici e Inquisitori;
Ø
– Giustizia;
Ø
– Grande Tribolazione;
Ø
– Gratuità;
Ø
– Grazia;
Ø
– Guadagno;
Ø
– Guerra;
Ø
– Guerre di Religione o di Civiltà;
Ø
– Idea di Società;
Ø
– Identità Culturale e Religiosa;
Ø
– Idolatria;
Ø
– Ignoranza;
Ø
– Ilarità;
Ø
– Immagini Sacre;
Ø
– Immagini Sacre;
Ø
– Immanente;
Ø
– Imparare a Dire;
Ø
– Impazienza;
Ø
– Impegno Civile;
Ø
– Impertinenza;
Ø
– Indipendenza Economica e Autonomia;
Ø
– Individualismo;
Ø
– Industria e Produzioni Industriali;
Ø
– Inferno:
Ø
– Inganno;
Ø
– Ingenuità, Sprovvedutezza;
Ø
– Iniquità ed Empietà;
Ø
– Iniziazione Cristiana;
Ø
– Inquisizione e Inquisitori;
Ø
– Insegnamento della Religione;
Ø
– Insegnamento della Religione;
Ø
– Interessi Personali;
Ø
– Internet e la comunicazione dei valori cristiani;
Ø
– Invidia;
Ø
– Ira;
Ø
– Isituzione Ecclesiale e Gerarchica;
Ø
– La Chiesa e l’Uso del Denaro;
Ø
– Laicità;
Ø
– Latino e Greco;
Ø
– Lavoro, Occupazione e Preoccupazioni
Ø
– Leadership;
Ø
– Lealtà;
Ø
– Leggi, Legislazione, Legale;
Ø
– Leggittima Difesa;
Ø
– Letture Proibite, Sconsigliate, Illuminanti;
Ø
– Limbo;
Ø
– Liturgia;
Ø
– Logica Formale ed Informale;
Ø
– Luoghi dello Spirito;
Ø
– Magnificenza;
Ø
– Mala Fede e Intrighi;
Ø
– Malati, Malattie e Disabili;
Ø
– Maledizioni e Benedizioni;
Ø
– Mammona;
Ø
– Martiri;
Ø
– Massoneria;
Ø
– Masturbazione;
Ø
– Mente, Mentire e Mentalità;
Ø
– Menzogna;
Ø
– Meraviglia;
Ø
– Meritocrazia;
Ø
– Messa o Eucaristia (qui mi sono permesso di anticipare un punto essenziale che molti ignorano, ossia su cosa significhi Messa)
Ø
– Miracoli;
Ø
– Misericordia;
Ø
– Missione e Missionari;
Ø
– Misticismo;
Ø
– Mitigazione del Dolore;
Ø
– Modello, Moda e Modellare;
Ø
– Modello di Società Ideale;
Ø
– Modernismo;
Ø
– Monachesimo e Vita Monastica;
Ø
– Mondo, Mondano, Mondanità, Mondato, Contingente;
Ø
– Monogamia, Poliandria e Poligamia;
Ø
– Monte dei Pegni;
Ø
– Morale;
Ø
– Moralità e Moralismi;
Ø
– Mortificazione;
Ø
– Movimenti Ecclesiali;
Ø
– Musei e Collezionismi;
Ø
– Musica, Spettacoli e Cinema;
Ø
– Natale;
Ø
– Natura e Prodotti della Terra;
Ø
– Noia;
Ø
– Normale, Normalità, Normalizzazione;
Ø
– Novissimi (Morte, Giudizio, Paradiso, Inferno);
Ø
– Nuovo Ordine Mondiale;
Ø
– Obbedienza;
Ø
– Occasione;
Ø
– Olocausto;
Ø
– Omelia;
Ø
– Onestà;
Ø
– Operai nella Vigna del Signore;
Ø
– Opere di Misericordia;
Ø
– Opere e Omissioni;
Ø
– Opportunità e Opportunismo;
Ø
– Oratorio;
Ø
– Ordini Religiosi;
Ø
– Ospitalità e Accoglienza;
Ø
– Ostilità al Cristianesimo;
Ø
– Ostinazione;
Ø
– Ottimismo e Pessimismo;
Ø
– Padre Nostro;
Ø
– Pagani, Paganesimo e NeoPaganesimo;
Ø
– Papa, Papato e Papolatria;
Ø
– Paradigmi Antropologici, Psicologici e Ideologici;
Ø
– Paradiso;
Ø
– Parassitismo;
Ø
– Parole, Parole e Parole;
Ø
– Parsimonia;
Ø
– Partecipazione;
Ø
– Partecipazione;
Ø
– Parusìa o Ritorno di Gesù;
Ø
– Pasqua;
Ø
– Passione;
Ø
– Patria e Patriottismo;
Ø
– Patriarca;
Ø
– Patrimonio, Matrimonio;
Ø
– Patrimonio della Chiesa;
Ø
– Paura, Terrore e Terrorismo;
Ø
– Peccati;
Ø
– Peccato Originale, Mela e l’Eden (Paradiso Perduto)
Ø
– Pellegrinaggi;
Ø
– Penitenza;
Ø
– Pensieri;
Ø
– Pensionamento;
Ø
– Pentimento;
Ø
– Perdono;
Ø
– Persecuzioni;
Ø
– Pettegolezzi e Maledicenze;
Ø
– Piacere;
Ø
– Piazza;
Ø
– Pietà;
Ø
– Politica e Partiti di Estrazione Cattolica (Confessionali);
Ø
– Popoli e Autodeterminazione;
Ø
– Pornografia;
Ø
– Potere;
Ø
– Povertà;
Ø
– Povertà in Spirto;
Ø
– Precetti;
Ø
– Predicazioni;
Ø
– Preferenze;
Ø
– Preghiere e Litanie;
Ø
– Pregiudizio;
Ø
– Preoccupazioni;
Ø
– Prepotenza;
Ø
– Presunzione;
Ø
– Presunzione di credere di Salvarci senza Meriti;
Ø
– Pretesa, Imposizione e Prosopopea;
Ø
– Preti e Suore in TV;
Ø
– Prigioni Mentali e Catene Reali;
Ø
– Processi alle Intenzioni;
Ø
– Processioni;
Ø
– Prodotti Naturali per i Rituali Sacri;
Ø
– Professione di Fede, Professionale, Professionalità;
Ø
– Profezie, Profeti;
Ø
– Profitto, Approfittare;
Ø
– Progetti di Vita;
Ø
– Promessa di Cristo;
Ø
– Pronti, Prontezza, Preparati, Preparazione;
Ø
– Propaganda Fidei e Dottrina;
Ø
– Proprietà;
Ø
– Proselitismo;
Ø
– Prossimo;
Ø
– Provvidenza;
Ø
– Prudenza;
Ø
– Pudore e Vergogna;
Ø
– Purgatorio;
Ø
– Qualunquismo;
Ø
– Raccomandazione;
Ø
– Ragione;
Ø
– Rapimento dello Spirito, Estasi ed Ascetismo;
Ø
– Rapporti Prematrimoniali;
Ø
– Rassegnazione;
Ø
– Razzismo;
Ø
– Realtà, Finzione e Mondo Surreale;
Ø
– Reati e Crimini;
Ø
– Redenzione;
Ø
– Regime, Portare o Mettere a Regime;
Ø
– Regno di Dio;
Ø
– Regole Istituzionali formalmente e sostanzialmente riconosciute;
Ø
– Regole Sociali e Convenzioni;
Ø
– Relativismo Etico;
Ø
– Religione Rivelata;
Ø
– Religione e Media;
Ø
– Religione e Potere;
Ø
– Reliquie e Reliquari;
Ø
– Remissione dei Peccati;
Ø
– Resistenza e Reazioni;
Ø
– Responsabilità;
Ø
– Retrogado, Mentalità Antica, Testardagine;
Ø
– Ricchezza;
Ø
– Riconoscimenti e Ufficializzazioni;
Ø
– Ricordi e Memoria;
Ø
– Risentimento;
Ø
– Risorse Economiche;
Ø
– Rispetto della Persona Umana;
Ø
– Ritiro Spirituale;
Ø
– Rito e Cerimonia;
Ø
– Rivelazione (Pubblica e Privata);
Ø
– Rivoluzioni;
Ø
– Rosario e Pratiche Religiose;
Ø
– Sacerdoti;
Ø
– Sacralità;
Ø
– Sacramenti;
Ø
– Sacrificio;
Ø
– Sacro Romano Impero;
Ø
– Saggi e Sapienti;
Ø
– Salvezza;
Ø
– Santi e loro Processo di Canonizzazione;
Ø
– Santuari;
Ø
– Sapere;
Ø
– Saper Fare;
Ø
– Scandalo;
Ø
– Scelta, Crisi;
Ø
– Scetticismo e Dubbio Metodico;
Ø
– Schiavitù;
Ø
– Scienza e Tecnologie;
Ø
– Scomunica;
Ø
– Scuola;
Ø
– Segno della Croce;
Ø
– Seguaci di Leader Religiosi e Comunità;
Ø
– Sepoltura;
Ø
– Servi e Servizio;
Ø
– Sesso, Sessualità, Omosessualità;
Ø
– Sfruttamento degli operai;
Ø
– Sicurezza, Insicurezza, Travaglio;
Ø
– Simboli Sacri;
Ø
– Sindrome di Stoccolma;
Ø
– Sinedrio;
Ø
– Sistema, Sistematico, Ripetitivo;
Ø
– Sobrietà;
Ø
– Società Umana;
Ø
– Sofferenza;
Ø
– Soldi;
Ø
– Solidarietà;
Ø
– Solitudine;
Ø
– Sopportazione;
Ø
– Speranza;
Ø
– Spettacolo, Spettacolare, Teatrale;
Ø
– Spirito Santo o Paraclito;
Ø
– Sport, Competizione e Tempo Libero;
Ø
– Standard;
Ø
– Status Sociale;
Ø
– Stermini e Genocidi;
Ø
– Storia dei Vinti o dei Vincitori?
Ø
– Storia della Chiesa;
Ø
– Strategia, Tattica e Organizzazione;
Ø
– Stress;
Ø
– Suicidio;
Ø
– Superficialità;
Ø
– Superstizione, Prodigi e Scaramanzia;
Ø
– Surrogati, Palliativi, Placebi, Finzioni;
Ø
– Sussidiarietà;
Ø
– Svago e Divertimento;
Ø
– Tabernacolo;
Ø
– Talenti;
Ø
– Tecnologia;
Ø
– Televisione e Media;
Ø
– Tempio;
Ø
– Tempo;
Ø
– Teologi, Esegeti e Teologia;
Ø
– Terra, Acqua, Aria, Sole… per tutti;
Ø
– Testimonianza;
Ø
– Tradimento;
Ø
– Tradizione e Tradizionalisti;
Ø
– Trasferimento e Conservazione delle Conoscenze;
Ø
– Trasferimento Ricchezza e Investimenti;
Ø
– Trascendente;
Ø
– Traspianti;
Ø
– Tristezza;
Ø
– Umanità;
Ø
– Umanitarismo;
Ø
– Umiltà;
Ø
– Usanza;
Ø
– Usura;
Ø
– Utopia;
Ø
– Valori o Sistema di Valori;
Ø
– Vangeli Apocrifi;
Ø
– Vanità e Vana Gloria;
Ø
– Vegenti;
Ø
– Venerazione;
Ø
– Vera e Unica Lotta (e imPreparazione dei Credenti. Omissione dei Particolari per Affidamento fideistico ai Vertici Corrotti);
Ø
– Verità;
Ø
– Vescovi e loro successione apostolica (ma a questo normalmente non si pensa);
Ø
– Via Crucis;
Ø
– Villaggi e Borghi;
Ø
– Viltà;
Ø
– Violenza;
Ø
– Virgilanza, Sorveglianza e AutoControllo;
Ø
– Virtù;
Ø
– Vita;
Ø
– Vivere e Abitare il Territorio;
Ø
– Vizi Capitali;
Ø
– Vocazioni Religiose, Sacramentali e Professionali;
Ø
– Volontariato.
-o0o-
Prima ci completare il lavoro, che intendo metabolizzare secondo il giusto discernimento, attendo anche di conoscere la reazione degli amici e magari qualche domanda. Perchè il punto è questo: a che serve spiegare come in un Manuale ciò che dovrebbe essere noto ad ogni cristiano dal Cuore Caldo, mentre i Tiepidi o chi vive in Mammona anche se sono interessati continueranno a vivere come già stanno vivendo? Da par mia sono sempre a disposizione per parlare, spiegare, discernere insieme. Resto nel proposito però che quanto scritto, al momento, già dovrebbe aprire molte finestre ai più distratti, ma sopratutto a coloro che credono di compiere un corretto percorso di Conversione.
Attenedo suggerimenti e suggestioni.
—————-o0o—————-
Ecco la versione plastica in risposta a questo Trattato. L’evento si è realizzato l’11 luglio, il giorno in cui secondo il nuovo calendario romano si celebra San Benedetto. La data della fondazione del primo escogitur
Invito di Parusìa ai suoi amici per fare Festa tra il 2-5 agosto
Ti giungano i miei saluti affettuosi.
Pace e Bene nel Signore e nel Nome di Maria Santissima, Sua Madre, Nostra Signora della Tenda, augusto Tabernacolo!
In prossimità del mio 51mo compleanno (7 agosto), pensavo tra il 2 (venerdì) ed il 5 (lunedì) di agosto di incontrarci nella Certosa di Fregene (Fiumicino, Roma) con altri amici vicini a noi, con differenti carismi, impostazioni e interessi rispetto alla Confraternita Arca della Bellezza di cui sono uno dei fondatori antichi.
Il villino in cui ho il piacere di ospitarti e fare festa è abbastanza grande per ogni comodità e ha un giardino tutto suo e ben ombreggiato. E per quel periodo è anche libero da persone e ci sarebbe quindi posto per tutti, per dormire comodamente in stanze confortevoli e per stare in convivialità e nel massimo svago. Alla occorrenza, in prossimità della casa vi è anche un Bed & Breakfast a prezzi davvero modici, per chi volesse un minimo di privacy in più. C’è anche un bel forno per fare pizze e la griglia e per stare in allegria e credo che Stefano potrà assisterci in questa arte. E’ la Certosa ricavata dalla proprietà di famiglia che sto approntando per gli Arcieri che si trovano in fase di primo accostamento, apprendistato e formazione prima di avventurarsi nella esperienza elettrizzante e galvanizzante di vivere in un Borgo senza denaro e senza dipendenze da nulla. Questa Certosa non è stata ancora inaugurata e per questo vorrei condividere con te e gli altri amici ogni genere di riflessione per il da farsi da qui in futuro.
Nel programma mi piacerebbe inserire anche una escursione a Roma, dove vi farò da Cicerone nei tempi delle Civiltà Romana, Cristiana e Rinascimentale di quella che è il Caput Mundi.
Con l’occasione della vostra visita, inoltre, si potrebbe anche fare un salto tutti insieme a Soriano, quella che avrebbe dovuto essere la prima base per la formazione-vestizione, il discernimento, la meditazione, il seminario, i laboratori per la trasformazione dei prodotti e lo stockaggio, ecc.; per chiarire una volta per tutte se quel di Padre Michele può essere un posto degno per gli Arcieri o se soprassedere definitivamente e collegialmente lasciando Daniela libera di capire come organizzarsi nel seno dei settori dell’Arca dopo aver fatto da Guardiana per ben 4 anni in quel posto. Ricordo con piacere il nostro primo incontro con gli amici della prima ora nella casa di Luigi e Antonietta a Vergato, dove si misero le prime basi nel 2008 per l’Arca della Bellezza.
Comunque l’andata a Soriano potrebbe essere abbinata ad una piacevole escursione turistica del viterbese e della tuscia, nei luoghi del Rinascimento italiano e dell’archeologia antica come è Sutri che molti non conoscono e che di fatto è tra le zone con le risorse culturali e naturalistiche più ricche d’Italia. Se Gabriella poi vorrà ospitarci, potremmo anche passare a Sant’Eutizio, conoscerne il Convento tra le invenzioni del Santo fondatore dei Passionisti Paolo Della Croce e godere di altri momenti in convivialità magari facendo conoscenza di Padre Vittorio, un nostro sostenitore e amico Passionista.
Fra gli ospiti che pensavo di avere vicini:
Stefano di Biella;
Daniela di Soriano;
Don Floriano di Treviso;
Maria Claudia di Padova;
Marco di Firenze;
Fabrizio di Roma;
Gabriella di Sant’Eutizio;
Fabio di Milano;
Luigi di Bologna;
Enrico di Genova;
Antonella di Roma;
Stefania di Bologna;
Inaile dal Brasile;
Marco dalla Cambogia;
Davide di Torino;
Luigi di Trento;
Andrea di San Benedetto del Tronto;
Serena di Brescia;
Virgilio di Matera;
Ivan di Siracusa;
Emiliano di Livorno;
Lino di Padova;
Matteo di Fiano Romano;
Mia di Genova;
Daniza di Nuoro;
Lorenzo di Taranto;
Suor Angela di Ravenna;
Fra Giovanni di Calabria;
Maria di Messina;
Gianluca di Parma
Don Salvatore di Messina;
Massimo di Foligno;
Nicola di Cremona;
Rogerio del Brasile;
Isilda di Fatima;
Giuseppe di Firenze;
Alberto di Padova;
Mariliva di ?;
Francesco di Milano;
Andrea di Milano;
Luigi di Rovigo;
ecc.
Sicuramente il tuo nome appare in questo elenco e spero ti faccia piacere, visto che sei persona a me cara e gradita per partecipare alla festa di questi giorni.
L’idea, se approvi, è quella di organizzarci con poche macchine affinchè possiate economizzare e venire tutti insieme. Nello spirito rigorosamente dell’Arca, senza sprechi e col massimo profitto. E lo stesso si cercherà di fare per le altre spese di vettovagliamento là dove non avrò già provveduto io con le mie riserve o con l’aiuto di Daniela che agisce per conto della Caritas o di Fabrizio e Maria che potrebbero conoscere altri modi per fare incetta a favore di un nostro comune Banco Alimentare. Per la cronaca, meglio intenderci: quello che serve (escludendo la pasta che per gli Arcieri è come un pugno nello stomaco per il suo alto contenuto di glutine e per le sue conseguenze patologiche) sarebbe il caso di attrezzarci con gli ingredienti base: patate, riso, formaggi, carne tritata, salsicce, wustell, fettine di pollo, pane, uova, latte, biscotti, cioccolata, miele, fagioli, frutta, tonno, birre, vino, bibite (per chi non può farne a meno) e tutto ciò si volesse aggiungere all’elenco (prima però accertiamoci sul numero delle persone e poi passerò io alla fase di coordinamento anche in funzione di ciò che già c’è e delle macchine disponibili e che partono da più lontano). Come vedete è tutto molto semplice e serve poca roba (se considerate divise per tutti coloro che decideranno di condividere l’invito); e sapendo già come verrà utilizzata posso dire che sapremo mettere a buon frutto tutto ciò che Dio vorrà metterci a disposizione con il minimo di spesa.
Qualche precisazione. Non ho considerato gli altri componenti della tua famiglia proprio perchè gli altri amici verranno anche loro tutti da soli. Saranno giorni di riflessione all’insegna dell’Arca. Non è una scampagnata dove si rimediano due giorni di vacanza al mare, sebbene nessuno ci proibisce di farlo (anzi, sarebbe simpatico pure organizzare un falò ed un bagno notturno). Io stesso non avrò nessuno di casa. Avrei tenuto ad avere almeno Filippo Maria il figlio sedicenne (eccellente nel fare le pizze), per fargli conoscere i miei amici; così come avrei voluto avere fra noi Vincenzo, il figlio di Stefano, Arciere. Ma temo che al primo posto all’ordine del giorno di questo incontro dobbiamo porre le armonie, le sinfonie, le sincronie di chi ha un retaggio esperimentale condivisibile per età e per esperienza; ciò servirà a guardarci negli occhi senza l’infantilismo tipico della giovane età e senza la presunzione di chi vivendo di pensione crede di poter insegnare qualcosa a noi sulla vita; e ciò perché spogliati dalla contingenza si possa meglio comprendere cosa Gesù e Maria avrebbero piacere noi facessimo per i nostri figli, i nostri cari, le persone amate in questi tempi finali che ci stanno introducendo nella Grande Tribolazione; perchè ci sono certezze e dubbi di alcuni fra noi da verificare, discernere, abbattere e risolvere anche con terapie d’urto; programmi da vagliare e da mettere in essere tutti insieme, ricorrendo ai talenti di ognuno anche attraverso la compilazione di una road map; fare un punto della situazione soprattutto sulla esperienza maturata da Daniela come Arciere e da me (visto che sono colui che si è relazionato in questi anni con ognuna delle persone che sto avvicinando con questo invito) come Fondatore dell’Arca e di Xenobia, Editore ed Autore di Escogitur, Primo Preposito Generale, Arciere e Discepolo Montfortiano di Maria e Figlio di Don Bosco; ci sono compiti da darci (nel limite del possibile), tempistiche da rimarcare e da rispettare; propositi che ci aiutino a proiettarci nel giorno 25 marzo 2014 a Loreto con la consacrazione dei primi 7 Cavalieri; idee da sviluppare, condividere, complementare. Ed eventualmente una distinzione concreta tra Vigilanti (a cui vengono elevati coloro che fanno una scelta totalizzante di servire Nostra Signora della Tenda), Arcieri e non solo, per comprendere chi è pronto per indossare l’abito e chi preferisce agire in altre vesti.
Personalmente ci tengo a dirlo, come l’ho fatto presente in più circostante: sebbene il dovere di cristiano mi preme nell’essere pazienze in virtù e non premere sugli altri perché si attuino con coerenza le azioni, pur tuttavia sono profondamente amareggiato da come vanno le cose nel mondo, per come si siano stravolte le consuetudini di relazioni nella vita pubblica, privata e familiare; sono deluso dallo stato delle cose e dalle amicizie che credevo essere più vicine al progetto di Dio che alla realizzazione di qualche surrogato di Mammona; e quindi da coloro che, radicati in questo mondo per paura, per una errata concezione della vita e dei doveri, per una percezione falsata della realtà e della vita cristiana, snobbando tutte le conoscenze acquisite dagli insegnamenti di Gesù sulla decrescita felice, sull’uso improprio del denaro, sulla buona e cattiva amministrazione dei propri beni e talenti, sulla resilienza cattolica, sugli ammonimenti presenti nel Vangelo (in particolare al Giovane Ricco che pur riconoscendo Gesù il Buono, il Meglio, il sublime, prima ritengono di dover compiacere il suo avversario che è principe di questo mondo) su come condurre la propria esistenza nei tempi della apostasia e della desolazione. Esperienze di cui ho fermissimamente documentato le prove, accumulate anche da anni ed anni di studi, ricerche, applicazione e preghiere; registrate dal mio stato d’animo molto provato in questi anni di solitudine e abbandoni e che mi hanno pur tuttavia dato la forza di creare le Certose di Fregene e Fatima (a parte l’intoppo di Soriano) e che ho riassunto come esperienza re plicativa e autosufficiente nel Manuale degli Arcieri che avrò cura di consegnarvi su una pendrive per quel giorno (e di cui alcuni fra voi già sono a conoscenza tra cui Daniela, Isilda, Stefano e Stefania e altri che non sto qui ad elencare).
Per questo vorrei riscoprire con te e con tutti gli altri amici che avrai modo (finalmente) di conoscere di persona, ed in particolare a livello umano, professionale e squisitamente spirituale, un pò di gioia di vivere il cristianesimo come testimonianza di vita e di scelta, con amore e libertà, come fondamento della felicità e della naturale inclinazione al piacere (il progetto infatti non esclude la vita di coppia, il mangiar bene, il godimento del tempo libero, i viaggi, le vacanze, il libero scambio di conoscenze, saperi e mestieri) per essere in sostanza liberi da Mammona (ciò che ci schiavizza e rende dipendenti a tutto ciò che non appartiene formalmente e sostanzialmente a Dio e al Prossimo). E ciò per poter insieme essere nella potenza santa di liberare; e non solo di vivere il cristianesimo come modi di fare, sentire e di dire, come certi mistici, spiritualisti, carismatici che sono alla stregua dei falsi profeti per non saper andare al dunque rispetto agli insegnamenti del Vangelo che fondano sulla Verità nella Carità.
In questo posto, che è Fregene, e che ora è la Certosa in cui mi divido durante l’anno con Fatima (spero presto che in Portogallo si possa realizzare il nostro primo Lazzaretto per i Ritiri Spirituali, proprio sotto le pendici dei luoghi delle apparizioni mariane e angeliche); e, quindi, da questo incontro, che vivremo anche attraverso la recita del Santo Rosario, spero vivamente possiate trarre l’idea che, volendolo, desiderandolo con grande convinzione, si può fare tutto ciò di cui si è sempre parlato, vivendo la gioia, la felicità, l’amore, la condivisione, il bene comune, la bellezza, il buon governo nella identità propria del vero cristiano convertito alla Chiesa Cattolica di Gesù e Maria. E che parlare di Borghi non significa solo sperare nei tempi più propizi o come ricorso estremo nei tempi in cui saremo perseguitati per non accettare il Marchio della Bestia o altro, ma anche avere l’idea che quelli di Xenobia non sono Borghi qualunque dove si può venire in macchina, vestire borghese, frequentarci la sera o la domenica, inginocchiarsi in preghiera, prendere cibo genuino e scambiare qualche chiaccherata con amici che ci hanno visto più lungo di voi e scomparire senza rendere conto a Dio se quel che si prende, poi si riesce anche a condividere e a restituire sotto altra forma (e qui attueremo il trasferimento di ricchezze da parte di chi al momento non può dare in termini di tempo, talenti ed empatia, ma che potrà sostenerci nei modi che riterrà più opportuni, come terreni, case, risorse economiche, macchine e macchinari, mobilio, ecc. e che saranno principalmente quelli delle generazioni che hanno già avuto).
Vorrei che questo incontro durasse fino al lunedì dopo; perchè vi prospetterò in concreto come procede la mia vita quotidiana in stile Arciere e Vigilante, con il rifornimento al mercato del mio approvvigionamento e quindi la trasformazione dei prodotti.
Vorrei ora spendere due righe anche per parlare di Daniela, che a modo suo ci riporta sempre all’origine di questo progetto: lei è rimasta semplice come l’avevo conosciuta in internet nel 2008, anche se, per situazioni non dipendenti da lei, spesse volte è stata inchiodata in schemi Mammonici là dove avrebbe dovuto incontrare Dio e la realizzazione viva del Vangelo. Daniela, infatti, essendo della Provvidenza, e vivendo presso un Convento, quello di Padre Michele di Soriano, ed essendosi sposata con il figlio spirituale del Sacerdote, Alessandro, non si relaziona a questa società come a qualcosa da cui prendere, ma come qualcosa a cui dare e da cui tenersi possibilmente lontani il più possibile per non perdersi. Ed è un miracolo del Cielo come sia potuta sopravvivere nonostante tutto, nonostante il progetto non si sia ancora realizzato da quelle parti e per cui lei giunse là affidandosi a Nostra Signora della Tenda, l’augusto Tabernacolo, attraverso me che gli parlavo di Eucaristia e Maria (le due colonne di Don Bosco). Probabilmente perché tanto sconnesso non era quel discernimento, che era passato anche da un Ritiro Spirituale in quel di Albano Laziale (dove insiste una casa provinciale dei lefebvriani).
Attualmente, come stabilito a Biella con Stefano, Pina e Vincenzo, avevo smesso di occuparmi della Confraternita Arca della Bellezza che Don Floriano Abrahamowicz (quando avrò la conferma di quanti fra voi vorranno essere presenti, inviterò formalmente a nome di tutti a essere presente a Fregene almeno la Domenica) venuto a trovarci a Fatima nel febbraio 2011 aveva preferito fosse più una cooperativa di servizio e assistenza alla maniera di quelle volute da San Luigi Grignion de Montfort San Vincenzo de Paoli e delle Dame della Carità, che un ordine religioso; e tanto meno di occuparmene personalmente, perchè l’ho affidata all’amore e alla cura di altre persone di cui avevo la piena fiducia per lo zelo e la passione con cui accettarono di prendersene cura; ma che, se prima erano libere e disponibili ad agganciarla alle promesse del Santuario di Oropa, purtroppo per le leggi di questo mondo che conosciamo fin troppo bene, sono state impegnate più di quanto avrei potuto immaginare in quelle bellissime giornate di dicembre passate come loro ospite nella casa familiare, e quindi l’hanno un po’ trascurata come potrebbe essere trascurata non senza colpa una Cappelletta d’Adorazione Eucaristica in cui vive Nostro Signore. Ed il mio cuore ha preso fuoco per il dolore al punto che mi si sono cominciati a spezzare i denti quando non sentivo dolori al petto. E’ in questo frangente di massima solitudine in cui tutti gli amici mi abbandonavano da Daniela, Fabio, Isilda e altri si facevano prendere dalle contingenze della vita che ho conosciuto Stefania che mi ha preso per la mano e portato a condividere il Rosario nella Rete: preghiera che ha accompagnato gli interventi operatori di Maria Claudia prima e di Antonio dopo. Poi, all’improvviso è scomparsa anche lei dagli schermi e vorrei tanto, cara Stefania (che so che ci leggi) che fossi dei nostri dal 2 al 5 di agosto.
Per questi dolori che non avrei potuto sopportare nemmeno tra gli Arcieri più fedeli ho sentito da subito di dovermi costruire il ruolo di Vigilante, rimodellandomi su un “vestito nuovo” che faceva di me un uomo ancora più nuovo. E da quella casa di amici dove vi giunsi stracarico di pacchi e zaini con gli anfibi militari, me ne ripartì scalzo, lasciando tutto là, affidando a Dio il mio tempo, le mie preoccupazioni, tutte le mie cose e tutto ciò che avesse il Cielo voluto e sperato da me. E dopo aver vissuto il mio piccolo Calvario, ora sento di nuovo, perchè l’Arca possa ritornare nella sua forma originale, di riattivarmi pienamente per dargli il giusto risalto che merita. Per cui, se serve, anche dietro l’eventuale vostra approvazione e richiesta, sono disponibile a riprendere in mano l’Arca della Bellezza in qualità di Preposito, magari con l’aiuto di Daniela e di tutti voi, secondo i ruoli che ci daremo e secondo la disponibilità ad essere Cavalieri Fondatori. E, se serve, sono pronto ad azzerare ogni delega, perchè possa tornare a brillare attraverso leader carismatici che sappiano chiedere solo a Dio e a Maria ciò per cui noi Arcieri siamo Pronti in Degnità e Gratuità, senza passare per il consenso di persone terze o per le disponibilità di tempo che ci restano dopo aver servito Mammona per debiti, debolezze, paure, timori di perdere ciò che abbiamo, come accadde al Giovane Ricco.
Purtroppo ve lo dico senza peli sulla lingua: sento odore di bruciato provocato dal maligno che circonda questo progetto e che instancabilmente lavora senza sosta per abbattere ogni certezza che Gesù ci ha fatta pervenire sino ad oggi; e quindi vado a spegnere l’incendio. Che il maligno sta prendendo, se possibile, anche il tempo delle anime buone, di quelle elette e sta portando paura nelle case dei neoconvertiti, nelle famiglie a cui io stesso avevo dato massimo credito.
Per questo è bene che tu e tutti voi veniate a visitarmi nel luogo che ritengo degno, rispetto alle aspettative che ci siamo dati. Il luogo dove sono cresciuto sin dalla età di 11 anni e dove mi sono formato. Il luogo che ha conosciuto la mia Prima Comunione, la mia Cresima e ha visto crescere i miei tre figli. Il luogo che meglio si identifica a Parusìa ed il progetto dei Borghi Eucaristici di Xenobia. E se serve, programmiamo tutti insieme anche il viaggio verso Fatima, tenendoci per mano, come in una cordata di alpinisti; chiedendo a Isilda di organizzare il nostro soggiorno per la seconda metà di settembre nella Casa di Nazareth presieduta da mio padre (potremmo contare anche sull’appoggio di Madame Tarpin e della sua casa); e magari progettare anche il luogo dove fondare e costruire il primo Borgo Eucaristico di Xenobia con il sostegno di Fabrizio che già avrebbe messo a disposizione un terreno in Umbria, ma che potrebbe dismettere per altri siti (ce ne è uno particolarmente suggestivo a Soriano che potremmo andare a vedere tutti insieme; ma ce ne sarebbe anche un altro suggerito da Massimo) se sapremo dimostrare che esiste un gruppo minimo di fondatori del nuovo borgo.
Qualora non fosse possibile soddisfare questa mia richiesta di partecipare a quest’incontro a Fregene (in quella occasione ti chiederò anche la cortesia di portare le lenzuola o un sacco a pelo per la notte e un minimo di vettovagliamento che concorderemo a fine luglio) avrò una ragione in più per credere di essere stato lasciato nuovamente solo da te, senza se e senza ma (perché Mammona leva il tempo ai cristiani di potersi dire tali nelle opere di misericordia corporale e spirituale). E caricherò nuovamente questa croce senza rancore, sapendo anche che alcuni di sicuro verranno. Forse, sempre gli stessi, i soliti fedeli e credenti che non fanno della vita cristiana un semplice spuntino di sentimentalismo elitario.
Con tutto l’amore
Parusìa
in Gesù Adveniente e Maria CorRedentrice
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Alcune risposte, fra le poche ricevute
Ciao Marco, come stai?
Sono un po ‘ assente in questo periodo perchè, come certo starai
immaginando, sto avendo un po’ di lavoro e di opportunità di crearne del
nuovo. Le giornate corrono via veloci e alla fine della giornata sono
abbastanza provato, complice forse anche questa stagione altalenante
(freddo/caldo/umido/secco.. non si capisce più niente qui).
A me andrebbe bene venire giù durante un week end, da venerdì a domenica
sera/lunedì mattina. Credo che quello che va dal 2 di agosto al 5 sia ok,
anche più vicino al tuo compleanno. Avrò probabilmente un cantiere aperto in
quel periodo ma riesco a gestire la situazione.
Quindi mi puoi considerare invitato! 🙂
Logisticamente mi pare che la mia macchina potrebbe essere organizzata così
oltre a me:
Davide (Torino), Fabio (Milano), Mia (Genova), Maria Claudia (che però da
Padova deve organizzarsi per arrivare fino a Milano)
Resto in attesa di sapere se per te va bene.
Ciao, un abbraccio
In Gesù Adveniente e Maria CorRedentrice.
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Io voglio esserci.
Sia fatta la Volontà di Dio
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Caro fratello ti ringrazio per avermi invitato e per aver pensato di coinvolgermi nel progetto ma devo francamente dirti che non posso accettare ne l’invito ne l’adesione al progetto per tutta una serie di lacci e vincoli ( di mammona) a cui sono legato.So che questo ti fara’arrabbiare molto ma e’ la nuda verita’.Per quanto riguarda il fumo di satana fai bene a stare in guardia perche’ ogni progetto che miri a liberare le anime dai suoi artigli provoca la sua violenta e feroce aggrressione e ne so’ qualcosa personalmente,ma come sappiamo bene tutto avviene con la permissione di Dio che nella sua infinita’ sapienza volge tutto al bene delle anime,infatti permise che gli apostoli del maestro venissero vagliati da satana e tutti fuggirono lasciando solo e rinnegandolo ma gli stessi pavidi apostoli dopo la pentecoste ebbero il coraggio di annunciare il vangelo e di morire martiri senza piu’ nessuna paura.Come ho gia’ detto Dio opera con infinita sapienza e trasforma quelle che sembrano vittorie del maligno nelle sue piu’ cocenti scofitte la croce non e’ forse questo?quella che satana credeva una sua vittoria si e’ trasformata nella sua sconfitta definitiva quindi caro fratello non volermene se non ti seguo ,confido che anche se adesso sono pavido e fuggo per non andare incontro a problemi e incomprensioni familiari nella grande tribolazione Dio sapra’ infondermi attaraverso lo spirito santo la forza e l’intelligenza per fare cio’ che a lui piace,se anche altri come me non ti seguiranno non prendertela troppo Gesu’ continuo ad amare i suoi discepoli nonostante il loro abbandono nella prova,lui sapeva benissimo che senza lo spirito santo siamo solo esseri umani deboli e pavidi e’ solo con il dono dello spirito di Dio che possiamo diventare guerrieri forti andare incontro al nemico ed al martirio se necessario senza paura.Preghiamo dunque Dio che ci infonda lo spirito santo il quale ci indichi cosa dobbiamo fare e ci dia la forza di farlo senza paura.
Che Dio benedica te e tutti i partecipanti all’incontro di Fregene tuo fratello nella fede Emiliano
Inviato da iPad
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Siccome non penso al prossimo,al più prossimo,non posso parlare di Conversione
e di Missione e di visite agli indigenti e su parole che mi proiettano in
Africa o in terre di guerre,ma grazie a Dio ho trovato un buon analista ed un
buon confessore a cui sono riuscita a dire tutto,ma proprio tutto,senza remore
alcuna.Perchè ho capito quanto faccio schifo!
E la diagnosi con le sue risposte è venuta da se.
Replica di questa persona che ho molto amato e da cui sono stato ricambiato abbondantemente ad una mia risposta cruda e diretta; dove non maledivo lei, come invece pare aver interpretato, ma il clero secolare conciliarista
Esorcismo di Leone XIII, puoi recitarlo anche da solo.
I tuoi insulti sono medaglie al valore per me e,le tue maledizione,fai
attenzione perchè solo Dio maledice.
Continuerò a pregare per te.
In nómine Patris et Fílii et Spíritus Sancti. Amen.
Ad S. Michaëlem Archangelum precatio
Prínceps gloriosíssime c?léstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde
nos in pr?lio advérsus príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres
tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in c?léstibus.
Veni in auxílium hóminum: quos Deus ad imáginem similitúdinis suæ fecit, et a
tyránnide diáboli emit prétio magno.
Te custódem et patrónum sancta venerátur Ecclésia; tibi trádidit Dóminus
ánimas redemptórum in supérna felicitáte locándas.
Deprecáre Deum pacis, ut cónterat sátanam sub pédibus nostris, ne ultra váleat
captivos tenére hómines, et Ecclésiæ nocére.
Offer nostras preces in conspéctu Altíssimi, ut cito anticipent nos
misericórdiæ Dómini, et apprehéndas dracónem, serpéntem antíquum, qui est
diábolus et sátanas, et ligátum mittas in abyssum, ut non sedúcat ámplius
gentes.
Exorcísmus
In nómine Iesu Christi Dei et Dómini nostri, intercedénte immaculata Vírgine
Dei Genitríce Maria, beáto Michaële Archángelo, beátis Apóstolis Petro et Paulo
et ómnibus Sanctis, (et sacra ministérii nostri auctoritáte confisi), ad
infestatiónes diabólicæ fraudis repelléndas secúri aggrédimur.
Psalmus 67 (si reciti in piedi)
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimici eius, et fúgiant qui odérunt eum, a
fácie eius.
Sícut déficit fumus, defíciant: sícut fluit cera a fácie ignis, sic péreant
peccatóres a fácie Dei.
V – Ecce Crucem Dómini, fúgite, partes advérsæ;
R – Vicit Leo de tribu Juda, radix David.
V – Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos.
R – Quemádmodum sperávimus in Te.
Exorcizamus te, omnis immúnde spíritus, omnis satánica potéstas, omnis
incúrsio infernális adversárii, omnis légio, omnis congregátio et secta
diabólica, in nómine et virtúte Dómini nostri Iesu + Christi, eradicáre et
effugáre a Dei Ecclésia, ab animábus ad imáginem Dei cónditis ac pretióso
divini Agni sánguine redémptis +.
Non ultra áudeas, sérpens callidíssime, decípere humánum genus, Dei Ecclésiam
pérsequi, ac Dei eléctos excútere et cribráre sicut tríticum.
+ Imperat tibi Deus Altíssimus +,
cui in magna tua supérbia te símilem habéri adhuc præsúmis; qui omnes
hómines vult salvos fieri, et ad agnitiónem veritátis
venire.
Imperat tibi Deus Pater +;
Imperat tibi Deus Fílius +;
Imperat tibi Deus Spíritus Sanctus +.
Imperat tibi Christus, ætérnum Dei Verbum caro factum +,
qui pro salúte géneris nostri tua invídia pérditi, humiliávit semetípsum
factus obédiens usque ad mortem;
qui Ecclésiam suam ædificávit supra firmam petram et portas ínferi
advérsus eam numquam esse prævalitúras edíxit, cum
ea ipse permansúrus ómnibus diébus usque ad comsummatiónem sæculi.
Imperat tibi sacraméntum Crucis +, omniúmque christiánæ fídei Mysteriórum
virtus +.
Imperat tibi excélsa Dei Génitrix Virgo Maria +,
quæ superbíssimum caput tuum a primo instánti immaculátæ suæ
Conceptiónis in sua humilitáte contrivit.
Imperat tibi fides sanctórum Apostolórum Petri et Pauli ceterorúmque
Apostolórum +.
Imperat tibi Mártyrum sanguis, ac pia Sanctórum et Sanctárum ómnium
intercéssio +.
Ergo, draco maledícte et omnis légio diabólica, adjurámus te per Deum + vivum,
per Deum + verum, per Deum + sanctum, per Deum, qui sic diléxit mundum, ut
Fílium suum unigénitum dáret, ut omnis, qui credit in eum, non péreat, sed
hábeat vitam ætérnam; cessa decípere humánas creatúras, eisque ætérnæ
perditiónis venénum propináre: désine Ecclésiæ nocére et eius libertáti láqueos
inícere.
Vade, sátana, invéntor et magíster omnis falláciæ, hostis humánæ salútis.
Da locum Christo, in quo nihil invenísti de opéribus tuis: da locum Ecclésiæ
unæ, sanctæ, cathólicæ et Apostólicæ, quam Christus ipse acquisívit sánguine
suo.
Humiliáre sub poténti manu Dei; contremisce et éffuge, invocáto a nobis sancto
et terríbili Nómine Iesu, quem ínferi trémunt, cui Virtútes c?lórum et
Potestátes et Dominatiónes subiéctæ sunt; quem Chérubim et Séraphim indeféssis
vócibus láudant, dicéntes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus Sabaoth.
V – Dómine, exáudi oratiónem meam.
R – Et clámor meus ad te véniat.
Orémus
Deus c?li, Deus terræ, Deus Angelórum, Deus Archangelórum, Deus Patriarchárum,
Deus Prophetárum, Deus Apostolórum, Deus Mártyrum, Deus Confessórum, Deus
Vírginum, Deus qui potestátem habes donáre vitam post mortem, réquiem post
labórem: quia non est Deus præter Te, nec esse postest nisi Tu, creátor ómnium
visibílium et invisibílium, cuius regni non érit finis: humíliter maiestáti
glóriæ tuæ supplicámus, ut ab ómni infernálium spirítuum potestáte, láqueo,
deceptióne et nequítia nos poténter liberáre, et incólumes custodíre
dignáris.
Per Christum Dóminum nostrum. Amen.
Ab insídiis diáboli, líbera nos, Dómine.
V – Ut Ecclésiam tuam secúra tibi fácias libertáte servire,
R – Te rogámus, áudi nos.
V – Ut inimícos sanctæ Ecclésiæ humiliáre dignéris,
R – Te rogámus, áudi nos.
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Ciao Marco. Spero che tu ti ricordi di me: del resto quest’invito testimonia che sono rimasto nei tuoi pensieri. Sono addolorato che tu ti senta solo e abbandonato e che hai trovato difficolta’ nel portare avanti i progetti di Xenobia. Devi correggerti con del sano realismo che non significa assecondare mammona ma conciliare la propria vocazione con quello che la realta’ ti presenta. Non sentirti
abbandonato anche da me se ti preannuncio che non me la sento di partecipare da solo all’incontro che hai programmato. Io sono sposato, questa e’ la principale vocazione per me. Ho salvato mia moglie dalla clinica psichiatrica e devo rivolgerle costanti attenzioni. Siamo una coppia che non tollererebbe una separazione neanche di qualche giorno e mia moglie non ha la stabilita’ emotiva per essere coinvolta nelle cose dell’Arca della Bellezza. Resto un “guardiano” come mi hai nominato e proseguo nella mia vocazione al matrimonio che e’ la vocazione principale e naturale della maggior parte del genere umano. Restate
comunque nei miei pensieri e se potro aiutarvi lo faro’. Adesso che e’ morta mia madre sono anche disoccupato e l’attivita’ familiare e’ cessata fra mille dissapori con i fratelli. Devo inventarmi un nuovo modo di procurarmi delle entrate ma nei limiti del possibile saro’ lieto di aiutarvi. Con mia moglie stiamo per partire per un
pellegrinaggio alla Madonna dello Scoglio in Calabria da Fratello Cosimo. Preghero’ li’ per voi. Ciao e che il Signore ti Benedica.
segue ad una mia risposta
Sei “ufficialmente” invitato: puoi venire quando vuoi e quando i tuoi impegni te lo consentono. Non posso piu’ ospitarti al mare dove non ho piu’ la disponibilita’ degli alloggi ma se mi avverti per tempo ti trovo un B&Breakfast direttamente dove risiedo. Non devi pagare niente. Sei mio ospite. Ciao.
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Ciao Marco, grazie per l’invito. Purtroppo sono stata ricoverata per circa 20 giorni a causa di complicanze dovute all’intervento. Sono convalescente e molto debole. Probabilmente ne avrò ancora per un po’ di tempo e sono continuamente presa tra visite ed esami. Non credo di riuscire a venire. Sarebbe molto bello ma sono così debole…a presto
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Caro Marco,
Buongiorno Marco Turi
Pace e Bene a te!
Mi duole sapere che ti sei sentito abbandonato da me e da molti altri, comprendo la sofferenza da te provata e ti chiedo perdono se non ho saputo rispondere alle tue aspettative; non sapevo di avere un ruolo nel tuo progetto!
Sicuramente un ruolo ho come mamma di Cecilia e moglie di Michele, finalmente sposa davanti al Signore e non più lontana da Gesù Eucaristico.
Perché devi sapere Marco Turi che io e Michele ci siamo sposati il giorno 13 maggio 2013!
E nel mio cuore questa é stata una Consacrazione della mia famiglia a Nostra Signora di Fatima.
Non sto a spiegati come siamo giunti a questa felice decisione perché sarebbe troppo lungo; ti dico solo che io ho la certezza che si é trattato di intervento di Gesù.
Sia lodato in eterno il Signore!
Come vedi non sei il solo a ricevere conferme dal Cielo.
Ti dirò di più:
Fuori dal giardino di casa mia ci sta una cappellina dedicata a san Mauro dove al giovedì si tiene il Rosario della borgata e a seguire la S.Messa.
Con l’arrivo del giovane Parroco ordinato appena due giorni prima dell’ annuncio di Benedetto XVI, é partito il progetto di sistemarla in modo tale da poter conservare in modo permanente il Santissimo.
Assieme al mio vicino di casa abbiamo messo a posto il Tabernacolo per renderlo più sicuro e degno.
Il vicino ha costruito un cancello in ferro per permettere di soffermarsi in preghiera pur mantenendo la cappellina chiusa.
Anche queste sono risposte dal Cielo.
Ieri Don Pavel mi ha chiesto di fare catechismo ai bambini della piccola parrocchia appena ricomincia il periodo scolastico.
Certo non sono pronta, ma ho prontamente accettato perché credo che il Signore decide per me e farà in modo tutto vada secondo i Suoi Progetti.
Ora il mio impegno con la mia bimba Cecilia é aumentato dal fatto che per la nostra famiglia il lavoro si svolge in estate e il tempo da dedicare anche solo per scrivere una lettera come questa capita di rado.
Il mio interesse e ogni mio pensiero sono rivolti al Signore.
Egli infatti mi é sempre presente nella mente e nel cuore e ogni volta che Mia prende il sopravvento chiedo perdono mantenendo con Lui un dialogo che non cessa.
Ti chiedo di perdonarmi se non potrò essere presente.
Il tuo progetto se é gradito a Dio si concretizzerà malgrado gli ostacoli e soprattutto malgrado le persone incostanti.
Perché si deve credere che nulla accade per caso e nulla accade senza che Dio lo voglia o lo permetta e nulla é impossibile a Dio.
Ti abbraccio in Gesù e Maria!
Sia lodato il Signore!
LE NOZZE PER IL REGNO (MT 22,1-14)
GESÙ E IL GIOVANE RICCO (MT 19,16-22)
Carlo Broccardo
Fin dai primi secoli, l’episodio del giovane ricco ha avuto interpretazioni molto diverse[1]. Secondo alcuni, per esempio, Gesù suggerisce due modi differenti di vivere la fede: la via normale di chi si sforza di osservare i comandamenti e la via «perfetta»di chi invece sente risuonare un invito speciale a lasciare tutto e seguire più da vicino il maestro («Se vuoi essere perfetto…», dice Gesù al giovane).
C’è anche però chi non è assolutamente d’accordo con questa interpretazione e ritiene che l’invito di Gesù sia rivolto a tutti, dal momento che tutti i credenti sono chiamati a seguire il Signore. Non c’è purtroppo intesa, tra chi sostiene quest’altra ipotesi, sul come interpretare le parole di Gesù: bisogna prenderle alla lettera o ammorbidirle in qualche modo? Perché non è proprio la cosa più semplice del mondo vendere tutte le proprie sostanze, a motivo della fede…
Noi non ci addentreremo nel dibattito, che dura da quasi duemila anni e non è ancora concluso. Lo eviteremo non per pigrizia o per paura, ma per la convinzione che sia più opportuno anzitutto leggere il testo di Matteo; confrontandolo con i racconti paralleli di Marco e Luca (cf. Mc 10,17-22 e Lc 18,18-23), ci accorgeremo di quanto il primo Vangelo sia più semplice degli altri e tutto sommato chiaro. Come dire che già Matteo, quando ha letto il testo di Marco, si deve esser posto le nostre domande; e vi ha pure risposto, a modo suo, cioè modificando il racconto di Marco quanto basta per aiutarci a comprenderlo[2].
I comandamenti di Dio
Matteo inizia la sua narrazione in modo un po’ brusco, senza spendere più di una parola per presentare il personaggio nuovo e tralasciando completamente di specificare luogo e tempo in cui avviene il fatto; con una costruzione tipica del suo Vangelo, dice semplicemente che qualcuno «si avvicina» a Gesù. Marco e Luca rivelano qualche dettaglio in più, dicendoci rispettivamente che quest’uomo si prostra e che è un notabile; Matteo invece rimane generico: sappiamo solo che un tale ha una domanda da porre a Gesù, tutto il resto viene dopo. Ma leggiamo i primi versetti:
Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso» (19,16-19).
La prima parte del botta-risposta tra questo tale e Gesù può sembrarci un po’ strana: uno si avvicina e gli fa subito una domanda così radicale, su questioni fondamentali quali la vita eterna, senza neppure salutare. Non dimentichiamo che siamo nel mondo ebraico del primo secolo d.C., in cui è normale che i discepoli pongano ai rabbini (non per nulla Gesù viene chiamato «maestro») questioni del genere. Un giorno, per esempio, i discepoli interrogarono Rabbi Eliezer (morto circa nel 90 d.C.): «Rabbi, insegnaci le vie della vita, affinché su di esse raggiungiamo la vita del mondo futuro»[3].
Ma torniamo alla domanda rivolta a Gesù: di per sé non è poi così difficile rispondere. Come dice Gesù, solo Dio è buono; dunque «fare ciò che è buono» equivale a «fare la volontà di Dio», e la volontà di Dio è rivelata nella legge che egli ha dato al suo popolo. Come dice il profeta Michea: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8). Quella che viene posta a Gesù non era in fin dei conti una domanda difficile: ogni buon ebreo sarebbe stato in grado di rispondere.
Ma allora, occorreva proprio farla, una domanda del genere? Anche Gesù, prima di rispondere, fa notare che la questione è ovvia: «Perché mi interroghi su ciò che è buono?». A tutti è noto ciò che è buono: Dio[4]! Noi ci vergogneremmo nel porre una domanda ovvia; i discepoli di un rabbino no: fa parte del gioco, se così possiamo dire. È tipico del mondo rabbinico, infatti, progredire nell’insegnamento attraverso una serie di domande-risposte; si comincia dalla più elementare, poi si avanza nella riflessione, approfondendo ogni volta di più.
La seconda domanda infatti è più precisa: «Quali comandamenti?». Se tutti erano d’accordo sul fatto che per entrare nella vita occorresse osservare i comandamenti, c’erano opinioni diverse su quali fossero le norme veramente indispensabili. Troviamo una traccia di tali discussioni anche nel quesito che un dottore della legge porrà a Gesù, a Gerusalemme: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?» (Mt 22,36). Secondo la tradizione rabbinica, la legge contiene 613 precetti: quali sono quelli necessari per avere la vita? Qui la risposta non è più scontata: ogni maestro ha un suo modo di vedere, rifacendosi ad altri rabbini prima di lui o contrapponendosi a loro.
In tal proposito Gesù ha una sua opinione: fra i molti precetti di Dio, i più importanti sono i comandamenti dati a Mosè sul monte Sinai; tra questi dieci, poi, in modo particolare quelli che riguardano il comportamento verso le altre persone (omette invece i doveri dell’uomo verso Dio). È una scelta chiara, sottolineata dall’aggiunta del precetto contenuto in Lv 19,18: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Questo, secondo Gesù, è il cuore della legge; il comportamento buono che occorre mettere in pratica per avere la vita è l’amore del prossimo.
Al di là della questione teorica
Fino al v. 19, dunque, il dialogo tra questo tale e Gesù assomiglia molto alle dispute rabbiniche; il fatto poi che Matteo non ci dica perché mai egli si avvicini a Gesù (desiderio di apprendere o tentativo di metterlo in difficoltà?) né chi sia questo personaggio misterioso che fa tante domande, tutto questo contribuisce a fare della discussione in corso una questione puramente teorica. Fino al v. 19 compreso, in altre parole, abbiamo davanti agli occhi due tali che discutono dei massimi sistemi.
Con il v. 20 però la musica cambia. Anzitutto Matteo comincia a delineare meglio il personaggio: è un giovane e ha sempre osservato la legge di Dio; così per noi che leggiamo non è più uno sconosciuto; se non ha un nome, ha almeno un volto. E poi ci lascia intendere che la questione non è per lui pura accademia, ma qualcosa che lo riguarda di persona.
Una traccia era già visibile prima, a essere precisi; perché non aveva chiesto a Gesù: «Che cosa bisogna fare», in generale, ma: «Che cosa devo fare». Ora però il suo coinvolgimento personale diventa manifesto: ricevuta la risposta di Gesù, egli non continua la discussione per approfondire ancora la questione a livello teorico (per esempio: riflettendo sul rapporto tra amore del prossimo e amore di Dio, come accadrà al c. 22). Piuttosto, fa subito una riflessione sulla sua vita. Leggiamo il testo, sino alla fine:
Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze (19,20-22).
È bello notare come Gesù lasci l’iniziativa al giovane: non gli chiede subito di seguirlo, dopo la prima domanda. Alla domanda generica, Gesù risponde in modo generico; quando però colui che lo interroga si espone in prima persona, allora anche Gesù scende sul campo personale: «Vieni e seguimi» non è una spiegazione teorica, ma un invito che tocca la vita.
Qualcosa manca ancora
Dopo aver notato il livello meno astratto di questa seconda parte del brano, è necessario che torniamo ad approfondire alcuni dettagli. A cominciare dalla domanda del giovane: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?» (v. 20). Fin dall’antichità, la prima parte della frase ha fatto sdegnare non pochi lettori del Vangelo; sembrerebbe un po’ troppo presuntuoso uno che afferma di aver sempre osservato i precetti di Dio! L’unica attenuante è la sua giovane età: si sa, i giovani tendono a esagerare… Ma il cosiddetto Vangelo dei Nazareni, uno scritto apocrifo del II secolo, non concede giustificazioni di sorta: «Come puoi dire: Ho osservato la legge e i profeti?»[5].
Ragionando così però entriamo in questioni che Matteo ha abilmente evitato; e dunque perdiamo tempo. Ancora una volta, infatti, egli modifica il testo di Marco semplificandolo. Secondo Marco è Gesù che fa la precisazione: «Una cosa sola ti manca» (Mc 10,21; cf. Lc 18,22); secondo Matteo, invece, è lo stesso giovane che si rende conto che gli manca qualcosa. Quando dice di aver osservato tutti i comandamenti, non lo fa dunque con la presunzione di chi ritiene di essere a posto, ma al contrario ben sapendo che qualcosa ancora gli manca.
Dalle parole del v. 20 conosciamo meglio il personaggio e riusciamo finalmente a intuire perché si fosse avvicinato così bruscamente a Gesù, rivolgendogli domande sulla vita eterna: seppure giovane, era già arrivato a comprendere che per avere la vita è necessario osservare la legge di Dio; di più, era consapevole dell’importanza dell’amore al prossimo come fondamento di ciò che è buono. Di più ancora, tutto questo lo aveva non solo capito, ma anche messo in pratica. Eppure non gli basta. Conosce la via per la vita eterna, anzi si è già incamminato, ma è ugualmente inquieto. Va da Gesù perché cerca qualcosa di più. Sa che gli manca, spera di trovarla.
Povertà e sequela
«Che cosa ancora mi manca?». Questa è la domanda. Prima erano solo schermaglie, riti introduttivi; ora la questione vera che lo ha portato a Gesù. La risposta non si fa attendere: «Vendi tutto e seguimi». Una proposta semplice e complicata al tempo stesso: facile da capire ma non da mettere in pratica per il giovane a cui è rivolta; difficile anche da interpretare per noi che leggiamo. Procediamo pertanto con calma, annotando in proposito tre riflessioni.
La prima: al giovane che cerca di più, Gesù chiede di vendere tutto, di dare il ricavato ai poveri e poi di seguirlo. Potremmo discutere sulla fattibilità di un comando del genere, non certo sulla sua chiarezza; è un invito radicale, senza mezze misure: «Vendere e dare tutto ai poveri equivale a bruciare i ponti dietro di sé, partire senza possibilità di ritorno»[6]. In altre parole, Gesù gli chiede esplicitamente una scelta di povertà totale e irreversibile. Qualcosa di analogo lo avevamo incontrato al c. 10, quando manda i dodici apostoli in missione assolutamente privi di mezzi, «perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento» (10,10)[7]; ma lì si tratta di un certo modo di annunciare il vangelo, qui invece è in ballo una scelta che coinvolge tutta la vita.
Una seconda riflessione riguarda l’altro invito: «Seguimi». Non è la prima volta che Gesù chiama qualcuno a seguirlo; ma è la prima volta che pone come condizione previa il lasciare tutto, anzi vendere tutte le proprie sostanze e distribuirne il ricavato. È vero che i primi quattro discepoli di fatto lasciano barca, padre e quant’altro e subito seguono Gesù (cf. 4,18-22); lo stesso si può intuire di Matteo il pubblicano, che all’invito di Gesù risponde alzandosi e mettendosi a seguirlo, sull’istante (cf. 9,9); qualcosa di simile con il discepolo anonimo del c.8, al quale Gesù dice: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti» (8,22)[8]. Il confronto con questi racconti di chiamata mette bene in luce che sempre seguire Gesù è una scelta radicale; mai però come nell’episodio del giovane ricco questo aspetto viene sottolineato e detto in modo tanto esplicito – e, specialmente, richiesto dallo stesso Gesù.
Al giovane che lo avvicina, Gesù chiede dunque due cose: vendere tutto quello che ha e seguirlo. Non solo l’una, non solo l’altra; lo capisce bene l’interessato che – non volendo rinunciare ai molti beni che possedeva – declina pure l’invito a seguire Gesù: «Udito questo, il giovane se ne andò triste» (19,22). La conclusione del racconto introduce una terza riflessione, a proposito del legame indissolubile (così ci viene presentato) tra povertà e sequela. Posta in modo fin troppo banale, la domanda risuona così: ma il ricco, alla fine, si salverà lo stesso? Non ha seguito Gesù, è vero, ma ha pur sempre osservato i comandamenti… Posta in maniera più strettamente esegetica, la questione è in quale rapporto stiano le due frasi ipotetiche dei vv. 17 e 21:
– se vuoi entrare nella vita,osserva i comandamenti (v. 17);
– se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto (…), poi vieni e seguimi (v. 21).
Entrare nella vita (o, per usare le parole del giovane, ottenere la vita eterna) ed essere perfetto: sono dunque due cose distinte? Come dire: chi vuole si ferma al primo gradino, chi aspira a qualcosa di più si slancia per raggiungere il secondo? Il parallelo tra i due versetti sembrerebbe dire di sì: a un tale che già osserva i comandamenti (e quindi è sulla via giusta per entrare nella vita) Gesù chiede di fare qualcosa di più. Ma se così fosse, entreremmo in un corto circuito teologico; sarebbe come affermare che entrare nella vita è solo il primo gradino…
Se infatti il giovane ricco sta già facendo la cosa giusta, se è già incamminato sulla via che conduce alla vita eterna, si può realmente dire che gli manca ancora qualcosa? Che cosa potrebbe mai essere superiore alla vita stessa di Dio? In cosa potrebbe consistere tale perfezione, da essere qualcosa di più alto della vita eterna? Queste le domande che un lettore di oggi potrebbe farsi; hanno tutte però un errore di fondo, e precisamente un concetto sbagliato di cosa voglia dire osservare la legge ed essere perfetti.
Sul concetto di perfezione
Oltre al testo che stiamo leggendo, solo un’altra volta in tutto il Vangelo secondo Matteo ritorna l’aggettivo «perfetto» (téleios); proprio nel discorso della montagna, in un contesto dunque in cui Gesù parla tantissimo di come bisogna mettere in pratica la legge di Dio. Più precisamente, dopo aver detto ai suoi ascoltatori che la loro giustizia (cioè il loro modo di vivere la legge, di fare la volontà di Dio) deve essere superiore a quella degli scribi e farisei, Gesù fa sei esempi concreti (le cosiddette «antitesi»: 5,17-48); conclude affermando:
Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste (5,48).
Entriamo più nel dettaglio, servendoci di due articoli sul tema, presenti nel secondo fascicolo di Parole di vita di quest’anno, dedicato interamente al discorso della montagna. A proposito dell’invito a essere perfetti come il Padre, Carbone scrive così:
Questa formula sostituisce il ritornello del codice di santità della legge («Siate santi, perché Io sono santo» Lv 19,2). Mentre nella torà il concetto di santità è soprattutto un concetto statico, basato sulla separazione da ciò che è profano, nel Nuovo Testamento è un concetto del tutto dinamico, basato su una perfezione finale (teleiosis) che si raggiunge con uno sforzo continuo di discernimento per essere sempre in linea con la volontà di Dio rivelata in Gesù[9].
Più avanti Scaiola, precisando meglio l’affermazione di Carbone, riflette su come anche nell’Antico Testamento praticare la volontà di Dio sia un concetto dinamico; non si tratta solo di mettere in pratica alla lettera un cumulo di precetti. In questa scia si pone Gesù, quando invita i suoi discepoli ad avere una giustizia superiore:
C’è un’osservanza che appare letterale, ma può anche uccidere, e c’è un compimento che disorienta perché non è un punto di arrivo, ma l’inizio di un dinamismo tendenzialmente infinito. In questo cammino paradossale, però, abbiamo dei punti di riferimento imprescindibili e rassicuranti: la Scrittura e l’esempio di Gesù[10].
Alla luce di queste due riflessioni riusciamo a comprendere meglio la situazione del giovane ricco. Era veramente esemplare: stava percorrendo la strada giusta per raggiungere la vita eterna! Ma non tanto perché era bravo a mettere in pratica nel dettaglio tutti i comandamenti; e neppure perché aveva capito che il cuore teologico della legge è l’amore al prossimo. L’aspetto migliore del suo modo di fare era, paradossalmente, proprio il non sentirsi a posto e quindi il continuare a cercare; ciò che lo rendeva un ottimo praticante era il non accontentarsi della pura osservanza dei precetti, il coraggio di disturbare Gesù per chiedergli: «Che mi manca ancora?».
In questo contesto riusciamo a capire meglio anche la risposta di Gesù: non gli propone un punto di arrivo, ma gli chiede di continuare la strada. Lo invita a camminare dietro di lui, il maestro; e non più o meno, ma sul serio: tagliando completamente i ponti con tutto il resto. Gesù gli propone questo, se vuol essere perfetto. Purtroppo il giovane non ha accettato l’invito e se ne è andato triste; lui che desiderava essere perfetto, ha preferito fermarsi e accontentarsi. Troppo costoso continuare a camminare.
I primi, gli ultimi e la bontà di Dio
Alla fine dunque non c’è differenza tra entrare nella vita ed essere perfetti: perfetto è chi continua a camminare sulla via che conduce alla vita. Non c’è dunque contrapposizione neppure tra osservare la legge e seguire Gesù: chi segue la via della legge sarà sempre per strada, nella continua ricerca di cosa vuol dire oggi amare il prossimo come se stessi; e per Matteo non c’è dubbio che chi percorre questa strada incontra Gesù, il maestro.
Nella teologia di Matteo, essere discepoli non è dunque la chiamata di pochi, ma l’invito che Gesù rivolge a tutti. Lo possiamo intuire dalle riflessioni che abbiamo fatto sull’episodio del giovane ricco; e poi sarà detto esplicitamente da Gesù risorto, che darà agli undici apostoli un mandato preciso: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (28,19).
Ma allora, se tutti siamo chiamati a essere discepoli, significa che è «obbligatorio» per tutti vendere ogni cosa per seguire Gesù? E quei discepoli che non possono farlo? È una domanda che ci permette di ammirare una delle qualità più belle di Matteo, che è la sua precisione nel costruire architetture letterarie. Diamo uno sguardo rapido al contesto, in particolare agli episodi che seguono il nostro racconto: Matteo ci invita a leggerli insieme, poiché si illuminano a vicenda.
Subito dopo che il giovane se ne è andato triste, ecco una riflessione di Gesù: le ricchezze sono un ostacolo serio per chi vuol seguire la via della vita. Dunque: bene per i discepoli che hanno lasciato tutto, avranno in eredità la vita eterna (proprio quello che il giovane cercava)! Però attenzione: perché «molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (19,30). Che vuol dire? La parabola degli operai dell’ultima ora lo spiega (cf. 20,1-16: e infatti come conclusione della parabola ritorna la stessa frase di 19,30): alla fine il Signore Dio darà a ciascuno un denaro, tanto a chi fin da subito ha sgobbato nella sua vigna quanto a chi si è aggiunto solo all’ultimo. Chi lascia tutto lo fa per seguire Gesù, non per guadagnarsi il premio; e non c’è da essere gelosi se egli è buono e dona la vita anche a chi non ha lasciato tanto quanto noi[11].
[1] Per una sintesi ordinata delle varie ipotesi, cf. V. Fusco, Povertà e sequela. La pericope sinottica della chiamata del ricco (Mc. 10,17-31 parr.), Paideia, Brescia 1991, 18-37.
[2] Qui diamo per presupposto quanto ormai comunemente accettato, e cioè che Marco sia stato il primo Vangelo a essere scritto; e che Matteo e Luca abbiano utilizzato il racconto di Marco come fonte per scrivere il loro Vangelo.
[3] Il testo è preso da J. Gnilka, Il Vangelo di Matteo, II, Paideia, Brescia 1991, 244.
[4] È diversa la questione nei passi paralleli di Marco e Luca, in cui il ricco chiede a Gesù: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»; e Gesù reagisce dicendo: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo» (Mc 10,17-18; Lc 18,18-19). Lì sembra accennata una problematica di tipo teologico, che non è così facile da decifrare; Matteo semplifica la questione: non vuole che ci perdiamo ad affrontare un tema secondario.
[5] Il testo è riportato da Gnilka, Il Vangelo di Matteo, 247.
[6] Fusco, Povertà e sequela, 57.
[7] A tal proposito si può vedere l’articolo di C. Broccardo, «È sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro (Mt 10)», in Parole di vita 53/3 (2008) 25-32.
[8] Per un approfondimento dei racconti di vocazione in Matteo, si veda l’articolo di A. Guida, «I racconti di vocazione e sequela in Matteo», in Parole di vita 53/3 (2008) 18-24.
[9] S. Carbone, «Nuova giustizia nei rapporti con il prossimo. Le “antitesi” (Mt 5,17-48)», in Parole di vita 53/2 (2008) 18.
[10] D. Scaiola, «Secondo le Scritture. Una giustizia superiore», in Parole di vita 53/2 (2008) 42.
[11] La parabola finisce con le parole del padrone: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure sei invidioso perché io sono buono?» (20,15). E così Matteo (a differenza di Marco e Luca) si riallaccia alla prima risposta di Gesù al giovane ricco: «Uno solo è buono» (19,17). Per qualche dettaglio in più cf. A. Mello, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Magnano (BI) 1995, 350.
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ECCO QUALE E’ L’UNICA VERA CONVERSIONE
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LA SANTA MESSA SPIEGATA AI BAMBINI
Cosa accade durante la Messa?
La Messa rende presente a noi il sacrificio di Gesù sulla croce.
Quel sacrificio che è avvenuto sul Calvario, a Gerusalemme, 2000 anni fa, viene misteriosamente reso presente tutte le volte che si celebra la Messa.
Per questo diciamo che la Messa è il memoriale del sacrificio di Gesù, ma questo non significa che è un ricordo: nella Messa Gesù si offre ancora al Padre per ottenere il perdono dei nostri peccati.
Il sacerdote al momento della Consacrazione pronuncia le stesse parole che disse Gesù nell’Ultima Cena. In questo momento il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Gesù. Donandosi a noi con l’Eucaristia, Gesù, ci unisce a Lui e tra di noi.
Partecipare alla Messa è la cosa più importante di tutta la nostra vita.
Non c’è infatti nulla di più importante della morte in croce di Gesù, che ha ottenuto per noi la salvezza eterna e ci ha aperto le porte del Paradiso. Quindi la Messa, che ogni volta applica a noi i frutti della morte in croce di Gesù, è la cosa più importante e più bella che ci sia su questa terra.
Per questo quando non andiamo a Messa alla domenica, a meno che non siamo impediti da un serio motivo, commettiamo un peccato grave, perché tutte le domeniche Gesù risorto ci aspetta a Messa.
I fini della Messa sono:
adorare il Signore; ringraziarlo per i benefici che ci dona; implorare il perdono dei nostri peccati; domandare le grazie di cui abbiamo bisogno.
La Messa si svolge in due grandi momenti, che formano un unico atto di preghiera:
– la LITURGIA DELLA PAROLA, che comprende la proclamazione e l’ascolto della parola di Dio;
– la LITURGIA EUCARISTICA, che comprende l’offertorio, la preghiera che contiene le parole della Consacrazione e la Comunione.
PRIMA DELLA MESSA:
– Suona la campana: è la voce di Dio che mi chiama, non voglio mancare!
– Entro in chiesa con anticipo e faccio il segno della croce con l’acqua benedetta. Con questo gesto ricordo la grazia ricevuta nel battesimo, esprimo la mia fede nella SS.Trinità e ringrazio Gesù che è morto in croce per me.
– Saluto Gesù presente nel tabernacolo facendo la genuflessione, prendo posto nei primi banchi e mi inginocchio per dire una preghiera in preparazione alla Santa Messa.
RITI DI INTRODUZIONE
Gesù, sono qui per assistere al Tuo Santo Sacrificio nella Messa, voglio essere devoto e seguirti nei gesti che il Sacerdote compie anche per me. Invoco Maria Santissima e gli Angeli con i Santi a pregare per me, perchè questa Messa mi faccia diventare santo.
Il sacerdote, insieme ai chierichetti, esce dalla sacrestia, e giunto in presbiterio, fa la genuflessione a Gesù presente nel tabernacolo, va verso l’altare e lo bacia perché è simbolo di Gesù. Noi ci alziamo in piedi per accoglierlo, perchè durante la celebrazione, Cristo sacerdote, pastore e maestro del suo popolo, è presente ed agisce attraverso la persona del sacerdote.
Il sacerdote va alla sua sede da dove guida l’assemblea. Assieme a lui facciamo il segno della croce.
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.
E con il tuo spirito.
Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati.
Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni,
(ci si batte il petto) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
E supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.
Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.
Amen.
Signore, pietà. Signore, pietà.
Cristo, pietà. Cristo, pietà.
Signore, pietà. Signore, pietà.
Queste invocazioni possono anche essere proclamate in lingua greca: Kyrie eléison, Christe eléison, Kyrie eléison.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo,
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo,
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica;
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo:
Gesù Cristo, con lo Spirito Santo
LITURGIA DELLA PAROLA
Dio ci parla per farci conoscere il suo amore
Gesù, sono qui ad ascoltare la Tua parola, rendimi un cuore docile per mettere in pratica i consigli e i suggerimenti che il Sacerdote in tua rappresentanza mi darà. Fa che la Tua parola venga accolta anche da coloro che non credono e che non conoscono la sana dottrina. Gesù, le tre croci che faccio imitando il Sacerdote sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, voglio che imprimano in me la Tua Parola nella mia mente, dalle mie labbra, dentro il mio cuore.
La liturgia della Parola è la prima delle due parti di cui è formata la S. Messa.
– PRIMA LETTURA: è tratta dai libri della Bibbia che compongono l’Antico Testamento (sono i libri scritti prima della nascita di Gesù);
– SALMO: è una breve preghiera di lode al Signore molto antica, che sicuramente ha cantato anche Gesù;
– SECONDA LETTURA: è tratta dal Nuovo Testamento (ovvero dai libri scritti dagli Apostoli durante e dopo la vita di Gesù sulla terra).
Alla fine di ogni lettura, proprio per ricordarci queste parole vengono dal Signore, il lettore dice: “Parola di Dio” e tutti rispondiamo: “Rendiamo grazie a Dio”
– VANGELO
La proclamazione del Vangelo è la parte più importante della Liturgia della Parola. Il testo del Vangelo fu scritto poco dopo la morte-resurrezione di Gesù da quattro autori, detti evagelisti: San Matteo, San Marco, San Luca, San Giovanni.
Prima di ascoltare il Vangelo esprimiamo la nostra gioia cantando l’Alleluia (acclamazione in lingua ebraica che significa “Lodate il Signore!”, seguita da un breve versetto) e ci alziamo per preparaci ad ascoltare Gesù risorto che ci parla per mezzo del sacerdote. (Nel tempo di Quaresima al posto dell’alleluia si cantano altre acclamazioni come: “Gloria e onore a te, Signore Gesù”)
Quando il sacerdote dice: “Dal Vangelo secondo…” rispondiamo: “Gloria a te o Signore” e facciamo tre piccoli segni di croce col pollice della mano destra in questo ordine:
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli.
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero;
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo;
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. (ora rialziamo il capo)
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture;
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e da la vita,
e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato
LA LITURGIA EUCARISTICA:
GESU’ SI OFFRE AL PADRE
Durante l’Offertorio i fedeli eseguono un canto appropriato.
Durante l’offertorio il sacerdote offre a Dio i doni per il Sacrificio anche a nostro nome; uniamoci dunque al Sacerdote offrendo al Signore il nostro cuore, la nostra vita, i nostri affetti, i nostri dolori, tutto il nostro essere.
E noi rispondiamo: Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
– PREGHIERA EUCARISTICA
Siamo nel momento centrale della Messa.
Gesù è giunto il momento di fare silenzio e di adorarti. Ti adoro nell’Ostia candida, adoro il Tuo Corpo che fu per me crocifisso sul Calvario, abbi pietà di me. Gesù ti adoro nel Mistero di questo Sangue preziosissimo che hai sparso sulla Croce per la mia salvezza, abbi pietà di me e delle anime dei peccatori.
Il pane e il vino sono sono stati preparati sull’altare e con la preghiera di Consacrazione diventeranno il Corpo e il Sangue di Gesù. La preghiera che ora recita il sacerdote si chiama Preghiera Eucaristica (la parola “eucaristia” significa rendimento di grazie).
Il sacerdote ci invita ad unirci alla sua grande preghiera dicendo:
In questo momento l’Ostia non è più un semplice pezzo di pane, come durante l’offertorio, ma è il vero Corpo di Gesù sotto l’aspetto del pane.
Poi il Sacerdote prende in mano il calice col vino e pronuncia le parole della consacrazione:
…QUESTO E’ IL CALICE DEL MIO SANGUE…
Ecco che l’altare è diventato un vero Calvario, il monte su cui fu crocifisso Gesù. Infatti, cio che è avvenuto duemila anni fa, a Gerusalemme, torna ad accadere sull’altare durante ogni Messa.
Il sacrificio del Calvario si dice cruento perchè si compì con reale spargimento di sangue.
Anche la ragione per cui il sacrificio si offre è la stessa: la salvezza degli uomini.
Un grande miracolo si compie in ogni Messa!
Il sacerdote prosegue la preghiera eucaristica. In essa il sacerdote prega per la Chiesa, per noi presenti a Messa e per tutti i defunti. Questa preghiera termina con un lode alla Trinità:
RITI DI COMUNIONE
GESU’ SI DONA A NOI CON IL SUO CORPO E IL SUO SANGUE
venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà,
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.Liberaci, o Signore, da tutti i mali,
e la gloria nei secoli.
Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli:
La pace del Signore sia sempre con voi.
E con il tuo spirito.
Ci sono TRE CONDIZIONI che dobbiamo rispettare per poter accogliere degnamente e con rispetto Gesù dentro di noi:
1) Essere in grazia di Dio, cioè essere nella sua piena amicizia avendo l’anima pulita da peccati gravi. Chi ha commesso peccato mortale non può fare la Comunione. Dovrà perciò confessarsi prima di ricevere la Comunione, altrimenti commetterebbe un peccato ancora più grave che ferisce profondamente Gesù, chiamato sacrilegio.
2) Sapere e pensare chi si va a ricevere. Dobbiamo riconoscere che nell’Ostia c’è Gesù vivo e vero e desiderarlo con fede e amore. Accostiamoci perciò al Santissimo Sacramento con umiltà, raccoglimento e decenza nel vestire.
3) Essere a digiuno da almeno 1 ora, cioè non possiamo aver mangiato nell’ora che precede la Comunione (in questo tempo di preparazione si può solamente bere l’acqua e prendere le medicine).
Se per qualche motivo non puoi fare la Comunione, non distogliere la tua attenzione dal fare la comunione spirituale impegnandoti di confessarti al più presto per poter ricevere degnamente Gesù-Ostia. Pronuncia con tutto il tuo cuore queste parole:
Signore, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mia. Poichè ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore (fai un breve pausa di silenzio). Come già venuto io Ti abbraccio e mi unisco tutto a Te, non permettere che abbia mai a separarmi da Te.
Fare la Comunione ci permette di partecipare pienamente al Sacrificio della Messa; è molto importante perciò essere sempre pronti a ricevere Gesù grazie ad una Confessione frequente e ben fatta.
COME FARE LA COMUNIONE:
La Comunione si riceve stando in in piedi o in ginocchio.
Il Santissimo Sacramento si assume direttamente in bocca, oppure, nei luoghi in cui è permesso, sulle mani.
(Quando l’Ostia viene data per intinzione, cioè dopo essere stata intinta nel Vino consacrato, si riceve solamente in bocca.)
Se ricevi il Corpo di Gesù direttamente in bocca, dopo aver detto Amen, tieni la lingua un poco avanzata sulle labbra leggermente aperte.
Gesù, la tua benedizione mi accompagni ora nella giornata e mi aiuti a mantenere i propositi che mi hai suggerito in questa Santa Messa. Fammi missionario della Tua parola, apostolo della Tua dottrina, fedele della Santa Eucarestia. Tornando a casa ti porto dentro di me, fa che diventi testimone della dignità che hai riversato in me. Vergine Santa, mi accompagni la tua benedizione. San Michele Arcangelo mi sostenga la tua spada. San Giuseppe mi protegga la grazia con la quale proteggesti una volta il Bambin Gesù dalle minacce di Erode, fammi custode di questa Santa Messa perchè possa conservarmi come vero amico di Gesù.
Il sacerdote ci benedice con il segno della croce e e ci invita a far conoscere Gesù, che abbiamo ricevuto nella Santa Comunione, a tutti i nostri amici.
Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.
Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Amen.
La Messa é finita: andate in pace.
Rendiamo grazie a Dio.
Vangelo di Matteo 23,13-22
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: 13 «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. [ 14] 15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. 16 Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. 17 Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? 18 E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. 19 Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? 20 Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».
Contagio
L’idolatria è pensare, considerare, ritenere reale ciò che reale non è, e ritenere irreale ciò che è reale. L’idolatria è un virus che infetta l’uomo a livello peumopsicointellettuale e lo fa ammalare di una malattia particolare che si chiama ipocrisia. L’ipocrisia è una patologia mortale contagiosa che si trasmette per imitazione. I primi sintomi della malattia sono il fatto che il contagiato preferisce il finto del non essere, alla realtà dell’essere, ritiene dio ciò che Dio non è, e considera il vero Dio il non dio. La patologia dell’ipocrisia degenera, in breve tempo e inevitabilmente, in una terribile e assoluta cecità peumopsicointellettuale che conduce alla morte per delirio di onnipotenza. L’ipocrita tanto onora l’etichetta quanto disonora la sostanza. L’ipocrita tanto rende omaggio all’esteriorità, quanto scredita l’unicità e la peculiarità dell’interiorità. L’ipocrita tanto rispetta l’immagine, quanto disprezza la singolarità della bellezza e della grazia interiore. L’ipocrita tanto venera l’apparenza, quanto offende la potenza dell’essenza individuale. L’ipocrita tanto ammira la facciata, quanto insulta la realtà di ciò che veramente conta. L’ipocrita tanto adora la fama, quanto scredita il fascino unico e incomparabile dell’essere umili. L’ipocrita tanto ossequia la reputazione, quanto denigra la forza dell’ascendente che deriva dall’essere se stessi con amore. L’ipocrita tanto riverisce la forma, quanto critica con pregiudizio il valore irripetibile e irrinunciabile del contenuto della realtà. Quando il processo degenerativo dell’ipocrisia si completa nella cecità peumopsicointellettuale assoluta, allora il contagiato entra nella fase maniacale del delirio di onnipotenza, e inizia a vivere nell’illusione e nell’ossessione di potersi mettere al posto di Dio, di avere il diritto-dovere di cambiare, impostare, indirizzare, travolgere il destino altrui, e sprofonda in un’ossessione compulsiva che sperimenta come una sete irrefrenabile di controllo degli altri e di dominio sugli altri. Gli ipocriti allo stadio di cecità totale, e immersi nel delirio di onnipotenza, esigono di poter imporre, obbligare, forzare gli altri a fare quello che loro vogliono e come loro vogliono. Gli ipocriti allo stadio di cecità totale, e immersi nel delirio di onnipotenza, sono convinti di servire e di affaticarsi per il regno di Dio, ma in realtà stanno servendo il regno di Satana, perché per i loro scopi usano l’imposizione, la costrizione, l’obbligo, che sono le armi di Satana. Gli ipocriti allo stadio di cecità totale, e immersi nel delirio di onnipotenza, quando vivono del prestigio del potere religioso, che deriva dall’appartenere alla classe sociale di coloro che si reputano rappresentanti istituzionali di Dio in terra, si propongono al mondo come guide cieche di altri ciechi proseliti, e si arrogano il diritto di tenere nell’ignoranza la gente, chiudendole in faccia le porte della conoscenza, impedendole di fatto di entrare nel regno della felicità di Dio. Gli ipocriti allo stadio di cecità totale, e immersi nel delirio di onnipotenza, quando vivono del prestigio del potere sociale, che deriva dall’appartenere alla classe sociale di coloro che si reputano rappresentanti istituzionali dell’organizzazione politica ed economica, si propongono al mondo come governatori, capi e dirigenti, e si arrogano arbitrariamente il diritto di esercitare dominio e controllo sull’umanità, in nome della giustizia, della sicurezza nazionale, del progresso. Gesù dice più volte agli scribi e ai farisei guai a voi ipocriti, perché Gesù sa bene quanti guai, disperazione e distruzione porteranno all’umanità gli appestati di ipocrisia che in questi tempi, con i loro proclami moralistici, con le loro austere cerimonie pubbliche, rigurgitanti di belle parole, con i loro discorsi appassionanti e suggestivi, con le nuove regole che proporranno all’umanità, per una società più giusta e fraterna, con il loro altisonante e commovente proclama di occuparsi dei poveri e degli ultimi della terra, stanno imbonendo l’umanità e cercando proseliti per la loro nuova religione e società globale, per quello che loro definiscono il nuovo ordine mondiale. Gesù ripete con forza a costoro: guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare, e lo ripete con forza per mettere in guardia l’umanità da costoro.
Questo è quanto noi Arcieri pensiamo di aver inteso per perfezionarci in Gesù Nostro Ultimo Signore, in attesa del Regno e per la nostra Santità e Salvezza:
Le Imitazioni di Cristo,
Il Vero Trattato sulla Devozione di Maria,
ed Il Siracide (vai al testo completo)
Vangelo di Luca 13,22-30
In quel tempo, 22 Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23 Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»
Disse loro: 24 «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
25 Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!” Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26 Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27 Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”
28 Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
29 Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30 Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Non so
Voi, non so di dove siete. Può mai il Signore di tutte le cose, non sapere di dove sono gli uomini che lui stesso ha creato? Può forse il Signore di tutte le cose non riconoscere quelli che hanno mangiato e bevuto alla sua presenza, e hanno ascoltato il suo insegnamento nelle piazze, durante i giorni della sua presenza sulla terra? Come può il Signore di tutte le cose, che tutto può e conosce, come può dire: Voi, non so di dove siete?
Perché il Signore di tutte le cose a tutti quelli che rimarranno fuori dalla porta, e si metteranno a gridare implorando che qualcuno apra quella porta, risponderà: Allontanatevi da me? Per rispondere a queste domande è indispensabile porsi altre domande.
Coloro che il Signore di tutte le cose descrive come operatori di ingiustizia, come hanno fatto a diventare operatori di ingiustizia? Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia a compiere quello che hanno compiuto per secoli e millenni, ai danni di milioni e milioni di uomini e donne, con ogni forma di vessazione, prepotenza, oppressione, maltrattamento, umiliazione, imposizione, sopruso, angheria, schiavitù? Come hanno fatto i re, i prìncipi e gli imperatori in tutta la storia dell’uomo, come operatori di ingiustizia, a soggiogare e sottomettere, popoli e nazioni, compiendo ogni efferatezza e malvagità?
Come hanno fatto i soldati, le truppe armate, le milizie, gli eserciti, le forze di polizia di stato, i guerrieri di ogni tempo e luogo, a fare quello che hanno fatto come operatori di ingiustizia agli ordini di feroci despoti impazziti, di disumani tiranni paranoici, di spietati dittatori schizofrenici, di crudeli rapaci usurpatori?
Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia che si dichiaravano cristiani, cioè seguaci di Cristo, il 28 giugno 1098, a massacrare oltre centomila turchi mussulmani, donne e bambini compresi, e come hanno fatto nella battaglia di Ascalon, il 12 agosto 1099, ad abbattere duecentomila infedeli “in nome del nostro Signore Gesù Cristo”? Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia, che si fregiavano del nome di cristiani, il 12 dicembre 1098, nella conquista della città di Maraat an-numan, ad ammazzare decine di migliaia di uomini che loro chiamavano infedeli, e, durante la successiva carestia, a mangiarsi i loro nemici, come testimonia il cronista cristiano Albert Aquensis, quando scrive: “i corpi già maleodoranti dei nemici vennero mangiati dalle schiere cristiane”? Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia, durante le crociate, a ordinare, organizzare, pianificare, programmare, in nome di Dio, il massacro di oltre venti milioni di esseri umani? Come hanno potuto fare quello che hanno fatto gli operatori di ingiustizia che, sotto i nomi più diversi, con lo scopo di espandere il cristianesimo e di evangelizzare gli infedeli, si sono avventati alla conquista e alla schiavizzazione del nuovo mondo? Come hanno potuto Colombo e i suoi soci, su ogni isola su cui mettevano piede, tracciare una croce sul terreno e leggere il cosiddetto Requerimiento, la rituale dichiarazione ufficiale che ha lo scopo di prendere possesso del territorio da parte dell’impero di Spagna, nel nome dei suoi cattolici signori? E qualora gli Indios avessero negato il loro assenso, non comprendendo una sola parola di spagnolo, il Requerimiento avrebbe così recitato in risposta al loro dissenso: “Con ciò garantisco e giuro che, con l’aiuto di Dio e con la nostra forza, penetreremo nella vostra terra e condurremo guerra contro di voi […] per sottomettervi al giogo e al potere della Santa Chiesa […] infliggendovi ogni danno possibile e di cui siamo capaci, come si conviene a vassalli ostinati e ribelli che non riconoscono il loro Signore e non vogliono ubbidire, bensì a lui contrapporsi”. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare questo? Prima dell’arrivo dei conquistatori stranieri, gli Aztechi, gli Inca e i Maya, e i nativi del Nord America, contavano complessivamente quasi novanta milioni di individui, un secolo e mezzo dopo, tre milioni e mezzo. Sulla sola isola di Hispaniola, dopo le prime visite di Colombo, gli indigeni Arawak, un popolo inerme e felice, che viveva delle risorse del suo piccolo paradiso, lamentarono in pochi mesi la perdita di cinquantamila vite a causa di malattie, della violenza dei soldati, dei roghi e delle torture dei preti e delle fauci dei cani da caccia. In vent’anni gli otto milioni di indigeni isolani erano spariti. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare questo? Dal 1491 al 1550, a causa di malattie come il vaiolo, l’influenza, la varicella, il morbillo, a causa di epidemie scientificamente pianificate e programmate, a causa di stragi e massacri, deportazioni di massa, campi di concentramento, lunghissimi trasferimenti obbligati, lavori forzati e inaudite forme di schiavitù, fu decimato L’ottanta per cento dell’intera popolazione indigena delle Americhe. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare questo? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare quello che hanno fatto in Amazzonia a un milione di Indios? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia dell’impero inglese fare quello che hanno fatto agli Aborigeni dell’Australia? Gli Aborigeni, il complesso delle comunità originarie dell’Australia, che oggi costituiscono il due per cento della popolazione australiana, con circa trecentomila individui, per la maggior parte oggi vivono ai margini della società. La lunga sequela di stragi e massacri contro gli Aborigeni iniziò nel 1700. Per distruggere il popolo indigeno dall’interno, l’impero inglese, attraverso lo stato australiano, inventò l’indegna pratica di deportare i figli degli Aborigeni in centri di rieducazione, nel rapimento di massa di un’intera generazione, passata alla storia come “stolen generation”, generazione rubata appunto. Le autorità strappavano i bambini dalle loro famiglie con l’intenzione di privarli della loro identità culturale, in realtà li sottomettevano con violenza e maltrattamenti fisici e psicologici, oltre ad abusi di ogni tipo, sia nei collegi statali che in quelli ecclesiastici. Quando nel 1788 la Gran Bretagna fondò la prima colonia penale in Australia, in quel continente vivevano ancora un milione di Aborigeni. Ma la dottrina giuridica della “terra nullius”, terra di nessuno, dichiarò che il quinto continente era disabitato e da qui cominciò una vera e propria caccia all’indigeno con ogni mezzo. Fino al 1830 gli inglesi uccisero 920.000 aborigeni. Nel 1992 la suprema corte australiana dichiarò l’invalidità della dottrina della “terra nullius”. Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia, come Leopoldo II del Belgio (1835-1909) che gestiva il mercato del caucciù del Congo, a far massacrare di lavoro, botte, fame, sete, torture, violenze di ogni genere, oltre che di orribili mutilazioni, quasi dieci milioni di uomini e donne nativi in ventitré anni? Quale nazione non ha conosciuto i genocidi, i massacri, lo sterminio da parte degli operatori di ingiustizia, che sotto bandiere diverse, in nome di divinità diverse, in nome di ideologie diverse, per i loro interessi hanno cancellato popoli interi e massacrato nazioni intere? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia tra il 1924 e il 1953, sotto il regime di Stalin, in nome della grande rivoluzione, eliminare venti milioni di persone del popolo russo? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare quello che hanno fatto, quando Stalin nel 1932 dichiarò guerra alla sua stessa gente e comandò l’Holodomor, che in ucraino significa “infliggere la morte mediante la fame”? Il dittatore sovietico inviò in Ucraina i commissari L. Kaganovitch, V. Molotov e G. Yagoda, capo della polizia segreta NKVD, a spezzare la resistenza dei contadini e forzare la collettivizzazione. Lo stato iniziò a requisire il raccolto del grano, ordinò il divieto di vendita e il sequestro di tutti i generi alimentari, la confisca di ogni risorsa finanziaria, lo spiegamento di truppe interne e di confine per impedire agli affamati di spostarsi in altre regioni in cerca di cibo. L’Ucraina rimase isolata. Tutte le forniture di cibo e il bestiame furono confiscati. Gli squadroni della morte dell’NKVD giustiziarono gli “elementi contro il Partito”. Durante il rigido inverno del 1932-1933, ogni giorno venticinquemila Ucraini venivano uccisi o morivano di fame e di freddo. Il cannibalismo divenne una pratica comune. L’otto per cento degli intellettuali Ucraini fu ucciso, per un totale di quasi sette milioni di individui. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia tra il 1940 e il 1975, sotto il regime di Mao, per il cosiddetto “grande salto in avanti”, eliminare quasi cinquanta milioni di persone appartenenti al popolo cinese? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare quello che hanno fatto nell’Europa Orientale, dal 1945 al 1947, l’assassinio cioè di almeno due milioni di persone di etnia germanica, principalmente donne e bambini, e la violenta espulsione di oltre quindici milioni di tedeschi, durante la quale due milioni di donne e ragazze tedesche furono violentate? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia tra il 1924 e il 1953, sotto il regime di Stalin, in nome della grande rivoluzione, eliminare nei gulag, per fame e stenti, con deportazioni forzate, venti milioni di persone del popolo russo? Come hanno fatto a fare quello che hanno fatto gli operatori di ingiustizia negli anni 1942-1943 nei numerosi campi di sterminio in Croazia, con particolari campi di concentramento speciali per bambini, organizzati dai cattolici ustascia agli ordini del dittatore Ante Pavelic, un cattolico praticante ricevuto regolarmente dall’allora papa Pio XII? Il più famigerato era il lager di Jasenovac, il cui comandante fu per un certo tempo un certo Miroslav Filipovic, un frate francescano temuto e conosciuto con l’appellativo di “Brüder Tod”, Sorella Morte. Qui gli ustascia cattolici bruciavano vive le loro vittime nei forni. Il numero complessivo delle vittime è stimato sulle quattrocentomila. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia tra il 1933 e il 1945, sotto il regime di Hitler, in nome della vittoria della nuova razza ariana, eliminare nei campi di sterminio milioni di persone del popolo ebraico e di altre nazionalità? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia delle forze governative indonesiane, tra il 1965 e il 1967, eliminare deliberatamente quasi un milione di comunisti indonesiani? Tra il 1974 e il 1999 sono stati eliminati da altri operatori di ingiustizia appartenenti ai gruppi paramilitari filo-indonesiani duecentocinquantamila persone della popolazione di Timor-Est. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia tra il 1975 e il 1979, sotto il regime di Pol Pot, in nome della folle teoria rivoluzionaria dei Khmer rossi, operare per lo spopolamento di intere città, l’annullamento di ogni legame o sentimento umano, l’annullamento di intere minoranze, torturare sistematicamente e uccidere un milione di cambogiani, in quello che viene definito il più efferato massacro di tutti i tempi? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia del governo di Khartum, in una guerra civile durata dal 1983 al 2005, far morire di fame e violenza quasi due milioni di persone, provocando quattro milioni di profughi del popolo del Sudan? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia massacrare in Rwanda e Burundi due milioni di persone a colpi d’arma da fuoco, di machete e bastoni chiodati? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia, in nome della rivoluzione, della libertà, della giustizia, far sparire e uccidere oltre un milione di vittime innocenti nella violenza di stato dei regimi sudamericani, negli ultimi decenni del secolo ventesimo? Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia fare quello che hanno fatto nel genocidio di due milioni di Musulmani Sovietici: Ceceni, Caucasi, Crimeri, Tartari, Tajiks, Bashkirs, Kazani? I combattenti indipendentisti ceceni di oggi, considerati “terroristi” dagli Usa e dalla Russia, sono i nipoti dei sopravvissuti ai campi di concentramento sovietici. Come hanno potuto gli operatori di ingiustizia delle nazioni democratiche fare quello che hanno fatto nel 1998, provocando la morte di un milione di iracheni, tra cui 560 mila bambini, a causa dell’embargo internazionale e della politica di Saddam Hussein?
Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia a compiere quello che hanno compiuto? Come fanno gli operatori di ingiustizia a compiere quello che stanno compiendo in questo momento, in ogni angolo della terra? Come fanno gli operatori di ingiustizia, anche in questo momento, a calpestare la vita di milioni di esseri umani, riducendoli deliberatamente alla miseria, alla fame, mantenendoli nell’ignoranza, fino al loro esaurimento fisico, mentale, spirituale ed economico? Come hanno fatto gli operatori di ingiustizia di questo tempo a creare un sistema economico e politico che uccide ogni anno venti milioni di persone a causa della denutrizione e delle malattie a essa collegate?
C’è un solo modo per riuscire a diventare operatori di ingiustizia ed è rinnegare volontariamente e deliberatamente che gli uomini e le donne, che nascono sulla terra, nascano liberi e uguali in diritti e dignità, siano dotati di spirito, ragione e coscienza per agire gli uni verso gli altri riconoscendosi come fratelli, in autonomia e interdipendenza. Rinnegare l’uomo come essere intelligente e libero è il modo certo per diventare operatori di ingiustizia. Rinnegare l’uomo è la stessa cosa che rinnegare Dio, e chi rinnega Dio rinnega la propria origine divina e la propria destinazione eterna in Dio. Gli operatori di ingiustizia, rinnegando la libertà e la dignità di ogni uomo e donna, rinnegano Dio, rinnegano se stessi, rinnegano l’umanità, rinnegano la propria provenienza divina e rinunciano per sempre al proprio eterno destino in Dio.
Come potrebbe mai il Signore di tutte le cose non sapere di dove sono, da dove provengono coloro che, per tutta la vita, hanno vissuto come operatori di ingiustizia, cioè come uomini e donne che hanno negato con violenta determinazione ad altri uomini e donne di essere liberi figli di Dio? Come potrebbe mai il Signore di tutte le cose riconoscere come suo figlio chi ha negato, con prepotenza, sopruso e violenza, agli altri uomini di vivere sulla terra come liberi figli della vita? Come potrebbe mai il Signore di tutte le cose riconoscere come figli in cielo coloro che sulla terra hanno sempre negato che gli altri uomini potessero essere loro fratelli, figli della stessa vita, con uguali diritti e dignità, e hanno usato tutte le loro forze e capacità per schiacciare, umiliare, sfruttare, distruggere i loro simili, con ogni atrocità e crudeltà possibile? Tutti gli operatori di ingiustizia che giungeranno alla porta della città celeste – la città celeste non è una raffigurazione simbolica, una figura metaforica, una chimera, ma è proprio la città celeste assolutamente reale del regno di Dio, cui tutti gli uomini giungeranno alla fine del tempo – troveranno la porta chiusa. Alcuni degli operatori di ingiustizia, non ancora paghi dell’arroganza e dello strapotere esercitati sulla terra, cercheranno, anche in quel giorno, di utilizzare le loro competenze di uomini corrotti e trasformisti, e con parole di miele e opportuniste tenteranno di manifestare al Signore la loro sorpresa, la loro protesta e perfino il loro sdegno per quella porta inaspettatamente e inspiegabilmente chiusa, e diranno: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Il Signore, dopo aver taciuto per milioni di anni di vita terrena sulle loro malefatte, sulle loro assurde congetture, convinzioni, ideologie, che hanno motivato, istituzionalizzato, legalizzato le loro allucinanti azioni di violenza e depravazione, risponderà loro e si rivolgerà loro per l’ultima volta. Il Signore di tutte cose dirà: voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia! Il Signore di tutte le cose dirà a costoro non so. Cosa ci può essere di più allucinante e terrificante da ascoltare per un uomo del non so di Dio nei propri confronti? Con queste parole durissime e terribili il Signore non esprimerà giudizi e condanne ma suggellerà e chiuderà quell’azione di rispetto totale e assoluto che ha sempre avuto per l’uomo, sua creatura. Il Signore di tutte le cose non è sceso sulla terra a impedire, volta per volta, i massacri degli operatori di ingiustizia, per noncuranza o incapacità, ma per totale e assoluto rispetto dell’uomo e delle sue scelte, anche quando queste sono andate e vanno contro l’uomo stesso. Le parole durissime e terribili: voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia non sono che il sigillo, la conclusione consequenziale e coerente di questa azione di rispetto assoluto dell’uomo e delle sue scelte durante tutta la storia dell’umanità. Il Signore, come ha sempre rispettato le scelte, anche le più scellerate, e le prese di posizione, anche le più letali, degli operatori di ingiustizia, lungo tutta la storia umana, allo stesso modo, davanti alla porta della città celeste, alla fine dei tempi, rispetterà ancora una volta la decisione degli operatori di ingiustizia di non essersi mai riconosciuti fratelli degli altri uomini, di non essersi mai riconosciuti figli dello stesso Creatore, e li lascerà fuori, e fuori resteranno, fuori per l’eternità dalle dimore celesti preparate per i figli di Dio. In quell’istante tutti gli operatori di ingiustizia proveranno in un unico attimo, moltiplicato a dismisura nell’intensità e nell’eternità, tutta la sofferenza, il dolore, l’angoscia, la disperazione, lo sgomento, la solitudine, l’annientamento, lo strazio, il tormento, il supplizio che hanno procurato nella vita terrena ai loro fratelli.
Gli operatori di ingiustizia non sono solo i grandi macellai dell’umanità ma tutti coloro che, giorno dopo giorno, accettano di collaborare, per paura o per interesse, con i poteri forti del mondo, per sottomettere l’uomo, per depredarlo della sua dignità e libertà, della sua bellezza e del suo onore, della sua indipendenza e autonomia. Nel vangelo è scritto che Dio Padre potrà perdonare tutte le bestemmie che gli uomini diranno, potrà perdonare anche chi ha torturato e ucciso suo Figlio Gesù, perché non lo ha riconosciuto e non lo ha accettato come Figlio di Dio, perché il suo essere Figlio di Dio potrebbe non essere stato così evidente, lampante, indiscutibile, indubitabile per tutti. Ma come potrà Dio perdonare gli operatori di ingiustizia, che non hanno mai voluto riconoscere e accettare la realtà più evidente, lampante, indiscutibile, indubitabile, che cioè tutti gli uomini sono uguali, sono tutti figli della vita, figli di Dio, con la stessa dignità e onorabilità? Nessun uomo può permettersi di sottomettere, schiavizzare, opprimere, torturare, uccidere un suo simile in modo organizzato, pianificato, programmato, senza peccare contro lo Spirito Santo, compiendo il peccato che non ha perdono in terra e in cielo.
Il vangelo rivela cosa succederà quel giorno, alla fine del tempo, agli operatori di ingiustizia davanti alla porta della città celeste e dice: Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Il vangelo rivela anche cosa succederà a tutti coloro che, pur subendo ingiustizia e sopruso da parte degli operatori di ingiustizia, nella loro vita hanno sempre trattato i loro simili come fratelli, come figli della vita, come figli di Dio, tutti uguali nella dignità, con gli stessi diritti e la stessa onorabilità, questi verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio perché troveranno la porta della città celeste spalancata e, tra i canti degli angeli, si incammineranno verso le dimore celesti nella luce di Dio.
Vangelo di Giovanni 1,45-51
In quel tempo, 45 Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret».
46 Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
47 Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?» Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi».
49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!» 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!» 51 Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
Ti abbiamo trovato
Ti abbiamo trovato,
ma piuttosto che adorare la tua divina, radiosa, presenza, preferiamo offrire culto alla luce effimera e fatua di uomini e donne di successo, uomini e donne così ambiziosi e vani che non desiderano altro che riempire il mondo della loro immagine e gloria.
Ti abbiamo trovato,
ma piuttosto che fidarci di te e delle procedure inscritte nel vangelo, preferiamo dare credito e fiducia alle capricciose parole delle leggi umane, alle lunatiche direttive delle ideologie, agli illogici e demenziali riferimenti delle tradizioni e delle consuetudini umane.
Ti abbiamo trovato,
ma non abbiamo avuto ancora il buon gusto e l’onestà intellettuale per fermarci un attimo e iniziare ad ascoltarti, e per cercare di capire veramente quanta luce, conoscenza, sapienza, ricchezza per la felicità dell’umanità ci sia in quello che le hai rivelato.
Ti abbiamo trovato,
ma alla tua sconfinata divina Parola preferiamo le chiacchiere senza fine dei politici e le rassicurazioni patetiche e penose dei potenti della terra, che accettiamo come placebo per l’anima e per la mente.
Ti abbiamo trovato,
ma piuttosto che fidarci di te, della tua feconda Parola che tutto ha creato e sostiene nei multiversi, diamo molta più autorità alla parola inerte e sterile dei genitori, degli amici, dei familiari, degli insegnanti.
Ti abbiamo trovato
ma preferiamo consegnare la nostra vita, il nostro destino, il nostro benessere, la nostra pace, il nostro progresso, la difesa della nostra vita ai potenti della terra, ai signori dei principati del mondo, ai re degli imperi economici, piuttosto che a te, che dall’eterno sei Signore di tutto e di ogni cosa.
Ti abbiamo trovato,
ma piuttosto che affidarci a te come medico e alla tua Parola come medicina, per guarire da tutte le nostre infermità e disarmonie, ci sentiamo molto più al sicuro e protetti quando ci affidiamo e facciamo curare dai medici della terra, dai farmaci degli scienziati, dalle terapie del sistema.
Ti abbiamo trovato,
e ti abbiamo abilmente trasformato in una noiosissima sequenza di leggi, codici, decreti, princìpi, morali, e usiamo la bellezza e l’autorità del tuo nome per costruire un gigantesco carrozzone di devozioni e religiosità invivibili, ritualità senza cuore e anima, perfettamente inutile per illuminare, ispirare e guidare l’umanità.
Ti abbiamo trovato, Signore,
ma non ti abbiamo ancora donato il cuore per servirti e l’intelligenza per comprendere la tua Parola, e così viviamo ancora come schiavi dei poteri forti del mondo e come arroganti ignoranti che pensano di avere il controllo del mondo e della vita.
Ti abbiamo trovato, Signore,
ma non ti abbiamo ancora incontrato.
Ora donaci, Signore, il desiderio, il cuore, l’intelligenza per poterti incontrare veramente, per amarti e seguirti.
Ti abbiamo trovato, Signore,
e non potremo mai più dire che non ti abbiamo trovato.
L’IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITA’ DEL MONDO
1. “Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l’insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.
2. Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qo 1,8). Fa’, dunque, che il tuo cuore sia distolto dall’amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.
Vangelo di Matteo 22,1-14
In quel tempo, 1 Gesù riprese a parlare loro con parabole ai capi dei sacerdoti e ai farisei e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
4 Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!” 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
8 Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.
10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12 Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?” Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Festa
È dall’inizio della sua storia sulla terra che l’uomo si chiede quale sia il senso, lo scopo della sua vita, che cosa sia la vita, da dove venga e dove vada la vita. Schiere innumerevoli di filosofi, pensatori, illuminati, studiosi, stregoni, indovini, intellettuali, scienziati, dotti, eruditi hanno cercato di fornire all’umanità le loro riflessioni ed elucubrazioni, i loro deliri, e farneticazioni, le loro ideologie e religioni per rispondere a queste domande. Come risposta a queste domande, sono stati riempiti di parole e spropositi migliaia di anni di storia e milioni di pagine di libri.
Gesù risponde a tutte queste domande in un attimo, con pochissime parole, chiare e inequivocabili: la vita dell’uomo è un invito a festa da parte di Dio a ogni uomo. Gesù rivela che la vita è gioia, l’uomo stesso è fatto della gioia di Dio ed è fatto per la gioia, per la felicità, ed è invitato alla vita da Dio per vivere una felicità senza fine. Quello che poi l’uomo ha fatto della vita, sotto la pressione dell’inganno di Satana, è tutta un’altra storia. Sotto la pressione dell’inganno satanico, l’uomo ha trasformato la vita che Dio gli ha donato in peso, carico, fardello, incombenza, preoccupazione, inquietudine, nervosismo, ansia, depressione, solitudine, paura, preoccupazione, tormento, assillo, sofferenza, apprensione, dovere, tristezza, responsabilità, angustia, affanno, maledizione, condanna, pena, punizione, costrizione, obbligo, schiavitù, coercizione, violenza, morte. Sotto la pressione dell’inganno satanico, l’uomo ha trasformato la vita che Dio gli ha donato in qualcosa che l’uomo stesso non apprezza più, non desidera più, non vuole più vivere: la vita è diventata un invito divino cui l’uomo non vuole più rispondere. Il testo scrive: Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Sotto la pressione dell’inganno satanico, l’uomo ha trasformato la vita che Dio gli ha donato in un groviglio di leggi, convenzioni, abitudini, tradizioni, doveri, impegni tali che l’uomo vive la sua intera vita come un affare da svolgere, senza conoscere gioia e felicità, una vita piena solo di doveri, impegni, impieghi, competizione, avidità, invidia, tensione. Sotto la pressione dell’inganno satanico, l’uomo ha trasformato la vita che Dio gli ha donato addirittura in aggressività, supremazia, sete di potere e di dominio, violenza omicida. Gesù rivela che, come l’uomo può scegliere di lasciarsi opprimere e accecare dall’inganno satanico, può anche scegliere di lasciarsi illuminare dai servi di Dio che egli non fa mai mancare all’umanità. In nessun periodo storico dell’umanità, Dio Padre ha fatto mancare uomini ispirati, profeti e angeli con sembianze umane con il compito di ricordare all’umanità che la vita è il meraviglioso invito di Dio a vivere la gioia senza fine, invito che attende una risposta di amore e gratitudine. Purtroppo l’umanità è più protesa a insultare e a uccidere i servi di Dio che ad accoglierli e ad ascoltarli.
Il testo scrive: Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Sotto la pressione dell’inganno satanico, l’uomo ha trasformato la vita che Dio gli ha donato in un’esperienza senza gioia, senza felicità, ma la cosa peggiore che è capitata all’uomo è di essersi abituato alla tristezza e all’infelicità. Il più grande successo di Satana è aver abituato l’uomo alla non gioia, alla non felicità, come fossero la sua condizione naturale, connaturale.
L’uomo può abituarsi talmente alla non gioia, che potrebbe perfino non saper più rispondere con gioia e gratitudine nemmeno se Dio, nella sua infinita misericordia e compassione, lo raccogliesse dal suo fango mortale, dalla sua inedia e schiavitù dilaniante, per ridonargli la dignità e lo splendore di figlio di Dio. Il testo dice: amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale? Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.
Se hai perso la gioia, fai di tutto per ritrovarla.
Le braccia di Dio sono il posto migliore dove ritrovarla.
Se sei nella gioia, non perderla,
qualsiasi cosa accada non perdere la gioia,
Non lasciare mai a nessuno tanto potere da toglierti la gioia.
Chiediti ogni istante se stai donando gioia o rubando gioia ai tuoi fratelli.
I ladri di gioia sono i figli prediletti di Satana,
i donatori di gioia sono i figli prediletti di Dio.
Non chiederti se sei impegnato, se hai tutto sotto controllo,
se sei libero, se sei amato, se sei ricco, bello, famoso, al sicuro.
Chiediti se sei nella gioia, se sei felice, il resto è nulla.
Vangelo di Matteo 20,1-16a
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7 Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Primi e ultimi
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che davanti a Dio i piani esistenziali ed energetici sono invertiti rispetto a come li considera l’uomo.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutta la corsa dell’uomo per essere primo è un corsa al contrario, una corsa per essere ultimo rispetto a Dio e alle energie di tutti i multiversi.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutto lo sforzo, il lavoro, il sacrificio, l’impegno, la fatica, il sudore, il denaro, la creatività, profusi per essere primi superuomini e prime superdonne, in realtà non ottengono altro risultato che generare degli infrauomini e delle infradonne.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutti coloro che in qualsiasi agenzia educativa, scolastica, religiosa, commerciale, culturale, scientifica, sportiva spingono altri uomini a essere primi e a primeggiare, in realtà operano e stanno facendo pressione per generare degli ultimi.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutto quello che l’uomo compie per ambizione, smania, brama di essere primo, lo compie in realtà per diventare ultimo.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che chiunque usa la propria vita e sfrutta quella degli altri per essere primo, utilizzando avidità, potere, ricchezza, violenza, armi, leggi, istituzioni, politica, usa avidità, potere, ricchezza, violenza, armi, leggi, istituzioni, politica per diventare e rimanere ultimo.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutto il tempo speso dall’uomo nella pressione distorta della competizione non solo è tempo perso ma è tempo dannoso e inutile per il tempo senza tempo dell’eternità.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutti coloro che stanno aggredendo, razziando, violentando, depredando, saccheggiando, distruggendo per essere dei superuomini stanno aggredendo, razziando, violentando, depredando, saccheggiando, distruggendo per essere infrauomini.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che tutti coloro che stanno esercitando dominio e controllo, imposizione per avere potere e supremazia, stanno operando per diventare ultimi.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa non solo che Satana ha ingannato l’uomo fino a fargli credere il contrario, ma anche che Satana conosce perfettamente i piani della realtà di Dio, e spinge con tanto impeto gli uomini e le donne a essere primi durante la vita terrestre, perché sa perfettamente che saranno ultimi nella vita celeste davanti a Dio. Satana sa che la corsa a essere primi sulla terra, genera degli ultimi davanti a Dio, e Satana è felice di generare degli ultimi davanti a Dio.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti non si fanno imbrogliare da chi spreca tutta la propria vita per trasformarla in una corsa a diventare primo, ma si uniscono insieme con chi desidera compiere con amore la propria parte umilmente e intelligentemente, senza mai pensare al proprio primato e alla propria gloria.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti si impegnano, senza mai pensare male di Dio, con tutto lo sforzo, il lavoro, il sacrificio, l’impegno, la fatica, il sudore, il denaro, la creatività per il vero benessere e la felicità di tutti, secondo il patto stabilito con il Padre del cielo, quando dalle sue mani hanno ricevuto in affitto il pianeta terra.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti non si fanno ingannare nemmeno per un secondo da coloro che, nelle agenzie educative, scolastiche, religiose, commerciali, culturali, scientifiche, sportive, spingono le persone a primeggiare, perché in realtà è una spinta a devastare la propria personalità, ricchezza interiore e a rinnegare se stessi riempiendo la mente e il cuore di pensieri di invidia per gli altri e di invidia per la bontà di Dio.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti sanno che tutto quello che l’uomo compie per l’ambizione, la smania, la brama di essere primo lo compie in realtà per diventare ultimo e fanno di tutto per non cadere in questo equivoco terribile.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti, che il mondo riconosce come gli ultimi della terra, non entrano nel malinteso, e non usano la propria forza interiore per opporsi al male, per entrare in conflitto e combattere avidità, potere, ricchezza, violenza, armi, leggi, istituzioni, politica, ma per seminare con gioia e con il sorriso il bene, la giustizia, la pace, la condivisione, la conoscenza, anche sotto il peso della persecuzione.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti accettano di buon grado di essere disprezzati e reietti dal mondo, trattati come ultimi, indesiderati, dissidenti, emarginati per tutto il tempo della loro vita, se questo è il prezzo per essere se stessi, felici, in pace con la vita, per servire Dio e il vangelo, come miti e umili figli di Dio.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti accettano, rannicchiati in Dio e senza mai dubitare della sua bontà, di essere aggrediti, torturati, depredati, condannati dai superuomini del mondo, senza rispondere loro con violenza per non diventare a loro volta infrauomini davanti a Dio.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, significa che gli uomini e le donne intelligenti sono pienamente consapevoli del fatto che tutti coloro che stanno esercitando dominio, controllo, imposizione, forzatura per avere potere e supremazia, stanno in realtà operando per diventare ultimi, infrauomini, e sarebbe un’inutile, assurda, perdita di tempo e di vita imitarli, rincorrerli, compiacerli, seguirli, affiancarli, fiancheggiarli.
Se è vero che gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi, è tempo di cambiare.
Vangelo di Matteo 15,21-28
In quel tempo, 21 Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22 Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!» 24 Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
25 Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!» 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore – disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Come desideri
Niente mai nella vita accade per caso, mai, assolutamente mai. Pensare, considerare, credere, essere convinti che una qualsiasi energia e realtà dei multiversi si muova per caso è il modo più semplice e quotidiano per incatenare a morte l’intelligenza. Pensare, considerare, credere, essere convinti che il più insignificante o il più importante evento della vita accada secondo le regole capricciose e irrazionali della fortuna e della sfortuna è il modo più semplice e quotidiano per avvelenare il cervello. Pensare, considerare, credere, essere convinti che quello che succede agli individui e alle nazioni sia frutto del fato, del destino, della fatalità è il modo più semplice e quotidiano per navigare nell’ignoranza più devastante e inguaribile. Pensare, considerare, credere, essere convinti che la vita dell’uomo sia guidata e costretta dalla sorte, da un sistema ciclico di punizione e ricompensa, dal movimento degli astri, da inesorabili combinazioni e ineluttabili coincidenze è il modo più semplice e quotidiano per incamminarsi verso la demenza e la follia. L’uomo convinto che la propria vita sia guidata dagli accidenti, secondo il capriccio degli imprevisti, le ipotesi delle probabilità, i teoremi delle eventualità è un uomo incatenato nell’ignoranza. Nella vita creata da Dio non esistono accidenti, imprevisti, probabilità, eventualità. Nella vita creata da Dio non esiste casualità, iella, malasorte, disdetta. Nella vita creata da Dio tutto riceve informazioni ed energia dal desiderio di Dio. È il desiderio, il desiderio di Dio che tutto crea, dispone, ordina, sostiene. Il desiderio di Dio contiene in sé le informazioni e l’energia indispensabili perché tutto ciò che esiste si muova e viva in modo ordinato, perfetto, meraviglioso, potente.
Come nel creato, anche nella vita dell’uomo tutto accade secondo le informazioni e l’energia del desiderio dell’uomo. Anche il desiderio dell’uomo contiene informazioni ed energia utili a far accadere ciò che l’uomo desidera, ovviamente nella sua dimensione di creatura, non di Creatore. La vita dell’uomo non riceve le informazioni relative a dove deve procedere e indirizzarsi dal destino, dal caso, dalla fortuna o dalla sfortuna, ma dal desiderio dell’uomo. La vita dell’uomo non riceve l’energia di come deve procedere e indirizzarsi dal fato, dalle coincidenze, dalla fatalità, dalla iella, ma dal desiderio dell’uomo.
Tutto nella vita dell’uomo accade esattamente secondo le informazioni e la forza, l’energia del suo desiderio. La forza del desiderio può essere insondabile ma è incomprimibile, può essere incomprensibile ma è senza errori. Non è la forza del destino che pilota la vita dell’uomo, ma è la forza del desiderio. Non c’entra se vieni dalla Cananea, o provieni da Tiro o da Sidone, non c’entra se vieni dal sud o dal nord della terra, non c’entra a che religione, a che ceto sociale appartieni o ti hanno costretto ad appartenere. Non c’entra a quale scuola di pensiero appartieni, quale ideologia hai abbracciato, qual è la tua morale di riferimento, la tua concezione di vita, la tua filosofia esistenziale. L’unica cosa che c’entra nella vita, che ti fa centrare la vita, è cosa desideri, quanto desideri, come desideri.
Tutta la tua vita ogni istante, per tutti gli istanti è connessa a queste tre realtà. Cosa desideri. Quanto desideri. Come desideri.
Cosa desideri offre le informazioni, è la direzione verso cui deve muoversi il desiderio, sono le indicazioni per il timoniere della barca. Quanto desideri determina la capienza del tuo cuore, la capacità della tua persona di ricevere dalla vita ciò che desideri, è la forma e la grandezza delle vele della tua barca. Come desideri determina, decide e assicura la potenza del desiderio per realizzare ciò che desideri, è il vento sulle vele della tua barca. Se la barca della tua persona ha una direzione precisa, ha vele capienti e vento buono sulle vele, arriverà certamente dove desidera arrivare. Inevitabili le tempeste, inevitabile il mare agitato e mosso, ma, con la forza del desiderio, l’imbarcazione della tua persona arriverà al porto dei suoi desideri.
Cosa desideri, quanto desideri, come desideri è tutto. Gesù, in tutto il suo messaggio evangelico, rivela all’uomo questa verità assoluta: tutto nella vita dell’uomo dipende dalla qualità e dalla forza del suo desiderio. Gesù si presenta all’umanità come il più perfetto, potente, mite e umile, meraviglioso, innovativo, inaudito strumento di purificazione del desiderio dell’uomo, di ispirazione di nuovi desideri per l’uomo, di stimolatore per desideri più evoluti e gioiosi per l’uomo. Gesù non lascia dubbi: Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita. È Gesù che ispira a questa donna una fede così potente e inarrestabile, è Gesù che muove le energie cosmiche dello Spirito atte alla guarigione-liberazione a distanza della figlioletta della donna, è Gesù che raccoglie con amore e compassione nelle sue mani il dolore, la sofferenza, la passione, la fede, l’attesa della donna cananea, ma è la donna, il desiderio potentissimo, senza dubbi e interferenze della donna che poi muove dalle mani di Gesù l’energia dello Spirito Santo verso la guarigione e la liberazione della figlia.
Il desiderio può tutto e ogni cosa, perché tutto e ogni cosa si muove dal desiderio. L’uomo sarà liberato dalle fauci di Satana solo quando, ispirato da Gesù e dalla sua Parola, sostenuto dallo Spirito Paraclito, esprimerà a Dio Padre, con tutto il cuore e con la forza di tanti cuori, il desiderio di essere guarito e liberato dal male.
Vangelo di Matteo 19,16-22
In quel tempo, 16 un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» 17 Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Gli chiese: «Quali?»
Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19 onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?» 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» 22 Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
Cervello
Quando in un ghiacciaio, nelle ore più calde del giorno, inizia a sciogliersi la superficie della neve, alcune impercettibili goccioline d’acqua cominciano a scendere verso la valle, correndo sulla superficie della neve ghiacciata. Seguendo con l’occhio il percorso di una di queste piccolissime gocce, si osserva che non segue una traiettoria perfettamente dritta, perché lungo il tragitto trova da subito piccoli ingombri, avvallamenti, pezzetti di ghiaccio, e dunque, per quello che le consente il suo peso e la sua portata d’acqua, la goccia aggira e supera gli ostacoli, disegnando una sua particolare linea di discesa. Dove la nostra piccola goccia non riesce a superare e ad aggirare i diversi ostacoli, si ferma. Se dallo stesso punto da cui è partita la prima gocciolina ne parte poco dopo un’altra, per questa seconda gocciolina sarà vantaggioso, lì dove è possibile, seguire la strada tracciata dalla prima fino a dove potrà, e così sarà per la terza, la quarta gocciolina e così via. Dopo un po’ di tempo, se il sole continuerà a scaldare il manto nevoso, le gocce d’acqua in discesa aumenteranno di numero e di portata, e creeranno un vero e proprio, piccolissimo canale sulla traccia della prima goccia, ampliandolo e rendendolo continuamente più profondo. Di goccia in goccia, si creerà un canale di qualche centimetro di larghezza e di profondità dove, con molta facilità, scorreranno ormai così tante gocce, da farlo diventare un piccolo rivolo d’acqua. L’indomani, quando nell’ora più calda del giorno il manto nevoso inizierà nuovamente a sciogliersi vicino alla zona dove ci sarà già il piccolo canale disegnato sulla neve, le gocce d’acqua si incanaleranno senza fatica in quella direzione, rendendo il canaletto sempre più largo e profondo. Con questo processo, goccia dopo goccia, si formano i torrenti che scavano i prati, le rocce, le montagne, si formano i fiumi che scavano le pianure. L’acqua è molto abile a scavarsi un letto dove scorrere: richiede pazienza e tempo scavare il letto di un torrente e di un fiume, ma, una volta scavati, questi canali sono strutture difficili da distruggere. Quanti anni ci sono voluti all’acqua per scavare i canyon, che sembrano delle vere e proprie vene del pianeta? Eppure, una volta scavati, chi ora li può riempire di nuovo di roccia e terra?
Il cervello dell’uomo è una struttura biofisica straordinariamente complessa e articolata e funziona un po’ come il ghiacciaio sotto il sole. Anche se alla nascita il cervello umano è già perfettamente completo e funzionante, sarebbe un grande errore ritenerlo una struttura fissa, chiusa, bloccata. Il cervello è dato all’uomo in dotazione già funzionante e completo, ma la sua evoluzione e il suo funzionamento sono determinati da come esso viene utilizzato e sfruttato. Il cervello crea connessioni elettrochimiche secondo le azioni che gli sono continuamente richieste. Imparare da piccoli una lingua che usa particolari inflessioni, intonazioni, modulazioni, frequenze sonore, richiede al cervello di costruire connessioni sinaptiche di un certo tipo, adatte a recepire, sintonizzarsi ed emettere tali inflessioni, intonazioni, modulazioni, frequenze sonore. Insistere su un certo tipo di orientamento mentale fatto di pensieri tristi, carichi di sfiducia e cinismo chiede al cervello di costruire connessioni elettrochimiche, canali di trasmissione di un certo tipo. Insistere su un certo tipo di orientamento mentale, fatto di pensieri felici, carichi di fede e gratitudine, chiede al cervello di costruire connessioni elettrochimiche, canali di trasmissione di un altro tipo. Così è per l’arciere, che affina la sua abilità ripetendo le azioni che gli permettono di tirare con l’arco: egli non costruisce le stesse connessioni cerebrali del pescatore, che affina la sua abilità ripetendo le azioni del pescare. Non solo. Il cervello riconosce perfino il motivo spirituale, psicoemotivo per cui si ripete un’azione, un movimento, un pensiero. Ripetere un’azione, un gesto, un modo di dire, per imposizione, chiede al cervello di costruire un tipo particolare di connessione neuronale. Ripetere un’azione, un gesto, un modo di dire, per libera scelta, chiede al cervello di costruire un tipo di connessione neuronale completamente diverso. Ripetere un’azione per affinarsi nell’abilità di assicurarsi il cibo, l’acqua, il fuoco, un riparo costruisce nel cervello connessioni sinaptiche, vie elettrochimiche completamente diverse da quelle che si costituiscono quando le medesime azioni vengono ripetute per avere successo in una competizione, per essere guardati dagli altri, per il riconoscimento degli altri. Un pensiero di possesso non costruisce le stesse connessioni cerebrali di un pensiero di amore. Un pensiero di avidità non costruirà mai le connessioni di un pensiero di gratuità. Ripetere un’azione pilotata dal desiderio di controllare una persona non costituirà mai le connessioni cerebrali di un’azione guidata dal desiderio di rispettare, stimare una persona. Una persona che chiede al proprio cervello di rimanere per anni su pensieri di gelosia non costruisce lo stesso tipo di connessioni neuronali che costruirebbe se chiedesse al cervello di rimanere su pensieri di fiducia e di amore. Ripetere un’azione aggressiva, rigida, scostante non costruirà mai le connessioni cerebrali del ripetere un’azione gentile, comprensiva, accogliente. Il cervello è dato in dotazione all’uomo funzionante e completo, ma come poi ogni individuo chieda al suo cervello di lavorare per costruirsi pian piano nelle innumerevoli connessioni sinaptiche, elettrochimiche, è dato alle scelte e alle intenzioni di ciascuno. Il cervello funziona un po’ come la superficie ghiacciata del nevaio, dove le gocce d’acqua che si formano per lo scioglimento della neve costruiscono pian piano dei veri e propri canali, delle vie di scorrimento e comunicazione per l’acqua stessa.
Gesù non risponde al tale, che gli chiede cosa fare di buono per avere la vita eterna, di vendere tutti i suoi averi e di donarli ai poveri, per una questione religiosa, morale, devozionale, ma perché lui, che è il Signore della vita, conosce perfettamente come funziona il cervello umano. Gesù non propone a quel tale di liberarsi dagli attaccamenti del denaro e delle proprietà, da ogni forma di possesso, per rispettare una forma di rettitudine morale, per essere eticamente accettabile come discepolo, ma perché Gesù sa, come nessun altro, che lasciare andare gli attaccamenti e il possesso è l’unica strada per essere felici, sani, intelligenti, capaci di evoluzione e di vero benessere qui sulla terra, e, un giorno, per essere capaci di raggiungere il regno dei cieli. Gesù sa che, se una persona usa il proprio cervello per rimanere su pensieri e azioni di avidità e possesso, costruisce connessioni cerebrali che gli impediscono, nel modo più assoluto, di essere felice, sana, connessa con la vita, capace di evoluzione e vero benessere. Gesù sa che, se una persona usa il proprio cervello per rimanere su pensieri e azioni di dominio, potere, supremazia sugli altri, costruisce connessioni cerebrali che le impediscono, nel modo più assoluto, di essere nella gioia, di provare pace, di essere connessa con l’umanità e il cosmo. Gesù propone a quel tale di vendere tutto e donarlo ai poveri, non perché Gesù ami la povertà e la miseria, e le consideri parte integrante di uno stato avanzato di evoluzione etica e spirituale. Gesù considera la povertà e la miseria realtà terribili, devastanti malattie sociali da curare, completamente in contraddizione con i desideri di Dio. Sono i famelici prepotenti del mondo, gli avidi potenti della terra, i feroci lupi rapaci delle corporazioni bancarie e commerciali che amano e desiderano per l’umanità indigenza, miseria, povertà, non certamente Dio. Gesù non offre indicazioni perché l’uomo viva misero e povero, ma perché, abbandonando ogni forma di attaccamento e possesso, viva felice e in armonia, sereno e in pace. Le procedure che Gesù offre all’umanità, attraverso il suo messaggio evangelico, sono assolutamente funzionali alla felicità integrale e completa dell’uomo. Gesù non ha donato al mondo il vangelo perché gli uomini potessero creare una nuova religione di riferimento, ma perché, seguendo il vangelo, l’uomo potesse purificare i propri pensieri e azioni, e dunque rinnovare completamente le proprie connessioni cerebrali per rinnovare interamente la propria vita.
Il nuovo popolo di Dio che lo Spirito Paraclito si sta preparando sarà intellettualmente un popolo nuovo, perché sarà neurologicamente un popolo nuovo, un popolo che costruirà, con la luce del vangelo e la potenza dello Spirito Paraclito, connessioni cerebrali funzionali alla felicità, alla pace, alla condivisione, alla gratuità.
Ascoltare e amare il vangelo cambia prima di tutto il modo di utilizzare il cervello.
Vangelo di Matteo 19,23-30
In quel tempo, 23 Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
25 A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?» 26 Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». 27 Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» 28 E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30 Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».
IL Dio Trino o il dio quattrino?
A seguito della pubblicazione del post precedente (“Cosa cresce nel giardino dell’ignoranza“) su Stampalibera.com, Parusìa ha scritto un commento che merita essere ripreso. (forse perchè IO mi sono sentito ripreso?)
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…nel giardino dell’ignoranza (è inutile nascondersi dietro facili parole)…
per uscirne, occorre anche saper scegliere:
DenarOdio
Gesù afferma: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Secondo le parole di Gesù la sete di ricchezza, la brama di denaro è assolutamente incompatibile per l’uomo che vuole vivere secondo i desideri di Dio. La sete di denaro, da una parte, impedisce all’uomo di vivere sul pianeta terra secondo le procedure evangeliche, e gli rende impossibile coltivare pensieri adatti per costruire una vita secondo l’armonia, la bellezza, la grazia, la gioia, la pace, la sapienza del regno di Dio, dall’altra, impedisce all’uomo di poter entrare un giorno a far parte della vita senza fine nelle dimore eterne, nella luce e nella pace di Dio.
Perché? La sete di denaro è la più mortale malattia dell’uomo, in quanto è diventata la vera devozione dell’umanità, e, il denaro, il suo unico, vero dio.
Il dio denaro ha fatto costruire i suoi templi su tutto il pianeta per essere adorato, celebrato, onorato, acclamato. Il dio denaro ha suoi discepoli ovunque, ha i suoi gruppi di venerazione, ha costruito i suoi centri organizzativi direzionali, e, nel tempo, ha distribuito su tutta la terra i suoi emissari rappresentanti, i suoi missionari predicatori, i suoi profeti di persuasione, i suoi catechisti ideologici, pubblicitari, i suoi celebranti rituali, i suoi ministri e servitori, difensori e paladini.
Il dio denaro si è presentato al mondo inizialmente come piccole, innovative monete di terracotta, rame, argento, oro e altri metalli e ha persuaso l’uomo a ritenerlo il più potente mezzo di difesa e controllo, supremazia e dominio, perché permetteva di avere eserciti più numerosi e meglio armati.
Il dio denaro, poi, si è presentato al mondo come piccoli, inermi, innocui fogli di carta colorata, e ha persuaso l’umanità che, con lui, l’uomo può essere il più forte e potente di tutti, e che, con lui, l’uomo può essere il più nobile, importante, autorevole, influente, apprezzato di tutti.
Quando il dio denaro si è presentato al mondo come innocente e comoda tessera magnetica di credito, ha persuaso l’umanità che tutto ha un prezzo e che tutto può essere comprato e che, con lui, l’uomo può essere un invincibile tiranno su scala globale, un inattaccabile despota planetario, un onnipotente signore della globalizzazione, un’irresistibile, maestosa bellezza, un imponente, impressionante, possente padrone del mondo.
Quando il dio denaro si è presentato al mondo come legittimi numeri in un conto bancario, segno di autonomia e libertà personale, ha persuaso l’uomo a credere di essere egli stesso un dio, un dio cui tutto è possibile, un dio che può donare lusso sfrenato a pochi e debiti senza fine a tutti gli altri.
Il dio denaro ha lavorato senza sosta per riuscire, un po’ alla volta, a rappresentare per l’umanità la sua più sicura fonte di sopravvivenza, la sua reale difesa contro il male e la malattia, contro l’invecchiamento, contro l’ingiustizia, la paura, la guerra.
Il dio denaro ha persuaso l’uomo che senza denaro nulla ha senso e nulla deve muoversi sulla terra senza guadagno.
Il dio denaro ha fatto in modo tale che tutto della vita dell’uomo sia regolato, governato, disciplinato, subordinato, ordinato, sostenuto, guidato, stabilito dal denaro. Sono dominati e controllati dal denaro gli affetti, le relazioni, i contratti matrimoniali, le separazioni di coppia, la nascita dei figli, il lavoro, il divertimento, il gioco, le comunicazioni, il riposo, l’alimentazione, le bevande, il caldo e il freddo, l’abitare, il vestire, la scienza, la cultura, l’educazione, la salute, la malattia, la ricerca medica e tecnologica, la farmacologia, la medicina, le cure mediche, le morali, le religioni, ogni forma politica, il commercio, il viaggiare.
Il dio denaro odia con tutte le sue forze tutto ciò che in natura l’uomo può trovare in quantità abbondante e in forma gratuita. Il dio denaro odia l’acqua e il cibo che Dio ha creato e che l’uomo può usare per bere e alimentarsi gratuitamente, perché, fino a che sulla terra ci sarà acqua pulita da bere e cibo buono, il dio denaro non potrà vendere a tutti la sua acqua imbottigliata e i suoi cibi transgenici. Il dio denaro odia il fatto che esista per l’uomo la possibilità di guarigione dalla malattia fisica e psichica attraverso la cura e la guarigione dei propri pensieri, perché, se la gente impara a prevenire e a guarire le malattie attraverso il processo individuale, personale, gratuito, autonomo di pulizia e cura del proprio dialogo interiore, a chi potrà vendere i suoi farmaci, le sue costosissime cure?
Il dio denaro odia l’armonia e la pace, perché l’armonia e la pace non fanno fruttare e girare denaro come il disordine e la guerra. Il dio denaro odia il corpo integro e sano, forte e intatto dell’uomo perché un corpo sano non si può vendere e comprare facilmente, per questo preferisce il corpo dell’uomo a pezzi, diviso in organi, che sono senza dubbio più commerciali e costituiscono un fiorente mercato.
L’uomo è ossessionato dal dio denaro ma al dio denaro non interessa assolutamente nulla dell’uomo. Per il dio denaro l’uomo, la persona umana non ha dignità, libertà, senso, significato, valore, per il dio denaro l’uomo è solo e unicamente una batteria con un certo potenziale energetico sotto forma di competenze, addestramento, forza lavoro da sfruttare fino al midollo, a prezzo minimo, per poi essere gettata in discarica. Il dio denaro odia dell’uomo soprattutto i tempi morti della vita, i tempi fisiologici dell’infanzia e della vecchiaia, i tempi non produttivi, non trasformabili immediatamente in denaro.
Il dio denaro odia il Dio vero, perché il Dio vero ha creato tutto nella più totale bellezza, abbondanza, pienezza, armonia, e soprattutto tutto gratuitamente. Tutto ciò che Dio ha creato non ha prezzo, perché è tutto gratuito.
Il dio denaro ama i ricchi e odia i miseri, perché i miseri, per quanto sottomessi e silenziosi, a volte gridano e fanno rumore, attirando attenzioni fastidiose. Il dio denaro ama tanto la ricchezza, odia i miseri, ma ama la miseria. Ama la miseria, la povertà, lo svantaggio delle moltitudini, perché questo aumenta a dismisura la ricchezza, il lusso, il vantaggio dei pochi ricchi, i suoi figli prediletti. Il dio denaro ama la schiavitù e la sottomissione delle masse, perché questo aumenta a dismisura la separazione delle masse sfortunate dai ricchi fortunati.
Il dio denaro ama la separazione incolmabile tra ricchi e poveri, perché questa separazione istituzionalizzata e inviolabile è all’origine della sua religione preferita, la religione fondata sul culto dell’azzardo, della fortuna e della sfortuna, del destino, del caso, del fato. Il dio denaro ama la separazione in ogni sua forma, perché la separazione genera antipatia, ostilità, conflitto, guerra, distruzione, tutte situazioni che portano alle casse del dio denaro fiumi di valuta.
Il dio denaro ama la malattia, la solitudine, la sofferenza dell’uomo, perché, per superare queste disgrazie, l’uomo tende a spendere tutti i propri beni e averi senza battere ciglio, anche se non riceve alcun sollievo, aiuto e guarigione.
Il dio denaro odia i bambini, perché non sono produttivi, ma anche li ama, in quanto sono il suo investimento preferito, perché, se persuasi e addestrati a dovere, rappresentano una fonte formidabile e rinnovabile di guadagno senza limiti.
Il dio denaro ama l’infelicità dell’uomo, perché per un po’ di felicità e di piacere, l’uomo è disposto a spendere tutto ciò che possiede e a indebitarsi per millenni fino alla miseria e alla schiavitù. Il dio denaro ama il debito e i debitori come le sue vittime sacrificali predilette, perché, attraverso il debito genera nel cuore e nella mente dell’uomo non solo un perenne e invincibile senso di colpa, ma anche uno stato costante di schiavitù e dipendenza. L’uomo debitore è già uno schiavo, ma quando non ha più risorse per pagare il debito, può essere schiavizzato dal creditore in modo legale e istituzionalizzato.
Il dio denaro disonora l’uomo, lo rende stupido, dipendente, debitore, schiavo, aggressivo, violento, misero, separato.
Ora, se questo è in parte ciò che offre il dio denaro, che senso avrebbe per un uomo, che ha
per tutta la vita terrena, desiderare di entrare un giorno, terminata l’esperienza sul pianeta terra, nel regno del Dio vero? Sarebbe mai possibile che un uomo o una donna, che hanno servito e reso culto al dio denaro come il padre della loro vita, per tutti i giorni della propria vita, nel momento di entrare nella vita senza fine avessero anche solo il minimo interesse e desiderio di far parte del regno del Dio dell’amore, del Padre dell’amore, della gratuità, della pace, della bellezza, dell’armonia?
Ecco perché Gesù insiste: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.
No! Io credo che sia un’allucinazione il dio Denaro.
Uno stereotipo troppo sfruttato.
La gente cerca altre cose, e segue altri sentimenti, oltre la facciata del denaro:
Il prestigio personale, la posizione sociale, l’ottenimento di uno status esclusivo.
O, i più modesti stereotipi quotidiani:
Possedere cose più Più, più quaclhe sfizio in più.
E la maggior parte degli individui sono assoggettati alla quotidianità, più o meno allucinata:
uscire dai debiti, comprarsi la casa, ottenere l’indipendenza economica, andare avanti coi carri, riscuotersi dallo stato di Mammone, metter su famiglia, walk the Walk, arrivare alla fine della giornata, arrivare al Venerdì, arrivare a fine mese.
Più in generale, a fregare tutti è sempre la quotidianità, la consuetudine quotidiana….
I veri avidi credo che siano pochi, e tutti riescono solo a maledirsi nella propria esistenza.
Poi, in realtà, l’attaccamento al denaro, di quasi tutti, ha dell’assurdo. Come già diceva Giacomo Leopardi: [ehm…circa…] “Conosco chi si butterebbe nel fiume per salvare una persona, ma non donerebbe neanche cinque monete per ottenere lo stesso risultato.”
Ma questo è come la scimmia che si attacca alle noccioline,e non le lascerebbe per nessun motivo. Poco meno di un istinto.
Naturalmente ci sono i ricchi che fanno i conti da ricchi. E, molto più pericolose, sono le organizzazioni, quando fanno conti da ricchi, perchè, quando le astrazioni eccedono la dimensione umana diventano subito impersonali, sterili, spietate, indiscutibili…Eh, si! Diventano (piccole) divinità.
La Crescità! La crescita bisogna, perchè se non è crescita, è stagnazione, e puzza.
E quante divinità so a mala pena nominare? Lo Spread, la Competitività, l’Efficenza, il Debito, L’Evasione…No! Ora sto esagerando, lo so! [Senzaltro ho appena offeso qualche fedele]
Ora, forse, sono sciocco, ma penso che i veri ricchi non ragionino in termini di denaro. Ma, per essere breve, direi, in risorse, controllo e potere.
Quindi, a concludere, direi, che il concentrarsi sull’immagine del Dio Denaro, dirotta l’attenzione, distorce la sensibilità, offuscando l’intuzione della essenza.
duxcunctator ha commentato su Chi è, per te, Gesù?.
in risposta a Aguglia:
Dare del “cattivo” a Gesù nel 333esimo: sembra essere molto poco casuale, Aquila.
Il fatto che Gesù porti la divisione (o la spada, come è detto nel Vangelo matteano): non significa che Egli ci inciti a tagliare le teste con la spada o a farci agenti di divisione tra gli uomini.
Perché come cristiani sappiamo (o dovremmo sapere) che Dio E’ Amore. E che il Divisore per eccellenza è colui che scelse di essere omicida e menzognero fin dal principio.
Gesù è venuto a portare la Spada, certo.
La Spada della Sua Parola. Che di per sé divide i buoni dai cattivi, quando è annunciata da testimoni credibili, che in quella Parola ci credono con tutti sé stessi, fino al punto da dare la propria vita per Essa (il che li rende costituzionalmente diversi ed inassimilabili ai “martiri” maomettani: che per la parola del loro profeta sono disposti a perdere la vita mentre la tolgono agli altri, che loro considerano infedeli)
Quando la Parola del Verbo Incarnato è invece annunciata da persone che NON sono testimoni in alcun modo (e la “pistola fumante” di questo fatto è che aborrono di perdere la loro vita per Essa e si beano vanagloriosamente di essere invece prontissimi a “martirizzare” coloro che proveranno a togliergliela, la vita): ecco che Essa non è più fonte di divisione come Dio vuole.
E che di fronte ai cristiani “illogici” od “ossimorici”: non avviene più la naturale ed inevitabile divisione tra buoni e cattivi.
Ma vi sono, al contrario, tanti buoni che arrivano loro malgrado a schierarsi contro la Parola di Dio (brandita nel modo suddetto, ossia a mò di clava, dai “cristiani” suddetti) e tanti cattivi che sono invece ben contenti di mettersi dalla parte della Parola di Dio, usata e sfigurata in modo tale da “autenticare” il buio del loro cuore.
La storia della Chiesa è piena di episodi del genere.
Ma, ora che questo tempo intermedio sta finendo: questo rimescolamento di carte è sempre più impossibile da fare.
Quindi, ti invito a non bestemmiare.
E a non chiamare Gesù “cattivo”.
“Cattivo” è colui che è prigioniero. E l’unica vera prigione è quella del male e del peccato (“chi compie il peccato è schiavo del peccato”) dalla quale Lui è venuto a liberarci.
Non dalla moneta-debito.
Non dalle scie chimiche.
Non da harp.
Non dalla geoingegneria assassina.
Non dagli ogm.
Non dal fracking.
Non dalle onde elf.
Non dalla globalizzazione.
Non dalla tav.
Non dalla medicina assassina.
Non dal cibo adulterato.
Non dalla energia tratta da idrocarburi.
Non dalla storia scritta dai vincitori.
Questi sono tutti mali, è vero.
Ed è un’offesa nei confronti della Verità fattaSi Uomo ostinarsi a non vederli.
E una Fede operosa ed amante, ci spinge a chiederGli la liberazione da ognuno di questi mali, oltre che impegnarci personalmente, secondo le nostre possibilità, perché essi siano rimossi.
Ma sono comunque mali minori, rispetto al peccato individuale che ognuno di noi compie almeno sette volte al giorno.
E che è l’unica cosa verso la quale è lecito provare odio.
Posto che anche il diavolo: va rispettato e tenuto a distanza. E non odiato.
Perché di odio si nutre.
Gesù quindi non è “cattivo”, in quanto prigioniero del peccato.
Visto che in tutto è simile a noi fuorché nel peccato.
E tanto meno è “cattivo” nel senso di possedere un cuore tenebroso e spiritualmente inclinato al male, com’è il caso dei figli della perdizione, che si sono scelti per padre il diavolo.
Già prima di nascere.
Gesù, in quanto Dio, E’ Buono.
In Lui non esiste tenebra e non esiste alcun male. Quindi, non esiste in Lui alcuna cattiveria.
Và a chiedere il perdono sacramentale per la bestemmia che hai pronunciato, in pubblico peraltro, nei Suoi confronti.
Vangelo di Matteo 18,1-5.10.12-14
1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?» 2 Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro 3 e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. 5 E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. 10 Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
12 Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? 13 In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Egopuzzle
L’uomo, già da bambino, sotto la pressione dell’addestramento terreno, è costretto, prima o dopo, ad abbandonare il proprio io bambino creato da Dio, a sua immagine e somiglianza. È costretto a rinnegare la sua vera essenza spirituale e intellettuale, creata da Dio, a zittire l’io bambino intelligentissimo, percettivo, amante, felice, potente, il proprio io divino, il vero sé, perché lo ritiene sbagliato e fonte di sofferenza. Rinnegando la propria identità spirituale, per istigazione del Maligno, l’uomo inizia a usare le capacità intellettuali del sistema associativo della mente per inventarsi una nuova personalità, una nuova identità perfettamente inesistente e irreale, che decide di accettare mentalmente come vera e reale per sopravvivere nel sistema dell’addestramento del mondo in cui si trova immerso. L’ego che il bambino inizia a costruire dentro la propria mente si edifica completamente secondo le regole, i princìpi, le aspettative, le attese, le indicazioni, le pressioni, gli obblighi, le costrizioni che vengono dagli altri. L’ego, che il bambino costruisce nella propria mente, è in realtà la costruzione di un puzzle composto da innumerevoli pezzi, raccolti pazientemente e disperatamente dagli ego degli altri per imitazione o per opposizione. Ego degli altri che il bambino deve incontrare a tappe forzate, con nomi e tipi di relazioni diverse. Il primo riferimento che il bambino incontra per costruire il proprio ego, i primi pezzi di puzzle che trova, è raccogliendo attese, subendo imposizioni dall’ego di coloro che il sistema denomina genitori. Poi c’è l’ego dei fratelli di sangue, dei parenti, degli amici, dei nemici, degli insegnanti, degli educatori, dei colleghi di lavoro, dei superiori, poi dei rappresentanti delle religioni, della politica, dell’economia, della moda, dello spettacolo, dello sport, fino all’ego del compagno e della compagna, del marito e della moglie, per arrivare a quello dei figli. L’ego è frutto di un lavoro mentale certosino, instancabile, meticoloso, un lavoro che non produce nulla di reale, ma unicamente un’immagine, una distorta rappresentazione di se stessi a immagine e somiglianza degli altri. I grandi guai per l’uomo arrivano quando, dopo aver trascorso gran parte della sua adolescenza a mettere insieme i pezzi del proprio egopuzzle, a un certo punto, per rispondere alla pressione di doveri, impegni, scadenze, attese degli altri, la sua mente, i suoi sogni e desideri si identificano con il suo ego. Quando l’uomo identifica la propria mente con l’ego, iniziano per lui la solitudine, la sofferenza, la paura, la guerra. L’ego, che la mente ha costruito, è una proiezione, un ologramma psichico, è il nulla, è uguale a zero, e l’ego stesso sa perfettamente di essere un nulla, di non esistere, di essere uguale a zero, per questo, anche se utilizzato dall’uomo per organizzare, progettare, pensare, scegliere, decidere ogni cosa della vita, si sente debole, sempre minacciato, continuamente provocato, ed è sempre sulla difensiva. L’ego vuole sempre avere ragione, avere torto per l’ego corrisponde a sparire, morire. L’ego passa la sua inesistente vita a difendere con i denti le proprie ragioni e l’immagine di sé, un sé che non c’è, che non esiste. Per questo motivo, quando l’uomo identifica la propria mente con il proprio ego, da una parte si cristallizza nelle ragioni del proprio ego, e diventa impossibile per quell’uomo qualsiasi tipo di dialogo e collaborazione efficace con gli altri, e, dall’altra, identificandosi con uno zero, con il nulla, l’uomo vive immerso in una grande, persistente, inspiegabile sfiducia in se stesso, bloccato in tutto da una cattiva sensazione di sé, incapace di riconoscere, apprezzare, esprimere le proprie capacità e ricchezze. Quando l’uomo, il figlio di Dio, l’essere meraviglioso e intelligente, capace di amore e gioia che Dio ha creato, identifica la propria mente con l’ego e si sente una nullità, un essere sbagliato, non bello, inadeguato, per quell’uomo inizia la guerra. Quale guerra? La guerra totale per non continuare a sentirsi uno zero, un nulla, una nullità per tutta la vita. L’inizio della guerra, l’ego la compie con incessanti azioni mentali associative dedite al confronto e al paragone con tutto e con tutti, che sfociano nell’atteggiamento mentale della comparazione, dell’imitazione, dell’emulazione, della competizione. Comparazione, imitazione, emulazione, competizione si combattono con le armi della gara, del concorso, della rivalità, della concorrenza, che poi si trasformano necessariamente in agonismo, lotta, rivalità, sfida. Ogni forma di competizione e rivalità genera poi, per sua natura, questioni, contese, controversie, discussioni, contrasti, polemiche, liti, dispute, che a loro volta alimentano pettegolezzo, calunnia, malignità, maldicenza, indiscrezione, diffamazione. Quando la guerra scende sul campo della rivalità e della calunnia, è pronta a usare le armi mortali della provocazione, della minaccia, dell’intimazione, dell’intimidazione, che esplodono matematicamente in opposizione, nella separazione, nel conflitto, nella distruzione e nella morte. Questo è lo scopo dell’egopuzzle, portare l’uomo in guerra.
Ecco in quale stato egomentale sono i discepoli quando si avvicinano a Gesù per chiedere: Chi dunque è più grande nel regno dei cieli? Nello stato egomentale del confronto, della comparazione, nello stato egomentale dell’inizio della guerra dell’ego. E Gesù come risponde? Cosa propone Gesù ai discepoli in alternativa allo stato egomentale della guerra? Cosa propone Gesù ai discepoli per abbattere la costruzione dell’ego e ritornare alla verità di se stessi, per vivere l’io divino che Dio ha donato all’uomo, per ritornare all’essenza spirituale e intellettuale, immagine e somiglianza di Dio? Gesù dice letteralmente: Amen dico a voi se non vi convertite [greco: strèfo] e diventate-nascete come i fanciulli, non affatto entrerete-metterete piede nel-verso il regno dei cieli. Il verbo strèfo, “volgo, rovescio, capovolgo, sconvolgo” – etimologicamente questo verbo è legato al concetto di torsione, di girare tutto intorno o invertire, convertire, ruotare, ribaltare, sconvolgere, mettere a testa in giù – può significare più estesamente anche “volgo e capovolgo nella mente, capovolgo il pensare, il considerare”. La radice di questo verbo è l’accadico turbu’u, “turbine”. Quando strèfo si riferisce al movimento puramente fisico, indica una rotazione corporea fino a dare le spalle alla situazione a cui si è di fronte, indica il volgersi all’opposto. Il testo aramaico del vangelo, in questo versetto usa il verbo hfàkh, “girare, girarsi, volgersi indietro; ritornare, rendere, restituire, convertirsi; tornare a casa; ritornare; essere cambiato, trasformato; girare, cambiare, rovesciare restituire; girarsi verso; ruotare il proprio corpo”. Gesù in pratica, per destituire l’egopuzzle e uscire dalla guerra, propone ai suoi discepoli: capovolgete e rinascete. Invita i suoi a capovolgere la mente, a capovolgere i dialoghi interiori, a mettere completamente a testa in giù l’ego e le sue finte costruzioni e rinascere nuovamente, abbracciando con amore, fiducia e gratitudine l’io bambino creato da Dio. L’io bambino creato da Dio, in cui l’uomo può ascoltare la voce dello Spirito Paraclito e della vita. L’io bambino creato da Dio, che è il vero e meraviglioso io divino creato a immagine e somiglianza di Dio, l’essenza intellettuale e spirituale dell’uomo. L’io bambino creato da Dio intelligente, amante, libero, che Dio ha posto nel cuore di ogni suo figlio. L’io bambino creato da Dio, così straordinariamente prezioso che Gesù afferma: Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Non avrei voluto pubblicare questo articolo nemmeno sotto tortura. Ma mi corre l’obbligo, non tanto per coloro che hanno già abbandonato Mammona, uscendo dallo stato di Tiepidezza, per essere di Dio e per lavorare a Tempo Pieno alla costruzione del Regno; ma per coloro che effettivamente adottano ogni pratica di assiduità religiosa pur di rimanere ancorati al mondo, trovandosi giustificati di fronte al mondo e di fronte a Dio, non essendo nè Caldi e nè Freddi, ma appunto: Tiepidi. Ho letto e riletto l’articolo di Don Curzio e misurando ciò con la mia pratica quotidiana e su quanto ciò edifichi in me che ho già effettuato scelte drastiche il desiderio più puro di castità e santità, sò che nulla al mondo mi farebbe tornare indietro dopo aver toccato e preso in mano l’aratro. Ma se la pratica quotidiana della Comunione, dando Questa per buona senza entrare nel merito del Sacerdote e del suo percorso di ordinazione sacramentale, non serve e non aiuta a risolvere il problema del Modernismo e del Sacrilegio a cui ci lega la frequentazione di tutto ciò che è ostile a Dio; ebbene, ecco una ragione valida per parlarne in questo capitolo sul Trattato circa la Vera Conversione e farci tutti un serio e approfondito esame di coscienza. Da ieri personalmente ho cominciato anche a togliere i sandali in chiesa per essere ancora più piccolo di fronte a Dio. Senza contare che ho ripreso a praticare la Devozione del Primo Vederdì (9) e del Primo Sabato (5) di ogni mese. (che comporta Confessione, Recita del Rosario, Meditazione e se possibile impegno a divulgare la pratrica)
Comunione quotidiana e non: via al “sacrilegio quotidiano”
Posted on 07/08/2013 by Segreteria_Web_di_don_Curzio
Come il modernismo si oppone diametralmente alla enciclica Pascendi (8 settembre 1907) di San Pio X, così la Comunione quotidiana quale oggi è per lo più praticata e fatta praticare si oppone e stravolge il significato del decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 di papa Sarto.
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Un triste fenomeno
Già nel 1971 padre Tito Sante Centi (†2011) nel Commento a La Somma Teologica (III, qq. 73-83, L’Eucarestia) di San Tommaso d’Aquino, a cura dei Domenicani italiani, (vol. XXVIII, Firenze, Salani, 1971, pp. 24-31) scriveva: «molti sono gli argomenti particolari che si possono oggi considerare di attualità a proposito dell’Eucarestia, dati gli sviluppi della pratica sacramentaria in seguito al Concilio Vaticano II. Ma ci sembra che nessuno meriti maggiore attenzione della frequenza con la quale oggi essa si riceve. Non che sia deprecabile di per sé un fenomeno di massa nella pratica sacramentaria quotidiana: quello che c’è di deprecabile e d’inquietante deriva dal modo in cui codesto fenomeno si produce. […] A prescindere da certi eccessi [Comunione sacrilega in stato di peccato grave, ndr], sarà pur sempre doveroso riesaminare un problema che oggi lascia perplessi di fronte al decadimento morale di tanti cristiani praticanti. Tante comunioni perché non costituiscono un freno all’ immoralità dilagante? Questa situazione non è una squalifica per il Decreto Sacra Tridentina Synodus, emanato il 20 dicembre 1905, sotto il pontificato di S. Pio X? No! Non vogliamo scandalizzare nessuno tornando su un argomento ormai ben definito dalla Suprema Autorità. Noi accettiamo in pieno le disposizioni da questa emanate [1905, ndr]; ma, essendo costretti a toccar con mano una triste condizione di cose [1971, ndr], vogliamo ricercarne la causa. Così vedremo che la responsabilità di certi abusi non ricade affatto sul Decreto di S. Pio X, ma su coloro che non lo applicano integralmente. Ci pare si sia peccato di faciloneria. Infatti è troppo sbrigativo il giudizio di quei molti, i quali pensano che dopo la pubblicazione del Decreto ricordato si possa consigliare la Comunione quotidiana in massa e a chiunque, purché sia escluso lo stato di peccato mortale. […]. Il Decreto Sacra Tridentina Synodus non vuol portare delle novità nella Chiesa […]. Si fissano due criteri chiari e inequivocabili: lo stato di grazia e la retta intenzione. Non risulta invece che il Papa intendesse dispensare da ogni cautela. Dobbiamo purtroppo lamentare che alcuni non abbiano penetrato affatto lo spirito del Documento pontificio. […]. Perciò sarà bene far notare che la partecipazione quotidiana dei primi cristiani alla ‘fractio panis’ era intimamente connessa con una vita di intensa pietà e di grande fervore. Non risulta che San Pio X abbia voluto dispensare da una tale coerenza coloro che intendono accostarsi ogni giorno alla santa Comunione. […]. Il Decreto non intende escludere la necessaria cooperazione con la grazia; poiché, anche senza giungere al sacrilegio, noi abbiamo sempre la triste possibilità di ridurre quasi a nulla l’efficacia della stessa Comunione quotidiana. E il Decreto di San Pio X ce lo lascia intendere chiaramente quando raccomanda la necessaria preparazione e il non meno indispensabile ringraziamento (n. IV). […]. La cautela più importante, consigliata anche per esercizio di umiltà, è senza dubbio la raccomandazione di sottoporre il proprio desiderio di praticare la Comunione quotidiana al giudizio del confessore. Ed ecco in proposito le parole del Decreto: “Perché la Comunione frequente e quotidiana si faccia con maggior prudenza e con maggior merito, occorre il consiglio del confessore (n. V)”. […].
Non sono, quindi, giustificate affatto dal Decreto di San Pio X le Comunioni quotidiane di massa senza che il confessore sia individualmente interpellato. Santa Caterina da Siena se la prende fortemente con “alcuni religiosi che si son presi la consuetudine di andare alla mensa del Signore senza buona disposizione, come si va alla mensa del corpo” (Dial., cap. 25). Naturalmente il santo Pontefice Pio X non intendeva di passar sopra a queste lamentele dei Santi, […]; e così non dovrebbero passarci sopra i confessori e i predicatori nel consigliare la pratica della Comunione quotidiana. […]. A norma del Decreto di san Pio X occorre accostarsi alla Comunione con le dovute disposizioni e così si finirà col liberarsi gradualmente dalle proprie miserie. Posto il sincero proponimento dell’animo (quello di essere staccati dal peccato veniale di proposito deliberato), “chi si comunica ogni dì, si libererà poco a poco anche dai peccati veniali e dal loro affetto” (n. III). Ora quando siamo costretti a constatare, dopo una serie di Comunioni quotidiane, che i peccati veniali non tendono affatto a scomparire, e che l’anima si è adagiata volontariamente nella sua mediocrità senza impegnarsi nella via della perfezione, bisognerà logicamente concludere che non esistono più per lei le disposizioni richieste per la Comunione frequente […]. Infatti il cristiano che conserva affetto alla colpa veniale di proposito deliberato si prepara a cadere mortalmente (S. Th., I-II, q. 88, a. 3). […]. Ma per l’attaccamento al peccato veniale il fervore non ha luogo e le cattive tendenze rimangono in tutto il loro vigore (S. Th., III, q. 79, a. 6, ad 3). C’è allora da meravigliarsi che un’anima così dissipata cada miseramente in peccato grave, nonostante la Comunione quotidiana? […]. Attenzione alla partecipazione quotidiana all’Eucarestia, divenuta nient’altro che un’ abitudine. Questo esame di coscienza noi lo crediamo doveroso, non solo per trovarci in regola con la dottrina di San Tommaso, ma con lo stesso Decreto del 1905, il quale pone l’abitudine tra i vizi fondamentali della retta intenzione, che è indispensabile per la Comunione frequente fruttuosa».
Questo deplorava nel 1971 il padre Centi. Che cosa scriverebbe oggi che ci si può comunicare de jure anche due volte al dì, in piedi, ricevendo l’Ostia consacrata sulle mani, da ministri straordinari (sia Diaconi uxorati, sia laici uomini o donne), senza velo, dopo una sola ora di digiuno eucaristico? oggi che la Comunione si riceve, de facto, gravemente malvestiti, senza confessarsi, senza digiuno eucaristico neppure di un’ora soltanto, senza alcuna preparazione o ringraziamento personale data la natura eminentemente o esclusivamente comunitaria del Novus Ordo Missae? Questa è la strada che porta al “sacrilegio quotidiano” e non alla santificazione progressiva, giorno dopo giorno.
Il Decreto di San Pio X e la dottrina costante della Chiesa
Nel Decreto Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905 (DS 3375-3383) la Sacra Congregazione del Concilio su ordine di San Pio X insegna che è cosa utile comunicare quotidianamente, non per consuetudine o abitudine, per orgoglio, vanità o golosità spirituale, ma per soddisfare al desiderio di Gesù, per essere sempre più uniti a Lui e per guarire dai nostri difetti.
Il Giansenismo e l’ illanguidimento del fervore dei cristiani hanno reso difficile tale pratica. Altri, i Modernisti, non meno erroneamente dei Giansenisti, hanno sostenuto (e sostengono anche oggi) che la Comunione quotidiana è obbligatoria. La Chiesa ha insegnato costantemente che tutti possono (e non che debbono) essere ammessi alla Comunione quotidiana secondo l’intensità del loro fervore e il consiglio del confessore affinché essa sia fruttuosa. Le condizioni per accostarsi con frequenza alla Comunione sono: l’obbligo dello stato di grazia sotto pena di sacrilegio e il consiglio di essere distaccati dal peccato veniale. Perciò la Comunione deve essere preceduta da una preparazione diligente e seguìta da un ringraziamento conveniente. È necessario il parere del confessore, il quale, tuttavia, non può impedire la Comunione frequente a chi è in stato di grazia ed è animato da retta intenzione, ossia dall’ intensità del fervore spirituale.
Come si vede, siamo agli antipodi dei due errori opposti: 1°) l’errore per difetto, il lassismo neomodernista, che consiglia la Comunione quotidiana a tutti, anche se non hanno la retta intenzione o l’intensità crescente della vita spirituale; 2°) l’errore per eccesso, il rigorismo giansenista, che richiede l’Amor puro o disinteressato senza la Speranza del Paradiso ritenuta erroneamente cattiva in sé; errore che è stato condannato da papa Alessandro VIII il 24 agosto 1690 con il Decreto del s. Ufficio sugli Errori dei Giansenisti (DS 2323). Inoltre per i Giansenisti i Sacramenti esigono in chi li riceve una perfezione estrema, assoluta ed in atto, e non il tendere ad una perfezione relativa allo stato della natura umana, come insegna la Chiesa. Il Giansenismo si richiama soprattutto alla violenza della grazia, che invincibilmente forza la “libertà” apparente, ma non più reale, dell’uomo, il cui libero arbitrio è stato distrutto e non solo ferito dal peccato originale ed al quale non resta in sé che la possibilità di peccare se non interviene la grazia efficace ed irresistibile de jure e de facto, la quale prende il posto della volontà oramai non più libera dell’uomo; da qui il rigorismo nell’ammettere i fedeli anche in stato di grazia e provvisti di buone disposizioni ai Sacramenti. Invece per comunicare occorre necessariamente, secondo la dottrina cattolica, lo stato di grazia onde non commettere un peccato mortale di sacrilegio, ma per comunicare frequentemente e fruttuosamente è bene avere il fervore (cioè essere distaccati dal peccato veniale e dalle imperfezioni di proposito deliberato) ed il placet del confessore.
L’insigne teologo gesuita, cardinal Juan de Lugo (†1660), scrive che occorre insegnare ai fedeli la pratica della Comunione spirituale, la quale è utilissima e “può accadere che l’anima ricavi, per la intensità dei suoi desideri, maggior grazia dalla Comunione spirituale fervente che dalla stessa Comunione sacramentale non fervorosa” (Disputationes scholasticae de Sacramentis in genere, de venerabili Eucharistiae Sacramento et de sacratissimo Missae sacrificio, Lione, 1636).
Nella Comunione riceviamo Gesù, il quale ci assimila sempre più a Sé a seconda delle nostre disposizioni ognor più intense; altrimenti restiamo quel che eravamo. Il fine della Comunione frequente è l’ avanzamento nell’unione con Dio e senza maggior fervore ed intensità di vita spirituale non può sussistere avanzamento. Quindi è conveniente che la Comunione frequente sia sottomessa al giudizio del confessore, il quale conosce le nostre disposizioni e sa se esse ci rendano capaci di ricevere fruttuosamente Gesù, oppure infruttuosamente, anche se non sacrilegamente, qualora manchi la maggiore intensità spirituale, la quale mancanza oppone resistenza ossia pone un ostacolo alla maggiore assimilazione e somiglianza con Gesù. “Vivere sempre più la vita divina […], pentirci ed umiliarci per i nostri peccati veniali, difetti, imperfezioni” sono condizioni necessarie per fare una fruttuosa Comunione frequente (padre C. T. Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Alba, Paoline, IV ed., 1963, p. 528 e 532). Per farci capire quanto sia necessario essere ben disposti con intensità spirituale sempre crescente padre Dragone fa questo esempio: “un gentiluomo aveva una casa che per lungo tempo era stata adibita a stalla per animali. La casa era bellissima. Il re volle andare a vederla. Il gentiluomo si limitò a farla scopare dalle immondizie [peccato mortale], ma lasciò le pareti maleodoranti [peccati veniali e imperfezioni volontarie]. Il re non gradì tale dimora. Tale è la condotta di chi non si prepara con fervore a far bene la Comunione” (cit., p. 529).
Il ‘Codice di Diritto Canonico’ del 1917 (canone 1262 § 2) rifacendosi alla divina Rivelazione (1 Cor., XI, 5) insegna che “nei Luoghi sacri, nell’assistere alla sacre Funzioni o nell’accostarsi ai Sacramenti, è richiesto il velo ed un vestito non solo non provocante come in ogni altra circostanza anche fuori della chiesa, ma positivamente un vestito modesto in rapporto con la riverenza dovuta a questi luoghi e funzioni” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di teologia Morale, Roma, Studium, ed. IV, 1968, II vol., p. 1760, voce “Vestito”).
Comunicare senza velo non è cosa di poca importanza. Infatti è contrario alla Tradizione divina o divino-apostolica cui allude San Paolo: “Mantenete le Tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio che sappiate che Cristo è il Capo di ogni uomo, invece capo della donna è l’uomo, e Capo di Cristo è Dio. Ogni donna che prega […] a capo scoperto disonora il proprio capo, come se fosse rasata. Infatti, se una donna non vuol mettersi il velo, si faccia rasare! Ma, se è vergognoso per una donna farsi tagliare tutti i capelli, si metta il velo!” (1 Cor., XI, 2-6).
Le Tradizioni di cui scrive l’Apostolo sono «un complesso di Verità dogmatiche e morali, o di Prescrizioni liturgiche, o di costumi, affidato come un Deposito e perciò da trasmettersi fedelmente, senza aggiungervi o togliervi alcunché, appunto perché esso deriva dal Signore stesso (1 Cor., XI, 23) o dagli Apostoli (1 Cor., XV, 3). Ora, ciò che capita a Corinto riguardo al comportamento delle donne nelle assemblee religiose non è per nulla conforme a quanto San Paolo ha “trasmesso”. Difatti quando le donne pregano dovrebbero portare il velo sulla testa per affermare la loro dipendenza dall’uomo (v. 3). […]. Più che per una ragione di modestia […], l’Apostolo vuole che si mantenga quest’uso per affermare l’ordine gerarchico stabilito da Dio stesso nella creazione (vv. 3, 8-9). […]. San Paolo ricorda che la gerarchia nella Chiesa è voluta da Dio stesso. Da Lui infatti dipende Cristo in quanto Verbo incarnato; da Cristo l’uomo; dall’uomo la donna. […]. Si noti come nei versi 4 e 5 la parola “capo” è presa nel duplice senso, materiale di “testa” e morale di “superiore”. […]. Per la donna, infatti, essendo la natura stessa a darle un velo nella folta capigliatura (vv. 14-15), il fatto di non voler portare il velo a scopo religioso verrebbe a significare che intende rinunciare anche a quello naturale, la capigliatura; ed allora, prosegue ironicamente l’Apostolo, tanto vale che si faccia “rasare” la testa» (Settimio Cipriani, Le Lettere di San Paolo. Commento, Assisi, Cittadella, V ed., 1965, pp. 186-187, nota n. 11).
San Tommaso d’Aquino
“Il decreto Sacra Tridentina Synodus – scrive padre Centi – non vuol portare delle novità nella Chiesa”, ma solo ribadire la dottrina costante. Ed è facile riscontrarlo.
Il Dottore Comune della Chiesa insegna – soprattutto ma non solo nella Somma Teologica (III, qq. 73-83, De Eucharestia) – che la Comunione quotidiana “è il pane quotidiano. Ricevilo ogni giorno, affinché ogni giorno ti giovi. Vivi così da meritare di riceverlo ogni giorno” (come scrive S. Agostino, De Verbis Domini, Sermo 84). Poi l’Angelico commenta: “da parte del Sacramento occorre considerare che Esso è virtù salutare per gli uomini e sotto questo aspetto è utile riceverlo quotidianamente. […]. Invece da parte dell’uomo che lo riceve bisogna considerare che egli è obbligato a riceverlo con grande devozione e riverenza. […]. Tuttavia, poiché spesso in un gran numero di persone molti ostacoli impediscono la necessaria devozione […], non sarebbe utile a tutti accostarsi ogni giorno a questo Sacramento, ma è utile che ciascuno vi si accosti tutte le volte che si sente preparato a riceverlo ” (S. Th., III, q. 80, a. 10).
Nella risposta alla 3a obiezione S. Tommaso spiega cos’è la dovuta preparazione per ricevere fruttuosamente l’Eucarestia: “la riverenza verso l’Eucarestia è un timore temperato dall’amore, che si chiama timor filiale o perfetto” (v. S. Th., II-II, q. 67, a. 4, ad 2): l’amore verso Dio porta al desiderio fervente di ricevere la Comunione e il timore ci mantiene nell’umiltà del rispetto verso di essa. Tuttavia l’amore e la fiducia sono da preferirsi al puro timore” (ad 3um). Inoltre nell’ad 4um l’ Angelico specifica: “nella Chiesa primitiva o apostolica, quando vi era un gran fervore di Fede, i fedeli comunicavano quotidianamente […], in seguito invece, essendo diminuito il fervore, papa San Fabiano (†250) concesse che tutti comunicassero, se non più di frequente, almeno tre volte l’anno: a Pasqua, a Pentecoste e a Natale. Successivamente, per il raffreddamento della Carità in molti, papa Innocenzo III (†1216) stabilì come precetto che i fedeli si comunicassero almeno una volta l’anno, cioè a Pasqua. Tuttavia nel libro ‘De ecclesiasticis Dogmatibus’ consiglia di comunicarsi tutte le domeniche [a coloro che sono ben preparati]”. L’Aquinate specifica e precisa: “nel momento di ricevere la Comunione si richiede la massima devozione perché allora si ottiene l’effetto del Sacramento” (S. Th., III, q. 80, a. 8, ad 6um).
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange: “tante Comunioni, ma pochi veri comunicanti”
Padre Garrigou-Lagrange (†1964) nel suo ottimo libro di Teologia ascetica e mistica Les trois âges de la vie intérieure, Parigi 1938-1939 (tr. it. Le tre età della vita interiore, Roma-Monopoli, Vivere in, 1984) scrive: «quanto alle condizioni richieste per una buona, e poi una fervorosa Comunione […] indicate nel Decreto del 20 dicembre 1905 col quale S. Pio X esortava i fedeli alla Comunione frequente, occorre ricordare che i Sacramenti, pur operando ex opere operato, producono tuttavia un effetto maggiore in proporzione delle disposizioni più perfette di coloro che li ricevono. Dunque dobbiamo far precedere alla Comunione una buona preparazione e, dopo averla ricevuta, fare un conveniente ringraziamento. […]. Una Comunione molto fervorosa è dunque per sé sola assai più vantaggiosa di molte Comunioni tiepide. […]. Il distacco dal peccato veniale e dalle imperfezioni volontarie o atti meno perfetti di ciò che potrebbero essere è la parte negativa delle disposizioni per ricevere fruttuosamente la Comunione. Quanto alle disposizioni positive alla Comunione frequente […] ricordiamoci che ogni nostra Comunione dovrebbe essere sostanzialmente e qualitativamente più intensa e fervorosa della precedente. […]. Ma oggigiorno, purtroppo, quasi tutti prendono cattive abitudini con la massima disinvoltura senza riguardo nemmeno all’Eucarestia. Se le cose continuano in questo modo, vi saranno tante Comunioni ma pochi veri comunicanti. […]. La casistica tende a prevalere sulla spiritualità e la quantità delle Comunioni sul fervore e sulla qualità di esse» (vol. II, La purificazione dell’anima dei principianti, cap. 15, La santa Comunione, pp. 179-195).
Padre Antonio Royo Marìn
Un terzo famosissimo teologo domenicano spagnolo morto qualche anno fa e specializzato in spiritualità, Royo Marìn, ha scritto un ottimo manuale di Teologia ascetica e mistica: Teologia de la perfecciòn cristiana (Madrid, BAC, 1958), che è stato tradotto in italiano dalle Edizioni Paoline nel 1960 (Teologia della perfezione cristiana, Roma) ed ha avuto sei edizioni sino al 1965 e attualmente una ristampa anastatica. Il padre domenicano scrive in esso: «San Pio X con il Decreto del 1905 richiede due condizioni per la Comunione frequente: lo stato di grazia e la retta intenzione, ossia che non si faccia la Comunione per abitudine, ma per piacere a Dio. Inoltre è molto conveniente essere libero da peccati veniali, ma non assolutamente necessario. Inoltre si raccomanda la diligente preparazione e il ringraziamento. A nessuno che abbia queste disposizioni si può negare la Comunione. […]. È evidente, tuttavia, che le persone le quali vogliono progredire seriamente nella perfezione cristiana devono procurare d’intensificare queste disposizioni. La loro preparazione remota deve consistere nel condurre una vita degna di chi ha fatto la Comunione e si comunicherà il dì seguente. Occorre insistere principalmente nel sopprimere ogni attaccamento al peccato veniale, soprattutto deliberato, e nel combattere la tiepidezza; questo suppone una perfetta abnegazione di se stessi e la tendenza a praticare quel che è più perfetto. […]. Inoltre occorre avere fame e sete della Comunione, ossia il suo desiderio ardente. Infatti questa è la condizione che riguarda direttamente la fruttuosità e l’efficacia santificatrice della Comunione frequente. La quantità di acqua che si attinge alla fontana dipende sempre dalla capienza del recipiente. Ognuna delle nostre Comunioni dovrebbe essere più fervente delle precedenti, essendo noi disposti a ricevere il Signore nel giorno seguente con un amore più intenso di quello del giorno precedente. Si legga S. Tommaso In Epist. ad Hebr., I, 25: “l’anima deve avanzare con un moto uniformemente accelerato, simile al movimento di una pietra che cade con maggior velocità (“motus in fine velocior”) a misura che si avvicina al suolo”» (Teologia della perfezione cristiana, cit., pp.542-547).
L’aumento della grazia tramite atti più intensi
I princìpi su esposti dai tre teologi domenicani non sono loro opinioni personali e “singolari”, ma fanno parte della dottrina dell’ aumento della grazia santificante mediante atti sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6). Questa dottrina deriva dal puro buon senso, dalla retta ragione e dalla metafisica dell’essere applicati alla spiritualità. Infatti, per fare un esempio, se il termometro che abbiamo in casa segna 25° per giungere a 26° bisogna che l’ambiente e l’aria che lo circondano si surriscaldino di un grado; se invece non si produce alcun aumento di calore nell’ ambiente, il termometro resterà a 25°. Come pure per piantare un chiodo in un muro più profondamente, debbo dare una martellata più forte della precedente. Così la grazia penetra sempre di più nell’anima mediante atti ognora più intensi. Perciò la tiepidezza, il rilassamento, l’ attaccamento al peccato veniale di proposito deliberato o all’imperfezione volontaria (che è un atto di carità buono in sé, ma meno intenso o “remissus” del precedente e di quel che avrebbe dovuto e potuto essere) non favoriscono l’ aumento nell’anima del grado di grazia (S. Th., II-II, q. 24, a. 6; Domingo Bañez, In IIam IIae Sancti Thomae, q. 24, a. 6). Ma “non avanzare nella vita spirituale significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi è necessario porre atti soprannaturalmente buoni sempre più intensi se vogliamo santificarci.
Che la crescita della grazia consista in un maggior radicamento di essa nell’anima risulta dalla natura stessa della grazia santificante, delle Virtù infuse e dei sette Doni dello Spirito Santo: poiché sono “accidenti qualità” soprannaturali, che ineriscono alla sostanza dell’anima, possono crescere solo in intensità e non per aggiunta quantitativa (S. Th., I-II, q. 52, a. 2; II-II, q. 24, a. 5). Per fare un esempio si prenda l’accidente “qualità” naturale caldo o freddo. Ebbene, perché la sostanza acqua diventi più calda o più fredda, bisogna che la temperatura (caldo/freddo) aumenti o diminuisca d’intensità. Se aggiungo ad un litro di acqua a 20° un litro di acqua a 20° la somma mi darà due litri di acqua, ma sempre a 20°. Invece se abbasso la temperatura del frigorifero di 5° allora l’acqua scenderà a 15°, pur restando un solo litro.
Gli ostacoli ai buoni frutti della Comunione frequente
1) La tiepidezza
La tiepidezza è un vizio spirituale che assale coloro i quali hanno ben iniziato la vita spirituale cristiana, ma poi sono colti dalla rilassatezza. La tiepidezza, infatti, consiste in una specie di rilassamento spirituale, che indebolisce la buona volontà di tendere a Dio sempre più perfettamente come uno scalatore che va in montagna con la buona volontà affettiva ed effettiva di fare un passo dopo l’altro e giungere alla vetta senza fermarsi alle prime difficoltà. Anzi, dopo aver sciolto i muscoli delle gambe ed avere ottenuto una respirazione ed un battito cardiaco regolare sotto lo sforzo della dura salita, egli cercherà di aumentare gradatamente il suo ritmo. Se invece si abbatte, si stanca e si ferma o non avanza sempre più, non giungerà alla vetta poiché è caduto nel rilassamento fisico.
L’abitudine nelle pratiche religiose può portare al rilassamento spirituale, poiché allora esse sono fatte senza fervore e intensità ognor crescente. La Comunione frequente fatta senza maggior intensità porta alla tiepidezza e ad una certa anemia spirituale, che può precedere una probabile leucemia ed è “ancora più pericolosa di un peccato mortale isolato” (A. Tanquerey, cit., p. 779). Come è rivelato anche in San Giovanni: “Siccome non sei né caldo né freddo [ossia tiepido], ti vomiterò dalla mia bocca; sarebbe stato meglio se tu fossi stato freddo [ossia in peccato, ma pentito]” (Apoc., III, 16). La tiepidezza, consistendo in una volontaria mancanza di fervore sempre più intenso, arresta l’avanzamento spirituale. Ma nella vita spirituale “non progredire significa regredire” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi le anime tiepide, che svolgono le pratiche religiose svogliatamente e per abitudine, è bene che non si accostino alla Comunione quotidiana, la quale sarebbe per loro infruttuosa anche se non sacrilega.
2) Attaccamento al peccato veniale deliberato
La pericolosità del peccato veniale di proposito deliberato consiste nel fatto che esso è un male morale e spirituale non direttamente contro Dio e la Religione, ma è pur sempre una deviazione dal Fine ultimo (S. Th., I-II, q. 72, a. 5), una vera offesa a Dio, una disobbedienza volontaria, anche se in materia leggera, alla sua Legge. Il peccato veniale consiste nel preferire i propri gusti alla Volontà divina; è veniale poiché non perdiamo la vita soprannaturale dell’anima come nel peccato mortale. “Quando i peccati veniali sono frutto non di fragilità, ma di piena avvertenza e di deliberato consenso, rappresentano un grave impedimento all’avanzamento dell’anima verso il Fine ultimo. […]. Il peccato veniale deliberato rappresenta una rinuncia a tendere alla santità” (A. Royo Marìn, cit., pp. 362-368).
3) Attaccamento alle imperfezioni abituali
L’imperfezione non è un atto moralmente cattivo, è un atto buono, ma “remissus” cioè che avrebbe potuto e dovuto essere migliore o più intenso in fervore. Ciò che impedisce la vita cristiana seria è il far pace con le imperfezioni e ancor più l’abitudine di restare nell’imperfezione volontaria, ossia la rinuncia a progredire. Ora “in via Dei non progredi regredi est” (S. Agostino, Sermo 169, n. 18). Quindi l’ attaccamento all’imperfezione abituale è un impedimento alla Comunione frequente fruttuosa.
Secondo San Tommaso l’ imperfezione è l’esatto contrario della disposizione all’avanzamento nella triplice via dei principianti, dei progredienti e dei perfetti (via purgativa, illuminativa e unitiva) che conduce a Dio e consiste nel porre atti buoni sempre più intensi (S. Th., II-II, q. 24, a. 6 e 9).
L’Eucarestia fine di tutti i Sacramenti
I Padri ecclesiastici ci presentano l’Eucarestia come l’ultimo complemento dei Sacramenti e della vita cristiana (ps. Dionigi l’Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia, cap. III, par. 1, PG 3, 324). San Tommaso d’Aquino insegna che tutti i Sacramenti sono ordinati all’Eucarestia o Santissimo Sacramento come gli inizi al loro fine. Infatti il Battesimo e la Cresima danno e fortificano la vita soprannaturale, la Penitenza e l’Estrema Unzione la restituiscono dopo il peccato, l’Ordine Sacro e il Matrimonio la estendono socialmente agli altri (i Sacerdoti ai fedeli e i genitori ai figli), l’Eucarestia la porta alla perfezione e perciò è “consummatio vitae spiritualis” (S. Th., III, q. 73, a. 3).
L’Eucarestia aumenta, se ricevuta con fervore, la grazia abituale, ci assimila sempre più a Cristo, unisce sempre maggiormente le membra del Corpo Mistico tra di loro e porta i fedeli alla vetta della perfezione spirituale. Dopo l’Eucarestia non c’è che la gloria del Cielo o la Visione beatifica. Il Catechismo romano o del Concilio di Trento (n. 228) conferma la dottrina tomistica insegnando: “Eucharistia est omnium Sacramentorum finis”.
Cerchiamo quindi di far sempre meglio la Comunione in modo che Gesù ci “transustanzi” ossia ci renda simile a Lui ognor di più.
Nella Comunione riceviamo la SS. Trinità ed anche l’Umanità del Verbo Incarnato. Dopo la consumazione delle specie eucaristiche (circa 10 minuti dopo aver comunicato) cessa la presenza reale dell’Umanità di Cristo, ma resta realmente nella nostra anima la divina Trinità, tranne che non la cacciamo col peccato mortale. Perciò cerchiamo di convivere con la SS. Trinità che ci conosce e ci ama, come il Padre conosce il Figlio e il Figlio conosce il Padre e da tale mutua conoscenza spira lo Spirito Santo. Così noi dobbiamo cercare di conoscere ed amare sempre più e meglio il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo e di conversare con loro, “come un amico parla con l’amico” (S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali). Non siamo mai soli; l’essenziale è pensare al Signore che vive in noi se siamo in grazia di Dio, non smettere di amarlo e di colloquiare con Lui: “La maggior parte dei problemi degli uomini nascono dal fatto che non sanno restar tranquilli nella loro stanza a parlar con Dio” (B. Pascal, Pensieri).
Guardiamoci dall’abitudine di far la Comunione frequentemente senza il fervore richiesto perché renderemmo sterile la vita di Unione profonda con Dio per la quale Egli ci ha creati e redenti. “Assueta vilescunt”: le cose fate abitudinariamente divengono vili ai nostri occhi. La pura abitudine, senza il fervore nella vita, spirituale e nella Comunione frequente, svilisce la ricchezza della grazia sacramentale che l’ Eucarestia di per Sé ci dona al massimo grado, ma sempre a seconda delle nostre disposizioni.
Non dobbiamo far pace con i nostri peccati veniali e imperfezioni, anche se non potremo sradicarli totalmente. La perfezione cristiana non è assoluta – questa appartiene solo a Dio – ma è relativa alle capacità umane dopo il peccato originale, è un tendere con buona volontà effettiva ad essa.
Ricorriamo alla Madonna dopo esserci spogliati del nostro “io”, secondo la Schiavitù mariana insegnata da S. Luigi Maria Grignion de Montfort, perché Ella venga in noi e riceva con le sue purissime disposizioni Gesù eucaristico e cerchiamo di far precedere la Comunione dalla meditazione o orazione mentale, che è l’anima della vita spirituale.
Con la Comunione quotidiana ben fatta potremo riparare ed attirare la Misericordia di N. S. G. C. su di noi e sui nostri fratelli peccatori per aver fatto di Lui, che prima del Concilio era il “Grande Dimenticato”, il “Grande Profanato” del postconcilio.
Paschalis
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(Articolo pubblicato da “sì sì no no” nel numero di agosto 2013)
LA PRATICA DEI PRIMI VENERDI DEL MESE
Una volta il Signore, mostrandole il Cuore e lamentandosi delle ingratitudini degli uomini, le chiese che in riparazione si frequentasse la Santa Comunione, specialmente nel Primo Venerdì d’ogni mese.
Spirito di amore e di riparazione, ecco l’anima di questa Comunione mensile: di amore che cerca di contraccambiare l’ineffabile amore del Cuore divino verso di noi; di riparazione per le freddezze, le ingratitudini, il disprezzo con cui gli uomini ripagano tanto amore.
Moltissime anime abbracciano questa pratica della Santa Comunione nel Primo Venerdì del mese per il fatto che, tra le promesse che Gesù fece a S. Margherita Maria, vi è quella con la quale Egli assicurava la penitenza finale (cioè la salvezza dell’anima) a chi per nove mesi consecutivi, nel Primo Venerdì, si fosse unito a Lui nella Santa Comunione.
Ma non sarebbe molto meglio deciderci per la Santa Comunione nei Primi Venerdì di tutti i mesi della nostra esistenza?
Tutti sappiamo che, accanto a gruppi di anime ferventi che hanno compreso il tesoro nascosto nella Santa Comunione settimanale, e, meglio ancora, in quella quotidiana, vi è un numero sterminato di coloro che raramente durante l’anno o solo a Pasqua, si ricordano che vi è un Pane di vita, anche per le anime loro; senza tener conto di quanti neppure a Pasqua sentono il bisogno del nutrimento celeste.
La Santa Comunione mensile costituisce una buona frequenza alla partecipazione dei divini misteri. Il vantaggio e il gusto che da essa l’anima ritrae, forse indurranno dolcemente a diminuire la distanza tra un incontro e l’altro col Maestro divino, fino anche alla Comunione quotidiana, secondo il desiderio vivissimo del Signore e della Santa Chiesa.
Ma questo incontro mensile deve essere preceduto, accompagnato e seguito da tale sincerità di disposizioni che veramente l’anima ne esca ristorata.
Il segno più certo del frutto ricavato sarà la constatazione del miglioramento progressivo della nostra condotta, ossia della maggiore somiglianza del cuore nostro al Cuore di Gesù, attraverso l’osservanza fedele e amorosa dei dieci comandamenti.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv. 6,54)
LE PROMESSE DI NOSTRO SIGNORE PER I DEVOTI DEL SUO SACRO CUORE
Gesù benedetto, apparendo a S. Margherita Maria Alacoque e mostrandole il suo Cuore, splendente come il sole di fulgidissima luce, fece le seguenti promesse per i suoi devoti:
1. Io darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato
2. Metterò e conserverò la pace nelle loro famiglie
3. Li consolerò in tutte le loro pene
4. Sarò loro sicuro rifugio in vita e specialmente in punto di morte
5. Spanderò copiose benedizioni su di ogni loro impresa
6. I peccatori troveranno nel mio Cuore la sorgente e l’oceano infinito della misericordia
7. Le anime tiepide si infervoreranno
8. Le anime fervorose giungeranno in breve tempo a grande perfezione
9. La mia benedizione poserà anche sulle case dove sarà esposta ed onorata l’immagine del mio Cuore
10. Ai sacerdoti io darò la grazia di commuovere i cuori più induriti
11. Le persone che propagheranno questa devozione, avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non ne sarà cancellato mai.
12. A tutti quelli che, per nove mesi consecutivi, si comunicheranno al primo venerdì d’ogni mese, io prometto la grazia della perseveranza finale: essi non morranno in mia disgrazia, ma riceveranno i Santi Sacramenti (se necessari) ed il mio Cuore sarà loro sicuro asilo in quel momento estremo.
La dodicesima promessa è detta “grande”, perché rivela la divina misericordia del Sacro Cuore verso l’umanità.
Queste promesse fatte da Gesù sono state autenticate dall’autorità della Chiesa, in modo che ogni cristiano può credere con sicurezza alla fedeltà del Signore che vuole tutti salvi, anche i peccatori.
CONDIZIONI
Per rendersi degni della Grande Promessa è necessario:
1. Accostarsi alla Comunione. La Comunione va fatta bene, cioè in grazia di Dio; quindi, se si è in peccato mortale, bisogna premettere la confessione.
2. Per nove mesi consecutivi. Quindi chi avesse incominciato le Comunioni e poi per dimenticanza, malattia,ecc. ne avesse tralasciata anche una sola, deve incominciare da capo.
3. Ogni primo venerdì del mese. La pia pratica si può iniziare in qualsiasi mese dell’anno.
ALCUNI DUBBI
SE, DOPO FATTI I NOVE PRIMI VENERDÌ CON LE DEBITE DISPOSIZIONI, UNO CADESSE IN PECCATO MORTALE, E POI MORISSE ALL’IMPROVVISO, COME POTREBBE SALVARSI?
Gesù ha promesso, senza eccezione alcuna, la grazia della penitenza finale a tutti coloro che avranno fatto bene la Santa Comunione nel primo venerdì di ogni mese per nove mesi consecutivi; quindi si deve credere che, nell’eccesso della sua misericordia, Gesù dia a quel peccatore moribondo, la grazia di emettere un atto di contrizione perfetta, prima di morire.
CHI FACESSE LE NOVE COMUNIONI CON L’INTENZIONE DI PROSEGUIRE POI PIÙ TRANQUILLAMENTE A PECCARE, POTREBBE SPERARE IN QUESTA GRANDE PROMESSA DEL SACRO CUORE DI GESÙ?
No di certo, anzi commetterebbe tanti sacrilegi, perché accostandosi ai Santi Sacramenti, è necessario avere la ferma risoluzione di lasciare il peccato. Un conto è il timore di tornare ad offendere Dio, e altro la malizia e l’intenzione di seguitare a peccare.
MEDITAZIONI PER I PRIMI VENERDÌ
I VENERDÌ – Il pentimento.
O Cuore di Gesù, fornace ardente di amore per tutti gli uomini da Te redenti con la Tua passione e morte di Croce, vengo a Te per chiederti umilmente perdono di tanti peccati con i quali ho offeso la Tua Maestà infinita ed ho meritato il castigo della Tua giustizia.
Tu sei pieno di misericordia e per questo vengo a Te, fiducioso di ottenere, assieme al perdono, tutte le grazie che hai promesso a chi si sarebbe accostato ai santi sacramenti della Confessione e della Comunione nei primi venerdì di nove mesi consecutivi.
Mi riconosco vile peccatore, indegno di ogni Tuo favore, e mi umilio davanti alla Tua infinita bontà, per la quale mi hai sempre cercato e hai pazientemente aspettato che venissi a Te per godere della Tua infinita misericordia.
Eccomi ai Tuoi piedi, mio amabile Gesù, per darti tutta l’adorazione e tutto l’amore di cui sono capace, mentre Ti supplico: “Pietà, mio Dio, pietà di me secondo la Tua grande misericordia. Nella Tua bontà cancella i miei peccati. Lavami da tutte le mie colpe. Purificami e sarò mondato, lavami e sarò più bianco della neve. Se vuoi puoi guarire l’anima mia. Tu puoi tutto, mio Signore: salvami.”
II VENERDÌ – La fede.
Eccomi, mio Gesù, nel venerdì del secondo mese, giorno che mi ricorda il martirio al quale Ti sei sottoposto per riaprirmi le porte del Paradiso e sottrarmi dalla schiavitù del demonio
Dovrebbe bastare questo pensiero per capire quanto è grande il Tuo amore per me. Invece sono così tardo di mente e così duro di cuore che ho sempre stentato a capirti e a risponderti. Tu mi sei vicino e io Ti sento lontano, perché credo in Te, ma con una fede così debole e così annebbiata da tanta ignoranza e da tanto attaccamento a me stesso, che non riesco a sentire la Tua amorevole presenza.
Allora Ti supplico, o mio Gesù: aumenta la mia fede, annienta in me quanto non piace a Te e mi impedisce di vedere i Tuoi lineamenti di Padre, di Redentore, di Amico.
Dammi una fede viva che mi faccia attento alla Tua parola e me la faccia amare come il buon seme che Tu getti nel terreno della mia anima. Nulla possa turbare la fede che ho in Te: né il dubbio, né la tentazione, né il peccato, né lo scandalo.
Rendi pura e cristallina la mia fede, senza il peso dei miei interessi personali, senza i condizionamenti dei problemi della vita. Fà che io creda solo perché sei Tu che parli. E Tu solo hai parole di vita eterna.
III VENERDÌ – La fiducia.
Mio Gesù, vengo a Te per colmare il mio cuore bisognoso di amore, perché spesso si sente solo. Troppe volte ho avuto fiducia negli uomini e spesso la mia fiducia è stata tradita. Oggi do a Te la mia fiducia, la do a Te nella misura più assoluta, perché so che Tu mi porterai sulle Tue braccia, verso le mete migliori. Tu sei il solo che merita la fiducia dell’uomo: fiducia piena, totale, perché non sei mai venuto meno alla Tua parola. Tu sei il Dio fedele, il Creatore che ha disteso i cieli e gettato le fondamenta della terra. Il mondo dà la vertigine; Tu dai l’amore, la serenità e la pace. Tu dai la certezza di essere salvati e nel Tuo nome ogni venerdi tante anime risuscitano alla vita della grazia.
Nel Tuo nome anch’io oggi risuscito nella certezza di essere salvato, perché Tu lo hai promesso. Con la Tua Grande Promessa hai manifestato la Tua potenza, ma con la Tua misericordia hai dimostrato l’amore. E chiedi a me una risposta d’amore.
Eccomi, o Signore, lo Ti rispondo donando a Te ogni mia fiducia, e poiché di Te mi fido, a Te mi affido, nella certezza che ogni preghiera, ogni rinuncia, ogni sacrificio, a Te offerto con amore, otterrà da Te il cento per uno.
IV VENERDÌ – L’umiltà.
Mio Gesù, io Ti credo presente nel SS. Sacramento, fonte inestinguibile di ogni bene. Per il Tuo Corpo che mi doni nella Santa Comunione, fa che io contempli il Tuo volto nella Patria Celeste. Nell’onda pura del Tuo Sangue immergimi, o Signore, perché io impari che nel nascondimento, nell’umile sacrificio di sé, nasce la pace e la gioia dei cuori.
Il mondo è orgoglio, esibizione e violenza. Tu invece insegni l’umiltà che è servizio, mitezza, comprensione, bontà.
Ti sei fatto mio cibo e mia bevanda con il Sacramento del Tuo Corpo e del Tuo Sangue. E sei il mio Dio! Mi hai così dimostrato che, per salvarmi dovevi farti umile, nasconderti, lasciarti annientare. L’Eucaristia è il Sacramento del Tuo annientamento: chiunque Ti può adorare o calpestare. E sei Dio! L’insipienza umana è capace di ogni profanazione. E Tu chiami con amore, aspetti per amore. Umile e nascosto nel Tabernacolo Ti sei fatto il Dio dell’attesa. Dal profondo del mio nulla Ti chiedo perdono per quando non ho ascoltato la Tua Voce. Mio Signore, in questo quarto venerdì Ti chiedo il dono dell’umiltà. E’ l’umiltà che salva i rapporti umani, che salva l’unità delle famiglie, ma soprattutto è l’umiltà che rende veri e costruttivi i miei rapporti con Te.
Poiché Tu ami gli umili e disprezzi i superbi, fa che io sia umile per poter essere amato da Te. Fa ch’io sappia imitare l’umile Tua Ancella, la Vergine Maria, che hai amato per la sua verginità, ma che hai scelto per la sua
umiltà. E’ questo il dono che Ti voglio portare oggi: il mio proposito di essere umile.
V VENERDÌ – La riparazione.
Vengo a Te, mio Gesù, con tanti peccati e tanti difetti. Tutto mi hai perdonato nel sacramento della Confessione, ma io mi sento ancora debitore di tanto amore di riparazione: amore che cancelli ogni traccia del mio peccato, prima dentro di me, e poi nella Chiesa, mia madre spirituale, che ho danneggiato col mio peccato diminuendo in essa l’amore al Tuo Regno. Per questa riparazione Ti offro il Tuo stesso Corpo immolato e il Tuo sangue versato per la salvezza di molti.
Anche se molto indegnamente Ti offro, in unione con il Tuo divino sacrificio, la rinuncia ad ogni soddisfazione illecita, Ti offro ogni sacrificio richiesto dalla fedeltà ai doveri che ho verso la mia famiglia, i sacrifici richiesti dal mio lavoro di ogni giorno; Ti offro tutte le mie sofferenze fisiche e morali, affinché le coscienze intorpidite, le famiglie malate e sconvolte, i cuori troppo tiepidi ritrovino la via della fede, la luminosità della speranza, l’ardore fecondo della carità. E Tu, mio Gesù
Eucaristico, vieni a me con il Tuo Santo Spirito, Consolatore Perfetto. Illumina la mia mente, infiamma il mio cuore, affinché possa amarti con tutte le mie forze al di sopra di ogni cosa e riparare così i peccati miei e quelli di tutto il mondo. Concedimi di saperti fare amare anche da tutti i miei cari, fin che un giorno ci riunirai tutti nel Tuo Regno eterno per godere della Tua misericordia nella felicità che non ha fine.
VI VENERDÌ – La donazione.
Mio Signore Gesù, Ti sei donato a me nella Santa Eucaristia per dimostrarmi quanto è grande e potente l’Amore Divino.
lo mi voglio donare a Te con fiducia illimitata e senza riserve, perché Tu veda la sincerità del mio amore. Ma proprio perché il mio amore, pur essendo sincero, è tanto debole e distratto dalle cose del mondo, desidero offrirti la mia donazione totale e incondizionata. Confido che Tu, con la Tua grazia, la renda sempre più vera.
lo credo fermamente in Te, quindi Ti cerco amandoti, e Ti dono tutto il mio essere e tutte le cose mie insieme con i miei affetti più cari, fino a costituire con Te una cosa sola, perché la Tua vita pulsi nell’anima mia. Sono certo che se questo avverrà, Tu sarai la consolazione che nessun altro può darmi; sarai la mia forza, il mi conforto in ogni giorno della mia vita. Tu Ti sei donato a me e io mi dono totalmente a Te, perché riesca a capire quanto è grande il Tuo amore.
Tu in questo giorno mi dai la Tua luce a piene mani, e mi fai comprendere che per realizzare questa donazione, devo essere umile e forte nella fede. Per questo ho bisogno del Tuo aiuto, della Tua assistenza, della Tua forza. È quanto Ti chiedo con tanto amore, perché desidero realizzare la più intima vicinanza a Te Eucaristico, non solo oggi, ma in tutti i giorni della mia vita. E Tu, mio Signore, fa in modo che, per questa donazione a Te, io resista a ogni seduzione delle persone, delle cose, del denaro, dell’orgoglio, e sia sempre Tuo testimone, cercando sempre il Tuo amore e la Tua gloria.
VII VENERDÌ – L’abbandono.
Troppe volte mi sono confuso agitandomi. Allora ho perso di vista Te, mio Vero bene, e ho dimenticato i propositi che Ti ho donato nei primi venerdì precedenti.
Ora Ti chiedo, o mio Gesù, di essere Tu a prenderti cura di me e delle cose mie. Mi voglio abbandonare completamente in Te, certo che Tu risolverai tutte le mie situazioni spirituali e materiali.
Voglio chiudere pacificamente gli occhi dell’anima mia, stornare il pensiero da ogni affanno e da ogni tribolazione e rimettermi a Te, perché Tu solo operi, dicendoti: pensaci Tu!
Voglio chiudere gli occhi e lasciarmi portare dalla corrente della Tua grazia sul mare infinito del Tuo amore. Voglio abbandonarmi a Te per lasciarmi lavorare da Te, che sei l’Onnipotente, con tutta la fiducia del mio cuore. Solo voglio dirti: pensaci Tu! Non voglio più preoccuparmi di me, perché sia Tu, che sei Sapienza infinita, a preoccuparti di me, dei miei cari, del mio futuro. Solo Ti chiedo: mio Signore, pensaci Tu. Voglio abbandonarmi in Te e riposare in Te, credendo ciecamente alla Tua bontà infinita, nella certezza che Tu mi addestrerai a compiere il Tuo volere e mi porterai sulle Tue braccia verso ciò che per me è il vero bene.
Nelle mie necessità spirituali e materiali, tralasciando affanni ed angoscie, sempre Ti dirò come ora Ti dico: Signore mio, pensaci Tu.
VIII VENERDÌ – La preghiera.
Devo veramente imparare a pregare. Ho capito che invece di fare la Tua volontà, ho sempre chiesto a Te di fare la mia. Tu sei venuto per gli ammalati, ma io, invece di chiedere a Te la Tua cura, Ti ho sempre suggerito la mia. Ho dimenticato di pregare come Tu ci hai insegnato nel Padre nostro e ho dimenticato che mi sei Padre pieno d’amore. Sia santificato il Tuo nome in questa mia necessità. Venga il Tuo regno, anche attraverso questa situazione, in me e nel mondo. Sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra, disponendo di questa mia necessità come meglio Ti piace, per la mia vita temporale ed eterna.
lo credo che Tu sei la bontà infinita, quindi sono certo che Tu intervieni con tutta la Tua onnipotenza e risolvi le situazioni più chiuse. Se anche il malanno incalza, non mi agiterò, ma chiuderò gli occhi e con tanta fiducia Ti dirò: sia fatta la Tua volontà. E sarò certo che interverrai e compirai, come medico divino, ogni guarigione, anche il miracolo se occorre. Perché non c’è medicina più potente di un Tuo intervento di amore.
Non confiderò più negli uomini, perché so che è questo che intralcia l’operare del Tuo amore. La mia preghiera fiduciosa sarà sempre rivolta a Te, perché in Te credo, in Te spero, Te amo sopra ogni cosa.
IX VENERDÌ – Il proponimento.
Son giunto al termine dei Nove Primi Venerdì da Te richiesti per colmarmi delle grazie previste dalla Tua Grande Promessa. Durante questi nove mesi Tu mi hai aiutato a crescere nella fede e nella vita di grazia. Il Tuo amore mi ha attirato a Te e mi ha fatto comprendere quanto hai patito per salvarmi e quanto è grande il Tuo desiderio di portarmi a salvezza. Tutto l’amore di un Dio si è riversato su di me, ha illuminato la mia anima, ha rafforzato la mia volontà e mi ha fatto capire che a nulla serve all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde la sua anima, perché perduta l’anima è perduto tutto, salvata l’anima è salvato tutto. Ti ringrazio mio Gesù, di tanti doni e Ti offro, quale testimonianza della mia gratitudine, il proposito di accostarmi più spesso ai sacramenti della Confessione e della santa Comunione con l’adorazione, il rispetto, la devozione e il fervore di cui posso essere capace.
E Tu continua ad assistermi, o mio Gesù, con il Tuo amore sempre vigile e sempre misericordioso, perché io impari ad amarti per Te stesso, ancora più che per i Tuoi benefici. Voglio poterti dire sempre con sincerità: Amore mio ti voglio tanto bene. E Tu che hai detto: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare” (Ezechiele 18, 15), conduci anche me, perché mi nutri del Tuo amore e riposi sempre sul Tuo cuore.
In particolare voglio offrirti in ringraziamento di tutti i tuoi benefici, il proposito di non lasciare mai la Messa alla domenica e negli altri giorni festivi, e di insegnare anche ai miei familiari l’osservanza di questo terzo Comandamento che Tu ci hai dato perché veniamo ad attingere al Tuo amore la gioia e la serenità che nessun altro può darci.
LA GRANDE PROMESSA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
I PRIMI CINQUE SABATI
“Gesu’ vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato”.
Poi, in quella apparizione, fece vedere ai tre veggenti il suo Cuore coronato di spine: il Cuore Immacolato della Mamma amareggiato per i peccati dei figli e per la loro dannazione eterna!
Lucia racconta: “Il 10 dicembre 1925 mi apparve in camera la Vergine Santissima e al suo fianco un Bambino, come sospeso su una nube. La Madonna gli teneva la mano sulle spalle e, contemporaneamente, nell’altra mano reggeva un Cuore circondato di spine. In quel momento il Bambino disse: “Abbi compassione del Cuore della Tua Madre Santissima avvolto nelle spine che gli uomini ingrati gli configgono continuamente, mentre non v’è chi faccia atti di riparazione per strapparglieLe”.
E subito la Vergine Santissima aggiunse: “Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine che gli uomini ingrati infliggono continuamente con bestemmie e ingratitudini. Consolami almeno tu e fa sapere questo:
A tutti coloro che per cinque mesi, al primo sabato, si confesseranno, riceveranno la santa Comunione, reciteranno il Rosario e mi faranno compagnia per quindici minuti meditando i Misteri, con l’intenzione di offrirmi riparazioni, prometto di assisterli nell’ora della morte con tutte le grazie necessarie alla salvezza”.
E’ questa la grande Promessa del Cuore di Maria che si affianca a quella del Cuore di Gesù.
Per ottenere la promessa del Cuore di Maria si richiedono le seguenti condizioni:
1 – Confessione, fatta entro gli otto giorni precedenti, con l’intenzione di riparare le offese fatte al Cuore Immacolato di Maria. Se uno nella confessione si dimentica di fare tale intenzione, può formularla nella confessione seguente.
2 – Comunione, fatta in grazia di Dio con la stessa intenzione della confessione.
3 – La Comunione deve essere fatta nel primo sabato del mese.
4 – La Confessione e la Comunione devono ripetersi per cinque mesi consecutivi, senza interruzione, altrimenti si deve ricominciare da capo.
5 – Recitare la corona del Rosario, almeno la terza parte, con la stessa intenzione della confessione.
6 – Meditazione, per un quarto d’ora fare compagnia alla SS.ma Vergine meditando sui misteri del Rosario.
Un confessore di Lucia le chiese il perché del numero cinque. Lei lo chiese a Gesù, il quale le rispose: “Si tratta di riparare le cinque offese dirette al Cuore Immacolato di Maria. 1– Le bestemmie contro la sua Immacolata Concezione. 2 – Contro la sua Verginità. 3– Contro la sua Maternità divina e il rifiuto di riconoscerla come Madre degli uomini. 4– L’opera di coloro che pubblicamente infondono nel cuore dei piccoli l’indifferenza, il disprezzo e perfino l’odio contro questa Madre Immacolata. 5 – L’opera di coloro che la offendono direttamente nelle sue immagini sacre.
Per saperne di più, scarica e leggi il libro: LUCIA RACCONTA FATIMA scarica
AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA PER OGNI PRIMO SABATO DEL MESE
Cuore immacolato di Maria, ecco a te dinanzi dei figli, i quali vogliono con il loro affetto riparare alle tante offese a te recate da molti che essendo anch’essi figli tuoi, osano insultarti e oltraggiarti. Noi ti chiediamo perdono per questi poveri peccatori nostri fratelli accecati dall’ignoranza colpevole o della passione, come ti domandiamo perdono anche per le nostre mancanze e ingratitudini, e quale omaggio di riparazione noi crediamo fermamente nella tua eccelsa dignità a altissimi privilegi, in tutti i dogmi che la Chiesa ha proclamato, anche per quelli che non credono.
Ti ringraziamo dei tuoi innumerevoli benefici, per quelli pure che non li riconoscono; confidiamo in te e ti preghiamo anche per quelli che non ti amano, che non hanno fiducia nella tua materna bontà, che a te non ricorrono.
Volentieri accettiamo le sofferenze che il Signore vorrà mandarci, e ti offriamo le nostre preghiere e i nostri sacrifici per la salvezza dei peccatori. Converti tanti tuoi figli prodighi e apri loro, quale sicuro rifugio il tuo Cuore, in modo che essi possano trasformare le antiche ingiurie in tenere benedizioni, l’indifferenza in fervida preghiera, l’odio in amore.
Deh! Fa’ che non abbiamo ad offendere Dio nostro Signore, già tanto offeso. Ottienici, per i tuoi meriti, la grazia di conservarci sempre fedeli a questo spirito di riparazione, e di imitare il tuo Cuore nella purezza della coscienza, nell’umiltà e mansuetudine, nell’amore verso Dio e il prossimo.
Cuore Immacolato di Maria, a te lode, amore, benedizione: prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte. Amen
ATTO DI CONSACRAZIONE E RIPARAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
Vergine santissima e Madre nostra, nel mostrare il tuo Cuore circondato di spine, simbolo delle bestemmie ed ingratitudini con cui gli uomini ripagano le finezze del tuo amore, hai chiesto di consolarti e ripararti. Come figli ti vogliamo amare e consolare sempre, ma specialmente dopo i tuoi materni lamenti, vogliamo riparare il tuo Cuore Addolorato e Immacolato che la cattiveria degli uomini ferisce con le pungenti spine dei loro peccati.
In modo particolare vogliamo riparare le bestemmie proferite contro la tua Immacolata Concezione e la tua Santa Verginità. Molti, purtroppo, negano che tu sei Madre di Dio e non ti vogliono accettare come tenera Madre degli uomini.
Altri, non potendoti oltraggiare direttamente, scaricando la loro collera satanica profanando le tue Sacre Immagini e non mancano coloro che cercano di infondere nei cuori, soprattutto dei bambini innocenti che ti sono tanto cari, l’indifferenza, il disprezzo ed anche l’odio contro di Te.
Vergine santissima, prostrati ai tuoi piedi, esprimiamo la nostra pena e promettiamo di riparare, con i nostri sacrifici, comunioni e preghiere, tanti peccati ed offese di questi tuoi figli ingrati.
Riconoscendo che anche noi non sempre corrispondiamo alle tue predilezioni, né ti amiamo ed onoriamo sufficientemente come Madre nostra, supplichiamo il perdono misericordioso per le nostre colpe e freddezze.
Madre santa, vogliamo ancora chiederti compassione, protezione e benedizioni per gli attivisti atei e i nemici della Chiesa. Riconducili tutti alla vera Chiesa, ovile di salvezza, come hai promesso nelle tue apparizioni a Fatima.
Per quanti sono tuoi figli, per tutte le famiglie e per noi in particolare che ci consacriamo interamente al tuo Cuore Immacolato sii rifugio nelle angustie e tentazioni della Vita; sii cammino per giungere a Dio, unica fonte di pace e di gioia. Amen. Salve Regina..
«Il Signore ‘Vuole’ stabilire nel mondo la Devozione al mio Cuore Immacolato»
«Solo il mio Cuore può venire in vostro soccorso»
È giunto il tempo in cui le «Promesse» fatte dalla Madonna a Fatima, sono prossime al loro compimento.
L’ora del «trionfo» del Cuore Immacolato di Maria, Madre di Dio e Madre nostra, si avvicina; di conseguenza, sarà anche l’ora del grande miracolo della Divina Misericordia per l’Umanità: «Il mondo avrà un tempo di pace».
La Madonna vuole però operare questo mirabile Evento con la nostra collaborazione. Lei che ha offerto a Dio la sua piena disponibilità: «Ecco l’Ancella del Signore», ripete a ciascuno di noi le parole dette un giorno a Lucia: «Il Signore vuole servirsi di te … ». Sacerdoti e famiglie sono chiamati in «prima linea» a collaborare al compimento di questo trionfo.
Il «messaggio» di Fatima
Ci siamo mai chiesti quale sia il messaggio delle apparizioni e delle rivelazioni di Fatima?
L’annunzio della guerra, la conversione della Russia con la caduta del comunismo nel mondo?
NO!
La promessa della pace? Neppure!
Il «vero messaggio» delle apparizioni di Fatima è «la devozione al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria».
Viene dal cielo! È volontà di Dio!
La piccola Giacinta, poco prima di lasciare la terra per il cielo, ripeteva a Lucia:
«Tu rimani quaggiù per far sapere che il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione all’Immacolato Cuore di Maria».
“Dì a tutti che Dio concede le sue grazie per mezzo del Cuore Immacolato di Maria.
Che le chiedano a Lei.
Che il Cuore di Gesù vuole che con il suo Cuore sia venerato il Cuore Immacolato di Maria.
Che domandino la pace al Cuore Immacolato di Maria perchè il Signore l’ha affidata a Lei».
Le comunicazioni celesti
Nella seconda apparizione della Vergine Ss.ma alla Cova di Iria, il 13 giugno 1917, la Madonna mostrò ai fanciulli la visione del suo Cuore Immacolato, circondato e trafitto da spine.
Rivolgendosi a Lucia, Ella disse: «Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Egli `vuole stabilire’ nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. A chi la praticherà prometto:
– la salvezza,
– queste anime saranno predilette da Dio,
– come fiori saranno collocate da me dinnanzi al suo trono.
Nella terza apparizione – 13 luglio 1917 -, la più ricca di dottrina e di promesse, la Vergine Ss.ma, dopo aver mostrato ai piccoli veggenti la terrificante visione dell’inferno, con bontà e tristezza, disse loro:
«Avete visto l’inferno dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Per salvarli, il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si farà quello che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà pace».
«Tu, almeno procura di consolarmi e annunzia in nome mio…»
Ma il messaggio di Fatima non si chiuse qui; la Vergine infatti apparve nuovamente a Lucia il 10 dicembre 1925. Era con lei il Bambino Gesù, sollevato sopra una nube di luce, mentre la Vergine posando una mano sopra la spalla di Lucia teneva nell’altra mano il Cuore circondato di acute spine.
Gesù Bambino parlò per primo e disse a Lucia:
«Abbi compassione del Cuore della tua Ss.ma Madre. Esso è tutto coperto dalle spine con le quali uomini ingrati lo trafiggono ogni momento e non vi è chi ne rimuova alcuna con un atto di riparazione».
Parlò poi la Madonna: «Figlia mia, contempla il mio Cuore circondato dalle spine con cui gli uomini ingrati continuamente lo trafiggono con le loro bestemmie ed ingratitudini. Tu, almeno procura di consolarmi ed annunzia, in nome mio, che io ti prometto di assistere nell’ora della morte con le grazie necessarie alla salvezza eterna, tutti coloro che nel primo sabato di cinque mesi consecutivi si confesseranno e comunicheranno recitando il Rosario e mi faranno compagnia per un quarto d’ora, meditando i misteri del Rosario, con l’intenzione di offrire un atto di riparazione».
Alcune precisazioni:
– Lucia fece presente a Gesù la difficoltà che alcune persone avevano di confessarsi il sabato e chiese se fosse stata valida la confessione fatta negli otto giorni.
Rispose Gesù: «Sì, può esserlo anche di molti giorni di più, purchè quelli che ricevono la Santa Comunione siano in grazia e abbiano l’intenzione di riparare le offese al Cuore Immacolato di Maria».
Chiese ancora Lucia: «A chi non potrà soddisfare tutte le condizioni al sabato, non potrà farlo alla domenica?»
Gesù rispose: «Sarà ugualmente accetta la pratica di questa devozione alla domenica, dopo il primo sabato, quando i miei sacerdoti,’ per giusti motivi, lo concederanno alle anime».
Perchè cinque sabati?
Lucia domandò poi alla Vergine perchè dovessero essere `cinque sabati’ e non nove, o sette.
Riportiamo le sue parole:
«Figlia mia, il motivo è semplice – rispose la Vergine – sono cinque le specie di offese e bestemmie contro il mio Cuore Immacolato:
1. le bestemmie contro l’Immacolata Concezione;
2. le bestemmie contro la sua Verginità;
3. le bestemmie contro la Maternità divina, rifiutando, allo stesso tempo, di riconoscerla come vera Madre degli uomini;
4. gli scandali di quanti cercano pubblicamente di infondere nel cuore dei bambini l’indifferenza, il disprezzo e perfino l’odio contro questa loro Madre Immacolata;
5. quanti mi oltraggiano «direttamente» nelle mie sacre immagini.
«Quanto a te, cerca continuamente, con le tue preghiere e sacrifici, di muovermi a misericordia verso quelle povere anime».
In conclusione, le condizioni necessarie per la grande promessa sono:
– per cinque mesi ricevere la santa Comunione il primo sabato;
– recitare la corona del Rosario;
– tenere compagnia alla Madonna per quindici minuti meditando sui misteri del Rosario;
– fare una confessione con la stessa intenzione; quest’ultima potrà essere fatta anche in altro giorno, purchè nel ricevere la santa Comunione si sia in grazia di Dio.
Il Messaggio del nuovo Millennio
Questo nostro secolo è stato testimone di esperienze dolorose per la mancata risposta agli inviti del cielo. Tutti ne abbiamo vissuto le tristi conseguenze: una seconda guerra mondiale, più terribile della prima; la Russia ha diffuso i suoi errori nel mondo provocando conflitti, persecuzioni alla Chiesa, sofferenze al Papa, l’annientamento di alcune nazioni; l’ateismo è diventato il nuovo credo di tanti popoli. Proprio in questo nostro secolo, che si riconosce come il più caino della storia umana, Il Signore si è impegnato personalmente a chiedere compassione ed a promuovere la devozione al Cuore della sua e nostra Madre, perchè con il trionfo di questo Cuore di Mamma, l’umanità riscopra l’amore e viva finalmente un’Epoca di pace, un’Epoca in cui l’uomo, «con un cuore nuovo» veda nell’altro uomo non una preda da conquistare, ma un fratello da amare e da salvare.
Il messaggio di Fatima è dunque un messaggio di «salvezza» per impedire che l’umanità pervertita dall’odio, sommersa da fiumi di sangue innocente, capace di atrocità inimmaginabili finisca di perdersi eternamente e di autodistruggersi sulla terra.
Gli altri «messaggi» come la guerra, la fame, le persecuzioni alla Chiesa, le nazioni annientate… sono annunzi di realtà tristi e sconvolgenti per il mancato ascolto delle richieste fatte per la salvezza degli uomini.
Le ragioni teologiche della devozione e del culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria
Le rivela il Decreto con cui fu istituita la festa universale del Cuore Immacolato di Maria, nel 1944: «Con questo culto la Chiesa rende il debito onore al Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, poichè sotto il simbolo di questo Cuore venera con somma devozione:
– L’esimia e singolare santità della Madre di Dio;
– La sua materna pietà verso gli uomini, redenti dal sangue divino di suo Figlio».
Nello stesso Decreto è indicato il fine di tale Devozione: «Perchè per l’aiuto della Madre di Dio, sia concessa la pace a tutte le genti, la libertà alla Chiesa di Cristo e i peccatori siano liberati dai propri peccati e tutti i fedeli siano confermati nell’amore e nell’esercizio di tutte le virtù mediante la grazia».
Pertanto il culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria mette in luce la «santità» unica della Madonna, Madre e Regina di tutti i Santi perchè Immacolata, concepita senza peccato e quindi piena di grazia e, nel medesimo tempo, sottolinea «l’amore» tenerissimo di questa Madre del cielo verso tutti noi, suoi figli.
Se è vero che il capolavoro della sapienza e della potenza di Dio è il Cuore materno, che dire del Cuore di Maria, Madre di Dio e Madre nostra che, mentre supera in santità ogni altra creatura, supera nell’«amore» quello di tutte le mamme della terra per i loro figli?
«Il Signore stesso lo vuole»
Convinciamoci, dunque, che la devozione al Cuore Immacolato di Maria non è stata inventata dagli uomini. Viene da Dio: «II Signore stesso lo vuole…»
Pensiamo a quanto Dio, in Cristo Gesù, abbia operato per la glorificazione del Cuore di sua Madre. Le apparizioni di Fatima oltre a documentare come Maria è presente nella storia umana, nelle nostre vicende tragiche e sconvolgenti, per salvare l’umanità, rivelano:
1- Come il Signore, per vincere l’odio caino degli uomini, «Fratelli che uccidono i fratelli», nella sua infinita sapienza, abbia voluto mettere in pienezza di luce la devozione ed il culto al Cuore della Madre sua e dell’umanità, rendendo visibile, con le lacrimazioni – ricordiamo Siracusa – tutto il suo amore e il suo dolore per la rovina dei figli.
2. – Come, per arrivare alla glorificazione del Cuore di sua Madre, abbia condotto la Chiesa, nella persona di Pio XII, a «definire con un Dogma» che veramente la Madre di Dio e Madre nostra è stata assunta in cielo, dove vive nella gloria accanto a Gesù Cristo non solo con l’anima, ma con il corpo (1° novembre 1950).
Noi possiamo e dobbiamo venerare il Cuore della nostra Madre perchè è vivo, palpitante di amore e di tenerezza per noi.
«Il Signore lo vuole…».
Il culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria non è dunque una nostra pia devozione, ma opera onnipotente di Dio per glorificare in cielo ed in terra la Madre sua e nostra.
Non è certo per devozionismo che i sommi Pontefici, a cominciare da Pio XII, hanno risposto alle ripetute richieste di consacrazione della Russia e dell’umanità al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria!
La prima venne fatta da Pio XII il 31 maggio 1942, 25° anniversario delle apparizioni di Fatima, nella Basilica di San Pietro: «A voi, al vostro Cuore Immacolato… noi, in quest’ora tragica della storia umana, consacriamo solennemente la santa Chiesa, più ancora il mondo intero, travagliato da, crudeli discordie, vittima della propria iniquità…».
Sempre Pio XII, il 1 ° novembre, con la proclamazione del Dogma dell’Assunta, poneva il fondamento teologico della Devozione al Cuore Immacolato di Maria.
Il 25 marzo 1984, Giovanni Paolo II, in Piazza S. Pietro, consacrava solennemente l’umanità al Cuore Immacolato «perchè si sveli per tutti la luce della speranza».
Nessuna gloria, dopo la gloria resa da Gesù Cristo al Padre, sale dalla terra alla SS. Trinità, così piena e perfetta come la gloria che rende il Cuore Immacolato di Maria:
– Figlia prediletta del Padre;
– vera Madre di Gesù Cristo, Uomo e Dio;
– vera Sposa dello Spirito Santo;
– vera Madre nostra: «Ecco la tua Madre».
Da questi brevi accenni, ognuno può intuire il prodigio operato da Dio in questo nostro secolo, prodigio che continuerà ad accompagnare le generazioni degli uomini nel terzo millennio: il trionfo del Cuore Immacolato e Addolorato di Maria.
Questo mistero di grazia che mette in ammirazione gli angeli del Cielo – lo diciamo con dolore – lascia indifferente ancora tanta parte dell’umanità. E non solo indifferente! Quanti sorridono quando si parla di «Devozione al Cuore Immacolato di Maria», della sua «Grande Promessa» con i primi cinque sabati del mese.
Eppure, proprio questo secolo, per disegno divino, si concluderà con il trionfo del Cuore di Maria.
Dio stesso ha messo mano ai grandi «Mondiali» per questa glorificazione.
C’è una Madre che ci ama con un amore senza limiti; c’è una ‘Madre di Misericordia’ che per noi piange e prega, perchè ci vuole salvi!
Il nostro impegno
Di fronte alla precisa richiesta: «Il Signore vuole servirsi di te per stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato e Addolorato», come potremmo rimanere indifferenti?
Dio lo vuole! «Vuole servirsi di te!» Non «desidera», non «suggerisce», non «consiglia», ma vuole!
Non dimentichiamo mai che la visione del Cuore Immacolato di Maria si inquadra con quella più drammatica e sconvolgente delle
anime che vanno all’inferno.
Nell’Anno Internazionale della Famiglia, noi abbiamo promosso la `Consacrazione’ di ogni famiglia, di ogni parrocchia al Cuore Immacolato di Maria, aderendo ad una precisa richiesta della Madonna: «Voglio che tutte le famiglie si consacrino al mio Cuore».
Per questo nuovo anno (1995), il nostro impegno sarà di aiutare le famiglie, i singoli fedeli, le parrocchie a «vivere questa Consacrazione con la Grande Promessa dei primi cinque sabati».
Il trionfo del Cuore di Maria è il trionfo dell’amore, presupposto essenziale perchè tutti gli uomini siano salvi e l’umanità viva finalmente la «Civiltà dell’amore», il cui primo `frutto’ è la Pace.
Tutti guardiamo con angoscia a tante Nazioni coinvolte da guerre fraticide, a una umanità aberrante; ma pensiamo anche a quante famiglie sono in crisi perchè l’amore ha ceduto il passo all’egoismo
e all’odio, che apre la porta al delitto dell’aborto: «strage degli innocenti», compiuta non più da Erode, ma da papà e mamma.
Il «segreto» per riportare le famiglie al disegno di Dio è di collaborare tutti insieme a far vivere la Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria con la pratica dei primi cinque sabati del mese, richiesta dalla Madonna stessa: «Annunzia in nome mio…».
Come è possibile questo?
Tutti ricordiamo gli avvenimenti straordinari che hanno sorpreso il mondo, a cominciare dal crollo del comunismo ateo in Russia, del muro di Berlino, conseguenze certe della Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria; ma perchè aspettare sempre di vedere per credere? «Beati quelli che crederanno senza vedere».
Tutti Apostoli della `Grande Promessa’
Rispondiamo quindi con gioia alla richiesta del Cuore Immacolato di Maria, dei primi cinque sabati del mese promuovendone la pratica.
Le grazie promesse sono state «rivelate» dalla Madonna stessa:
– «A chi la praticherà prometto la salvezza».
-«Queste anime saranno predilette da Dio».
-«Come fiori saranno collocate da me innanzi al suo Trono».
-«Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà a Dio».
Carissimi,
Vi invito tutti ad impegnarvi perchè la Consacrazione delle famiglie, fatta al Cuore Immacolato di Maria, sia completata vivendo e diffondendo «la grande promessa del Cuore Immacolato di Maria».
Avrete benedizioni e grazie speciali sulla vostra famiglia, sui vostri figli, sulla vostra discendenza.
Molte famiglie si salveranno dal divorzio ed apriranno i loro cuori all’accoglienza della vita e si avvieranno ad una vita cristiana. L’uomo del duemila ha bisogno del Cuore Immacolato di Maria per costruire la «Civiltà dell’amore».
Sac. Stefano Lamera
Delegato Istituto «Santa Famiglia»
La correzione fraterna, un’opzione o un dovere?
Pubblicato 2011/10/04
Autore : Don João Scognamiglio Clá Dias, EP
Sant’Alfonso Maria de Liguori scrisse una bella opera intitolata “L’orazione, grande mezzo di salvezza”. Il suo contenuto è preziosissimo e irrefutabile.
Vangelo
Casa degli Araldi del Vangelo,
Toronto (Canada)
“Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”(Mt 18, 15-20).
Commento al Vangelo – XXIII Domenica del Tempo Ordinario
Chi non corregge il suo prossimo, causa un danno non solo a questi ma anche a se stesso. Si vedrà privato dei meriti e benefici del compimento del proprio dovere, e finirà per scandalizzare coloro che costatano la sua negligenza.
Don João Scognamiglio Clá Dias, EP
I – La Correzione, grande mezzo di salvezza
Sant’Alfonso Maria de Liguori scrisse una bella opera intitolata “L’orazione, grande mezzo di salvezza”. Il suo contenuto è preziosissimo e irrefutabile. In una delle sue pagine, il Santo arriva ad affermare che chi prega si salva e chi non prega si condanna.
Penetrando nel cuore del Vangelo di questa XXIII Domenica del Tempo Ordinario, giungiamo ad una conclusione simile: la correzione fraterna è un grande mezzo di salvezza, perché il destino eterno di qualcuno può dipendere proprio dall’accettazione delle correzioni che gli siano fatte.
Questa è la materia che la Liturgia di oggi ci porta a considerare: il dovere della correzione fraterna e la necessità di accettarla bene.
II – Qual è il figli o che il padre non corregge?
Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello.
È chiaro il consiglio di Gesù, quanto alla necessità di correggere coloro che peccano contro di noi.
Nelle offese personali, ingiurie, o anche nei difetti che osserviamo nella condotta di altri – soprattutto mancanze concernenti la Fede e i costumi, col rischio di suscitare qualche scandalo – non possiamo evitare di ammonire il nostro prossimo, per indifferenza, o peggio ancora, per disprezzo. Per mettere in pratica la direttiva del Signore, espressa nel versetto sopra, il nostro zelo deve essere pieno di fervore.
San Giovanni Climaco compara, con molto acume, la crudeltà di uno che toglie il pane dalle mani di un bambino affamato, con quella di colui che ha l’obbligo di correggere e non lo fa.1 Quest’ultimo causa un danno non solo al suo prossimo ma anche a se stesso. Si vedrà, per quest’omissione, privato dei meriti e benefici del compimento di questo dovere e finirà per scandalizzare quelli che costatano la sua negligenza.
Lo stesso capita in campo agricolo, poiché quanto più fertile è un terreno, più si deve lavorarlo per evitare che si trasformi in bosco e sterpaglia. Evidentemente, nell’applicazione di questo precetto, non si deve agire sotto l’influsso di una qualche passione, per quanto minima sia. L’animo disinteressato è fondamentale. Ogni carità dovrà essere impiegata nel delicatissimo compito della riconciliazione.
L’obbligo di ammonire
La prima responsabilità – riconoscere il proprio errore – è di chi lo commette, però, lo zelo, la prudenza e l’amore verso Dio spettano a chi ha l’obbligo di ammonire. “Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo” (Pr 13, 24). Pertanto, è falsa tenerezza rinunciare ad applicare una necessaria correzione, giudicando con questa omissione di risparmiare un’amarezza a chi ne necessita. Chi si omette in questo modo, in realtà non solo è connivente con la mancanza praticata, ma dimostra di mal volere chi necessiterebbe dell’appoggio di una parola chiarificatrice. Questo sentimentalismo, disequilibrio ed equivocata indulgenza confermano nei loro vizi coloro che sbagliano.
È importantissimo che genitori, educatori, ecc. compiano in questa materia il loro dovere, poiché così ci insegna il Libro dei Proverbi: “La stoltezza è legata al cuore del fanciullo, ma il bastone della correzione l’allontanerà da lui” (22, 15). Del resto, è un vero segnale di grande amore ammonire per le loro mancanze gli inferiori; quando un padre così procede con suo figlio, desidera per lui il bene e la virtù. La reciprocità in quest’amore deve essere una caratteristica di chi riceve l’ammonimento o rimprovero: “Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto” (Pr 3, 11-12).
Se il superiore rinuncia ad ammonire quelli che gli sono affidati, è un chiaro segnale che non si sente amato come un padre; o non ama l’inferiore come un figlio, ed in questo caso non è raro che di lui si venga persino a mormorare. Scrivendo agli ebrei, San Paolo non ha timore di affermare: “È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli legittimi” (Eb 12, 7-8). Dunque, di fatto, il rimorso, il dolore per le nostre mancanze, il peso della coscienza, costituiscono un inestimabile dono di Dio.
“Non risparmiare la verga a tuo figlio”
Cornelio a Lapide, nella sua famosa opera di commenti sulle Sacre Scritture, così si esprime su questa questione: “Non risparmiare al bambino la correzione; se lo castigherai con la verga, egli non morirà, dice il Libro dei Proverbi (Noli subtrahere a puero disciplinam; si enim percusseris eum virga, non morietur). Castigalo con la verga e salverai la sua anima dall’inferno (Tu virga percuties eum et animam eius de inferno liberabis) (23, 13-14). La correzione è per il bambino quello che il morso è per il cavallo e il pungolo per i buoi.
I genitori che sono troppo indulgenti coi loro figli non li castigano, ma li espongono ai supplizi dell’inferno. Chi ha un’eccessiva indulgenza verso suo figlio, è il suo più crudele nemico. Così, padri e madri, se amate i vostri figli, applicate loro la verga delle correzioni, affinché non succeda che essi vadano a finire all’inferno: se li dispensate da quelli, sarà per condannarli a questo. Scegliete!
Ripetiamo: la salvezza e la felicità dei figli risultano da una buona educazione e dalla giusta severità dei genitori. Al contrario, una condiscendenza licenziosa e la mancanza di correzione sono il principio della cattiva condotta e della condanna dei figli: essi cadono in eccessi e crimini che li portano alla disgrazia eterna. Quanti figli, nell’inferno, maledicono i loro genitori e li riempiranno di imprecazioni per il resto dei secoli, per aver trascurato di rimproverarli, correggerli e castigarli, diventando così causa della loro eterna perdizione!
Si comprende l’odio di questi disgraziati, perché tali padri hanno dato loro, non la vita, ma la morte; non il Cielo, ma l’inferno; non la felicità, ma la disgrazia senza fine e senza limiti. Il bambino conserva fino alla sua vecchiaia e fino alla morte gli abitudini della sua infanzia e della sua gioventù, secondo le parole della Sacra Scrittura: ‘Abitua il giovane secondo la via da seguire; neppure da vecchio se ne allontanerà. (Adolescens juxta viam suam etiam cum senuerit non secedet ab ea) (Pr 22, 6). L’albero che presto si torce continua con la sua cattiva inclinazione fino a che sarà tagliato e gettato sul fuoco”.2
Gratitudine verso chi corregge
Nella vita comune e corrente, non è raro che capiti di uscire di casa distrattamente trasandati nell’aspetto esteriore: calze dai colori differenti, vestiti mal combinati, ecc. Basta che, per carità, qualcuno ce lo faccia notare perché ci manifestiamo pieni di gratitudine; se, al contrario, nessuno ci dicesse niente, ce ne risentiremmo. Ora, abbiamo un motivo maggiore, per ringraziare chi ci ammonisce per la nostra mancanza di virtù, soprattutto per ciò che può costituire uno scandalo.
Le considerazioni stesse di coloro che percorrono il cammino del paganesimo mostrano che i dettami della saggezza umana vanno nella stessa direzione riguardo a questo particolare. Plutarco afferma che dovremmo pagare bene i nostri avversari perché dicono le verità a nostro riguardo. Gli amici, secondo lui, sanno solo blandire, adulare e lusingare. 3 È, d’altronde, quello che succede nelle relazioni abituali odierne, ossia, ci si imbatte in una correzione solo quando si stabilisce un’inimicizia, soltanto lì arriviamo a conoscere ciò che realmente gli altri pensano di noi.
nire coloro i quali gli sono affidati,
è un chiaro segnale che non si
sente amato come un padre
Policarpo Museo dell’Ermitage
– San Pietroburgo
Ugo di San Vittore sintetizza in modo sapiente i buoni effetti della correzione. Quando è accettata con umiltà e gratitudine, essa trattiene i cattivi desideri, colloca un freno alle passioni della carne, abbatte l’orgoglio, spegne l’intemperanza, distrugge la superficialità e reprime i cattivi movimenti dello spirito e del cuore.4 È per questo che guadagniamo un fratello quando siamo ascoltati con buona disposizione da parte di chi correggiamo, poiché gli restituiamo la vera pace dell’animo e lo riconduciamo sulla via della salvezza.
III – Correzione amic hevole davanti a testimoni
Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
L’impegno di salvare nostro fratello deve essere compenetrato da un forte zelo. Nel caso sia stato infruttoso l’ammonimento a tu per tu, non bisogna abbandonarlo, al contrario, è necessario insistere.
La direttiva data qui da Gesù non mira ad adempiere il procedimento prescritto dal Deuteronomio: “Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimonio. […] I due uomini fra i quali ha luogo la causa compariranno davanti al Signore, davanti ai sacerdoti e ai giudici in carica in quei giorni” (Dt 17, 6; 19, 17). Al contrario, essa ha come obiettivo utilizzare l’istinto di socievolezza come potente elemento di pressione psicologica per tentare di “conquistare il fratello”.
Ci troviamo ancora nell’ambito del privato, per questo la reputazione sociale si trova difesa. D’altra parte, l’improvvisa presenza di testimoni potrà creargli un certo salutare timore e, chissà, rendergli impossibile il non riconoscere la sua colpa. Se lui giungerà a riconoscerla, si verificherà l’effetto auspicato al primo tentativo, espresso nel versetto precedente.
L’efficacia di questo mezzo si basa sull’apprezzamento che il trasgressore può consacrare al concetto che gode presso gli altri. Non si tratta, pertanto, di metterlo con le spalle al muro, giudiziariamente parlando, perché un’azione di questo tenore potrebbe probabilmente suscitare più un irreversibile odio che propriamente condurlo ad un sentimento di dolore per il suo errore. I terzi da convocare non devono esercitare la funzione di testimoni d’accusa in giudizio, ma quella di ausiliari nella correzione amichevole. Pertanto, la fama ed il decoro di chi commette errore saranno oggetto di ogni attenzione possibile.
“Quello che dobbiamo fare, nel caso non abbiamo persuaso il nostro fratello, il Signore lo dice con queste parole: ‘E se non ti ascolta, prendi con te una o due persone’, ecc. quanto più svergognato ed ostinato lui sarà, tanto più conviene applicargli il medicamento, ma senza muoverlo alla collera e all’odio. Quando vede che l’infermità non cede, il medico non desiste, ma è allora che egli più si prepara per vincerla. Si veda, dunque, come la nostra meta non deve essere la vendetta, ma l’emenda attraverso la correzione; ottenuto ciò, il Signore non ordina che in seguito si prendano due, ma solo nel caso che egli non voglia correggersi. E neppure in questo caso vuole che egli sia inviato al popolo, ma che sia corretto davanti a uno o due, conforme quando predica la Legge, che dice: ‘Che ogni parola uscita dalla bocca di due o tre testimoni sia presa in considerazione’. E come se dicesse: avete un testimone, avete fatto la vostra parte”.5
una necessaria correzione, giudicando
con questa omissione di risparmiare
un’amarezza a chi ne necessita
Benedetto”, per Tadeo Gaddi
Basilica di San Miniato al
Monte – Firenze
Secondo San Girolamo, questo può essere inteso anche così: “Se egli non ha voluto ascoltarti, presentalo solamente a un fratello; e se non risponde a questo, presentalo ad un terzo, sia perché egli si corregga per vergogna o per un tuo consiglio, sia perché veda che agisci davanti a testimoni”.6 E a questo commento si deve aggiungere quello che dice la Glossa: “O affinché, nel caso egli dica che non ha peccato, i testimoni provino che ha peccato”.7
IV – Il bene dell a stessa Assemblea
Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
Giunti a questa fase, è diventato chiaro che il metodo amichevole ha fallito; il colpevole persisterà nel suo odio, nelle sue macchie o nei suoi errori, ed in questo caso non toccherà che il ricorso all’Assemblea, a quell’istituzione promessa dal Signore Gesù che sarebbe stata fondata sopra la pietra chiamata Pietro. Rimane ancora in gioco lo zelo per l’anima del colpevole e per il suo bene particolare, ma un altro bene si presenta: quello della stessa Sposa di Cristo.
Ormai non appartengono al Gregge
Se egli non dà ascolto alla voce dell’Assemblea, dovrà esser considerato come un pubblicano o un pagano. Sarà indispensabile che avvenga una rottura delle relazioni. Nessun vincolo ci unirà a lui. Si vedrà escluso proprio come i pagani o i pubblicani, che non erano ammessi dai giudei nella comunicazione del culto e delle orazioni. La considerazione di tutti a suo riguardo sarà come quella di una persona pericolosa che potrebbe mettere a rischio la perseveranza degli altri; di qui la necessità di evitare la sua frequentazione.
Povera quella persona che non ascolta la voce dell’Assemblea o che disprezza il timbro e la sonorità di questa voce. Egli potrà ribellarsi contro la sua autorità, discutere sui suoi doveri, disprezzare le sue correzioni o condanne. La parola del Signore, tuttavia, è ferma come una roccia: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35). Una tale persona ormai non apparterrà al Gregge del Buon Pastore, non avrà più diritto al nome di cattolico, apostolico e romano… Chi volge le spalle alla Chiesa di Gesù Cristo sarà considerato come un pagano o un pubblicano agli occhi di Dio.
Questa denuncia deve esser fatta con spirito cristiano. Così hanno proceduto i servi della parabola quando, con tristezza, hanno comunicato l’errore del loro compagno al re (cfr. Mt 18, 31). Se gli accusatori si muovessero con spirito di odio o di vendetta, per puro egoismo o per invidia, dovrebbero essere tenuti per vili delatori; ma, procedendo così, essi non possono essere visti come personaggi abietti e mal reputati.
Dio ordina che li rimproveriamo e allontaniamo
Il cattolico, quando accusa, lo fa per amore e con amore. Tenendo in considerazione che il peccatore non poche volte potrà costituire un pericolo per il bene comune e, pertanto, per la stessa società, il non denunciarlo sarà un’omissione contro la carità o addirittura comodità egoista e codarda. Non è raro trovare questa omissione come vizio praticato persino all’interno di alcune comunità religiose; omissione che finisce per trasformarsi in sfogo e si spiega, molte volte, in commenti diffusi tra gli altri sulle infrazioni di questi o quei colpevoli, vere maldicenze che alle volte oltrepassano i limiti della calunnia.
Questa mancanza di carità ha conseguenze malefiche sullo stesso trasgressore, che molto guadagnerebbe se fosse riconosciuto come tale. Infatti la situazione di ripudiato da tutti i suoi conoscenti farebbe crescere in lui il senso di vergogna e potrebbe servirgli da buon mezzo di conversione, come insegna San Girolamo: “Quindi, se nemmeno a questi egli vuole dare ascolto, allora si deve dirlo a molti, affinché lo detestino e, così, quello che non può essere salvato con la vergogna si salvi con gli affronti”.8
Proprio per questo, è un dovere denunciare il peccatore, così lo sottolinea la Glossa: “O ditelo pure a tutta la Chiesa, in modo da fargli provare ancor più vergogna. Dopo tutto questo deve seguire la scomunica, che deve essere fatta per bocca della Chiesa, cioè, dal sacerdote che, quando scomunica, tutta la Chiesa scomunica con lui”.9
Vale qui anche il principio latino: corruptio optimi, pessima. Vediamo, a volte, quanto sia più pernicioso un cristiano che imbocca la via del male degli stessi cattivi, come asserisce San Girolamo: “Con le parole ‘sia lui per te come un pagano e un pubblicano’, il Signore ci fa capire che dobbiamo detestare di più chi col nome di cristiano pratica opere da infedele di chi è chiaramente pagano. Si dà il nome di pubblicani a quelli che cercano le ricchezze del mondo ed esigono imposte per mezzo di traffici, frodi, furti e spergiuri orribili”.10
spirito cristiano; se gli accusatori si
muovessero con spirito di odio o
di vendetta, per puro egoismo o
per invidia, dovrebbero essere
tenuti per vili delatori
dell’Ermitage – San Pietroburgo
O ancora come evidenzia San Giovanni Crisostomo: “Tuttavia, mai il Signore ci ha ordinato, riguardo a coloro che sono al di fuori della Chiesa, una cosa simile a quanto ci ordina qui riguardo la correzione dei fratelli. Perché relativamente agli estranei Egli dice: ‘Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra’ (Mt 5, 39); e San Paolo: ‘Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? (ICor 5, 12). In relazione ai fratelli, però, ci ordina che li rimproveriamo e li allontaniamo”.11
Virtù da parte dell’accusatore e dell’accusato
Non sarà mai troppo insistere che la nota non solo dominante, ma essenziale, di questa denuncia dovrà essere l’amore verso il prossimo per amore di Dio, poiché chi si incollerisce contro un suo fratello sarà reo nel tribunale di Dio (cfr. Mt 5, 22). L’indignazione egoista e malefica, il sarcasmo, la beffa, la vendetta, ecc. non possono penetrare nemmeno nelle zone occulte del nostro cuore, poiché lì sta Dio ad analizzare i nostri sentimenti ed intenzioni. Essi sono la fonte dei nostri atti, e per questo ogni rancore deve essere sradicato con intransigenza.
Da parte dell’accusato, sarà anche pretesa la virtù per la sua conversione, poiché non gli farà poca resistenza la stessa superbia che lo ha portato a procedere male. “Chi incontrerà un uomo che desidera essere rimproverato? Dove troveremo quel saggio, di cui Salomone dice nei Proverbi: ‘rimprovera il saggio ed egli ti amerà’? (Pr 9,8)”.12 La manifestazione di pentimento ed emenda da parte del corretto è salutata con una bella esclamazione da parte del Siracide (cfr. Sir 20, 4), che afferma che con questo mezzo si riesce più facilmente a fuggire dal peccato. San Basilio fa un’analogia tra la disposizione di un infermo che accetta i penosi trattamenti indicati dal medico per ottenere la sua guarigione, e l’umiltà di un uomo che realmente desidera la sua salvezza eterna, perché anche costui accetta con gaudio la correzione fattagli, per quanto amara ed aspra questa possa essere.13
L’accogliere male i rimproveri costituisce non solo un’offesa a Dio, ma perfino porta a rigettare ogni somiglianza con Gesù. Chi procede così non tarderà a perdere tutte le sue virtù e, per orgoglio, procederà di caduta in caduta, avvicinandosi ad ogni passo allo spirito di satana, colui che si rivolta contro le correzioni.
nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20)
Lorrain – Museo dell’Ermitage
– San Pietroburgo
Il potere dato a Pietro
In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
Dobbiamo manifestare la nostra gratitudine piena di giubilo per questa concessione fatta dal Redentore ai primi Pastori della Chiesa e, nelle loro persone, estesa a tutti i loro successori.
Si tratta di un nobilissimo potere, elevato, ampio e necessario per la perpetuità del deposito della Fede, la conservazione dei buoni costumi e della tradizione, insomma, del buon ordine. Esso fu concesso in pienezza a Pietro (cfr. Mt 16, 18-19) ed è in dipendenza dall’autorità di costui che gli altri lo detengono. “Questi vastissimi poteri che riguardano tanto il foro esterno quanto quello interno – cioè, il diritto di pronunciare sentenze giudiziali e quello di assolvere i peccati – non sono affidati, come è naturale, alla massa dei fedeli ma ai superiori regolarmente istituiti. E se la formula per la quale questi poteri gli sono conferiti assomiglia a quella che Gesù usò quando nominò San Pietro capo supremo della Chiesa, è naturale anche che non sia loro concessa se non una giurisdizione subordinata all’autorità del Supremo Pastore”.14
Origene fa un’interessante osservazione a proposito del plurale: “nei cieli”, usato da Gesù quando si riferisce ai poteri dati a Pietro, ed il singolare quando si rivolge agli Apostoli: nel cielo, “perché questo potere non è tanto perfetto quanto quello dato a Pietro”.15
È di grande valore il giudizio di San Girolamo riguardo questo passo: “Siccome il Signore aveva detto: ‘E se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano’ (Mt 18, 17), e potrebbe accadere che il fratello, così disprezzato, risponda o pensi nel modo seguente: ‘se voi mi disprezzate, anch’io vi disprezzo, se voi mi condannate, anch’io vi condanno’, il Signore ha dato agli Apostoli un potere tale che non può restare alcun dubbio ai condannati da loro che la sentenza umana è confermata dalla sentenza divina. Per questo dice: ‘In verità vi dico che tutto quanto legherete’, ecc.”.16
tudine piena di giubilo per questa conces-
sione fatta dal Redentore ai primi
Pastori della Chiesa e, nelle loro per-
sone, estesa a tutti i loro successori
a San Pietro – Cattedrale di
Hamilton (Canada)
Viene a proposito qui riproporre anche le sagge considerazioni fatte da San Giovanni Crisostomo: “E non ha detto a colui che presiede nella Chiesa: ‘Lega chi così pecca’, ma: ‘Tutto quanto legherai’. Che significherebbe lasciar tutto nelle mani dell’offeso. E i vincoli rimangono indistruttibili. Dunque, il peccatore avrà da soffrire gli ultimi castighi; la colpa di questo, però, non l’avrà chi lo ha denunciato, ma chi non ha voluto sottomettersi. Si vede come il Signore condanna il peccatore ad una punizione qui sulla terra e l’altra nell’aldilà. Però, se minaccia col castigo sulla terra è per non arrivare al supplizio nell’aldilà, ma piuttosto affinché l’ostinato si calmi col timore della minaccia, con l’espulsione dalla Chiesa, col pericolo di essere legato sulla terra e rimanere legato anche nei cieli. Sapendo questo, è naturale che l’uomo – se non all’inizio, almeno col passare per tanti tribunali – desista dalla sua ira. Per questo il Signore ha stabilito uno, due e persino tre giudizi, e non l’espulsione immediata del colpevole, poiché, nel caso si rifiuti di ascoltare il primo tribunale, possa accedere al secondo: se respinge anche il secondo, ancora gli resta il terzo. Se rigetta anche questo, possono ancora spaventarlo il castigo futuro e la sentenza e giustizia di Dio”.17
V – L’umanità avrà sempre bisogno di perdono
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.
Senza nessun timore, si può affermare che in questi due versetti si trova la sintesi di tutta l’opera del Salvatore. Gesù è l’anello di congiunzione tra tutti coloro che prendono la decisione di unirsi in suo nome, poiché, in queste circostanze, Egli starà in mezzo a loro. Con la sua intercessione, sarà commossa la misericordia del Padre e i discepoli sapranno cosa chiedere, poiché in loro gemerà lo Spirito (cfr. Rm 8, 26), così, tutto otterranno. Gesù agirà su ciascuno di loro, offrendogli il Suo amore, il Suo potere e la Sua saggezza. Questa è la vera Chiesa che vive di compassione, misericordia e pietà, poiché l’umanità, che sempre peccherà, sempre necessiterà del perdono del Divino Redentore, dato per mezzo della Sua Chiesa.
1 CLIMACO, San Giovanni. Scala Paradisi – Gradus IV (De obedientia).
2 LAPIDE, Cornelius a. Commentaria in Scripturam Sacram.
3 Cfr. PLUTARCO. De capienda ex inimicis utilitate.
4 Cf. SAINT-VICTOR, Hugues de. De institutione novitiorum líber, cap. X.
5 CRISOSTOMO, San Giovanni. Homiliæ in Matthæum, hom. 60, § 1
6 GIROLAMO, San. Commentariorum in Evangelium Matthaei Libri Quattuor, Cap. XVIII, Vers. 15 seqq
7 AQUINO, San Tommaso de. Catena Aurea.
8 GIROLAMO, San, Op. cit., ibidem.
9 AQUINO, San Tommaso de. Catena Aurea.
10 GIROLAMO, San, Op. cit., ibidem.
11 CRISOSTOMO, San Giovanni, Op. cit., ibidem.
12 AGOSTINO, Santo. Epistola 210, § 2.
13 Cfr. BASILIO, San. Sermones viginti quator – De moribus. Sermo II – De doctrina et admonitione.
14 FILLION, Louis-Claude. Vida de Nuestro Señor Jesucristo. V. II. Madrid: Ediciones Rialp S.A., 2000. pag. 310.
15 Apud AQUINO, San Tommaso de. Catena Aurea.
16 GIROLAMO, San, Op. cit., Cap. XVIII, vers.18.
17 CRISÓSTOMO, São João. Op. cit., ibidem.
(Rivista Araldi del Vangelo, settembre/2008, n. 65. p. 10 – 17)
OPERE DI MISERICORDIA. Ammonire i peccatori
Rimproveri e richiami
Ma solo per amore
Papa Benedetto, con profonda sapienza umana ed evangelica, diceva: “L’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’”io” può trovare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona”. (Benedetto XVI, 22.XII). Egli aveva dedicato la lettera pastorale della Quaresima 2012 proprio a spiegare il senso della correzione fraterna, così desueta in epoca di imperante individualismo più attenta a cercare asettici percorsi formativi piuttosto che appassionate avventure umane e spirituali. Un’epoca di benessere spirituale soggettivo piuttosto che di vita fraterna comunitaria e di amicizia. Prevale la paura di farsi carico l’uno dell’altro, cioè di vero amore reciproco. Infatti, ammonire non è liberarsi dell’altro con un giudizio, ma legarsi a lui, aiutarlo. Chi ammonisce deve volergli ancora più bene! L’ammonimento per essere credibile richiede insistenza e fedeltà, non è un gesto di impulso per mettersi a posto la coscienza! Solo un amore così permette di cambiare e di comprendere il nostro peccato!
Papa Benedetto, partendo proprio dalla fraternità come motivazione principale della correzione. “Il grande comandamento dell’amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità”. Benedetto XVI metteva in guardia da una ”anestesia spirituale”. ”Prestare attenzione” al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. “Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene”. Non tacere per amore, ammonire, è vera carità e non farlo non è rispetto, ma indifferenza. La correzione certamente non è attraente, né per chi la esercita né per chi la subisce. E’ tale solo se esercitata e vissuta nell’amore! Aggiunge Papa Benedetto: “Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi”.
Ammonire è gesto di carità e tutti ne abbiamo bisogno. E’ aiutare a comprendere le conseguenze delle mie scelte, che spesso non sa valutare o a cui non credo, deformato dall’illusione che posso sempre cambiare quando voglio io o che l’unico giudizio è il mio. Quante sofferenze si potrebbero evitare se sapessimo ammonire con vera carità! In alcuni casi l’ammonimento è evidente, condiviso, forte. Ad esempio, durante il suo viaggio a Agrigento, Giovanni Paolo II si rivolse così ai mafiosi: “Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Ed in tante occasioni ha ammonito con vigore coloro che si macchiavano di evidente e pubblico peccato. Così Papa Benedetto ha stigmatizzato, ad esempio, il carrierismo, l’uso privatistico della Chiesa, il dare scandalo ai piccoli. Questa chiarezza, però, deve aiutare tutti i cristiani ad ammonire con uguale forza i mafiosi o chi vive in situazione di evidente peccato e farlo sempre nella speranza di strapparli dalla complicità con il male.
Gesù afferma che (Gv 15,2) “ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Il tralcio lasciato a se stesso diventa sterile, come accade facilmente con la presunzione, la facile convinzione di potere fare da soli, l’orgogliosa o rassegnata convinzione di fare abbastanza, di credersi padroni di se stessi e dei frutti. L’amore di colui che pota è speranza che i frutti possano essere più abbondanti, anche quando, come per la vite, tagliare sembra durezza, perdita, sacrificio inutile di quello che abbiamo se giudichiamo solo nel presente. Potare non è limitare il tralcio, quanto piuttosto aiutarlo a essere forte! Come per la vite: per tagliare dobbiamo desiderare dia tanti frutti e sapere vedere la primavera quando ancora siamo in inverno! Altrimenti la lasciamo com’è, si inselvatichisce, diventa sterile. Ammonire, quindi, non è affatto mancanza di rispetto o offesa all’individuo, come può suggerire una mentalità piena di paure, catturata dal presente, alla ricerca di un benessere immediato, debole nella speranza!
Gesù ama la persona, da valore unico all’individuo, a cominciare da quei “senza volto”, cioè senza “io” che erano gli schiavi. Se amo qualcuno voglio sia protetto dal male! Egli stesso si fa schiavo per liberare dalla condanna peggiore, quella del non avere valore, del non esistere per l’altro, dal non essere e dal non avere prossimo. Gesù ama perché vuole che tutti abbiano un nome, un volto, siano una persona, un corpo, da amare, rispettare, anche quando è allontanato legalmente come il lebbroso, è considerato insignificante, come i bambini o le vedove, quando viene evitato perché un pericolo come un lebbroso o uno sconosciuto, come l’uomo mezzo morto che torna alla vita solo per la compassione del samaritano. Il Vangelo è proprio una storia di nomi, cioè di persone, che acquistano importanza, originalità, fisionomia, carattere, proprio perché amati e custoditi da Lui. E non diventano affatto uguali, ma, questo sì, legati l’uno all’altro, tanto da arrivare ad essere “un cuore solo e un’anima sola”. Se stessi, ma insieme; io e noi, singolarità e comunione, amore per se e amore per gli altri, aiuto reciproco. Così l’individuo è davvero se stesso! Se è amato! Gesù non si sostituisce affatto alla decisione della persona, non umilia la nostra volontà, anzi, questa è talmente e sempre decisiva, tanto da essere il suo vero limite all’amore. Lui resta alla porta e bussa finché noi non gli apriamo. Lui cerca una donna strappandola all’anonimato della folla e vuole riconoscere proprio lei perché il suo rapporto non è mai anonimo, impersonale e perché vuole regalarle quel bellissimo riconoscimento, realizzazione e piena consapevolezza dell’io: “la tua fede ti ha salvata”. Gesù non vuole che la gente lo segua per i miracoli che compie e in molti episodi sembra quasi sconsigliare la folla di venirgli dietro facilmente chiedendo a tutti di avere fame del pane che dura in eterno, perché non di solo pane vive l’uomo. Noi spesso, purtroppo, crediamo che l’individualismo sia la garanzia per la nostra persona, mentre è solo motivo di solitudine, che ci fa credere padroni di noi stessi quando ci trasforma banalmente in isole, vulnerabili, questo sì, al pensiero comune. Che però, siccome è comune, di tutti e non ha un volto, non è una persona concreta da amare ed a cui legarsi, appare, a noi che abbiamo paura di un amore vero e quindi personale, più rassicurante e facile!
Gesù è molto diverso dai maestri del suo e di ogni tempo, che ammoniscono, stigmatizzano, condannano, giudicano con rigore e intransigenza, maestri che sanno riconoscere la pagliuzza e caricano sugli altri pesi insopportabili che loro stessi non vogliono sollevare nemmeno con un dito. Madelein Delbrel li descrive “gente che, sempre, parla di servirti con l’aria da capitano, di conoscerti con aria da professore, di raggiungerti con regole sportive, di amarti come ci si ama in un matrimonio invecchiato”. E quanti guasti creano cristiani così, tanto da rendere antipatico il bellissimo annuncio del Vangelo, da ridurlo a legge, facendo credere in diritto di guardare con antipatia e sufficienza il fratello, ammonendo senza amare. Essi certificano il peccato con le loro sentenze, ma non sanno e non vogliono aiutare a cambiare, non hanno interesse che questo avvenga! Non desiderano guadagnare un fratello (Mt 18,15), abbracciarlo perché è tornato in vita; non credono che la pecora smarrita posa essere ricondotta all’ovile, che un uomo vecchio diventi nuovo. Questa, è, invece, la speranza di Gesù. I farisei di ogni tempo e generazione amano la legge non l’uomo, perché questo scombina i nostri calcoli, chiede misericordia e non sacrifici, coinvolge nell’imprevedibile legame dell’amore e di un destino unico. Probabilmente sono essi stessi attraversati da dubbi, ma li nascondono come se il bianco del sepolcro potesse risolvere la morte o l’ipocrisia fosse una medicina.
Il contrario della giustizia dei farisei, prigioniera del peccato e delle regole, non è, però, non dire niente, lasciare, ipocriticamente, ciascuno così com’è e in fondo solo! Gesù parla, e quindi, se necessario, ammonisce, perché ama. E’ curioso che ammonisce per lo più i giusti perché non sanno vedere il loro peccato, coloro che si credono a posto. Al contrario verso i peccatori ha parole di comprensione, di sostegno, di tenerezza, di speranza irragionevole secondo la legge, di amore ingenuo per il pessimismo cinico di chi crede di conoscere l’uomo! “Va e d’ora in poi non peccare più”, suggerisce alla donna adultera. Ammonimento e speranza. Non assiste con indifferenza al peccato, attento solo a esserne protetto lui! Non disprezza sentendosi buono, come quel fariseo che sale al tempio. L’Abbé Pierre diceva: “L’inferno é il momento di chiarezza, di luce piena in cui ognuno si vede così com’é fatto: in comunione o bastante a se stesso; in altre parole, amante degli altri o adorante di se stesso. Io! La mia carriera! Il mio successo! La mia fortuna! ‘Hai detto di bastare a te stesso? Soddisfati! Quella sarà la dannazione. L’inferno non é altro. E’ essere votati a guardarsi nello specchio così come si é per l’eternità”. Potremmo dire: l’inferno è conseguenza di un uomo che fugge da qualsiasi ammonizione, convinto così di essere se stesso, di affermare il suo valore perché nessuno gli può dire nulla e finisce per restare disperatamente così com’è! L’inferno è anche frutto dell’ipocrita indifferenza di non dire nulla. “Ogni volta che l’uomo nega la propria miseria e impotenza e pretende di bastare a se stesso, egli uccide l’amore perché ama se stesso. Con l’amicizia bisogna che finisca, che si spezzi, quest’aria di sufficienza, reale o apparente, che ognuno, nelle relazioni con gli altri, si sforza di mostrare per proteggersi. Non vi é possibilità di amicizia, come di amore autentico, se non là dove ci sia povertà di spirito secondo la formula evangelica, ovvero profonda “non sufficienza”, aggiungeva l’Abbé Pierre.
Gesù ammonisce ma non umilia. Egli rivela alla donna samaritana “tutto quello che ha fatto”, ma sempre con speranza e misericordia, tanto da liberarla dalla sua dolorosa e difficile storia di tradimenti e solitudine. Gesù rivolge parole dure ai giusti nella speranza possano vedere e sentire. “Guai a voi” è l’estremo tentativo per rendere consapevole, chi, al contrario, diffida, si chiude, pensa che il male sia fuori di sé. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e d’intemperanza” (Mt 23,25). “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia”. (Lc 6,24-26): “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti”. Dovremmo prendere sul serio queste ammonizioni così chiare di Gesù e soprattutto comprenderle come l’estremo tentativo di farci rientrare in noi stessi e di metterci di fronte alle conseguenze delle nostre scelte. Non sono minacce, ma ammonimenti perché non piangiamo e restiamo senza nulla! E noi dobbiamo anche aiutarlo a toccare il cuore di chi si crede giusto perché ha le mani pulite anche se, come i sepolcri imbiancati, nasconde la morte dentro. I giusti si difendono, credono che il problema non siano loro ma Gesù. Eppure Gesù non si stanca di parlare loro proprio per liberarli dalla prigione della diffidenza, che li porta a credersi a posto perché occupano i primi posti, mentre sono lontani dalla gioia vera.
Gesù ammonisce come un fratello, un padre, un vero amico e non come un maestro che assegna i compiti o esamina l’alunno! Ci vuole liberi dal male. Solo un amore forte e appassionato sa riconoscere il male ed è capace di sciogliere da questo. Gli uomini, invece, amano sentirsi e fare da maestri: ammoniscono senza misericordia, incutono paura per ottenere rispetto e obbedienza. Gesù parla perché ha misericordia, perché è più intimo a noi di noi stessi. Per lui nessuno è mai il suo peccato e spera, anche contro noi stessi, che possiamo essere diversi. Gesù libera dalla paura i peccatori e genera invece il timore, inizio dell’amore, via necessaria per cambiare e comprendere se stessi e la grazia. Quando l’ammonimento non nasce dall’amore e non lo trasmette è insopportabile, appare ingiusto, quasi un’offesa alla mia realizzazione! Gesù ammonisce anche Pietro, con parole dure, dirette, senza finti formalismi, con la libertà, appunto dell’amore. Pietro lo tentava ragionando, senza accorgersene, con la mentalità del mondo, quella per cui la vittoria è nella forza e non nella debolezza. (Mt 16,23) “Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. Parole forti, che devono aiutare lui e tutti noi a non ragionare secondo la legge del salvare se stessi, motivo dello scandalo della croce. Ammonisce Pietro anche quando, con sicurezza, dichiarava (Mc 14, 29) “Quand’anche tutti fossero scandalizzati, io però non lo sarò!”.”In verità ti dico che tu, oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte”. Ammonisce il suo peccato e con questa sua parola gli regala l’inizio di una vita più umile, più vera, senza paura della propria debolezza.
Il Vangelo ci mette in guardia perché non cerchiamo la felicità dove possiamo trovarla e per questo è pieno di ammonizioni. “Ma io vi dico”, afferma Gesù nel discorso della montagna, per rimarcare la differenza dalla giustizia dei farisei e dei pagani. Non basta più l’equilibrata e giusta regola dell’occhio per occhio, dente per dente, occorre amare il nostro nemico. Ammonisce a non cercare la nostra ricompensa, a non volere sapere e ricordare cosa faccia la destra e la sinistra per donare, solo per donare. Ammonisce tutti noi a non essere grandi come i capi di questo mondo, ma a esserlo facendoci grandi nel servizio gli uni degli altri, perché il più grande è colui che serve. Il peccato non è brutta figura, cosa che, invece, ci sembra imperdonabile, che temiamo e per la quali soffriamo tantissimo! Gesù vede nel profondo perché ama il cuore e vuole la gioia vera! Ed il peccato non è certo un problema formale, ma complicità con il male. Spesso il peccato appare “innocuo”: non genera immediatamente nessun giudizio negativo negli altri e nessun cambiamento del nostro ruolo. A volte, anzi, è peccato quello che può offrire importanza, ruolo, come il lusso, l’esteriorità, la forza, la furbizia, l’uso dell’altro per nutrire il proprio io. E’ facile non accorgersi delle conseguenze delle nostre scelte. Preferiamo interpretare il nostro peccato, farne oggetto di discussione, anche pubblica, come tanti aspetti della nostra vita, come fosse carattere, una manifestazione di come siamo fatti, qualcosa da capire, con un certo gusto di narcisismo così diffuso verso quello che ci appartiene. Qualcosa da capire e basta, perché il problema sono io ed il mio benessere personale. Ma all’anima, in realtà, questo non basta!
Per paura dell’amore fuggiamo l’ammonimento su di noi! Invece capiamo il peccato proprio quando ci confrontiamo finalmente non più e non solo con noi stessi ma con un oltre, ci mettiamo di fronte a Dio, al suo giudizio. Solo specchiarci in lui ci fa capire davvero chi siamo, anche nel nostro peccato, perché illumina anche le parti più buie della nostra anima, ma sempre con una luce che è amore, luce della quale non dobbiamo avere paura! Certo, sappiamo quanto sia facile sentirsi “ a posto”, assecondare la suadente voce del nostro orgoglio, l’istintiva difesa del nostro io, intenerirsi per le nostre difficoltà, sentirsi vittime. In realtà è un uomo che soffre, proprio perché si giudica da solo!
E’ facile non permettere agli altri di ammonire, anticipando con l’aggressività, difendendosi con le giustificazioni, chiudendosi nel silenzio. In realtà non soltanto non dobbiamo subire ma cercare l’aiuto fraterno con docilità, riconoscendolo così necessario per cambiare. Il Cardinale Daneels con acutezza scriveva: “Spesso, per i nostri contemporanei, libertà vuol dire unicamente essere libero da, essere liberato da tutti i legami che paralizzano. Ma a che serve essere liberi da se non si sa per che cosa uno é libero? Senza un progetto di vita che abbia senso, che entusiasmi, la libertà é forse qualcos’altro di un vicolo cieco? Quanto alla bellezza essa non libera più , piegata com’é al narcisismo. Gli uomini cercano un Dio. Ma questo Dio deve parlare. Ma, si sente dire ancora, c’é davvero posto per due? C’é posto per Dio e per me? Se lui esiste, non sono uno schiavo? Se regna, che ne é della mia libertà? Strano, un diamante non andrà mai a chiedere al sole: “Smetti di brillare! Tu mi schiacci!”. Non dirà piuttosto: illuminami, perché più vivi sono i tuoi raggi, più io scintillo e più posso essere diamante! Proprio perché tu ci sei, io sono pienamente me stesso”. In realtà è proprio la paura dell’amore che ci fa scappare da ciò di cui abbiamo più bisogno. La vera fraternità è in fondo la causa e anche il frutto dell’ammonimento. Il peccato, infatti, è ciò che ci divide dall’altro, che ci fa vivere per noi stessi, che ci deforma con l’orgoglio di bastare a noi stessi. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”. (Antoine de Saint-Exupéry). E tutti noi, in realtà, abbiamo bisogno di un padre, un fratello, una madre, una sorella che ci addomestica con il suo amore e non ci vergogniamo di farlo nel comandamento reciproco dell’amore. Dio giudica, perché non é indifferente! L’ammonimento si motiva con questo giudizio, cui tengo e, che mi aiuta a fermarmi e cambiare. Noi crediamo poco al giudizio di Dio, deformati come siamo dalal convinzione che io sono il solo che può giudicare me stesso!
Cassiano, monaco saggio che insegnava ad uomini rozzi a volersi bene e a vivere assieme scriveva: «Se qualcuno, per aver commesso una qualsiasi colpa viene sospeso dalla preghiera, nessuno abbia il permesso di pregare con lui prima che, prostratosi egli a terra per penitenza, l’abate non conceda il perdono a lui che supplica davanti a tutti i fratelli. Colui, infatti, che avrà la presunzione di unirsi a lui nella preghiera o in una conversazione prima che egli sia riaccolto da chi presiede, riceva un’analoga punizione, poiché si è consegnato volontariamente a Satana, al quale l’altro, secondo le parole dell’Apostolo, era stato destinato in vista della correzione del suo peccato. Chi si unisce a lui pecca molto gravemente, poiché offrendogli consolazione fa sì che il suo cuore si indurisca ancora di più, e non permette che quegli rifletta sulla sua conversione e sulla necessità di chiedere perdono per ciò per cui è stato escluso dalla preghiera; anzi, comportandosi così egli alimenta l’eccitazione dell’orgoglio e l’ostinazione del peccatore, inducendolo a una condizione ancora peggiore”. Quanto è vero che il buonismo non è affatto bontà e che assecondare non è amare, ma illudere e lasciare soli con se stessi.
Ammonire i peccatori è possibile, però, solo se liberiamo il nostro cuore dal peccato. Il consiglio di togliere la trave nel proprio occhio non è soltanto per smettere di giudicare gli altri ed iniziare finalmente a guardare se stessi, ma anche perché possiamo vedere il prossimo, riconoscere il fratello, la sorella e non la pagliuzza! Invita Sant’Agostino (Discorso 387) “Dovremmo dunque tacere e non muovere rimproveri a nessuno? No, dobbiamo senza dubbio rimproverare, ma prima rimproverare noi stessi. Volete rimproverare il vostro prossimo? Perché cercare chi è lontano? Il prossimo che vi è più vicino, che avete davanti a voi, siete voi stessi. Se uno non ama se stesso, non può amare neanche il suo prossimo. La regola dell’amore del prossimo la ricevete da voi stessi. Se uno mi dice che ama il suo prossimo, io gli rispondo di amare prima se stesso e di rivolgere a sé i rimproveri”.
Si ammonisce non per una perfezione astratta, ma per liberare dal male! La perfezione di Gesù è molto diversa da quella, davvero disumana, dei farisei! Per Gesù la perfezione non è un modello senza errori, come delle mani pure ma non sporche della vita. La perfezione è l’amore e quindi la misericordia! Perfetto non è chi si crede senza peccato, qualcuno cui non si può dire niente, chi non ha sbagliato ma nemmeno amato, ma è il pubblicano e la prostituta che passano avanti ai giusti nel Regno dei cieli. Essi hanno sbagliato tanto, ma sono perfetti perché hanno pianto e si sono abbandonati come bambini, senza nessun merito, ad un amore tanto più grande di loro. Perfetto è chi ha visto un uomo affamato e gli ha semplicemente dato da mangiare. Senza ricompense. Solo per amore. Che tristezza uomini (ed anche comunità, come ha ricordato papa Francesco) cui non si può dire nulla, piene di difese e di paure, chiuse, lontane dalla vita, senza “incidenti” ma anche senza prossimo! Giobbe esclama: (Gb 5,17): “Felice l’uomo, che è corretto da Dio”. Felice non è chi può fare da solo, ma chi si lascia amare! L’autore della Lettera agli Ebrei aggiunge: (Eb 12,11): “Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati”. Gesù ammonisce perché ama e perché vuole che la (Gv 15,11) la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena.
Dobbiamo anche ricordarci il limite stesso del nostro ammonire. Non dipende tutto da noi (qualche volta per poca fede, per troppa convinzione su noi stessi e sulle nostre opere finiamo per crederlo e diventiamo, così, farisei!). Noi seminiamo amore, aiutiamo a comprendere, cerchiamo di aiutarci reciprocamente, ma sempre affidandoci alla grazia del Signore, unico maestro e vero seminatore di amore nel cuore degli uomini. Sant’Agostino afferma: “L’uomo, dunque, corregga con misericordia ciò che può; ciò che invece non può correggere, lo sopporti con pazienza, e pianga e gema con amore”.
Sempre Sant’Agostino a proposito della correzione riprende il famoso ama e fa ciò che vuoi: (Discorso 163/B): “Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi, gli spirituali, correggetelo in questa maniera, con mitezza. Sia che incoraggi, che ti mostri paterno, che rimproveri, che sia severo, ama e, tutto ciò che vuoi, fallo pure. Il padre infatti non odia il figlio, eppure il padre, se è necessario, percuote il figlio, apporta dolore per proteggerne la salute. Questo vuol dire quindi: con mitezza. Se infatti uno venga sorpreso in qualche colpa e dirai: Non mi riguarda; ed io ti dirò: Per quale ragione non ti riguarda? Se avrai trascurato la piaga di lui, renderai un conto negativo del peccato della tua negligenza”.
Ammonisce, allora, non un distaccato maestro o un freddo giudice ma un padre e un fratello! Non è vero che ammonisce chi non ha interesse per l’altro! Anzi! Quante ammonizioni non dette hanno lasciato solo il fratello e non lo hanno aiutato a rendersi conto! Ascoltiamo sempre Sant’Agostino: (Discorso 387) “Sta scritto: Chi disprezza la correzione è infelice. Si può rettamente aggiungere a questa massima: come chi disprezza la correzione è infelice, così chi ricusa di dare la correzione è crudele. Chi ferisce è misericordioso, chi risparmia è crudele. Vi pongo un esempio dinanzi agli occhi. Il padre anche quando ferisce ama. E non vuole che il figlio perisca. Non bada al suo sentimento paterno, pensa a ciò che è utile al figlio. Perché? Perché è padre, perché prepara l’erede, perché educa il suo successore. Ecco: colpendo, il padre si mostra buono, colpendo si mostra misericordioso. Se il figlio, che è inesperto e non viene corretto, vive in maniera da perire, e se il padre fa finta di niente, se il padre lascia correre, se il padre teme di urtare il figlio traviato con la severità della correzione, risparmiandolo non si mostra crudele? IL problema, allora, non è chi sono io per dire qualcosa all’altro, ma prendersi la responsabilità e la libertà dell’amore. E anche accettarla per sé! Solo l’amore ci libera dalla paura e ci fa trovare le parole che possono toccare il cuore.
San Francesco nella sua regola (Capitolo V) invitava ogni frate e custodire se stesso ma anche il fratello. “Nessun frate faccia del male o dica del male a un altro anzi per carità di spirito volentieri si servano e si obbediscano vicendevolmente. E questa è la vera e santa obbedienza del Signore nostro Gesù Cristo” Il suo amore esigente aiutava i frati ad essere migliori, diversi. “382 Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d’esser trovato incoerente, predicava la verità con franchezza”. Francesco ammonisce perché vive quello che chiede agli altri e sa che lui stessa ha bisogno di essere ammonito. Ammoniva e si lasciava ammonire perché fratello e padre. “142 Non soltanto con i maggiori di lui si mostrava umile il servo di Dio, ma anche con i pari e gli inferiori, più disposto ad essere ammonito e corretto, che ad ammonire gli altri. Un giorno, montato su un asinello, perché debole e infermo non poteva andare a piedi, attraversava il campo di un contadino, che stava lavorando. Questi gli corse incontro e gli chiese premuroso se fosse frate Francesco. Avendogli risposto umilmente che era proprio lui quello che cercava: «Guarda –disse il contadino — di essere tanto buono quanto tutti dicono che tu sia, perché molti hanno fiducia in te. Per questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto si spera ». Francesco, a queste parole, scese dall’asino e, prostratosi, davanti al contadino, più volte gli baciò i piedi umilmente ringraziandolo che si era degnato di ammonirlo”. Del resto egli soleva dire: (763) che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto”. Questo è il senso vero dell’ammonire il peccatore. E quando non lo facciamo che amara soddisfazione, purtroppo, nel vedere il fratello cadere, magari per giudicarlo o per sentirsi migliori!
Francesco, che era geniale nella carità, ci ricorda che ammonire non avviene soltanto con le parole, ma anche e soprattutto con la nostra vita e con l’esempio. (1703) “Un ministro dei frati si era recato da Francesco, per celebrare con lui la solennità del Natale, nel luogo di Rieti. E i frati, per festeggiare il ministro e la ricorrenza, prepararono le mense in maniera alquanto distinta e ricercata il giorno di Natale, stendendo belle tovaglie con vasellame di vetro. Scendendo Francesco dalla cella per desinare, vide che erano state poste mense più elevate e preparate con cura. Tosto si allontanò nascostamente, prese il bastone e il cappello di un povero venuto colà quel giorno e, chiamato sottovoce uno dei suoi compagni, uscì fuori dalla porta del luogo, a insaputa dei frati. Il compagno restò dentro, vicino alla porta. Intanto i frati entrarono alla mensa, poiché Francesco aveva ordinato che non lo aspettassero, quando non fosse giunto all’ora della refezione. Rimasto fuori un po’ di tempo, bussò alla porta e il suo compagno tosto gli aprì; il Santo, avanzando col cappello sul dorso e il bastone in mano, andò all’uscio della stanza in cui i frati desinavano. E come un pellegrino e povero implorava: «Per amore del Signore Dio, fate l’elemosina a questo pellegrino povero e malato! ». Il ministro e gli altri lo riconobbero subito. Il ministro gli rispose: « Anche noi siamo poveri, fratello, e poiché siamo in molti le elemosine che abbiamo sono sufficienti al nostro bisogno. Ma per amore di quel Dio, che hai nominato, entra nella stanza e divideremo con te le elemosine donateci da Dio ». Entrò Francesco e si fermò in piedi davanti alla tavola dei frati; il ministro gli diede la scodella in cui mangiava e del pane. Egli li prese umilmente, sedette vicino al fuoco, di fronte ai fratelli seduti a tavola, e sospirando disse loro: “Vedendo una mensa apprestata con tanta eleganza e ricercatezza, ho pensato che non fosse la tavola di religiosi poveri che ogni giorno vanno a carità di porta in porta. A noi, miei cari, si addice seguire l’esempio della umiltà e povertà di Cristo più che agli altri religiosi, poiché a questo siamo chiamati e questo abbiamo promesso davanti a Dio e agli uomini. Adesso sì mi sembra di star seduto come si conviene a un frate minore, poiché le solennità del Signore sono più onorate con l’indigenza e la povertà, per mezzo della quale i santi si guadagnarono il cielo, anziché con la raffinatezza e la ricerca del superfluo, a causa delle quali l’anima si allontana dal cielo”. Di ciò arrossirono i fratelli, considerando ch’egli parlava la purissima verità. E alcuni cominciarono a piangere forte, vedendo Francesco seduto per terra, e come puramente e santamente aveva voluto correggerli e ammaestrarli. Ammoniva invero i frati ad avere mense basse e semplici, in modo che i secolari ne traessero edificazione, e se qualche povero sopraggiungesse invitato dai frati, potesse sedersi alla pari e vicino a loro, non il povero per terra e i frati più in alto”.
Ecco, tutti piansero e capirono. È il frutto dell’ammonizione. Ritrovare la pienezza della fraternità, senza paure, senza vergogne. Sì, davvero è felice colui cui è rimessa la colpa. Non c’è gioia da soli e non ci si salva da soli. Triste l’uomo cui non si può dire nulla! Non abbiamo paura di ammonire e di farci ammonire, per trovare la gioia vera che il peccato ruba e nasconde. Sempre con la libertà dell’amore. Anche nell’ammonire i peccatori “ama e fa’ ciò che vuoi”.
“Qualunque parola offensiva pronunciata contro i poveri lo feriva al cuore, e non poteva soffrire che qualcuno insultasse o maledicesse qualunque creatura di Dio. Un giorno udì un frate fare una insinuazione ad un poveretto che supplicava l’elemosina: «Non vorrei che tu fossi ricco e ti fingessi bisognoso!». Come l’udì il padre dei poveri, san Francesco, rimproverò molto duramente il frate che aveva pronunciato quelle parole, e gli ordinò di spogliarsi davanti al mendicante e di chiedergli perdono, baciandogli i piedi. Era solito dire: «Chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo, di cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo mondo»(2Cor 8,9). Spesso perciò, incontrando qualche povero con carichi di legna o altri pesi, prendeva sulle sue spalle quei pesi, sebbene fosse assai debole”.
“Amami come sei!”. Parole incoraggianti di Gesù all’anima.
9 agosto 2013
Preghiera di Mons. Lebrun tratta da Il Mio Libro di Preghiere, CLS, 2010, pp. 330-331.
Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo, so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei!”
Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all’amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che non vorresti commettere più, non ti permetto di non amarmi.
Amami come sei.
In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell’aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami come sei. Voglio l’amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.
Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l’Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?
Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l’amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l’amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù, ti amo!”.
Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una sola cosa m’importa, di vederti lavorare con amore.
Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai perché ti ho creato soltanto per l’amore.
Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante: io, il Re dei Re! Busso e aspetto: affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia.
Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia!
Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie.
Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare.
Sul sesto Comandamento, sulle impurità e sulla sodomia
di Carlo Di Pietro
Il sesto comandamento “non commettere atti impuri” o “non fornicare” (Catechismo Maggiore, San Pio X, III, Dei com. e di Dio) ci proibisce ogni impurità, per cui ci vieta le azioni, le parole, gli sguardi, i libri, gli spettacoli, le trasmissioni tv, i siti internet, ecc … immorali; ci vieta anche l’infedeltà nel matrimonio. Mentre il quinto comandamento, “non uccidere”, mira a conservare l’individuo nella sua integrità fisica, il sesto comandamento, “non commettere atti impuri”, mira all’integrità del buon costume, della moralità e punta alla conservazione della specie umana.
É un gran peccato l’impurità? “È un peccato gravissimo ed abominevole innanzi a Dio ed agli uomini; avvilisce l’uomo alla condizione dei bruti, lo trascina a molti altri peccati e vizi, e provoca i più terribili castighi in questa vita e nell’altra.” (ibid.)
Non vorrei scrivere del “sesto comandamento” poiché affronta una serie di argomenti così diabolici e sporchi – il Maccono li definisce “di pece” – che si corre il rischio di “imbrattarsi” nell’atto stesso del trattarli, anche se lo si fa per allontanarli da sé e dal prossimo; al fine di conoscere il necessario (che deve sapersi dal buon cattolico) per evitare i mali che possono derivare da uno stato di ignoranza colpevole, ed affinché non ci macchiamo, sia io che voi, nel mentre che ne parleremo è conveniente pregare Dio perché ci aiuti a rimanere saldi; ricordiamo anche le seguenti avvertenze:
I. Il peccato non lo si ha (non si manifesta) nel conoscere il male, ma nel volerlo, nel desiderarlo o nel compiacersene; ovverosia il peccato non lo ritroviamo propriamente nell’intelletto, ma nella volontà (adesione all’errore). Dio, per esempio, conosce tutto e non pecca, difatti è santissimo e Dio deplora il peccato;
II. Il godere di conoscere una cosa cattiva non è peccato, invece è peccato “beneficiare” della cosa cattiva. Quindi non è peccato il conoscere certi misteri della vita, e neppure è peccato il godere nel saperli,ma sarebbe peccato il godere di certe cose di cui ora parleremo;
III. Non è peccato il sentire tentazioni, sensazioni cattive, avere in mente brutte immaginazioni. Queste sono le normali forme di opera del maligno su di noi che si manifestano nella tentazione, mentre quanto costa alle brutte e persistenti immaginazioni, sarebbe preferibile parlare di manifestazioni straordinarie del maligno sotto forma di ossessioni. E’ peccato, però, acconsentirvi, compiacersene, goderne. Il peccato non consiste quindi nel sentire, ma nell’acconsentire; è sempre la libera accettazione dell’errore che ci fa peccare.
OBBIEZIONE — Si potrebbe obiettare dicendo che se non è peccato il sapere, allora posso interrogare qualunque persona, leggere qualunque libro, vedere qualunque figura, visitare qualsiasi sito internet o visionare anche film pornografici.
RISPOSTA — “O tu hai bisogno di sapere, di vedere tali cose, oppure no” spiega categoricamente il Maccono:
1° Se non hai bisogno di sapere un qualcosa, non puoi (è vietato), perché la conoscenza di certe cose porta facilmente a godere non solo della conoscenza, ma della cosa stessa, quindi il voler conoscere certe cose, senza necessità, è un esporsi al pericolo prossimo di peccare, il che non è lecito, anzi è già peccato;
2° Se il bisogno di sapere un qualcosa è necessario e non artificioso, allora potrai interrogare questa o quell’altra persona seria, prudente, timorata di Dio; leggere questo o quell’altro libro; ma con tutto riguardo per non peccare, come chi è costretto a maneggiare veleni, lo fa con riguardo per non averne danno;
3° Quindi, posto il bisogno vero, e non una morbosa curiosità, sii prudente nel scegliere chi devi interrogare e, nelle stesse interrogazioni, sii prudente nel consigliarti, per esempio nella scelta dei libri e nella lettura. Poi pensa che Dio ti vede, e non oltrepassare il limite del pudore naturale che Dio pose in noi, quasi come una invisibile barriera al male a cui ci spingono le passioni. Rispetta sempre te stesso, abbi orrore e sdegno di ogni bruttura e abominio, e non lasciarti mai andare a cose di cui debba poi vergognarti. — Da ultimo prega sempre Dio che ti tenga la sua Santa Mano sul capo e non ti lasci cadere.
Quando si studiano certe cose per bisogno, così come stiamo facendo adesso, e si adoperano le debite precauzioni, Dio volge la Sua Santa Mano in maniera particolare inviando la Sua Grazia affinché l’uomo non pecchi; se invece si cerca di sapere per vana curiosità, Dio abbandona l’uomo a se stesso, e l’uomo, abbandonato a sé, cade nel fango.
Dio ha posto nell’uomo delle forze e tendenze ordinate, alcune alla conservazione dell’individuo, altre alla conservazione della specie; stiamo parlando della percezione e della coscienza che ogni uomo ha della legge naturale; sono ordinati alla conservazione di se stessi, per esempio, gli stimoli del mangiare e bere, del ripararsi dal caldo o dal freddo, ecc… ; tutti questi stimoli è lecito e anche doveroso soddisfare ma sempre regolandoli secondo la ragione e la fede; chi trasmoda, come per esempio l’ubriacone, l’ingordo, ecc…, pecca contro la virtù della temperanza.
Vi sono in noi altre tendenze, ordinate alla conservazione della specie, alle quali non è lecito soddisfare, per volere di Dio, se non secondo l’ordine e il fine da Lui stabilito, che è, per esempio, il matrimonio debitamente contratto. Chi le asseconda in altri modi, pecca contro la virtù della castità. Quindi, se con cattiva compiacenza si fanno, si dicono, si guardano, si leggono cose impure o si seguono artisti e attori con canzoni, opere e dialoghi licenziosi, o si veste in modo indecente, si pecca contro questo comandamento.
Queste brevi nozioni sono essenziali da sapere per gli adulti, mentre per i bambini basta insegnare che il sesto comandamento proibisce:
1° …le azioni fatte da solo o in compagnia di altri. Se fatte con parenti o persone religiose o legate dal voto di castità, o coniugate, hanno speciale malizia, che va manifestata in confessione;
2° …le parole, dette o ascoltate con cattiva compiacenza e ogni discorso licenzioso. Sentendo un qualcuno dire parole che non vanno bene, che urtano, correggetelo; se è più grande di voi, e avvisato farebbe peggio, allontanatevi; se non potete, astenetevi non solo dal prender parte o sorridere ma, con un contegno composto e serio, dimostrate la vostra disapprovazione.
San Bernardino da Siena a un suo compagno, che incominciò un discorso licenzioso, appioppò un sonoro schiaffo dicendo: “A un sì libero parlare conviene un sì libero agire”.
San Luigi Gonzaga a un vecchio, che divertiva la brigata con discorsi liberi, disse: “Non si vergogna lei, alla sua età, di parlare in tal modo?” … e lo costrinse a tacere.
Ecco un bel proverbio italiano oggi dimenticato: “Chi vuol salvo l’onore, sdegno in fronte e fuoco in cuore”;
3° …gli sguardi immodesti, non necessari, e tanto più se su di altri;
4° …i libri, cioè, è proibita la lettura di libri, giornali, periodici, programmi TV, reality show, siti internet, ecc. che contengono cose immorali e la cui lettura o visione eccita le più ignobili passioni dell’uomo, trascinandolo al male. Quanti giovani hanno perduto prima l’innocenza e poi la fede per una lettura immorale, per un videogioco violento, per un reality pornografico? Quante fanciulle si sono rovinate per sempre addirittura per la lettura di un romanzo erotico?
5° …le immagini o statue oscene. Attenti quindi non solo alle TV, a internet, a certi sconci di réclame, ma anche nel visitare gallerie o musei d’arte, e certe esposizioni moderne, così brutte ed oscene; già la sola bruttezza spacciata per arte potrebbe essere una oscenità, ma v’è di più ed è la pornografia oggi definita “artistica”. Chi poi per ragione di studi deve consultare certi libri, studiare certe opere, ecc., ritenga quanto abbiamo detto più sopra, ovverosia lo si faccia con garbo e senza mai lasciarsi coinvolgere, senza desiderare di peccare;
6° …gli spettacoli immorali, cioè, i teatri, i cinema, i concerti e ogni altro ritrovo in cui le rappresentazioni o la musica, o tutt’ insieme queste cose, concorrono a risvegliare nel cuore i più bassi istinti delle più volgari passioni che poi, alla lunga, ci rendono pari agli animali.
GRAVITA’ DEI PECCATI IMPURI
Sono gravissimi i peccati contro la castità e sono quasi sempre mortali.
“L’impudicizia non si deve neppure nominare tra voi, come si conviene a santi; né oscenità, né sciocchi discorsi o buffonerie, che sono cose indecenti” (Ef., 5,3); “Nessun disonesto avrà parte dell’eredità del regno di Cristo e di Dio” (Ef., 5,5); “Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio” (1Cor. 6,9-19)
Secondo la Legge Divina, quindi non alterabile neanche dalla Chiesa stessa, l’impurità è un disordine, come ogni altro peccato, perché è contro la legge di Dio, e fa sì che l’uomo assoggetti l’anima al corpo, alla carne; ma disordine terribile, perché con facilità induce ad altri peccati e genera gravi scandali (come abbiamo appreso dal precedente studio lo scandalo grave è un peccato peggiore dell’omicidio [1]).
L’impurità produce un cumulo di rovine:
а) rovina del corpo, che infiacchisce e uccide: quante vite miete questo vizio infame! Quanto è vero il proverbio italiano che “chi vive carnalmente, non può vivere lungamente”, senza mai dimenticarci anche dei castighi che Dio invia direttamente o che ne acconsente il verificarsi a scopo propedeutico o propriamente per punire;
b) rovina della mente, che ottunde, specialmente per il senso morale;
c) rovina del cuore, che indurisce;
d) rovina della fede, che estingue. Quanti non credono, non perché abbiano scoperto contraddizione tra la scienza e la fede, ma perché sono accecati da questa obbrobriosa passione. Francesco Coppée, membro dell’istituto di Francia, nella sua gentil opera Saper soffrire, dove racconta le vicende della sua conversione, confessa candidamente che la prima causa della sua incredulità furono i peccati contro la bella virtù. “Fui educato cristianamente, egli scrive, e dopo la mia prima Comunione compii per parecchi anni, e col più ingenuo fervore. Quello che me ne staccò, furono lo dico schietto, la crisi dell’adolescenza e la vergogna di dovermi confessare di certe cose” – “Molti uomini converranno, se pur sono sinceri, che la regola severa imposta dalla religione ai sensi, fu quella che principiò ad allontanarli da essa; più tardi, solo più tardi, andarono a cercare nella ragione e nella scienza argomenti metafisici, che dispensassero da questa regola. Per me almeno le cose andarono cosi. Fatto il primo passo falso, e continuando per lo stesso cammino, non mancai di leggere libri, udire discorsi e osservare esempi, che sembravano destinati espressamente a convincermi che per l’uomo nulla è più legittimo che l’obbedire agli impulsi del proprio orgoglio e della propria sensualità. M’invase allora l’indifferenza d’ogni preoccupazione religiosa”.
e) rovina dell’anima, che rende schiava della passione e manda all’inferno (per maggiori nozioni sull’inferno leggere la nota 2);
f) rovina dell’onore, che fa perdere;
g) rovina spesso delle famiglie, che getta nel disonore e nella miseria;
h) rovina della vita e della natura, che fa accendere “ … a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento … E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa …” (Rm. 1, 26-32);
g) Castighi. Oltre le rovine sopraccennate ricordiamo che la Scrittura ci dice come Dio mandò il diluvio universale per questo peccato (noi sappiamo che il diluvio fu un reale accadimento, un vero castigo, non una metafora o una casualità come insegnano gli scandalosi modernisti); così mandò il fuoco sopra Sodoma e Gomorra (idem come prima); e così molte altre pubbliche e private calamità… E ricordiamo che castigo dell’impurità è pure la disperazione e l’impenitenza finale che conduce inesorabilmente all’eterna dannazione. “Badate di non errare: né i fornicatori… né gli effeminati avranno la eredità del regno di Dio” (1Cor. 6, 9-10).
Secondo la Fede Cattolica e quindi anche secondo la tomistica, per esempio, il peggior peccato di impudicizia è il sesso impuro contro natura o sodomia.
MAXIMUM PECCATUM INTER SPECIES LUXURIAE, ovvero il peccato più grande – grave – tra le specie della lussuria, dove per lussuria, si intende uno dei sette vizi capitali consistente nella brama disordinata del piacere sessuale. Il gravissimo peccato che ne consegue, ostativo per l’accesso al Regno dei cieli, contrasta con il finalismo della natura che, come previsto da Dio, subordina il piacere derivante da atti sessuali solo ed esclusivamente alla legge dell’amore fecondo, lecito unicamente nel contesto della sfera coniugale. (Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, 1992)
Molte immoralità e comportamenti disordinati che provocano anche la collera e i castighi di Dio vengono insinuati già da giovanissimi nella mente dei bimbi, spesso per colpa degli adulti iniqui, da qui la necessità di educare fin da subito i giovani di oggi che diventeranno gli uomini di domani.
Vi è difficoltà speciale nel parlare di questo comandamento e del nono ai piccoli, perché bisogna essere riguardosi per non insegnare il male e non scandalizzarli, quindi qualche catechista tralascia addirittura di parlarne (per catechista intendiamo il vero catechista cattolico, non l’odierno educatore sempre più spesso indecentemente impreparato se non addirittura complice del re della menzogna); il che non è bene, perché il fanciullo ne sente parlare per le vie, per le piazze, e forse anche in casa, e vede atti e figure che turbano il suo cuore. Inoltre la natura stessa depravata lo porta ad atti che intravede non essere buoni, ma di cui non comprende ancora la gravità. Poi, disgraziatamente, ne prende l’abitudine e vi si abbandona con rovina dell’anima e del corpo stesso, e con molta difficoltà ad emendarsi. Parliamogli in senso buono e santo, per premunirlo contro il male, di ciò che sente parlare in modo spudorato e peccaminoso nel mondo. E quando dovrete fare una di codeste lezioni, non solo farete una preparazione prossima più accurata, ma studierete i termini e le frasi da usarsi, e farete cosa ottima a scriverveli, e pregherete il vostro Angelo Custode affinché vi aiuti e non permetta che vi sfugga alcuna parola che possa offuscare il candore delle anime durante la lezione.
Potrete introdurvi così – Dio è nostro Creatore e Padre, e noi dobbiamo fare ciò che Egli comanda. Ora Egli vuole che noi andiamo vestiti. Le vesti servono a ripararci dal freddo e dal caldo, ma certe parti del corpo come le mani, la faccia, le teniamo scoperte. Certe altre parti invece Dio vuole che si tengano coperte e non si guardino e non si tocchino senza necessità. Il fanciullo che si regola in questo modo, si dice che è modesto e puro, e piace a Dio; chi invece non obbedisse a Dio in questo, e si mostrasse scoperto e si lasciasse vedere o toccare da altri, mancherebbe contro questo comandamento e farebbe peccato. Fa pure peccato chi guarda altre persone scoperte o le tocca; chi guarda volontariamente libri, riviste, programmi TV o siti internet indecenti, ecc.; chi ascolta volontariamente o fa discorsi brutti; chi legge cose cattive, le legge o le pensa o le desidera… Ben inteso, parlerete sempre con serietà e santità di linguaggio.
BELLEZZA ED ECCELLENZA DELLA CASTITÀ
Agli allievi ed alle allieve, più che della bruttezza del vizio, conviene parlare della bellezza della virtù, la quale è tanto bella che viene chiamata la virtù bella per eccellenza; ed è in realtà tanto bella che il solo parlarne invoglia gli animi buoni a conservarla, o se perduta, a ricuperarla.
La castità è quella virtù morale che inclina l’uomo ad astenersi dai piaceri illeciti della carne:
1° E’ obbligatoria. “La volontà di Dio è che voi siate santi… che sappia ciascuno di voi custodire il proprio corpo in santità e onestà, non nelle passioni della concupiscenza” (Tess. 4, 3);
2° Ci santifica, perché chi è veramente, piamente, costantemente puro nei pensieri, negli affetti, nelle parole e negli atti, in breve acquista tutte le altre virtù. “Ella è come la madre delle virtù”, diceSant’Ambrogio. Al contrario senza lei, tutte le altre virtù non piacciono a Dio e facilmente si perdono.“Senza la castità ogni altra virtù vien meno”, afferma San Girolamo;
3° Ci angelizza. L’uomo casto differisce dall’angelo per la felicità, non per la virtù, e la castità dell’uno è naturale, nell’altro frutto di vittoria;
4° Ci fa veder Dio. “Beati quelli che hanno il cuor puro, perché questi vedranno Dio” (Mt. 5, 8) – in terra per la fede, senza le tante difficoltà che altri hanno ad ammettere i misteri; – in cielo per la visione beatifica;
5° Ci fa amici di Dio. “Chi ama la mondezza del cuore, per la grazia del suo parlare, avrà per amico il Re del cielo” (Prov. 22, 11).
6° Ci avvicina a Dio. “La purezza fa che uno si avvicina a Dio” (Sap. 6, 20).
Il sesto comandamento ci ordina di essere “santi nel corpo”, portando il massimo rispetto alla propria e all’altrui persona, come opere di Dio e tempi dove Egli abita con la presenza e con la grazia.
…santi nel corpo, ecc. Il nostro corpo è opera di Dio, è il suo capolavoro. Ora, non si trattano con rispetto i capolavori dei grandi uomini? — Non si maledice, non si castiga chi li guasta, li deturpa? E Dio non castigherà chi profana l’opera sua in sè stesso o nel corpo altrui?
Noi per il Battesimo siamo stati santificati, siamo diventati membri di Gesù Cristo e templi dello Spirito Santo. Ecco quel che dice San Paolo: “Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo?… e che non siete di voi stessi?… Glorificate e portate Dio nel vostro corpo” (1Cor. 6, 15). “Non sapete che le membra vostre son tempio dello Spirito Santo?” (1Cor. 5, 19). “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi?” — E conclude: “Se alcuno violerà il tempio di Dio, Iddio lo sperderà. Imperocché santo è il tempio di Dio che siete voi” (1Cor. 3). — E ancora: “Badate di non errare; né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né quei che peccano contro natura, né i ladri, né gli avari, né gli ubriachi, né i maledici, né i rapaci avranno l’eredità del regno di Dio” (1Cor. 6,9-10).
Avvertimento. Sentirete nel mondo dire spudoratamente da qualcuno di coloro che non serve umana legge, ma va “Seguendo come bestie l’appetito” (Pg. 16, 82) che non si può essere casti, che i peccati contro la castità non sono gravi, ma piccole debolezze. Non gli date retta e fuggite via da lui, da questo scandaloso, specie se è un “prete” o un catechista o un professore.
1° Se non sono peccati gravi, perché San Paolo, dopo aver numerato varie forme del peccato mortale, dice:“Chi fa tali cose non conseguirà il regno di Dio?” (Gal. 5,16-21). Se fanno perdere il regno di Dio è segno che fanno perdere la grazia, e perciò sono peccati mortali;
2° Non è vero che sia impossibile vivere casti. E’ certo, certissimo che Dio non comanda cose impossibili. E’ certo, certissimo che molti vissero e vivono con tutta castità. Dunque, se tanti uomini, tante donne, tanti giovinetti e tante fanciulle vissero e vivono con castità, perché non potrò io? Quindi chi non vive casto, non è perché non può, ma perché non vuole. Il non posso è il sofisma di chi vuole dispensarsi dalla legge, e attutire i rimorsi di coscienza; è l’argomento dell’egoista che, simile agli animali, aspira solo al piacere del momento; è il pretesto del vigliacco che butta le armi per non combattere…
I peccati contro la castità sono gravissimi, ed ancor più grave è il peccato di chi commette il sesso impuro contro natura, tanto che:
– San Pio V lo definì così “L’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze …” (San Pio V,Costituzione Cum Primum);
– San Pio X dice che la sodomia è “quel peccato che grida al Cielo” – “che grida vendetta al cospetto di Dio” – “il secondo peccato più grave che grida vendetta al cospetto di Dio dopo l’omicidio volontario” (San Pio X, Catechismo Maggiore);
– San Gregorio I Papa detto “Magno”, Dottore della Chiesa “Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l’onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso” (San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe);
– San Bonaventura, Dottore della Chiesa con il titolo di Doctor Seraphicus “Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò san Gerolamo commentando il salmo ‘È nata una luce per il giusto’, per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità” (San Bonaventura, Sermone XXI in Nativitate Domini, chiesa Santa Maria della Porziuncola);
– Sant’Agostino, Dottore della Chiesa: “I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata”(Sant’Agostino, Confessioni):
– e tanti altri, come ad esempio Santa Caterina da Siena, San Tommaso d’Aquino, San Pietro Canisio, San Girolamo, Santa Ildegarda di Bingen, ecc …
Ogni uomo ha i mezzi per fuggire da questi abominevoli pensieri, quindi ha tutte le facoltà per non violare anche il sesto comandamento.
Mezzi detti NEGATIVI:
1° Fuga dell’ozio, perché l’ozio è il padre dei vizi. San Filippo Neri diceva ai giovani che “l’ozio è il capezzale del demonio e che chi sta in ozio, non ha bisogno che il diavolo lo tenti; egli è tentazione a se stesso”;
2° Fuga dei cattivi compagni. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, o che diverrai. Chi va col lupo, impara a urlare, chi collo zoppo a zoppicare. Come un appestato ne corrompe mille, come una pera fradicia ne guasta un monte, così un compagno cattivo;
3° Fuga delle letture cattive. Dimmi che leggi e ti dirò che vagheggi. Il libro cattivo è peggiore d’un triste compagno, perché è sempre a portata di mano e non arrossisce nel parlare di ciò che si deve tacere;
4° Fuga delle occasioni pericolose, come i balli, teatri, i cinematografi, gli amoreggiamenti, internet, i reality show.
Gli amoreggiamenti, per esempio, sono pericolosissimi e spesso fatali. Nessun giovane, nessuna fanciulla contragga relazioni senza il consenso dei genitori. E se il consenso c’è, evitino di trovarsi da soli; e se pare che il Signore li destini ad una futura vita insieme, non conducano le cose per le lunghe, perché le cose lunghe diventano serpi.
Mezzi detti POSITIVI:
1° La preghiera. La castità è una virtù celeste e non si ottiene se non dal cielo con molta preghiera. “Io sapevo, dice il Savio, che non potevo essere continente, se Dio non me lo concedeva, e il sapere questo è già dono della sapienza; e perciò andai a Dio e lo pregai con tutta l’effusione del mio cuore”;
Nelle nostre preghiere, in modo speciale nella Santa Messa, dopo la Santa Comunione, nella visita al SS. Sacramento, domandiamo sempre al Signore di essere umili e puri. Quanto più saremo umili tanto più facilmente potremo custodire la bella virtù; quanto più saremo umili e puri, tanto più piaceremo a Dio, e riceveremo le sue grazie. — Giova, a conservare la purità, l’avere una tenera devozione a San Luigi, protettore della gioventù, a Maria Santissima. Una pratica efficacissima, a questo scopo, è la sera inginocchiarsi vicino al letto per domandare la benedizione alla Madonna e recitare in onore della sua Immacolata Concezione tre Ave Maria, intercalandole con la bella e filiale invocazione: Maria, Mater purissima, Mater castissima, ora prò nobis, e terminarle col Gloria Patri, ecc. Se non potete recitarle in ginocchio, ditele almeno mentre vi spogliate, affinché la Madonna vi benedica;
2° La mortificazione dei sensi, specialmente: a) mortificazione degli occhi. Ciò che occhio non vede, cuor non desidera… Alcuni vogliono vedere tutto, e poi si stupiscono di avere tentazioni. Ci sarebbe da stupire che non ne avessero. Mortifichiamoli anche nelle cose lecite, per saper tenerli a freno, affinché non trascorrano alle illecite; b) mortificazione delle orecchie, non voler ascoltare ogni cosa; c) mortificazione della gola. Quando il demonio tenta la gola, è per muovere poi guerra alla castità. Attenti a non soddisfarla troppo, affinché il corpo nutrito delicatamente, non si ribelli all’anima, come un puledro sfrenato, e non vi trascini al male. “Cosa lussuriosa è il vino” {Ef. 5,18 ; Prov., 20, 1-; 23, 31 e succ.). Vino e castità, dicono i Santi, non stanno insieme; d) mortificazione del tatto, il più insidioso dei sensi, il quale, sparso in tutto il corpo, più d’ogni altro è pericoloso, e in continua congiura contro l’anima;
3° Frequenza dei Sacramenti della confessione e comunione, possibilmente la comunione ogni giorno, almeno ogni domenica; Le buone disposizioni che si debbono portare alla confessione, cioè, l’esame che ci aiuta a conoscerci; il pentimento che ci distacca dal male; il proposito che ce lo fa evitare; gli avvisi del confessore, e sopra tutto la grazia del sacramento faranno sì che conserviamo il cuore puro. Inutile parlare della grazia e dell’efficacia della Santa Comunione;
4° Da ultimo coltiviamo in noi il pensiero della presenza di Dio; ricordiamo spesso i novissimi, la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso; aumentiamo in noi il timor di Dio, e nelle tentazioni ricorriamo a lui con vive e affettuose giaculatorie, s saremo sicuri di conservare la più bella delle virtù.
Avvertenza. Sentirete forse anche nel mondo degli spudorati e degli scandalosi, degli uranisti e dei pornoattori, dei pedofili e molestatori, i quali per giustificare le loro turpitudini ed avere compagni nel vizio, vi diranno che la castità danneggia la salute!!! Attenzione, è come dire che chi non beve alcool si rovina e morirà tisico!
Come mai Dio, che comanda nel quinto comandamento d’aver cura della salute, nel sesto avrebbe fatto una legge che mira a danneggiarla?
La vera scienza e l’esperienza provano che il vizio rovina la salute e che la castità invece la conserva. “I medici più insigni, scrive il professor Bettazzi, sono concordi nel dichiarare che nessun danno viene alla salute dal condurre anche per lungo tempo (e noi diciamo anche per tutta la vita) una vita continente, quando lo spirito sia ben governato e ci si astenga da ciò che artificialmente fomenta le passioni. Potrei citare un lungo elenco di nomi di medici, di igienisti stranieri, che hanno nel modo più reciso palesato quell’opinione, e vi ricorderei così illustri professori universitari, direttori di grandi ospedali, cui, per conseguenza, non fa difetto né esperienza né dottrina…”. E dopo averne citati alcuni, soggiunge: “Ed aggiungo che non è questione soltanto di opinioni isolate, le quali, anche col rispetto che si deve alle persone di alto valore, potrebbero pur lasciare qualche dubbio ; ma sono gruppi di medici che collettivamente pronunziano il medesimo giudizio, sono consessi e adunanze che sentono la necessità di esprimere al riguardo voti e deliberazioni prese solennemente”. “Così la Facoltà di Medicina dell’Università di Cristiania condannava falsa l’opinione che la purezza dei costumi danneggi la salute; e i professori d’igiene di diciannove Università tedesche indirizzarono a tutti gli studenti una circolare la quale, oltre metterli in guardia contro i mali venerei, li ammoniva sulla innocuità della continenza; e più di cinquanta medici fra i più celebri dello Stato di New York dichiaravano, tutti d’accordo, che «la castità e una vita pura, per ambedue i sessi, sono la migliore condizione per la salute fisica, mentale e morale». E mi piace citare anche un voto che il Congresso generale sanitario di Bruxelles del 1902, dove convennero le sommità mediche del mondo, faceva unanimemente, e che era concepito così: «Bisogna anzi tutto insegnare alla gioventù maschile che non solo la morigeratezza e la continenza non sono nocive, ma chi invece queste virtù sono le più raccomandabili dal punto di vista igienico e medico»”.
Al peccato c’è rimedio e non bisogna abbattersi, basta il non voler peccare più: Deus meus, ex toto corde poenitet me omnium meorum peccatorum, eaque detestor, quia peccando, non solum poenas a Te iuste statutas promeritus sum, sed praesertim quia offendi Te, summum bonum, ac dignum qui super omnia diligaris. Ideo firmiter propono, adiuvante gratia Tua, de cetero me non peccaturum peccandique occasiones proximas fugiturum. Amen.
bib. :
Il valore della vita, Commento dogmatico morale al Catechismo Maggiore, Vol II, sac. F. Maccono
Dizionario del Cristianesimo, p. E. Zoffoli, 1992
Summa Th. , San Tommaso
Catechismo Maggiore, San Pio X
Della Chiesa e dell’omosessualismo, Stanzione – Di Pietro, prossima edizione 2013, Fede & Cultura, Verona
note:
[1] http://radiospada.org/2013/07/sul-peccato-di-scandalo-non-versare-sangue-innocente/
[2] http://radiospada.org/2013/07/demonologia-la-sacra-scrittura-e-il-diavolo/
Matrimonio ed educazione dei figli
Pubblichiamo un estratto della conferenza del prof. Matteo D’Amico “Sinite parvulos venire ad me”. Famiglia: educazione e santificazione (Atti del XVI Convegno di Studi Cattolici, Rimini, ottobre 2008, pp. 147-148)
Il cuore di una buona educazione dei figli è celato nel segreto della vita matrimoniale. I figli – prima e oltre ogni azione positiva, ogni parola, ogni insegnamento, ogni esperienza – sono formati dall’aria che respirano in famiglia, dalla particolare atmosfera, dal clima emotivo che regna fra i due genitori.
Quanto più è profonda e dolce l’intesa spirituale ed emotiva fra marito e moglie, quanto più è favorita l’azione educativa. Infatti, un’unione profonda e serena è la base ideale affinché i genitori condividano le diverse scelte educative, siano capaci di fronteggiare le tante emergenze o difficoltà della vita quotidiana, manifestino ai figli una visione unitaria e non contraddittoria di principi e valori. (…)
Cosa significa e in che modo è possibile ottenere un’unione luminosa e profonda fra i coniugi? Uno degli elementi che può concorrere a questo fine è la ricerca di una crescente castità nel matrimonio, ovvero la ricerca di una vita e di scambi affettivi vissuti dai coniugi in modo da favorire la crescita della carità e di un’unione sempre più profonda con Dio nell’altro e in sé. Non si può essere buoni educatori se non si diventa uomini spirituali, ma non c’è cammino spirituale che possa darsi senza accompagnarsi a una crescente castità.
Non si tratta qui di declinare moralisticamente il matrimonio, di svilupparne una visione segretamente giansenista, semmai si tratta di afferrare fino in fondo il valore spirituale ultimo della castità che, nella nostra prospettiva, deve avvolgere come un velo di luce tutta la vita coniugale, non solo l’atto coniugale in quanto tale, ma bensì ogni gesto, parola, azione.
San Paolo (in Galati 5, 22) ci dà i caratteri che devono distinguere i cristiani, che essi debbono avere nell’anima. Vale la pena di rammentarli: carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mansuetudine, confidenza. Come questi caratteri potranno radicarsi nel cuore dei due coniugi che non siano mossi anche da un profondo desiderio di castità?
Come, però, identificare il significato di questa parola: castità? (…) In primo luogo, come in ogni altro caso di rapporto con i beni terreni e i piaceri, vi è la via maestra della mortificazione, che qui si tradurrà nella rinuncia, almeno parziale, anche a ciò che è lecito.
In secondo luogo, soprattutto attraverso la vita di preghiera e chiedendo a Dio quella che rimane una grande grazia, vivendo in un luminoso oblio, in una voluta innocenza quanto a tutto ciò che è relativo alla relazione coniugale nella sua dimensione affettiva e carnale, educandosi ad un vero ascolto di sé, evitando di assecondare quello che spesso si presenta come desiderio, senza esserlo in modo autentico e originario.
E’, in questo senso, autentico, buono, antropogeno, solo il desiderio che si presenta con i caratteri della più intensa necessità e che non sorge da un mio progetto o da un mio calcolo, ma che mi travolge in modo imprevisto, come un destino luminoso e irresistibile, che non mi aspettavo, che non cercavo.
La castità implica questa innocenza del mio sguardo sull’altro, questa rinuncia a ogni sovranità o strategia di possesso, e una sincera contemplazione del mistero dato dal legame fra atto coniugale e nascita di una nuova vita, implica, in una parola, un vero spirito di povertà.
Poiché… l’attacco del mondo alla nostra gioventù passa soprattutto attraverso la distruzione della purezza e della castità, si pensi ai frutti spirituali che una relazione fra i genitori casta, pura, profonda, piena di mutuo affetto e delicatezza potrà avere.
Ma, si badi, il discorso fatto non va inteso come un invito a una qualche forma di repressione o autorepressione, come in una forma di gnosi encratita. Non si tratta qui di rinunciare a qualcosa, se non a una falsa rappresentazione, del tutto ideologica e secolarizzata, di quale sia l’essenza della vita coniugale e anche del desiderio. Si tratta non di rinunciare alla propria legittima affettività, ma di imparare a desiderare davvero, liberandosi dagli automatismi che le reliquia peccati lasciano in noi, opacizzando la nostra capacità di sentire, e costringendoci a confondere “memoria e desiderio”.
E’ chiaro che coniugi giunti a una grande purezza e carità nella loro relazione, che compiono l’atto coniugale in uno spirito di vera obbedienza a Dio, come servi che assolvono con gioia un dovere loro imposto, e pieni di un sincero e ardente desiderio di figliolanza, due genitori, in poche parole, casti, non mancheranno di offrire ai figli sia un esempio buono, sia un ideale terreno affettivo in cui crescere e vivere la pienezza della comunione familiare.
(a cura di Marco Massignan)
Prostituzione, case di tolleranza e dottrina cattolica
di Maurizio-G. Ruggiero
1 – La prostituzione è peccato grave, sia per la violazione del sesto comandamento Non commettere atti impuri (e, a volte, anche del nono, Non desiderare la donna d’altri, quando chi vi è coinvolto è sposato) sia per il mercimonio del corpo.
2 – è tuttavia fenomeno ineliminabile, connesso com’è al peccato originale e alla particolare fragilità umana, in ordine alla sensualità disordinata.
3 – Questo spiega perché sempre, anche nelle epoche di più profonda fede e negli Stati ufficialmente cattolici, come quelli di ante 1789 (Regno di Francia, Serenissima e Stati della Chiesa, in primis) si preferì realisticamente limitare e scoraggiare il fenomeno, immaginando essere impossibile sradicarlo ed eliminarlo del tutto e, quindi, acconsentire alle cosiddette case di tolleranza.
4 – Dunque non si può parlare al riguardo di accettare un male minore, perché questo moralmente sarebbe illecito; si tratta invece d’impedire un male maggiore (es. la prostituzione dilagante per le strade, su internet con pericoli anche per i minori ecc.).
5 – Pertanto il meretricio può essere limitato a luoghi chiusi, c.d. case di tolleranza, appartati rispetto ai centri urbani; controllato, per impedire infezioni o fenomeni malavitosi, onde consentire a chi voglia uscire dal giro vizioso di poterlo fare; l’adescamento va sempre vietato, come pure lo sfruttamento.
6 – Del pari è immorale tassare il meretricio come fosse un’attività qualsiasi, cosa che ingenererebbe il convincimento che prostituirsi sia un lavoro come tutti gli altri e che finirebbe addirittura per incentivare il fenomeno che s’intende combattere e limitare (la studentessa o la madre di famiglia potrebbero essere invogliate a prostituirsi, ove fosse considerato un lavoro come altri, per di più assai più redditizio); e poi vi è un principio morale: non si tassa un’attività illecita, come lo Stato non percepisce proventi da rapine o furti; altra cosa è devolvere invece una percentuale degl’introiti per le spese sanitarie di controllo di cui sopra.
7 – è ancora immorale la creazione di parchi dell’amore o di quartieri a luci rosse, che incentivano e non limitano il fenomeno, costituendo un adescamento aggravato.
8 – Ancora non è accettabile nessuna equiparazione fra limitazione e tolleranza verso la prostituzione (secondo natura) e quella omosessuale, transessuali inclusi, che va invece repressa, anche se fosse consenziente e non lucrativa, come avveniva in tutte le legislazioni tradizionali, quando questo orrendo vizio aveva un profilo esterno, (sennò restava materia da confessore) la cui punizione era il rogo; la ratio della tolleranza verso la fragilità umana in ordine al sesto Comandamento sta infatti nella natura ferita dal peccato originale e vale per le infrazioni secundum naturam, mentre non può estendersi all’aberrante vizio contro natura che costituisce uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
A conferma della dottrina in favore delle case di tolleranza (nel senso di cui sopra e cioè non per favorire ovviamente il peccato, ma per evitarne di peggiori) soccorrono anche San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino. La dottrina contraria, è sempre rimasta minoritaria nella Chiesa.
Scrive San Tommaso d’Aquino: ”É proprio del legislatore sapiente tollerare alcune trasgressioni alla legge pur di farne rispettare altre ben più gravi” (Summa Theologiae, q. 101, a. 3, ad 2) tolleranza come dato pratico, specifico, non come regola generale, cara invece ai relativisti e ai massoni.
E, sul ruolo sociale delle prostitute e, in una certa misura, volto a eliminare mali maggiori, scrive Sant’Agostino: ”Aufer meretrices de rebus humanis, turbaveris omnia libidinibus”. “Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine” (De Ordine II, c. 4, 12). Dunque, piuttosto del disordine e dello scandalo delle nostre strade e del mercimonio libero e senza controllo su internet (con danno anche dei minori, che non solo sono esposti a tanto degrado, ma possono anche essere indotti più facilmente a cadere) assai meglio sono le case di tolleranza.
Ancora San Tommaso d’Aquino, riprendendo Sant’Agostino, scrive: “La donna pubblica è nella società ciò che la cloaca è nel palazzo: togli la cloaca e l’intero palazzo ne sarà infettato” (San Tommaso d’Aquino, De Regimine Principum IV, 14). “Donde Agostino dice che la meretrice fa nel mondo ciò che la sentina [di nave] fa nel mare o la cloaca nell’edificio. E, similmente ad una sentina: “Leva la sentina dal mondo e vedrai pullulare in esso la sodomia”. Per la qual ragione al tredicesimo capitolo de La Città di Dio lo stesso Agostino dice che la città terrena rese turpitudine lecita il fruire delle prostitute”[1].
Da ultimo uno sguardo alla legislazione della Serenissima, in proposito[2]:
– la prostituzione era tollerata appunto nei bordelli a ciò deputati; punito lo sfruttamento (con la morte alle volte oppure con la fustigazione con la mitria in capo); puniti l’adescamento, l’invadenza dei luoghi pubblici, l’ostentazione di articoli di lusso (peraltro interdetti anche alle donne oneste, in forza delle leggi suntuarie); punite le meretrici, se si concedevano ai non cristiani, offendendo così la vera religione;
– le meretrici dovevano portare un segno di riconoscimento indosso (dall’anno 1421) che era un fazzoletto giallo sugli abiti da mettere attorno al collo, pena la fustigazione, il bando e la multa di cento lire;
– l’esercizio della prostituzione era vietato durante le festività cristiane (dal 1438);
– se infrangevano le prescrizioni, specie circa l’adescamento, venivano colpite di quando in quando da espulsioni di massa, con multe e, se recidive, con taglio del naso;
– dovevano mantenere un certo contegno: stare nei postriboli; non abitare vicino alle chiese; non potevano andare in chiesa durante feste e solennità religiose, ma solo negli altri giorni; in chiesa non potevano stare, sostare o sedersi su banchi delle nobili e delle cittadine oneste; non potevano avere a servizio donne con meno di 30 anni (ad evitare d’indurle al meretricio) né ospitare bambine girovaghe (idem); non potevano portare perle, gioielli, oro e argento, né vesti di seta; il marito era tenuto ad abbandonare la moglie in fama di meretrice;
– veniva vietato loro di vestirsi da uomo o, comunque, di travestirsi, di farsi portare in gondola o di portare un fazzoletto di seta bianca, proprio invece delle donne oneste;
– vi erano strutture caritative deputate al recupero delle prostitute, onde ricostruirne l’onorabilità e avviarle a un mestiere domestico; esemplare il caso della Casa del soccorso, fondata nell’anno 1580, presso la chiesa di San Nicola da Tolentino e retta da gentildonne veneziane: di qui le meretrici pentite uscivano o per sposarsi o per andare a servizio da qualche famiglia o per prendere i voti[3].
[1] Unde Augustinus dicit, quod hoc facit meretrix in mundo, quod sentina in mari, vel cloaca in palatio: “Tolle cloacam, et replebis foetore palatium”: et similiter de sentina: “Tolle meretrices de mundo, et replebis ipsum sodomia”.
[2] Scrive un autore: ”Sono tollerate le meretrici nelle città cattoliche per evitare maggiori colpe e conseguenze, non che per la sicurezza delle donne pudiche e maritate” (Tassini G. Veronica Franco, celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI. Venezia 1888, pp. 19-21).
[3] Per maggiori dettagli, cfr. RUBINI Edoardo, Giustizia Veneta: lo spirito veneto nelle leggi criminali della Repubblica. Filippi Editore, Venezia 2003.
La Dottrina Sociale al Concilio Vaticano I
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LA DOTTRINA SOCIALE AL CONCILIO VATICANO I
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Da Pio IX a Leone XIII
Comunemente si insegna che la Dottrina sociale della Chiesa è iniziata in maniera magisteriale e sistematica con l’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 15 maggio del 1891.
Tuttavia occorre sapere che già nel 1869 durante in Concilio Vaticano I, interrotto dall’invasione di Roma da parte delle truppe piemontesi il XX settembre 1870, era stato preparato un Documento sulla questione sociale, il quale riprendeva ed approfondiva ciò che aveva già insegnato papa Pio IX nell’Enciclica Quanta cura e nel Syllabus (8 dicembre 1864) condannando in maniera breve e concisa, ma assai chiara gli errori socio-politici ed economici del social/comunismo e del liberalismo/liberista.
Il Documento sociale del Vaticano I
Il Documento in questione, che non è stato promulgato a causa dell’interruzione forzata del Vaticano I e quindi non è formalmente Magistero autentico, si trova tra gli Schemi elaborati dalla “Commissione politico-ecclesiastica” del Concilio Vaticano I (1869-1870). Tale Decreto, che si prefiggeva di sovvenire alla miseria materiale e spirituale degli operai e dei poveri, si intitola Decretum de pauperum operariorumque miseria sublevanda (Decreto per sollevare la miseria dei poveri e degli operai). Esso fu esaminato il 3 ottobre del 1869 e consta di tre parti: 1a) il buon uso dei beni materiali; 2a) la Carità cristiana; 3a) i mezzi pratici per eliminare gli ostacoli alla soluzione del problema.
Il 1° capitolo (“De recto honorum temporalium usu. Il buon uso dei beni temporali”) spiega come l’infelice condizione degli operai sia dovuta soprattutto alla deviazione morale per cui gli uomini hanno posto nelle creature, e soprattutto nelle ricchezze materiali, il loro Fine ultimo e non un mezzo per cogliere il Fine. Ciò porta i ricchi a disprezzare i poveri e ad usarli come cose per aumentare la propria ricchezza (errore del liberalismo/liberista), mentre i poveri diventano gelosi ed invidiosi dei ricchi e li odiano (errore del marxismo social/comunista). Occorre, invece, ritornare al principio e fondamento della vita cristiana secondo cui l’uomo ha come Fine ultimo Dio e le altre creature lo debbono aiutare ad unirsi a Lui come mezzi ordinati al fine. Quindi il ricco non deve abusare della ricchezza accumulandola come fosse eterna, sfruttando il debole ed il povero, e questo non deve rattristarsi eccessivamente della povertà, cadendo così nella disperazione.
Il 2° capitolo (“Charitas omnibus commendatur. La Carità è raccomandata a tutti”), specifica che la Carità cristiana ci spinge a prenderci cura del prossimo, soprattutto dei più bisognosi e specialmente di coloro che si vergognano di palesare la loro miseria. S. Teresa d’Avila diceva che “i veri poveri non fanno rumore”. Tutti devono praticare la Carità: i ricchi dando del loro ai poveri ed i poveri aiutando i ricchi a salvarsi l’anima facendo far loro l’elemosina, senza sentirsi offesi o tendere all’odio di classe e alla rivoluzione del proletariato comunista per risolvere il problema dell’indigenza, la quale sarà sempre presente in questo mondo caduco e limitato. I Governanti hanno il compito ufficiale e specifico (più di tutti gli altri cittadini) di alleviare le sofferenze dei poveri, facendo leggi che assicurino la stabilità e l’ordine interno della Società civile e che li aiutino a migliorarsi economicamente e socialmente. I sacerdoti debbono ricordare ai ricchi che il giorno del Giudizio renderanno conto a Dio di come hanno amministrato i beni o i “talenti” terreni. Inoltre essi stessi non debbono dimenticare che i beni temporali della Chiesa non sono propri dei chierici, ma sono stati costituiti dalle offerte dei fedeli, per cui sono il patrimonio di tutti e specialmente dei più bisognosi; quindi il clero ne ha solo l’amministrazione e non il possesso e ne renderà conto a Dio in maniera ancora più severa al Giudizio particolare ed universale.
Il 3° capitolo (“De tollendis causis Charitatem impedientibus. Bisogna togliere le cause che impediscono la pratica della Carità”), tratta specialmente della questione, allora attualissima, dei Governi che ostacolano la pratica della Carità della Chiesa, vietando gli Istituti che Essa ha costituito nel corso dei secoli: gli ospedali, le mense, le scuole, le università, i ricoveri, le corporazioni. Il Risorgimento ha voluto “laicizzare” brutalmente anche le opere caritative cristiane; oggi la laicizzazione è un dato di fatto che viene portato avanti in maniera apparentemente non-violenta e purtroppo con l’avallo dei chierici modernisti i quali hanno accettato il principio della “libertà religiosa” proprio del liberalismo. Le industrie stesse hanno perso, per volontà del liberalismo, ogni carattere religioso che si trovava al loro interno (Corporazioni di Arti e Mestieri) e son divenute i covi del social/comunismo. Giustamente Lenin diceva: “la borghesia liberale sta fornendo al proletariato la corda con la quale sarà impiccata”. Infatti dalla “Rivoluzione industriale” liberista è nato lo sfruttamento del proletariato e questo oramai laicizzato si è rivoltato ed ha odiato come insegna la dottrina comunista: “odio di classe” e “Rivoluzione del proletariato”. Se i ricchi e i poveri cercano solo ricchezze materiali sono come due animali feroci che si disputano la stessa coperta, la quale è troppo piccola per entrambi e quindi si azzannano per averne la parte più grande. Il Cristianesimo ha insegnato al ricco a non disprezzare il povero e al povero a non invidiare il ricco. Ciò non significa che ogni cristiano sia ipso facto coerente con la dottrina e la pratica del Cristianesimo: occorre sempre distinguere i princìpi immortali del cristianesimo dagli uomini sedicenti “cristiani”. Tuttavia tolto l’influsso sociale del Cristianesimo, ridotto dal liberalismo a qualcosa di puramente individuale, resta solo l’al di qua, il quale è limitato, finito e troppo stretto per l’uomo che ha un’anima spirituale aperta oggettivamente a tutto, e si va verso la “Rivoluzione del proletariato” comunista animato dall’odio di classe, fomentato dall’ingordigia liberale e dalla propaganda marxista e dall’incoerenza per principio del modernismo sociale dei demo/cristiani o catto/liberali. Oggi come allora va di moda la “filantropia” o surrogato della Carità soprannaturale resa “carità” legale. Mentre il comunismo rende obbligatorio il voto di povertà statalizzata (“tutti poveri”), il liberalismo rende obbligatorio il consiglio dell’elemosina e vorrebbe trasformare la carità soprannaturale in carità legale e giuridica laicizzata o rotariana (“tutti filantropi e solidali”).
Il Documento, inoltre, ricorda che i padroni debbono la giusta paga agli operai e chi la nega commette un peccato che “grida vendetta al Cielo” e nello stesso tempo ammonisce il povero a far bene il suo lavoro senza mormorazione o invidia e odio. Senza l’influsso sociale e politico (non partitico o “clepto-cratico”) del Cristianesimo operai e padroni perdono la Fede e si odiano vicendevolmente. Il mondo attuale è una sorta di bolgia infernale in cui gli uomini oramai assatanati si odiano tra loro e si uniscono solo per combattere il bene e il vero.
Il Documento, infine, esorta i Vescovi a prendersi cura dei fedeli vigilando sul matrimonio, la famiglia e le singole anime, essendo stati esclusi laicisticamente dalla Società civile.
Il 22 luglio del 1869 fu approntato in Concilio un altro Decreto chiamato Postulatum de Socialismo di 72 pagine (G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum…, cit., vol. 49, pp. 718 ss.) riguardante la Dottrina sociale alla luce dell’errore del socialismo; esso fu ultimato e presentato in latino il 7 marzo del 1870 firmato da 16 vescovi ed appoggiato specialmente dal cardinal Mermillod.
Il rimedio
L’unico vero rimedio ai mali della questione sociale è lo spirito cristiano: “cercate innanzitutto la santità e la vita eterna ed il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Purtroppo lo Stato moderno liberale o comunista ha laicizzato, ha eliminato l’influsso del Vangelo sulla polis e la societas ed ha abolito le Corporazioni religiose degli artigiani ed operai, ha impoverito il mondo dell’artigianato, della agricoltura a favore della grande industria, ha scoraggiato il risparmio a favore dei “bankster”, che hanno reso il popolo massa pronta per essere fagocitata dal marxismo e dal liberismo; ha favorito il lavoro delle donne dei bambini, ha disprezzato il riposo domenicale, il giusto tempo da dare a se stessi, alla famiglia e a Dio. Quindi ha rivoluzionato la società, la famiglia e l’individuo, non più ordinati e finalizzati a Dio, ma al denaro e al benessere materiale su questa terra, la quale non è più a misura d’uomo ma l’uomo è diventato una rotella dell’ingranaggio industriale anonimo ed economico/finanziario. Naturalmente questa terra è diventata un campo di battaglia, la guerra di tutti contro tutti in cui vince il più forte (che non sempre è il migliore moralmente, ma solo il più prepotente fisicamente).
Attualità del Documento del 1869
Oggi (2001-2013) la rivoluzione liberale e quella socialista si sono unite e dominano il mondo dando il peggio che portano in sé: 1°) il liberalismo concede la licenza assoluta e il consumismo amorale, che portano al caos anarchico dei poteri forti e ricchi; 2°) il socialismo è sempre pronto a fomentare disordini e guerre civili, ed inoltre non concede più al cittadino quel certo ordine sociale e civile che davano i regimi forti nel passato: avendo sposato il liberismo libertario e libertino è diventato fonte di anarchia dei poveri; 3°) infine, dopo aver tolto la Fede e la Speranza soprannaturali all’uomo odierno ed averlo illuso per decenni sino al 2008/2009 su un’era di pace, ricchezza, benessere fisico, hanno lasciato sprofondare il mondo intero (2009/2013) in uno stato di povertà e crisi economica, che si ripercuote sulla sussistenza economica e sulla salute dei cittadini, i quali sono non solo in preda alle malattie (data la natura umana che per definizione è corruttibile), ma non ricevono più i sussidi per curarsi e non hanno di che vivere decentemente, per cui cadono nella disperazione e talvolta si suicidano.
Il mondo vivificato socialmente e politicamente dal Vangelo, essendo l’uomo un “animale socievole per natura” (Aristotele e San Tommaso) conosceva una certa tranquillità dell’ordine (sempre relativa ed imperfetta su questa terra), le leggi cercavano di impedire lo sfruttamento dei poveri e la rivolta contro i ricchi, volevano che l’uomo lavorasse per vivere dignitosamente e moralmente onde salvarsi l’anima, mentre oggi si corre affannati senza giungere alla fine del mese in pareggio e non si ha il tempo né per se stessi, né per la famiglia, né per pensare all’anima. Il lavoro delle donne ha privato i figli della presenza delle mamme in casa, ha separato de facto il marito dalla moglie ed ha aperto la porta all’infedeltà coniugale ed al divorzio.
Lo Stato o il Governo deve garantire innanzitutto l’ordine interno della Società civile e la tranquillità dei cittadini. Il laicismo deruba la Società e i cittadini dell’uno e dell’altra, inoltre toglie loro anche Dio e l’aldilà, promettendo a parole un “paradiso” in terra (sovietica o americanista), ma trasformando in re la terra in un inferno (Gulag e libertarianismo/freudiano alla Milton Friedmann).
Il grande pericolo che sovrasta la vecchia Europa è l’invasione od occupazione da parte di masse enormi inviate dall’Africa e dall’Asia, le quali in sé hanno ricchezze enormi ma che i “poteri forti” non lasciano sfruttare agli indigeni, che rappresentano la nuova manovalanza della Rivoluzione del “proletariato” (senza neppure la prole) o meglio “extra-comunitariato” sbandato e pronto alla guerra di classe, di razza e di religione. Gli uomini di Chiesa, che dovrebbero insegnare la Dottrina sociale, son diventati con il Vaticano II delle marionette nelle mani dei poteri forti o massonici ebraico/americani e vanno a Lampedusa o dall’on. “Luxuria” a Genova ad incoraggiare coloro che metteranno a ferro e a fuoco un’Europa diventata un’enorme Sodoma e Gomorra.
Oggi vi è un razzismo all’incontrario: se prima l’occidente ha schiavizzato l’Africa (nel Brasile la schiavitù è stata abolita solo nel 1888) oggi è l’Africa a dominare l’occidente ed anche l’Europa che è diventata una costola della “Magna America”. Non esiste una “Magna Europa” (come pretende “Alleanza Cattolica”), che si estende culturalmente sino in nord-America, ma esiste un’America del nord la quale si è estesa sino alla vecchia Europa e ne ha disseccato le radici e divelto le fondamenta culturali, morali, religiose, spirituali e civili. Siamo tutti “americani” e gli Stati che si ostinano a restare se stessi (Russia, Libia, Tunisia, Egitto, Siria, Libano, Palestina) vedono improvvisamente delle rivoluzioni colorate o primaverili nascere “spontaneamente” teleguidate dalle tre forze che reggono gli Usa: il Calvinismo, la Massoneria e il Giudaismo talmudico.
Di fronte a un caos talmente profondo e universale solo l’Onnipotenza divina può mettervi rimedio, noi dobbiamo fare il nostro dovere quotidiano, dedicarci alla “preghiera e penitenza” come ha raccomandato la Madonna da Lourdes a Fatima ed aspettare il castigo che ci siamo ampiamente meritato per aver apostatato da Dio ed avergli preferito l’Uomo, che è diventato “l’asso piglia tutto” dell’epoca moderna, come scriveva acutamente padre Cornelio Fabro.
d. Curzio Nitoglia
22 luglio 2013
http://doncurzionitoglia.net/2013/07/22/la-dottrina-sociale-al-concilio-vaticano-i/
“Non è compito della Chiesa offrire ricette per il migliore funzionamento della società“?
Risposta ad Antonio Baldo
Signor Baldo, nel suo articolo del 13 luglio “Così papa Francesco sta spiazzando i cattolici” si legge tra l’altro: “Non dico della Chiesa gerarchica, che parla per principi ritenuti universali e che, giustamente, non ritiene suo compito (anche perché priva delle adeguate competenze) offrire ricette per il migliore funzionamento della società“. Non la faccio lunga (non senza aver notato per inciso quel “ritenuti”): ma ha mai sentito parlare della dottrina sociale della Chiesa e della Regalità Sociale di Cristo? Ha mai letto qualche riga delle grandi encicliche “politiche” quali la “Libertas”, l’”Immortale Dei” e la “Rerum Novarum” di Leone XIII, la “Quas primas” e la “Quadragesimo anno” di Pio XI? E non crede che sarebbe un po’ strano e un po’ triste che la Chiesa, “madre e maestra”, “colonna e fondamento di verità“, non avesse “ricette” da offrire “per il migliore funzionamento della società“? Per secoli gli Stati cristiani si sono retti sulla filosofia del Vangelo, come ricordava proprio Leone XIII nella citata “Immortale Dei” (1.11.1885): “Vi fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo posta saldamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero , stretti avventurosamente tra loro per amichevole reciprocanza di servizi.
Ordinata in tal modo la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare ed oscurare “. E lei scrive che “giustamente” la Chiesa “non ritiene suo compito” additare un modello di società? I casi sono due: o ha ragione lei, e allora né Leone XIII né Pio XI né gli altri pontefici che per quasi duemila anni hanno insegnato concordemente questa dottrina (potere diretto o indiretto, ma comunque potere della Chiesa “ratione peccati” negli affari temporali, e dovere degli Stati di conformarsi alla “filosofia del Vangelo”) erano veri papi, oppure non lo sono quelli (compreso quello del titolo) che insegnano quella da lei sintetizzata. Tertium non datur.
La Chiesa è, per definizione, Società visibile, religiosa, gerarchica, fondata da Cristo e da Lui organizzata come suo «Corpo Mistico», a cui chiama incessantemente tutti gli uomini; i quali, in essa, professano la medesima fede, accettano la medesima morale, partecipano al medesimo culto, rispettano la disciplina (in base allo status); sono istruiti, santificati e diretti dalla medesima Gerarchia che fa capo al Pontefice, successore di Pietro, Vicario di Cristo.
Sue note caratteristiche sono l’unità nella fede, nella morale, nel culto, nella; la santità: attiva, procurata, e passiva, realmente posseduta; la cattolicità per l’universalità e indefettibilità della sua struttura, del suo dinamismo, del suo messaggio; l’apostolicità per la sua diretta e immediata derivazione dagli Apostoli, unici depositari della Rivelazione cristiana, non altri (senza gli Apostoli, oggi, nulla si avrebbe); la romanità per la sede già occupata da Pietro, Vicario di Cristo e Principe degli Apostoli.
La Chiesa non è uno Stato, anche se, nel suo Capo, esige e comporta un’effettiva libertà personale e territoriale. Non è un partito politico, perché nel caso sarebbe una società essenzialmente subordinata, imperfetta. Non è il Clero, che rappresenta — nell’esercizio delle sue facoltà — solo il Capo, non l’intero Corpo Mistico, o Cristo Totale. Non s’identifica con l’insieme o con ciascuno dei fedeli, suo elemento solo materiale e passivo: illuminato, santificato e diretto dal Cristo mediante la Gerarchia.
In sintesi: la Chiesa è Persona Mistica, di cui Cristo è il Capo, i fedeli compongono il suo Corpo, lo Spirito Santo ne è l’Anima.
Sarebbe assurdo affermare che i fedeli «sono» la Chiesa: ciò può dirsi solo del Cristo che la costituisce, l’organizza, la vivifica, la sostiene, la feconda, la ripara, la santifica, la salva.
I singoli membri del clero e del popolo (elemento sempre passivo quanto alla propria umanità, bisognosa di redenzione) possono soltanto sottrarsi all’influenza del Cristo e costituirsi come «l’anti-Chiesa», donde la possibilità (e il fatto storico) di tutti gli scandali, gli scismi, le eresie, le apostasie, ecc …; che tuttavia neppure sfiorano l’essenza profonda della Chiesa per quanto essa vanta di divino: il Potere delle tenebre non potrà mai prevalere (Mt 16,18). Sbaglia l’uomo di Chiesa perché è superbo, poiché è peccatore, ma la Chiesa non sbaglia mai.
Secondo San Tommaso, la Chiesa:
– è stata fondata da Gesù, nel sangue e nell’acqua, sulla base della fede di Pietro; essa, militante, discende da quella trionfante;
– è l’attuale regno di Dio;
– col Cristo suo Capo, la Chiesa forma una «persona mistica»;
– è retta dallo Spirito Santo;
– ottima la sua organizzazione;
– i suoi poteri sono quelli medesimi che aveva al tempo degli Apostoli;
– identica, nella Chiesa, la persona che governa e insieme ne dispensa i tesori;
– i Vescovi hanno la stessa autorità degli Apostoli a cui sono succeduti;
– la Chiesa (sacramento di Cristo) è stata istituita per amministrare i sacramenti;
– fuori della Chiesa (uomini privi di Battesimo sacramentale, di sangue, di desiderio implicito o esplicito) nessuno può salvarsi; chi conosce sufficientemente la Chiesa e volontariamente la rifiuta non può salvarsi, salvo contrizione finale;
– la Chiesa, destinata a propagarsi in tutto il mondo, non poteva né doveva restare nei confini del mondo giudaico;
– la Chiesa, col moltiplicarsi dei fedeli, non aumenta la perfezione di Cristo, ma tende a moltiplicare le anime che ne possono partecipare;
– Dio ha disposto che Roma, già capitale dell’impero, fosse il centro della Chiesa per meglio rivelare la sua vittoriosa potenza, sì che tutti apprendessero la fede dal suo Magistero;
– l’unico Tempio di Gerusalemme prefigurava l’unità della Chiesa militante e trionfante;
– la Chiesa è una come uno è il Cristo. Come unica è la fede degli antichi e dei moderni, così una è la Chiesa. La quale è un unico «corpo». La sua unità dipende dalla coordinazione di tutti al Cristo-Capo rappresentato dal Papa (se il Papa si macchia di crimini contro la fede, la sua elezione fu illegittima oppure è decaduto -per vari motivi- dall’ufficio se l’elezione fu valida, quindi la Sede è vacante, ma la Chiesa continua a esistere, sempre, in attesa di un successore legittimo, validamente eletto);
– la Chiesa trae la propria santità dalla Passione di Cristo;
– le sue preghiere sono degne di essere esaudite da Dio;
– la Chiesa (edificio) si consacra perché luogo dove si celebra l’Eucaristia;
– la Chiesa universale non può errare (dove per Chiesa universale si intende sempre e solo la Gerarchia legittima con a capo il Papa canonicamente eletto, validamente, e non decaduto);
– il Magistero della Chiesa non sarebbe autorevole, se cadesse in qualche errore (se vi sono contraddizioni -errori- in materia di fede e morale nel Magistero, non è magistero; vuol dire che chi lo ha approvato non è successore legittimo, quindi è «anti-papa», perché è impossibile che un vero Papa erri dottrinalmente quando egli conduce la Chiesa universale. La Sede è perciò vacante e va eletto un vero Pontefice successore, da ricercarsi nella Gerarchia legittima. Ivi dicasi per la Gerarchia che erra: è «anti-chiesa»);
– la Chiesa non dispone di altra «spada» che di quella spirituale:
a) le Crociate, la storia ne è testimone, furono indette dai Papi esclusivamente per difendere i pellegrini e per arginare il violento fanatismo mussulmano, che procurava migliaia di vittime innocenti e persecuzioni truci, mirante all’espansione in Europa; gli uomini che si macchiarono di crimini durante le Crociate furono dei peccatori, errarono diabolicamente, disubbidirono alla Chiesa che, invece, non li incaricò mai di abusare ma solo di difendere;
b) la motivazione della condanna di Galileo G. fu erronea, fu errore umano della commissione teologica, in quanto la stessa, sbagliando, suppose che la teoria copernicana fosse contraria alla Rivelazione. La Chiesa non ha colpe, difatti «l’ipotesi matematica» della teoria eliocentrica non fu mai condannata ed ebbe come estimatori già Paolo III (a cui Copernico dedicò la sua opera), Gregorio XV e ben altri 13 Papi. La sentenza contro la teoria copernicana non ebbe mai il senso di una «definizione ex cathedra», ma il Papa fu coinvolto esclusivamente in qualità di Capo di un particolare dicastero della Curia romana, la quale suole agire in suo nome senza mai compromettere, come ovvio, l’infallibilità del Magistero.
– quando le pene ecclesiastiche non bastano, si vale del «braccio secolare»:
a) l’Inquisizione è stato il tribunale istituito dall’autorità ecclesiastica in collaborazione col potere civile per reprimere l’eresia. Ha la sua preistoria nei primi secoli del Cristianesimo, prima e dopo Costantino; ma, formalmente, come istituzione giuridica, è sorta nelle epoche successive, secondo le necessità oggettive della difesa della fede, e la natura dei rapporti tra Chiesa e Stato, differenti da una nazione all’altra. Per questo, sogliono distinguersi tre generi d’inquisizione: medievale, spagnola e romana. È storicamente dimostrato che all’erezione del Tribunale dell’Inquisizione la Chiesa fu costretta dall’esasperata e incontenibile reazione del popolo e dagli interventi inesorabili del potere civile, avocando a sé la causa dell’eresia, di sua esclusiva competenza. Il programma d’Innocenzo IV, a cui si deve la definitiva organizzazione del Tribunale, è chiaro: «Sorvegliare l’eresia, mettere al riparo da ogni persecuzione chi era disposto a tornare alla fede, contenere entro giusti limiti lo zelo degli inquisitori col precisare e regolare minuziosamente la procedura, e così preparare la via alla pacificazione». Ora, se all’autorità ecclesiastica spettava giudicare l’eresia dal punto di vista religioso, a quella civile si riconosceva il diritto-dovere di punirla dal punto di vista sociale. La Chiesa si riservava solo il giudizio dell’ortodossia col ricorso a tutti i mezzi riconosciuti allora necessari per la resipiscenza del reo e la prevenzione contro il propagarsi dell’errore. Da sempre, essa ha aborrito dall’effusione del sangue e dalla pena di morte; eccessi che rimetteva al «braccio secolare», libero di applicare le sue proprie e indipendenti leggi contro l’eresia, anche in virtù di un principio fondamentale riconosciuto, indiscutibile, da tutte le genti e le culture del mondo antico: «quod in religionem divinarli committitur, in omnium fertur iniuriam» (Cod. Theod., I, t. 5, n. 4). Di volta in volta furono commessi errori anche gravi dai due poteri, civile ed ecclesiastico (uomini di Chiesa e non Chiesa). La Chiesa tuttavia dovrà sempre respingere con fermezza la principale di tutte le accuse dell’anticlericalismo: quella dell’intolleranza in materia di fede e costumi. Accusa suggerita soprattutto dallo scetticismo, che nega al pensiero umano la possibilità di distinguere il vero dal falso; e dall’immanentismo che presume di risolvere tutto essere-in-sé nell’essere-di-coscienza, sfociando in un soggettivismo fatalmente anarchico e nichilista.
– la sua carità si estende a tutti, amici, nemici e persecutori (carità non è sinonimo di insulsaggine; gli uomini di Chiesa, se non c’è altra strada, sono autorizzati lecitamente a difendersi dai persecutori);
– la Chiesa, in quanto società anche umana, è soggetta a difetti ed errori (dei singoli uomini che operano come tali e che si discostano, autonomamente, dalle verità immutabili di fede e morale. Esempi di errori commessi dalla Gerarchia che non influiscono sulla infallibilità e santità della Chiesa: prete massone, prete gay, prete pedofilo, prete violento, prete comunista, prete avido, prete eretico, ecc … sono errori umani dovuti esclusivamente al peccato del singolo individuo; la Chiesa -Corpo Mistico di Cristo- non sbaglia, non pecca e né ha mai comandato all’errante sì di sbagliare);
– Cristo ha istituito la Chiesa perché durasse sino alla fine dei tempi.
BREVI RISPOSTE ALLE ACCUSE CONTRO LA CHIESA
Non c’è società al mondo che sia stata più avversata della Chiesa; ma è anche più certo che non ce n’è stata un’altra meno capita; per cui nessuno dei dardi coi quali si è tentato di colpirla ha raggiunto il bersaglio. L’affermazione sembra paradossale e sarebbe storicamente errata, se non fosse possibile distinguere «la Chiesa» da quanti la rappresentano, clero e fedeli.
Tutti costoro, innegabilmente «uomini» con quanto di «umano» li caratterizza, non sono la Chiesa. Ora, con ciò si intende rilevare che essi non l’hanno concepita, non l’hanno fondata, non l’hanno costituita quanto alla sua struttura e ai poteri che esercita, non hanno ideato le verità che insegna, non hanno enunciato i principi morali in base ai quali essa legifera, approva e condanna.
Ma c’è di più: gli uomini che rappresentano la Chiesa molte volte hanno tentato di disgregarne la compagine con gli scismi; decapitarla, negando le sue verità con le eresie più radicali; demolirla, opponendosi alla sua Gerarchia; screditarla con l’esempio di una vita vergognosa.
Netta dunque la distinzione tra «Chiesa» e «gli uomini di Chiesa». Distinzione confermata dal fatto che la Chiesa non ha mai esitato a condannare i suoi stessi uomini quando questi hanno agito contro le sue verità, i suoi principi, le sue tradizioni, la sua origine (chi non lo ha fatto, o ha peccato personalmente o è anti-Chiesa, dipende dai casi). Ciò perché figli spuri, degeneri, «falsi fratelli», «guide cieche», pastori inetti e indegni. Contro costoro, giustamente, gli storici hanno potuto puntare l’indice, accusandoli di prepotenza, nepotismo, ipocrisia, licenza nei costumi, mondanità, simonia, ecc…; gli storici confondono Chiesa e uomini di Chiesa.
Quanto a questioni di fede e di morale, il Papa che, ben conoscendo, non condanna l’eresia pubblica della Gerarchia (grave scandalo per le anime, crimine contro la fede e la morale) è, probabilmente, «anti-papa». Cito:
a) Papa Innocenzo III: «Soltanto per il peccato che commettessi in materia di fede, io potrei essere giudicato dalla Chiesa»;
b) Papa Felice III: «Non resistere all’errore è approvarlo, non difendere la verità è ucciderla. Chiunque manca di opporsi ad una prevaricazione manifesta può essere considerato un complice occulto»;
c) Papa San Leone: «Anatematizziamo Onorio [Papa], che non ha istruito questa Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica ma ha permesso con un sacrilego tradimento che fosse macchiata la fede immacolata e non ha estinto, come competeva alla sua autorità apostolica, la fiamma incipiente dell’eresia, ma l’ha fomentata con la sua negligenza»;
d) Papa Adriano II: «Onorio è stato anatematizzato dagli Orientali: però si deve ricordare che egli è stato accusato di eresia, unico crimine che rende legittima la resistenza degli inferiori ai superiori, come anche il rifiuto delle loro dottrine perniciose»;
e) Papa Leone XIII: «Allorché manca il diritto di comandare o il comandamento è contrario alla ragione, alla legge eterna, all’autorità di Dio, allora è lecito disobbedire agli uomini per obbedire a Dio»;
f) San Tommaso d’Aquino: «Essendoci pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, anche pubblicamente dai sudditi»;
g) San Roberto Bellarmino: «Così come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così è anche lecito resistere a quello che aggredisce l’anima o che perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tentasse di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina e impedendo l’esecuzione della sua volontà».
[per ulteriori chiarimenti leggi BOLLA PAOLO IV: “CUM EX APOSTOLATUS OFFICIO”. IMPEDIRE IL MAGISTERO DELL’ERRORE]
La materia di tante e tali accuse non è tratta dal seno della Chiesa, dalla luce dei suoi dogmi, dalla sublimità della sua morale, dalla sovrumana provvidenzialità dei suoi poteri, dall’eroismo dei suoi Santi; ma unicamente dallo spirito, dai criteri, dalle concupiscenze, dalle abitudini, dalle opinioni, dalla condotta, dalla cultura tipica del mondo. Dunque, le accuse contro gli uomini di Chiesa si ritorcono contro il mondo, a cui essi ancora appartengono, di cui hanno ereditato mentalità e costumi. Mondo che — per loro colpa — si è introdotto nella Chiesa, rappresentando I’«anti-chiesa», perché suo nemico più insidioso e potente.
BREVI RISPOSTE ALL’ANTICLERICALISMO
Avversione al Clero quale fenomeno storico particolarmente acuto nelle regioni d’Italia comprese nell’antico Stato Pontificio. Esso è associato ad un atteggiamento ostile alla Trascendenza, al Cristianesimo, al mondo cattolico coi suoi dogmi, i riti, la morale, la tradizione, la struttura giuridica. Remotamente deriva dall’Umanesimo paganeggiante, dalla Pseudo-Riforma protestante, dalle correnti filosofiche confluite nell’Illuminismo. Anticlericalismo che si è venuto definendo col formarsi degli Stati moderni succeduti alla Rivoluzione francese.
L’anticlericalismo può significare anche la giustificata avversione ai lati negativi della psicologia del Clero (errori umani e giammai errori della Chiesa), ogni volta che le comuni passioni umane sono state il fermento di una sua condotta moralmente biasimevole e spesso anche odiosa, in contrasto con l’eccelsa santità del Sacerdozio cattolico. La Chiesa stessa, sotto questo riguardo, può dirsi «anticlericale», come ha sempre dimostrato la sapienza della sua legislazione canonica e specialmente la severità delle sue sanzioni contro ministri indegni.
CHE COS’È L’IGNORANZA?
E’ la carenza di nozioni che bisognerebbe avere (il cattolico non può essere ignorante in fede e morale); mentre, se non si è tenuti ad acquistarle, si parla di «nescienza»; nessuno infatti è obbligato e capace di sapere tutto. L’ignoranza è colpevole quando è volontaria e superabile (non ci sono limiti evidenti, ostativi), nel qual caso equivale al rifiuto del bene e sottende insincerità e malafede.
Fonti: Catechismi della Chiesa Cattolica (ant. ’62), Codex Iuris Canonici, Denzinger, Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Dizionario del Cristianesimo, Summa Theologiæ, varie …
Dedicato alla memoria di padre Enrico Zoffoli, autore del Dizionario del Cristianesimo, principale fonte del presente, in sintesi. «Rèquiem aetèrnam, dona eis, Domine, et lux perpètua lùceat eis. Requiéscant in pace. Amen»
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (Fonte: PONTIFEX)
Ora, il problema non è credere al Cristo, ma se il Cristo a cui crediamo è Gesù, il Salvatore, che è morto e risorto per sollevarci dalla pena del peccato e dell’adesione a Mammona che è contraria al Regno e porta morte, ingiustizie, carestia, pestilenze, aborti, disordine sociale e morale e guerre. Se poi si crede in Cristo senza pensare che sia oltre che Dio Misericordioso anche Giudice per chi liberamente sceglie di non aderire alla Parola Data, e conformarsi al Vangelo, allora il dubbio che sia Lucifero quel portatore di luce bieca, di falsa speranza e falsa profezia, ci può stare, non credi?
Con amicizia
Parusìa
in Gesù Adveniente e Maria CorRedentrice
Ricevo e pubblico
Grazie Marco, mi ha fatto piacere che tu ti sia ricordato di me.
Pultroppo le catene di questo mondo mi trattengono, la coscienza ha illuminato la via ma la forza di mammona vuole il suo tributo e così mi trovo inchiodato all amia posizione e senza più potermi muovere. Più prigioniero di prima.
Ho provato a valutare la tua interessantissima proposta ma non ho modo di muovermi. Non mi dispiacerebbe affatto essere li con voi, sicuramente sarà una bella festa.
Un fraterno abbraccio, siete nelle mie preghiere.