Il Femminismo: una creazione dei Rockefeller
Posted on marzo 20, 2013
Il grande Aaron Russo ci racconta le rivelazioni segrete di Nick Rockefeller.
Se pensate che con il femminismo la Donna abbia fatto passi in avanti relativamente alla propria emancipazione, vi sbagliate di grosso. Siete vittime, ancora una volta, del lavaggio del cervello perpetrato dai mezzi di comunicazione al servizio del potere.
Lo spiega Aaron Russo in un’intervista rilasciata qualche anno fa ad Alex Jones, presentatore radiofonico texano celebre per aver contribuito a rendere noti al grande pubblico organizzazioni come il gruppo Bilderberg.
Aaron Russo, nato da una famiglia sefardita di origine italiana e defunto nel 2007, è stato un cineasta, attivista e politico. Fu quello che fece sbarcare per la prima volta i Led Zeppelin negli Stati Uniti e che ha prodotto documentari come America: Freedom to Fascism. A cavallo tra il XX e il XXI secolo venne in contatto, diventandone amico intimo, con Nicholas “Nick” Rockefeller. In diverse occasioni questi illustrò alcuni passaggi sulla storia della propria poderosa famiglia ed ebbe anche modo di fare alcune rivelazioni, fra le quali l’innescamento di una futura guerra al terrorismo e l’obiettivo finale dell’élite mondiale di microchippare l’intera popolazione mondiale.
Proponiamo un frammento di questa lunga intervista, nel quale Aaron Russo riferisce ciò che gli venne detto da Nick Rockefeller a proposito del movimento femminista. In poche parole, fu creato e promosso dalla Fondazione Rockefeller con due obiettivi principali ben precisi: poter tassare anche le donne, che avrebbero acquisito il “diritto” di lavorare, e poter strappare loro i propri figli ad un’età ancor più precoce, potendoli così indottrinare tramite la scuola e l’apparato statale, eliminando l’istruzione familiare e minando le basi della famiglia per distruggerla definitivamente.
Lo stesso Alex Jones apporta il proprio contributo al prezioso documento, rivelando che anche Gloria Steinem, leader e portavoce del movimento femminista negli anni sessanta e settanta, ha ammesso in un suo libro che venne aiutata da cospicui finanziamenti della CIA, fra le altre cose, per la realizzazione della rivista «Ms.» (Miss).
Non è tutto oro ciò che luccica. Viviamo una grandissima illusione. E anche i mezzi di comunicazione contribuiscono fortemente a crearla.
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Resilienza Cattolica e Decrescita Felice contro il Nuovo Ordine Mondiale. Alla riscoperta della nostra comune identità
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Armi, acciaio e malattie
Qualche mese fa, una sera, son venuti a casa mia degli amici, si son portati dietro una ragazza, una loro amica che da me non era mai venuta, e appena entrata aveva assunto un’espressione incredula, aveva detto Ma quanti libri! Ma li hai letti tutti? Non sapeva più cosa dirsene, e se io da un lato ero impreparato alla domanda – che poi in quella libreria c’è una parte direi infinitesima dei miei libri – dall’altro avrei voluto risponderle come avrebbe fatto Eco (No, questi sono quelli che devo leggere questa settimana. Se li avessi letti, perché li terrei qui?) (era in uno dei due diari minimi, credo), ma alla fine le ho risposto di sì, non li ho proprio letti tutti tutti, ma quasi tutti.
E il mio pensiero non andava tanto alla pila degli ultimi acquisti, e neanche ai libri che mi avevano regalato e non avevo mai aperto; mentre le dicevo che non li avevo letti proprio tutti tutti, guardavo lassù all’ultimo piano della libreria, dove c’era – e c’è – una copia di Armi, acciaio e malattie, di Jared Diamond, un libro che quando l’avevo iniziato mi era sembrato interessantissimo, ma poi, mentre lo stavo leggendo, mi è caduta addosso la mia vita, e da allora, non l’ho più aperto.
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Pur essendo editore da molti anni, non amo i Libri. I Libri aprono solo una parte della mente, ma in fondo tu leggi quello che altri sperimentano. E dopo che hai letto, loro continuano a sperimentare e tu torni a vivere da pecora con un grado di presunzione in più di credere di sapere. E’ raro che dopo aver letto un Libro tu possa cambiare in meglio, umanamente parlando. Cambi se ti capita un incidente, un lutto, un licenziamento di tronco, un cataclisma, il crollo della casa, la perdita di tutto, se conosci la fame, se scopri l’amore, quello vero, se trovi Dio. Il Libro va bene per il Borghese Piccolo Piccolo, per chi è abituato a vivere in un sistema che ti addestra con belle parole, che per affascinanti, interessanti, forti, pregnanti, alla fine fanno solo parte di un buon Manuale per vivere in questo mondo così come il mondo comanda che sia. Perchè i Libri che veramente varrebbe la pena scrivere, nessun editore riuscirebbe ai a pubblicarlo o a farlo conoscere attraverso il tam tam mediatico che ne supporta la divulgazione.
Poi è arrivato Internet che però è per pochi; e se diventi troppo rivoluzionario, anche lì ti bloccano. Io sono già alla terza esperienza di dover iniziare tutto da capo. Sono pochi coloro che fanno “cultura” tramite Internet. Chi propone Cultura non è detto che trova interlocutori numerosi; spesse volte trovi gente di altre culture che poi ti sparano addosso. Una battaglia persa. Però una cosa è certa: in Internet, finchè non imparerai a fare domande intelligenti, otterrai solo risposte alla tua altezza. Allora scoprirai presto che nessun Libro ti darà la risposta che una domanda Intelligente che parte dalla tua testa saprà darti solo una persona che a suo tempo, dall’altra parte della Rete si è già posto e la cui risposta l’ha trovata sulla sua pelle.
Ma allora cosa intendiamo per Cultura? Perchè tanti rischi, tanta ipocrisia, tanta paura? La Cultura è un prodotto dell’economia e regola l’economia basica e locale. Curioso vero? L’intera Creazione è un atto di Amore strutturato in un codice di economia. Non esiste Cultura se non fissiamo la terra, l’acqua, il vento, il sole come traguardo del nostro sguardo. Non esisterebbero scrittori, autori, editori e giornalisti se il mondo non producesse tramite l’Economia il Cibo, un Riparo, un sistema di Comunicazione e di Trasporto, se non sapesse organizzarsi nel Lavoro, nel Tempo Libero, nelle esperienze Mistiche e Spirituali. Taluni meccanismi di autodifesa e autoriproduzione se non venissero trasmessi da Padre a Figlio, da Madre a Figlia, da una generazione all’altra, finirebbero per comprimere l’intera società umana in un ammasso di saperi inutili e sterili che poi portano alla autodistruzione. I Libri, quindi, credete davvero che ci hanno insegnato qualcosa di così fondamentale da non poterne fare a meno?
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Perchè nella società moderna, ultratecnologica e informata succedono queste cose, come quella che sto per riportare? Perchè chi legge e chi è delegato alla informazione non è riuscito a far giungere il suo sapere a questo povero cristo?
Sarebbe stato “dimenticato” dal padre che lo ha rinvenuto esanime dopo otto ore
18:14 – Un bambino di due anni è stato trovato senza vita a bordo di un’auto posteggiata in Strada Borgoforte, alla periferia est di Piacenza. Gli uomini del 118 hanno tentato invano di rianimarlo. Sul posto i carabinieri. Pare che il padre sia andato al lavoro e abbia dimenticato il piccolo in auto. Il bimbo, morto per asfissia, sarebbe nato proprio nella città emiliana.
I militari stanno interrogando il padre della vittima. L’uomo avrebbe dimenticato il piccolo in auto alle 8, quando ha posteggiato la sua Citroen all’esterno della ditta di ristorazione dove lavora. “Ero convinto di averlo portato all’asilo”, si è difeso l’uomo. Sarebbe stato proprio lui, e non un passante come si era detto inizialmente, a trovare il corpo esanime del bimbo in auto poco prima delle 17.
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Bimbo morto in auto, una tragedia che si ripete
L’ultimo caso nel maggio del 2011, quando Jacopo fu dimenticato in auto dal padre
19:58 – La morte di Luca, il bimbo di due anni dimenticato in auto dal padre alle porte di Piacenza, è solo l’ultima drammatica storia di una lunga serie. Nel luglio del 1998 a Catania un ingegnere, 37 anni, parte da casa verso le 8 di mattina con il figlio più piccolo (ha altri due gemelli di quattro anni) legato sul seggiolino per bambini nel sedile posteriore. Lo deve lasciare all’asilo per poi andare al lavoro. Andrea, due anni, si addormenta e il padre si dimentica di lui, invece di lasciarlo a scuola tira dritto e parcheggia l’auto davanti allo stabilimento dell’azienda in cui lavora.
La moglie, avvocato, verso le 14 chiama il marito che, solo a quel punto, si rende conto di ciò che ha fatto. Corre all’auto, che nel frattempo è diventata la tomba rovente di Andrea, morto ustionato e asfissiato.
Il 30 maggio del 2008 a Merate (Lecco) la piccola Maria compie due anni. La mamma, un’insegnante, deve andare al lavoro, la festa è rimandata alla sera quando con il marito, astronomo, e gli altri due figli si ritroveranno a casa. La donna parte in auto con la bimba per portarla a casa della baby sitter. Invece arriva direttamente a scuola e lascia Maria in auto. Quando alle 13 la baby sitter chiama la donna per sapere come mai non le è stata portata Maria la madre si rende conto che la bimba è rimasta in auto e la trova agonizzante. Morirà poco dopo.
E’ il 23 maggio del 2011 e la scena si ripete, questa volta a Teramo. Il padre di Elena, 22 mesi, docente universitario alla facoltà di veterinaria di Teramo invece di portare la figlia all’asilo la dimentica in auto. La ritrova alle 13 già senza conoscenza, la bambina morirà dopo tre giorni di coma in terapia intensiva. La donazione dei suoi organi ha aiutato a vivere altri tre bambini.
Il 28 maggio del 2011, solo cinque giorni dopo Elena, a Passignano sul Trasimeno (Perugia), con le stesse modalità, trova la morte Jacopo, 11 mesi. La mamma fa la psicologa nella scuola dove c’è anche il nido che tutti i giorni accoglie Jacopo. Quella mattina è il padre però a dover portare il bimbo a scuola, ma lo dimentica in auto e lì dopo alcune ore lo ritrova morto asfissiato.
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Lavorare per cosa, oggi?
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Non potranno mai nascere i Borghi Eucaristici di Xenobia se non sappiamo cosa vuol dire stare all’aperto per una settimana; conoscere gente che non parla la tua lingua; stare senza mangiare e doversi adattare; dover vivere senza soldi e senza fuoco. Senza la conoscenza di tutto questo, non puoi dire di conoscere l’uomo, gli uomini, gli esseri umani, le civiltà, le regole, le identità locali, l’essenza della vita.
E’ facile essere cattolici con uno stipendio, con matrici di mammona e con i soldi stampati dal nemico, con una formazione che è “educazione” scolastica di sistema e dei potentati di turno. Occorre liberarsi di tutto e riconominciare dalla resilienza.
Gesù, daltronde, non ci insegna a inserirci in una gabbia rigida, ma come liberare l’amore ed essere l’uno di aiuto agli altri. Questa è la morale cristiana, la verità.
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Opac-Sbn, come ti distruggo il primo bene comune: la cultura
Da queste cose si vede “la qualità” di una classe dirigente. La nostra – italiana ed europea – è ignobile. E taglia i ponti che possono collegare il malessere sociale con la conoscenza.
Dunque, chiude l’OPAC SBN.
OPAC è l’acronimo di On line Public Access Catalogue. SBN è invece il Servizio Bibliotecario Nazionale: dalle origini del web l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane, quante sigle!) cura questo portale (se non ricordo male in precedenza disponibile in emulazione di terminale), che mette a disposizione degli utenti milioni e milioni di registrazioni catalografiche, collegate all’indicazione della collocazione fisica delle opere, secondo una logica reticolare che permette di vedere rappresentata la ricchezza del patrimonio librario italiano, ricchezza unica al mondo.
Per la sua estensione, e per il rigore scientifico che lo caratterizza, l’OPAC SBN è un’insostituibile punto di riferimento bibliografico in grado di dare al ricercatore un panorama immediato e significativo della produzione libraria nei settori di interesse. E’ un catalogo, una bibliografia, una mappa dell’Italia libraria senza paragoni. Un’ opera del genere è decisiva per la politica culturale di uno stato e per la sua imponenza può essere portata avanti solo da soggetti pubblici al massimo livello. E, considerazione niente affatto secondaria, è il punto di accesso più ampio e generalizzato a disposizione degli studiosi stranieri, ma sarebbe meglio dire dell’universalità dei lettori, interessati alla cultura e al libro italiano. Ora, ci si dice, l’OPAC SBN chiuderà. Per fare un paragone, è come se chiudesse l’Istituto Superiore di Sanità. Fino a pochi anni fa, pure di fronte a politiche di gestione che penalizzavano sistematicamente i beni librari a favore degli altri beni culturali in Italia, sarebbe stata impensabile una eventualità come questa, dato appunto il livello di questa istituzione. Abbiamo imparato però che tutto è possibile quando, qualche anno fa, fu inopinatamente conclusa l’esperienza più che quarantennale del Dizionario Biografico degli Italiani, edito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, opera unica al mondo, finita in modo grottesco alla lettera M. Il furore liquidatorio di questa classe dirigente non ha limiti. I danni inflitti al lavoro culturale peseranno per decenni e saranno difficilmente recuperabili.
da http://indicedilettura.wordpress.com
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Il comunicato del personale
L’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche italiane e per le Informazioni bibliografiche (www.iccu.sbn.it) non dispone più dei finanziamenti necessari alla gestione del Servizio Bibliotecario
Nazionale (SBN).
Dopo anni di costanti tagli alle spese da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali, a fronte dei quali si è dovuto da un lato ridurre il livello di servizio offerto, dall’altro cercare finanziamenti al di fuori del bilancio dell’ICCU, appare ormai inevitabile nel breve periodo l’interruzione del servizio.
I tagli colpiscono pesantemente anche il personale del nostro Istituto e di tutto il MiBAC. Da anni i pensionamenti non vengono compensati da nuove assunzioni, ma soltanto provvisoriamente e in misura minima da collaborazioni esterne. Si interrompe così il passaggio di saperi ed esperienze che da sempre ha completato la formazione dei colleghi più giovani: è tutto il bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche relativo al materiale antico e manoscritto, alla catalogazione e alla gestione dell’informazione che si perde, nella totale indifferenza di chi ha responsabilità di governo.
Chiunque svolga un’attività di studio o di ricerca, e più in generale chiunque, in Italia o all’estero, sia interessato ad ottenere in lettura un documento nell’immenso patrimonio delle biblioteche italiane, conosce il Servizio Bibliotecario Nazionale e ha sperimentato l’utilità del catalogo collettivo nazionale consultabile via internet (opac.sbn.it). Ad esso accedono oggi più di 2 milioni e mezzo di visitatori l’anno, con circa 50 milioni di ricerche bibliografiche e più di 35 milioni di pagine visitate. Vi sono presenti 14 milioni di titoli con 64 milioni di localizzazioni.
E’ passato poco più di un anno da quando il Sole 24ore ha pubblicato il “manifesto della cultura,” dove si individuava nella valorizzazione dei saperi e della cultura il necessario presupposto per lo sviluppo e la strategia per guidare il cambiamento; più di recente, nell’ambito del Salone Mediterraneo della responsabilità sociale condivisa, tenutosi questo mese a Napoli, si è riproposto come obiettivo: “di concorrere alla definizione di strategia e strumenti per valorizzare la cultura e il patrimonio storico artistico come motore di crescita e di rilancio dell’economia alimentando la collaborazione tra pubblico e privato, profit e no profit”.
Il Servizio Bibliotecario Nazionale da più di venti anni si fonda sul decentramento territoriale e sulla cooperazione tra Stato, Regioni (che hanno costituito 83 poli regionali) e 20 Università al fine di valorizzare le iniziative locali e far convergere verso un obiettivo comune l’impegno delle 5.000 biblioteche che fino ad oggi hanno scelto di aderire.
La cooperazione nazionale e la condivisione delle risorse hanno determinato l’abbattimento dei costi della catalogazione, consentendo alle biblioteche di ottenere in pochi anni risultati non perseguibili con la gestione tradizionale; hanno innalzato il livello dei servizi all’utenza in un ambito di continuo confronto tra soluzioni sempre più avanzate sia nel trattamento dell’informazione bibliografica sia nella fruizione dei documenti. E proprio in quanto basata sulla condivisione delle risorse la rete SBN, nata come realizzazione all’avanguardia, è stata presa a modello di buona pratica a livello internazionale.
Cessare la manutenzione e rendere insostenibile l’incremento di una tale risorsa, nella solita logica di tagli indiscriminati, è, a nostro avviso, l’ennesima offesa del diritto allo studio, alla ricerca e alla crescita culturale e pertanto riteniamo doverosa questa denuncia.
Il Personale dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane
CCU Roma
Fonte: www.contropiano.org
Link: http://www.contropiano.org/cultura/item/16717-opac-sbn-come-ti-distruggo-il-primo-bene-comune-la-cultura
20.05.2013
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Vandana Shiva: i brevetti sui semi minacciano la libertà
«Vendete agli amici le sementi del pomodoro giallo salentino, che nessuno coltiva più da due secoli? Ronzate su Internet alla ricerca dell’introvabile seme di pera veneta rinascimentale per abbellire il vostro orto? Ebbene, siete da oggi tutti fuorilegge. Come i pirati che scaricano film coperti da copyright, come i ragazzini che trafficano con i Cd copiati dalla Rete». Così Debora Billi ( http://petrolio.blogosfere.it/2012/08/sementi-antiche-contadini-tutti-nel-partito-pirata.html ) , all’indomani di una sentenza della Corte Europea che già nel 2012 prevedeva il divieto di vendere sementi non iscritte allo specifico albo certificato dell’Unione Europea , prima ancora che – nel 2013 – venisse formalmente proposto il “riordino” della materia, attraverso l’Agenzia delle Varietà Vegetali Europee, cui anche i piccoli produttori dovrebbero sottoporsi, per poter commercializzare i prodotti del loro orto. Super-burocrazia per scoraggiare le piccole coltivazioni? Di questo passo, avvertono l’inglese Ben Gabel del “Real Seed Catalogue” e lo scrittore Mike Adams, i divieti potrebbero insidiare persino gli orticoltori amatoriali.
«Un’altra bella norma liberista che va a favore della libertà di impresa e di libero scambio, ne siamo certi», ironizzava Debora Billi un anno fa, segnalando i sospetti avanzati da “Net1News ( http://www.net1news.org/addio-sapori-antichi-lue-mette-al-bando-sementi-tradizionali.html ) ”: «Perchè non esiste un registro ufficiale dei bulloni e delle viti? Forse perchè non c’è una Monsanto della minuteria metallica». Perché mai regolamentare la produzione di ortaggi e vietare il libero commercio dei semi? «Sottomettere le sementi ad una procedura del genere, che esiste ed è giustificata per i medicinali e i pesticidi, ha evidentemente il solo scopo di eliminare alla lunga le varietà di dominio pubblico, e quindi liberamente riproducibili, per lasciare in campo solo quelle brevettabili». O forse, conclude la Billi, è solo un altro favore alle compagnie sementiere, «le uniche a godere delle norme protezioniste liberiste», su cui vigila il Wto. «Pensavate che tale libertà fosse, ancora, a vostro vantaggio?».
Attenti: sottoporre anche i semi alla logica industriale è un pericolo per l’umanità. Lo afferma la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva, che a partire dalla storica conferenza mondiale sul clima svoltasi a Nairobi nel 2007 si è spesa per sostenere il “manifesto per il futuro delle sementi”. Primo caposaldo, la biodiversità: è la nostra più grande sicurezza, sostiene il “manifesto”. «La diversificazione è stata la strategia di innovazione agricola più diffusa e di successo negli ultimi 10.000 anni». Vantaggi evidenti: «Aumenta la scelta tra diverse opzioni e le probabilità di adattarsi con successo ai cambiamenti ambientali ed ai bisogni umani». Perciò, in contrasto con l’attuale tendenza verso la monocultura e l’erosione genetica, proprio la diversità «deve tornare ad essere la strategia di punta per lo sviluppo futuro delle sementi».
Si tratta di preservare la diversità di semi, di sistemi agricoli, di culture e di innovazioni, ricorda Marco Pagani su “Ecoalfabeta ( http://ecoalfabeta.blogosfere.it/2007/01/un-seme-salvato-e-un-seme-di-liberta-per-i-contadini.html ) ”, analizzando il “manifesto” di Vandana Shiva. Diversità e, naturalmente, libertà dei semi: «Le sementi sono un dono della natura e delle diverse culture, non un’invenzione industriale. Trasferire questa antica eredità di generazione in generazione è un dovere ed una responsabilità. Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da condividere per il benessere di tutti e da conservare per il benessere delle generazioni future e per questo non possono essere privatizzate o brevettate», checché ne pensino il Wto e l’Unione Europea . In gioco, sottolinea Pagani, è quindi «la libertà dei contadini di conservare le sementi, di scambiarle e commerciarle, di sviluppare nuove varietà e di difendersi dalla privatizzazione, dalla biopirateria e dalle contaminazioni genetiche degli Ogm».
Servono semi per il futuro , liberi da vincoli, per dare cibo alle comunità locali. Agricoltura pulita, riduzione dei gas serra: «Le sementi non devono richiedere input energetici esterni (attraverso i fertilizzanti, i pesticidi e il combustibile) oltre lo stretto necessario». E niente veleni: «Eliminazione di agenti chimici tossici nello sviluppo delle sementi». Il che significa salute, oltre che qualità del cibo, cioè sapore e valore nutrizionale. Vandana Shiva riconosce il protagonismo femminile nell’agricoltura libera: «Le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro agricola e sono le tradizionali custodi della sicurezza, diversità e qualità dei semi: il loro ruolo centrale nella protezione della biodiversità deve essere sostenuto». Insomma, le sementi non sono una faccenda tecnica per esperti agronomi, ma devono interessare tutti, perché ne va del futuro della nostra sovranità alimentare. «Democratizzare l’uso delle sementi – conclude Pagani – è uno dei pilastri per la difesa futura della democrazia sulla terra». Contro le lobby che dettano legge, imponendo sempre nuove dipendenze, fino a far “privatizzare”, con tanto di brevetto, anche i semi di pomodoro.
Fonte: www.libreidee.org
Link: http://www.libreidee.org/2013/05/vandana-shiva-i-brevetti-sui-semi-minacciano-la-liberta/vandana-shiva
22.05.2013
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RICORDO DI UNO SPIRITO LIBERO
CECILIA GATTO TROCCHI, DAL FEMMINISMO ALLA TRADIZIONE CATTOLICA
Il 12 luglio 2005 Cecilia Gatto Trocchi si è uccisa nella sua abitazione romana. Aveva 66 anni. Chi la conosceva era a conoscenza della sua sofferenza profonda causata dalla scomparsa di un figlio, morto in un incidente stradale due anni fa. Una depressione cresciuta dietro il contegno di una fede cristiana riscoperta in età matura l’ha stroncata. Ma chi era Cecilia Gatto Trocchi? Antropologa di fama internazionale, docente presso l’Università di Perugia, negli anni ’70 era nota per le sue posizioni impregnate di un femminismo tanto estremo quanto – ad oggi rileggere suoi vecchi testi sulla condizione femminile nel mondo tradizionale quali Le giumente degli dèi – involontariamente parodistico. Un problema affatto personale, in quanto il femminismo stesso rapidamente era destinato a divenire caricatura di sé stesso, così come la sua sopravvivenza politically correct, gli studi “di genere” che tanto di moda vanno negli Stati Uniti dimostra ancor oggi con vigore.
Ma la sua notorietà è dovuta, opportunamente, ad una fase successiva. Parallelamente ad un progressivo e profondo riavvicinamento alla religione cattolica, essa si è dedicata allo studio di quel polimorfo mondo che è il neospiritualismo contemporaneo (sul quale vedi M. Polia, Il neospiritualismo contemporaneo: forme e presupposti, Rimini 1984): maghi, sette, multinazionali della superstizione e della menzogna. Grazie a questa opera assolutamente meritoria, si è attirata da un lato la feroce attenzione denigratoria degli avvocati difensori delle sette, e nel contempo una notorietà televisiva che ha rischiato di renderla “un personaggio”, appiattendola in un ruolo superficiale quanto inautentico. La cosa non è sfuggita all’antropologo di sinistra Luigi M. Lombardi Satriani, che sul Manifesto del 16 luglio ha scritto «La sua produzione antropologica è varia e di notevole interesse e su di essa occorrerà ritornare per un’adeguata collocazione. Alla valutazione critica di questa opera ha spesso nuociuto la notorietà mediatica, specie televisiva, della Gatto Trocchi, che le ha conferito indubbia popolarità ma ha rischiato di sbiadire presso molti la sua dimensione scientifica e intellettuale, data la diffusa diffidenza verso le forme – del resto così spesso ambigue – di tale notorietà.» Nei confronti dello studio critico del mondo del neospiritualismo italiano essa adottò per prima, nel contesto italiano, alcuni metodi tipici dell’antropologia culturale, primo fra i quali l’ “osservazione partecipante”. Si trattava di infiltrarsi all’interno di sette e conventicole, fingendo di essere personalmente interessati alle bislacche teorie delle medesime, vivendo quindi in prima persona i percorsi pseudoiniziatici e manipolatorii che ne costituiscono l’ossatura. Questa esperienza diretta veniva poi riportata in saggi e conferenze non prive di un sano taglio umoristico, il che provocava indignate levate di scudi da parte dei settari e dei loro partigiani, a dimostrazione che spesso per seppellire costoro basta una risata. Alcuni anni fa, ad un velenoso attacco stampa portatole da uno dei più noti avvocati difensori delle sette internazionali essa ha risposto: «…l’osservazione partecipante che è la tecnica principale della ricerca antropologica e non vedo perché debba essere considerata scarsamente etica. Data la particolare natura dei soggetti non volevo svelare la mia identità ai maghi e ai veggenti che in quanto tali avrebbero dovuto capirla per doti… extrasensoriali. Quanto ai movimenti magici, volevo sperimentare di prima mano cosa sente una comune mortale che si immerge nel nuovo gruppo, senza presentare obbligatoriamente biglietti da visita accademici (per chi ce li ha…)». Non è quindi un caso che nei suoi ultimi anni il suo lavoro sia stato stimato simmetricamente dalla parte più attiva del mondo cattolico e persino da colleghi di sinistra, mentre i cultori del relativismo religioso e sociale, liberali di antico e recente acquisto, la avversavano coerentemente in ogni modo. Lombardi Satriani ha senz’altro colto alcuni lati salienti della sua personalità scrivendone il ricordo: «Per comprendere una personalità così complessa è opportuno porre in evidenza anche altri aspetti: in primo luogo la sua vivissima curiosità che la sollecitava a rivolgere il suo interesse verso le più diverse manifestazioni della realtà, a qualsiasi protocollo conoscitivo esse rinviassero. Né è stata marginale in lei la spregiudicatezza dell’intelligenza, per cui le posizioni che volta a volta assumeva nei confronti delle questioni oggetto del suo discorso non erano preventivamente passate al vaglio della loro “convenienza”, della congruità agli schematismi ideologici – ancora oggi diffusi più di quanto si ritenga -, delle aspettative connesse al ruolo, secondo la visione mercantilistica che così frequentemente condiziona la nostra personalità pubblica.» Parimenti Anthony A. Kila, docente londinese, il 21 luglio ha scritto in una corrispondenza su un quotidiano italiano: «Cecilia Gatto Trocchi credeva che vi era sempre una chiara e netta distinzione tra ciò che fosse giusto e sbagliato, bene e male, bello e brutto, e quando parlava usava termini come “sciocchezze”, “stupidaggine” per descrivere l’opinione di qualche interlocutore (che come immaginabile non gradiva tale attacco e reagiva duramente). Per lei il dogma del relativismo culturale ed il soggettivismo etico non era solo pericoloso per la civiltà italiana ed europea ma anche per l’individuo. Temeva per una generazione di intellettuali non più abituata a pensare ed a lanciare grandi idee.» Dalla spiritualità alla storia il passo è breve per chi si riconosce – anche alla fine di un lungo percorso intellettuale e spirituale – nella cultura tradizionale: ed ecco che negli ultimi anni della sua vita Cecilia si dedicò anche al ruolo di sette e massoneria nella storia d’Italia, con particolare riguardo al periodo dell’unificazione della penisola: ricordo in particolare un suo intervento nel corso del Convegno nazionale su “Massoneria e Cattolicesimo oggi” organizzato dal GRIS a Ravenna l’1 e 2 giugno 2004 (e i cui atti sono da poco editi in un volume monografico dell Rivista del GRIS “Religioni e sette nel mondo”) toccando con ciò un altro tasto dolente e “maledetto” della nostra cultura nazionale, che ancor oggi sembra non poter essere demistificato, ricoperto com’è da massicce coltri di retorica risorgimentalista di evidenti radici massoniche. In sintesi, uno spirito libero. Nell’Italia di oggi ve ne sono pochi, per cui anche la scomparsa di uno solo di essi ci impoverisce tutti. Ricordiamola tenendo alta la sua bandiera.
Adolfo Morganti
Alcune opere di Cecilia Gatto Trocchi:
Storia esoterica d’Italia, Piemme; I nuovi movimenti religiosi, Queriniana; Viaggio nella magia. La cultura esoterica nell’Italia di oggi, Laterza; La magia, Newton; Le sette in Italia, Newton; Magia ed esoterismo in Italia, Mondadori; , 1990), Il risorgimento esoterico, Mondadori; Nomadi spirituali. Mappa dei culti del nuovo millennio, Mondadori.
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Antropologia culturale
L’antropologia culturale è uno dei campi dell’antropologia, lo studio olistico dell’umanità. In particolare essa è la disciplina che ha promosso e sviluppato la cultura come oggetto di studio scientifico; essa è anche il ramo dell’antropologia che studia le differenze e le somiglianze culturali tra gruppi di umani.
Parte del mondo accademico ha scelto di considerare sotto questa etichetta tutte le scienze demo-etno-antropologiche non fisiche. Tuttavia, si tende anche a dare all’antropologia culturale continuità con la sua provenienza dalla tradizione americana, considerandola quindi un approccio antropologico particolare che privilegia lo studio di aspetti più culturali dell’umanità.
Concetti di base
I concetti su cui si basa l’antropologia culturale sono in parte dovuti ad una reazione contro la passata concezione occidentale basata sull’opposizione tra natura e cultura, secondo la quale alcuni esseri umani sarebbero vissuti in un ipotetico “stato naturale”.
Gli antropologi si oppongono a questa visione in quanto la cultura fa in realtà parte della natura umana: ogni persona ha infatti la capacità di classificare le proprie esperienze, di codificare simbolicamente tali classificazioni e di insegnare tali astrazioni ad altri. Poiché la cultura viene appresa, le persone che vivono in luoghi differenti avranno differenti culture. Gli antropologi hanno inoltre sottolineato che attraverso la cultura le persone possono adattarsi al proprio contesto ambientale in modi non-genetici, cosicché persone che vivono in contesti ambientali diversi avranno spesso culture differenti, anzi, addirittura elementi comuni che tra le culture hanno quasi sicuramente significati diversi.
Molte delle teorie antropologiche si basano sulla considerazione e l’interesse per la tensione tra l’ambito locale (le culture particolari, il folklore) e l’ambito globale (la natura umana universale, ovvero la rete di connessioni che unisce le persone di luoghi diversi). Dobbiamo anche dire che l’antropologia culturale ha vari settori come tutte le altre discipline. Abbiamo l’antropologia politica, l’antropologia medica, l’antropologia della parentela, l’antropologia religiosa, l’antropologia applicata e l’antropologia psicologica.
Breve storia e definizione della disciplina
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Per approfondire, vedi Scienze etnoantropologiche. |
L’antropologia culturale non a caso ha origine principalmente nel XIX secolo negli Stati Uniti , stato di recente formazione e bisognoso di affermare una propria identità culturale, e si interessa di una sistematica comparazione delle società umane, alla ricerca dell’origine degli usi e costumi adottati fin dai primordi della civiltà, per un approccio di studi che tendesse alla comprensione dei meccanismi che innescano lo sviluppo culturale, in modo da colmare quel “gap” che si era venuto a determinare nei confronti del vecchio mondo, più avanzato in tal senso. Fondatore può essere considerato Lewis Henry Morgan. Anche studiosi come Edward Burnett Tylor e James Frazer in Gran Bretagna si occuparono dell’argomento lavorando soprattutto su materiali raccolti da altri, di solito missionari, esploratori, o ufficiali coloniali, e sono oggi chiamati “antropologi da poltrona”. Questi etnologi erano interessati in modo particolare nelle motivazioni per cui i popoli che vivevano in diverse parti del globo avessero credenze e pratiche simili. Sebbene in Inghilterra l’approccio antropologico ponesse al centro non la cultura ma la società, fu proprio il britannico Tylor a dare la prima definizione di cultura: “presa nel suo più ampio significato etnografico è quell’insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società”.
Nel XIX secolo gli etnologi erano divisi: alcuni, come Grafton Elliot Smith ipotizzavano che i differenti gruppi umani dovessero in qualche modo aver appreso queste usanze simili gli uni dagli altri, sebbene in modo indiretto: in altre parole credevano che i tratti culturali si diffondessero da un luogo all’altro. Altri pensavano che differenti gruppi fossero capaci di inventare credenze e pratiche simili indipendentemente l’uno dall’altro. La disciplina per tutto l’Ottocento fu comunque dominata da coloro che, come Morgan, ipotizzavano che le somiglianze indicassero che i differenti gruppi fossero passati attraverso i medesimi stadi di evoluzione culturale.
Nel XX secolo gli antropologi per la maggior parte rifiutarono la concezione secondo la quale tutte le società umane dovrebbero passare attraverso tutti gli stadi di sviluppo nello stesso ordine. Alcuni etnologi del XX secolo, come Julian Steward, hanno piuttosto ritenuto che le somiglianze riflettessero adattamenti simili ad un simile contesto ambientale. Altri come Claude Lévi-Strauss, hanno ipotizzato che tali somiglianze riflettano fondamentali somiglianze nella struttura del pensiero umano (vedi Strutturalismo).
Sempre nel XX secolo la maggior parte degli antropologi socio-culturali, si rivolsero agli studi etnografici, vivendo per qualche tempo a scopo di studio in mezzo alle società in esame, partecipando e contemporaneamente osservando la vita sociale e culturale del gruppo. Questo metodo fu sviluppato da Bronislaw Malinowski (che svolse lavori sul campo nelle isole Trobriand e insegnò in Inghilterra), e promosso anche da Franz Boas (che lavorò nelle isole Baffin ed insegnò negli Stati Uniti).
Sebbene gli etnologi del XIX secolo considerassero le teorie della diffusione e dell’invenzione indipendente come ipotesi che si escludevano a vicenda, molti etnologi furono d’accordo nel riconoscere che entrambi i fenomeni accadono e che entrambi sono spiegazioni plausibili per le somiglianze. Questi etnografi facevano tuttavia notare che tali somiglianze erano spesso superficiali, e che persino certi tratti culturali che subivano un processo di diffusione, spesso cambiavano di significato e di funzione nel trasferimento da una società all’altra. Di conseguenza questi antropologi non erano interessati a paragonare tra loro le diverse culture, per trarne generalizzazioni sulla natura umana o per scoprire le leggi universali dello sviluppo culturale, ma piuttosto si preoccupavano di comprendere le culture particolari nei loro propri termini. Essi promossero la concezione del “relativismo culturale“, considerando che le credenze e i comportamenti di una persona potessero essere compresi solo nel contesto della cultura in cui questa viveva.
Antropologia sociale e culturale
Agli inizi del XX secolo l’antropologia si sviluppò in forme diverse in Europa e negli Stati Uniti. Gli antropologi europei si occuparono soprattutto dell’osservazione dei comportamenti e della struttura sociale, ossia delle relazioni tra i ruoli sociali (p.e. marito e moglie, o genitore e figlio) e le istituzioni sociali (p.e. religione, economia, politica). Il metodo di osservazione di altre culture viene definito “osservazione partecipante” che sta ad indicare l’osservazione non passiva delle pratiche locali.
Gli antropologi americani invece si occuparono soprattutto dei modi in cui le persone esprimono la loro visione su se stesse e sul mondo che le circonda, soprattutto riguardo alle forme simboliche (arti e miti). Al centro della loro riflessione c’è la cultura, la sua trasmissione, innovazione, variazione.
Questi due approcci spesso coincidono (ad esempio la parentela è insieme un sistema simbolico e una istituzione sociale), ma le descrizione che si danno dei medesimi fenomeni è rimasta a lungo fortemente orientata dalla scuola di appartenenza. Attualmente gli antropologi fanno riferimento ad entrambi i gruppi e sono ugualmente interessati a quello che le persone fanno e a quello che dicono.
Tuttavia, con l’espressione antropologia culturale si tende ad indicare una visione dell’antropologia più vicina all’approccio di origine americana.
Paradigmi attuali dell’antropologia culturale
L’antropologia culturale è tuttora dominata dalle ricerche etnografiche. Tuttavia molti antropologi culturali contemporanei hanno respinto i primi modelli di etnografia, che trattava le culture locali come confinate e isolate. Questi antropologi sono tuttora interessati ai differenti modi in cui le persone che vivono in luoghi diversi agiscono e comprendono le loro vite, ma ritengono spesso che non sia possibile comprendere tali modi di vita occupandosi esclusivamente del contesto locale. Si ritiene invece che si debba analizzare le culture locali nel loro contesto regionale o addirittura nelle relazioni politiche ed economiche globali. Si possono citare tra coloro che propongono tale approccio Arjun Appadurai, James Clifford, Jean Comaroff, John Comaroff, James Ferguson, Akhil Gupta, George Marcus, Sidney Mintz, Michael Taussig, Joan Vincent, e Eric Wolf.
Fondamentale per l’antropologia degli ultimi decenni è stato sottolineare il carattere astratto e costruito non solo dei concetti di etnia e gruppo, ma addirittura del concetto stesso di cultura. Da alcuni questo viene addirittura contestato come non fondato e accusato di contribuire alla creazione di identità forti utilizzate in contrasti politici.
Inoltre gli antropologi culturali hanno sempre più allargato il loro interesse anche alla cultura occidentale. Per esempio un recente vincitore di un prestigioso premio per l’etnografia (In Search of Respect), ha svolto le sue ricerche nel quartiere di Harlem (New York).
Bibliografia
- Enzo V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia (1869-1975), Firenze, Seid Editori, 2011 (Vincitore VII ed. premio “Costantino Nigra”, 2011).
- Carlo Tullio Altan, Manuale di antropologia culturale: storia e metodo, Milano, Bompiani, 1979.
- C. Barbati, G. Mingozzi, A. Rossi, Profondo Sud – Viaggio nei luoghi di Ernesto De Martino a vent’anni da ‘Sud e Magia’, Milano, Feltrinelli, 1978.
- Ernesto De Martino, Sud e Magia, Milano, Feltrinelli, 1959 e succ.
- Ernesto De Martino, Morte e pianto rituale – dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Torino, Boringhieri, 1975.
- Alfonso Maria di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhieri, 1976.
- Luigi Maria Lombardi Satriani, Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, 2. ed. Milano, Rizzoli, 1997 ISBN 88-17-12303-X
- Ida Magli, Introduzione all’antropologia culturale. Storia, aspetti e problemi della teoria della cultura, Roma Bari, Laterza, 1989 ISBN 88-420-2126-1
- Nicola Tommasini, Folklore, magia, mito o religiosita’ popolare, Bari, Ecumenica Editrice, 1980.
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Con la psicologia sociale e la sociologia costituisce una delle tre scienze sociali di base. Suole anche essere definita scienza della cultura. In quanto la cultura , in senso antropologico, è costituita dai modi tipici di pensare e di agire dei membri di una società, l’antropologia culturale studia sia i comportamenti sociali umani e le loro modalità, peculiari di ogni gruppo e sottogruppo, (culture e subculture), quanto i modi tipici del pensiero che sovraintendono loro. Si distingue dall’antropologia fisica, in quanto quest’ultima studia gli aspetti biologici dell’uomo, e dall’antropologia criminale, interessata alle forme più gravi della devianza sociale. Si distingue inoltre dall’etnologia, interessata allo studio globale e descrittivo delle società illetterate o ex illetterate; dall’antropologia sociale, o etnologia sociale, sviluppatasi specialmente in ambito inglese, che si occupa dell’organizzazione sociale (e cioè della sociologia) dei popoli illetterati o ex illetterati, in primo luogo africani. Archeologia, storiografia e linguistica costituiscono aree interdisciplinari primarie dell’antropologia culturale.
LA NASCITA DELLA DISCIPLINA. Proponendo nel 1871 la prima definizione antropologica del termine cultura, E.B. Tylor asseriva che nella misura in cui questa comprende «tutte le capacità e i moduli di comportamento acquisiti dall’uomo in quanto membro di una società», lo studio di queste capacità avrebbe consentito di «risalire alle leggi del pensiero e dell’agire umano». Si delineava così dal primo insegnamento di antropologia culturale, tenuto dallo stesso Tylor ad Aberdeen (1888) e a Oxford (1895), la doppia linea teorica e sperimentale che la disciplina avrebbe seguito per oltre un secolo e nella quale oggi è possibile distinguere tre fasi. Seguendo in un primo tempo l’interesse verso l’umanità non europea, maturato in Inghilterra, Francia e Germania già nel XVIII secolo, l’antropologia culturale si dedicò da un lato allo studio delle comunità semplici, e cioè extraeuropee e prive di scrittura, e dall’altro alla riflessione sul fenomeno della “cultura” come tale. La ricerca sul terreno, condotta specialmente in America, Africa e Oceania, dal punto di vista del metodo assumeva prevalente carattere descrittivo, affiancandosi alla ricerca etnografica e aprendo una lunga polemica con gli etnologi, che non riconoscevano la differenza tra le due discipline. Tale specificità venne confermata da ricerche di antropologi culturali che, come già Tylor, muovevano da principi teorici. Tali principi, compresi quelli da lui proposti, certamente utili, furono però anche, tranne forse quelli di A.L. Kroeber , parziali o settoriali, e la disciplina, al contrario di quel che si verificò nella psicologia con le grandi teorie di Pavlov e di Freud, non dispose di una parallela teoria generale, alla quale giunse solo in tempi assai più recenti. Questa situazione rispecchia il significato e la posizione che la disciplina e la sua ricerca hanno avuto, e in particolare hanno attualmente, nella storia del pensiero dell’occidente. La definizione data da Tylor segnava l’esordio di una nuova disciplina in un momento che vedeva la nascita delle scienze sociali, in primo luogo la sociologia (A. Comte) e la psicologia sperimentale (W. Wundt). Le diverse definizioni della cultura sono giustificate dalla molteplicità dei livelli di astrazione della sua fenomenologia. L’antropologia culturale può essere oggi anche definita scienza dell’identità mentale-sociale dei gruppi umani e, insieme, strumento per la maturazione di una sua adeguata coscienza nei singoli membri dei gruppi. La nascita dell’antropologia culturale nel 1871 chiudeva anche un lungo lavoro preparatorio nel pensiero occidentale europeo verso una sempre maggior coscienza negli individui della propria identità di gruppo. Pertanto il periodo pretyloriano può essere oggi per comodità definito preparatorio della disciplina (prima fase).
LA SECONDA FASE. Il periodo da Tylor agli anni Quaranta del Novecento si può definire seconda fase; mentre una terza fase può individuarsi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, con qualche anticipazione alla fine degli anni Trenta dovuta all’interesse sempre più elaborato per le culture delle società occidentali ( antropologia delle società complesse ). Questa prospettiva, oltre a chiarire il senso della scienza della cultura nel pensiero occidentale moderno, ne inquadra la futura funzione conoscitiva ed euristica colmando il vuoto ancora largamente presente nella ricognizione storica sulle culture europee, come su qualunque cultura attuale o sullo stesso vissuto quotidiano degli individui e dei gruppi. Le matrici dell’antropologia culturale nel periodo pretyloriano possono definirsi dirette, in quanto espressione di riflessioni in vario modo preantropologiche, alle quali si rifà in genere la letteratura scientifica sull’uomo, e indirette, in quanto non costituiscono un itinerario verso l’antropologia come scienza ma l’anticipano, esprimendo appunto quel maturarsi nell’attuale società occidentale dell’esigenza di autoidentificazione, individuale e di gruppo, definita identità culturale. Le fonti indirette o “implicite” partiranno in Italia da Leon Battista Alberti, come da Machiavelli e da Guicciardini, e in Europa da Montaigne e da Montesquieu, e potranno essere riconosciute anche in classiche sintesi umanistico-filosofiche quali la Storia della civiltà greca di J. Burckhardt (1898-1902, ed. it. 1955), La crisi della coscienza europea di P. Hazard (1935, ed. it. 1946) o Le origini dello storicismo di F. Meinecke (1936, ed. it. 1954). Come fu rilevato da A. Kroeber, che aveva riflettuto sul carattere collettivo della maturazione della cultura, sin dalla seconda metà del Settecento si era affermato nel parlare comune inglese l’uso del termine cultura non più come conoscenza ma come “mentalità” e “costume”, cioè in senso antropologico (R. Williams, Cultura e società, 1961, ed. it. 1968). Proprio nel Settecento si era sviluppata una riflessione che avrebbe fatto considerare protoantropologi autori come Locke, Vico, Voltaire, Diderot, Herder e, più tardi, Spencer. Ma ormai, dalla seconda metà dell’Ottocento, e comprensibilmente con approccio evoluzionistico di derivazione darwiniana, etnologi e giuristi inglesi contemporanei di Tylor quali J. Mc Lennan, H. Maine e J. Lubbok, o tedeschi o di lingua tedesca come J.J. Bachofen e A. Bastian, o americani come L.H. Morgan, si interrogavano sulla formazione originaria della società umana, sia pure attraverso una documentazione, tranne che per Morgan, di seconda mano, detta poi “da tavolino” perché non ricavata dal contatto diretto con le popolazioni studiate. Per quanto impostati in termini di deterministiche scansioni evolutive, problemi nuovi si affiancarono all’esigenza di individuare, per via statistica come in Tylor, o attraverso ipotesi astratte come in Bastian con le “idee di base” (Elementargedanken), postulanti l’unità psichica del genere umano, quelle costanti comuni a tutte le culture che per allora soltanto Tylor era riuscito a ipotizzare con sufficiente correttezza: l’origine della famiglia, della religione, dell’organizzazione sociale primitiva, i sistemi di parentela e discendenza, lo stesso tabù dell’incesto, il relativismo culturale e l’etnocentrismo, l’emergenza e la diffusione della cultura, il diritto primitivo. Dalla fine dell’Ottocento (seconda fase), una serie di brillanti antropologi, non di rado di origine germanica, iniziava l’elaborazione di concetti che potevano apparire tra loro isolati, ma che costituirono di fatto il lungo cammino verso una teoria generale della cultura. Il percorso apparve reso arduo dalla carenza di strumenti epistemologici e specie dal fatto che ogni contributo, allargando lo spazio di osservazione, rivelava che la fenomenologia della cultura, confermandosi tra i fenomeni umani più complessi e meno riconoscibili, era ancora, e in parte è tutt’ora, lontana dall’essere unitariamente dominata. Tra il 1880 e il 1890 F. Boas confutava con le sue ricerche nel Canada settentrionale il determinismo geografico di matrice ratzeliana ( F. Ratzel) e proponeva poi un approccio alla cultura attraverso la psicologia («personalità e cultura»). Nei primi decenni del Novecento A. Kroeber, allievo di Boas, riconosceva il carattere autonomo e specifico della cultura umana come fenomenologia ed elaborava criteri metodologici per studiarla. Si inseriva così nella riflessione che si sarebbe poi sviluppata sui modelli e le configurazioni delle diverse culture, alla ricerca dei fattori distintivi e comuni. Da Boas derivarono numerosi antropologi che nella prima metà del Novecento contribuirono in varia misura allo sviluppo della disciplina: oltre a Kroeber, R. Lowie, E. Sapir, M. Herskovits, A. Goldenweiser, C. Wissler, R. Benedict, M. Mead, A. Montagu, per ricordare i più autorevoli e noti in Italia. Nel 1921 E. Sapir contribuì con Il linguaggio. Introduzione alla linguistica (1921, ed. it. 1969) a porre i fondamenti della linguistica e dei rappori tra personalità, pensiero e cultura.
LA TERZA FASE. Nel 1945, mediandolo dalla psicologia e dall’uso che ne avevano fatto i coniugi Lynd nella celebre indagine del 1929 Middletown. A Study in American Culture, R. Linton elaborava il concetto di value attitude ( atteggiamento di valore ). Questo costituì, in quella che può indicarsi come terza fase della disciplina, un riferimento primario per gli studi sull’azione sociale e più tardi sul rapporto mente-cultura. Ne scaturì l’esigenza di un approfondimento storico e fenomenologico della cultura (A. Kroeber, C. Kluckhohn, Il concetto di cultura, 1952, ed. it. 1972), che suggerì nel 1957 allo stesso Kluckhohn una prima rassegna dei contributi che, dopo Tylor, Bastian e Boas, si erano avuti nella ricerca degli «universali della cultura», vale a dire degli aspetti generali che consentissero di fondare quella universalità che appariva in sé evidente ma che in pratica non si perveniva a configurare. Nel 1956, in una ricerca su cinque comunità del Texas diretta da T. Parsons e C. Kluckhohn, F. Kluckhohn, in collaborazione con F.L. Strodtbeck, individuava alcune categorie o valori universali della cultura in alcuni orientamenti (attitudes) di valore (value orientations) che avrebbero costituito le basi di un futuro e più ampio approccio teorico in Variations in Value Orientations. A Theory tested in Five Cultures (1961; Variazioni nell’orientamento di valore: una teoria verificata in cinque culture). Riprendendo negli stessi anni l’istanza che era stata anche di Kroeber, J. Steward proponeva ancora il fondamentale rapporto cultura-territorio (ecologia culturale) e sostituiva il concetto di evoluzionismo culturale unilineare, che era stato degli antropologi positivisti, con quello di plurilinearità evolutiva, a favore di una pluralità di linee del cambiamento culturale che, per la loro intrinseca indeterminazione, avrebbero appunto richiesto nel ricercatore l’utilizzazione di un apparato epistemologico. R. Manners e D. Kaplan ne furono prosecutori (1972). Accanto a questa linea che, proseguita da altri studiosi, appare la più conseguente e continua nella storia del pensiero antropologico, conviene richiamare sia pur brevemente, altre correnti. La linea marxista (Z. Baumann, 1973) o paramarxista (M. Harris, 1968), quella funzionalistica (funzionalismo), che ha dato luogo all’odierna antropologia sociale inglese (B. Malinowski, A.R. Radcliffe-Brown, E.E. Evans-Pritchard), quella psicologica, rappresentata da A. Kardiner, quella psicanalitica, con il rumeno G. Roheim. M. Harris e C. Geertz godono di notevole prestigio, ma le loro proposte, e specialmente quelle del secondo, non corrispondono a teorizzazioni formalmente elaborate, nonostante il richiamo alla filosofia della scienza. Specie con gli anni Cinquanta la disciplina si pose sempre più definiti problemi di metodo, inserendosi anche nel filone epistemologico e affrontando un lavoro di apertura per la conoscenza interdisciplinare del mondo occidentale industriale. Un’altra componente, comprensibilmente in ritardo rispetto alla sociologia, è l’emergere di diversificazioni che, specie negli Stati uniti ma anche in Italia, si sono tradotte in nuovi insegnamenti, costituendo l’antropologia storica, urbana, politica, economica, cognitiva, del diritto ecc., oltre ai settori di antropologia applicata alla medicina, alla promozione sociale, all’educazione sessuale e ad altri campi di attività.
• A.L. Kroeber, Antropologia. Razza, lingua, cultura, psicologia, preistoria, Feltrinelli, Milano 1983; P. Mercier, Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1970; M. Harris, L’evoluzione del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna 1990; R. Manners, D. Kaplan, Culture Theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs 1972; S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, Laterza, Roma-Bari 1970.
G. Musio
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Elementi di antropologia culturale:
- Bricolage educativi
- Vita e costumi dei romani antichi
- Storia moderna
- La mente multiculturale
- Antropologia Culturale
Organico riassunto del manuale per lo studio dell’antropologia. Tutti i capisaldi della materia vengono ampiamente definiti e descritti: dopo un inquadramento storico della materia, con i principali autori che si sono occupati degli studi antropologici, vengono approfondite le materie studiate dall’antropologia e dall’etnografia. In particolare, si da ampio spazio ai concetti di famiglia, di parentado, di religione, di cultura, di tipologia di gruppo sociale.
Indice dei contenuti:
- Definizione di antropologia
- Comparsa dell’antropologia
- Campo di intervento degli antropologi
- Definizioni di cultura
- Caratteristiche della cultura
- Comunicazione e creatività
- L’etnografia e la raccolta dei dati
- Bronislaw Malinowski
- La prospettiva olistica in antropologia
- La problematica del contesto in antropologia
- Lo stile comparativo in antropologia
- La vocazione dialogica e l’antropologia come traduzione
- L’inclinazione critica e l’approccio relativista dell’antropologia
- Il risvolto applicativo antropologico e quello riflessivo
- L’impianto antropologico pluriparadigmatico
- Stadi di sviluppo dell’umanità in ottica evoluzionistica
- Particolarismo storico in antropologia
- Funzionalismo in antropologia
- Strutturalismo in antropologia: Levi-Strauss
- Antropologia interpretativa
- I confini del sé e la rappresentazione dell’altro
- Il corpo come veicolo per esperire il mondo
- Corpi sani e corpi malati in antropologia
- Concetto di persona in antropologia
- Sesso e genere in antropologia
- Ortner e Whitehead
- Judith Butler
- Studio delle emozioni in antropologia
- Definizione di casta
- Definizione di classe sociale
- Definizione di etnia ed etnicità
- Un conflitto “etnico” esemplare: Hutu e Tutsl in Rwanda
- Definizione di nazionalità
- Forme di parentela, campo d’indagine dell’antropologia
- Discendenza e consanguineità
- Il parentado
- Concetto di residenza e vicinato
- Matrimonio e alleanza
- I matrimoni poliandrici dei Nayar
- Poliandria adelfica ed eredità della terra fra i Tibetani del Nepal
- Matrimonio, famiglia, gruppo domestico
- Famiglie nucleari e famiglie estese
- Definizione di esogamia ed endogamia
- La proibizione dell’incesto
- Il principio di reciprocità
- I tre assunti di Morgan e gli otto principi di Kroeber
- Studi di Kroeber
- I sistemi terminologici di parentela
- Gruppi patrilineari
- Gruppi matrilineari
- Studio della religione in antropologia
- Gli elementi della religione e le forme di culto
- Definizione di possessione
- Tipi di culto
- Simboli e riti: definizione
- I simboli sacri e la loro efficacia
- I riti della religione
- La varietà dei riti
- Secolarizzazione e nuove religioni
- Risorse e potere: un’inscindibile relazione
- Oggetti di prestigio e beni di consumo
- Le nature del potere
- Antropologia economica e studio delle risorse
- La distribuzione: K. Polanyi
- La dimensione sociale dell’economia: il principio di reciprocità
- La comunità domestica
- Economie dell’”affezione” e “politiche dello sviluppo”
- Razionalità e irrazionalità nell’economia
- Attività politica e organizzazione politica
- La classificazione tipologica dell’organizzazione politica
- La banda
- Le caratteristiche fondamentali delle società tribali
- Chefferies, potentati
- Gli stati
Dettagli dei contenuti:
- Autore: Anna Bosetti
- Università: Università degli Studi di Milano – Bicocca
- Facoltà: Scienze dell’Educazione
- Corso: Scienze dell’Educazione
- Esame: Antropologia Culturale
- Docente: Claudia Mattalucci
- Titolo del libro: Elementi di antropologia culturale
- Autore del libro: Ugo Fabietti
- Editore: Mondadori università
- Anno pubblicazione: 2010
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STORIA DELL’ANTROPOLOGIA CULTURALE
CECILIA GATTO TROCCHI
“Capii che la storia della cultura è una catena di equazioni in immagini che a coppie connettono il noto con l’incognita, che l’elemento noto e constante è una leggenda posta a fondamento della tradizione e che l’incognita ogni volta ritrovata, è il momento attuale della cultura”
(Boris Pasternak, Il salvacondotto)
La cultura occidentale ha sempre fatto tesoro del pensiero “selvaggio”: da Erodoto ai giorni nostri, l’altrove è stato il luogo della riflessione e della contestazione dell’Occidente. Il primitivo ha turbato i sogni dell’uomo “civile” fin dalla notte dei tempi ed è stato visto a volte come inquietante e barbara naturalità, a volte come essere innocente e sapientissimo. L’esotismo ha preceduto la conoscenza scientifica dell’altro, del selvaggio, sviluppando miti ancora oggi riproposti.
Un punto chiave dell’impianto logico-metodologico dell’antropologia è che ogni fenomeno culturale è di una complessità irriducibile e non può essere decodificato con modalità semplicistiche ed unilaterali (ad esempio solo economiche o inconsce o politiche) ma tenendo conto delle inter-relazioni costanti.
Le origini dell’antropologia
Si è soliti far iniziare la riflessione antropologica con le Storie di Erodoto, nato ad Alicarnasso intorno al 484 a.C. e morto ad Atene intorno al 425 a.C.. Erodoto è considerato il fondatore della storia, della geografia e dell’antropologia, in quanto descrive nelle sue Storie i costumi, le tradizioni, le religioni, le abitudini di moltissimi popoli dell’antichità, con cui in parte era venuto direttamente in contatto. A lui dobbiamo implicitamente i due concetti fondamentali di “etnocentrismo” e di “relativismo culturale”.
L’etnocentrismo considera la propria cultura come superiore alle altre per modi, stili, abitudini e tradizioni. Tale posizione è diffusa in tutte le etnie e tra i più diversi popoli, basterebbero i nomi di alcuni gruppi per dimostrare tale fatto. La maggior parte delle etnie infatti si autodefinisce come “popolo degli uomini”, escludendo automaticamente dall’umanità gli altri gruppi diversi dal proprio. Così i Cheyenne chiamavano se stessi “gli uomini”, mentre i Dakota erano da loro chiamati “volpi” (Sioux). I Bantu sono “uomini”, e così Masai vuol dire “uomini guerrieri”, mentre gli Inuit sono “uomini cacciatori”, e gli indios Yanomami sono “gli uomini” per antonomasia. L’idea del centro assoluto della propria etnia appare in maniera macroscopica nella cultura cinese: il Celeste Impero, Chin, è “il centro” dell’universo.
Erodoto propone delle riflessioni che definiscono il relativismo culturale, ovvero la pluralità e le differenze tra stili di vita, ideologie e culture. Egli descrive sommariamente gli usi funerari degli indiani Galati, dicendo che è loro costume piangere il morto, disporlo sopra un tavolo su un bianco sudario, continuare i pianti e le lamentazioni, e poi cibarsi del corpo del morto per introiettare la sua forza e la sua anima. Questa usanza fa orrore a un greco, il quale come abitudine funeraria costruisce una catasta di legno, vi pone sopra il corpo del defunto, e brucia il tutto mentre organizza giochi ginnici intorno alla pira per onorare lo spirito del defunto, così come fece Achille per venerare Patroclo morto. Erodoto continua considerando che anche a un indiano galata farebbero orrore gli usi funerari dei Greci, che bruciano e disperdono il corpo del defunto.
Da queste considerazioni possiamo ricavare due idee-guida: da un verso Erodoto mette in risalto la differenza delle usanze funebri, dall’altro ribadisce che in ogni società esistono modalità per segnare, marcare e sacralizzare il passaggio dalla vita alla morte. Abbiamo da un lato l’universalità delle usanze funerarie, dall’altro la particolarità specifica delle loro modalità. La curiosità naturale di Erodoto nei riguardi di usi, costumi e atteggiamenti culturali di altri popoli va di pari passo con l’affermazione della grandezza della Grecia, soprattutto per quanto riguarda le guerre persiane.
La Grecia si trovò a fronteggiare la più difficile prova militare, che rischiava di travolgere completamente l’Ellade, per farne una provincia sottomessa dell’impero persiano. Malgrado Erodoto sia stato considerato filobarbaro, perché valorizza e considera in maniera positiva le tradizioni culturali di altri popoli, occorre non dimenticare che, descrivendo la grandezza, la potenza e l’organizzazione dei Persiani, mette in risalto per contrasto il valore e la virtus dei Greci, che sconfissero un avversario così potente, numeroso e organizzato. Egli stesso rammenta la stele che a Maratona fu innalzata per gli eroi, in cui si legge: “qui diecimila valorosi vinsero un esercito di un milione di nemici”.
In epoca romana l’esigenza di conoscere i popoli diversi fu necessaria per organizzare l’amministrazione dell’impero. Dalla caduta di Cartagine (intorno al 146 a.C.) Roma era alla testa di un impero immenso di cui ignorava quasi tutto. Rapidamente la sua metodica amministrazione permise di raccogliere informazioni su vari paesi soggetti e su quelli che intendeva assoggettare. Lo stesso De bello gallico di Giulio Cesare è denso di considerazioni sulla cultura, la religione, gli usi e i costumi dei Galli.
Con l’affermarsi del cristianesimo si determinò “un modo relativamente nuovo di intendere i diversi rispetto alla filosofia greca”; un modo che sottolineava “l’universalità della natura umana di fronte a Dio. Questa posizione metteva in crisi la distinzione fra popoli civili e popoli barbari” (Tullio-Altan, 1971, 22).
La modalità della ricerca etnoantropologica greco-romana fu raccolta dagli Arabi, anch’essi desiderosi di conoscere i popoli che, attraverso la loro diaspora vittoriosa, andavano islamizzando. Masudi, intellettuale arabo, viaggiò in Africa, in India, in Madagascar e raggiunse la Cina, scrivendo le sue notazioni etnoantropologiche nell’opera che porta il titolo I prati d’oro.
Ibn Khaldum (1332-1406) affrontò non solo la descrizione di popoli e costumi diversi, ma problemi come i rapporti tra ambiente naturale, razza, tecniche e generi di vita, temi che verranno riconsiderati solo alla fine del XIX secolo.
In Europa intanto mercanti e missionari prevalentemente italiani furono i primi “artigiani” della tecnica antropologica. Giovanni del Pian del Carpine (1182-1251) viaggiò tra i Mongoli e si spinse fino al Karakorum, lasciando una Storia dei Mongoli che offre una descrizione delle popolazioni mongoliche estremamente accurata.
I mercanti ebbero in Marco Polo chi li rappresentò in modo brillante con il famosissimo testo Il Milione. Marco Polo visitò la Cina, l’India, il Giappone e visse a lungo al servizio di Kubilay Khan, signore mongolo della Cina tra il 1270 e il 1290.
Le nuove scoperte geografiche, in particolar modo quella delle Americhe, aprirono uno spazio sconfinato all’analisi e alla descrizione di popoli altri e diversi. La colonizzazione distrusse molte culture, ma contemporaneamente ci fu chi reagì contro questi disastri, e pazientemente raccolse tradizioni e costumi dei popoli delle Americhe.
Padre Bartolomeo de las Casas (1474-1566) offre una testimonianza polemica della colonizzazione spagnola scrivendo Storia apologetica degli Indiani, in cui difende i nativi dalla deculturazione e dall’invasione europea. Allo stesso modo Garcilao de la Vega, storico ispano-peruviano redasse un testo sulla cultura degli Incas, pubblicato intorno al 1610, mentre il gesuita Giuseppe d’Acosta redasse in Perù la Storia naturale e morale delle Indie.
Il Settecento fu l’epoca delle grandi spedizioni organizzate con impegno da specialisti nei vari rami della botanica, della zoologia, della geografia e della medicina. Nel Settecento si completò la scoperta delle terre non conosciute con le spedizioni in Oceania, in cui primeggiò il capitano James Cook, che ci lasciò un resoconto del suo viaggio nell’Oceano Pacifico. Come è noto, Cook fu ucciso dagli hawaiani, durante una complessa situazione in cui il capitano fu scambiato per il dio locale Lono. Il Settecento fu il secolo delle grandi scoperte geografiche e contemporaneamente della passione per l’esotismo.
Può sembrare azzardato individuare nell’esotismo dell’età moderna la spinta “sentimentale” che portò alla complessa, vasta e contraddittoria elaborazione della scienza etnoantropologica. L’interesse nei riguardi di paesi lontani e primitivi, di terre solari dove eterna è la primavera, o dell’Oriente voluttuoso e cruento, si può dire comune ai pensatori dell’inizio del Settecento e del periodo romantico.
Non a caso Montesquieu nelle sue Lettere persiane (1721) si servì di un persiano come protagonista di dialoghi che criticavano la società del suo tempo. La civiltà europea appariva al persiano “illuminista” arbitraria, convenzionale e fortuita in confronto ai costumi e ai modi di vita della sua civiltà esotica. Rousseau stimolava i suoi contemporanei, come ricorda Lévi-Strauss, a intraprendere un viaggio nel mondo delle culture altre e diverse, e poi solo dopo aver compiuto tali esperienze riproporre l’interpretazione della morale e della politica.
Rousseau nell’Essai sur l’origine des langues affermava: “Quando si vogliono studiare gli uomini bisogna guardare vicino a sé; ma per studiare l’uomo bisogna imparare a guardare lontano; bisogna anzitutto osservare le differenze per poter poi scoprire le proprietà” (Lévi-Strauss, 1967, 87). Ardua cosa è il determinare il padre fondatore di una nozione, di un concetto o di una corrente di pensiero.
Non vi è dubbio che il nome di Rousseau si lega in forma paradigmatica al mito del buon selvaggio. L’uomo naturale fu il paragone continuo che Rousseau propose contro l’uomo artificiale e sociale. La sua convinzione era che la società avesse inferto all’umanità le più profonde ferite, e che i mali derivassero dalle organizzazioni politiche. I selvaggi servivano a Rousseau nella sua polemica contro lo Stato assolutista e feudale e contro l’intera tradizione. L’interesse degli illuministi non era di identificare le reali condizioni di vita dei popoli, quanto di contestare le condizioni della loro stessa società, che veniva criticata sulla base del mito di uno stato selvaggio in cui l’uomo era originariamente felice.
Il mito si alimentò al di fuori delle reali esperienze etnografiche, che erano piuttosto patrimonio di pochissimi ricercatori. Secondo Giuseppe Cocchiara il primo documento dell’etnologia moderna è l’opera di un dotto gesuita, Jean-François Lafitau, che nel 1724 pubblicò Les moeurs des sauvages ameriquains, comparées aux moeurs des premiers temps.
L’opera ricevette dai contemporanei illuministi un’accoglienza contraddittoria. Essa non è citata da Montesquieu, che pure amava ricercare nella letteratura etnografica delle note e degli stimoli per le sue interpretazioni politiche e sociali, mentre Lafitau è citato ironicamente da Voltaire, il quale afferma: “Lafitau fa venire gli americani dagli antichi greci ed ecco le sue ragioni. I greci avevano le loro favole e anche gli americani le hanno. I primi greci vanno a caccia e gli americani fanno lo stesso. I primi greci avevano gli oracoli e gli americani hanno i maghi. Si danzava durante le feste della Grecia e si danza in America. Bisogna convenire che queste ragioni sono convincenti” (Cocchiara, 1971, 116).
L’opera di Lafitau è veramente come Voltaire la dipinge? Leggendo il testo si scopre un etnografo attento che dimostra come il mondo dei selvaggi non sia costituito da bizzarrie, ma da uomini concreti dotati di cultura (Gatto Trocchi, 1999, 19). Prima del Lafitau il primitivo non era stato studiato ma “inventato”. Per uno studio approfondito, la conoscenza delle lingue locali era l’assoluta e necessaria strumentazione per comprendere il modo di pensare, gli usi, i costumi e le tradizioni dei popoli. Lafitau era arrivato alla padronanza della lingua urone e di alcuni dialetti irochesi prendendo lezioni da un dotto confratello, vissuto in Canada per più di sessant’anni, Julien Garnier, che conosceva la lingua algonchina, la urone e cinque dialetti irochesi.
I nativi americani vengono studiati nelle loro istituzioni sociali, politiche, giuridiche, religiose. L’autore scopre la fede in un Grande Spirito o Essere Supremo, accanto ad un pantheon decisamente politeistico. I nativi americani non venerano i fenomeni naturali, bensì identificano nei fenomeni naturali l’espressione e la manifestazione di potenze immateriali, spirituali e divine. Di particolare importanza è l’analisi che compie Lafitau dei “vagabondaggi dell’anima” nell’ambito delle culture irochesi: “l’anima per gli americani è ben più indipendente dal loro corpo che non sia la nostra e gode maggiore libertà. Essa si separa dal corpo per prendere l’avvio e fare delle escursioni dove vuole. I grandi viaggi non l’impressionano; essa si trasferisce nell’aria, passa i mari, penetra nei luoghi più incredibili. Essi [i selvaggi] si persuadono che effettivamente la loro anima, vedendo il corpo immerso nel sonno, ne approfitti per andare a passeggio, dopo di che ritorna nella sua dimora. Al loro risveglio credono che l’anima ha vissuto realmente ciò che è passato nei loro sogni e agiscono di conseguenza” (cit. in Cocchiara, 1971, 119).
Lafitau mette in evidenza la rigida organizzazione sociale irochese e urone, entro la quale i capi sono considerati come padri dei loro popoli e applicano una rigorosa giustizia. L’organizzazione sociale si fonda su particolari relazioni di parentela espresse dalle nomenclature: “Bisogna sapere che presso gli irochesi e gli uroni tutti i ragazzi di una tribù considerano come loro madri tutte le sorelle delle loro madri e come loro zii tutti i fratelli delle loro madri; per la stessa ragione essi danno il nome di padri a tutti i fratelli dei loro padri… Tutti i ragazzi che discendono dalla madre e dalle sue sorelle, dal padre e dai suoi fratelli si considerano tra loro come fratelli e sorelle ma considerano cugini i figli dei loro zii e delle loro zie vale a dire i figli dei fratelli delle loro madri e delle sorelle dei loro padri, benché sia identico il grado della loro parentela. Alla terza generazione tutto ciò cambia: gli zii e le zie dei genitori diventano nonni e nonne” (cit. in Cocchiara, 1971, 120).
L’autore contesta la letteratura esotica prescientifica che aveva sostenuto l’esistenza di popoli che non hanno religione, né usi politici, né strutture sociali: “Io ho visto a malincuore come coloro che nelle loro relazioni si occupano dei selvaggi, dipingerli come persone che non hanno nessun sentimento di religione, nessuna conoscenza del divino, un qualche oggetto cui si renda un culto, come gente che non ha né leggi, né disciplina esteriore, né forma di governo, in una parola come uomini che hanno dell’uomo soltanto la figura. E’ questo un errore di cui sono responsabili molte persone” (cit. in Cocchiara, 1971, 118).
Lafitau descrive e interpreta le organizzazioni sociali, le strutture di parentela, le rappresentazioni collettive di tipo religioso, il culto, il pantheon delle divinità, gli usi matrimoniali e funerari, utilizzando l’osservazione partecipante, la scrupolosa descrizione delle culture locali, e infine la comparazione con altre forme culturali. L’opera di Lafitau è citata ripetutamente da Giambattista Vico, che si opponeva all’Illuminismo antitradizionalista. La Scienza nuova fa tesoro delle prospettive di Lafitau, che cita varie volte.
Anche Vico considera le culture umane senza pregiudizi né divisioni tra nazioni civili e genti barbare, in quanto la storia comprende le nazioni tutte. Ogni etnia ha una qualche religione, tutte le genti contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti. Egli vede, al di sotto dell’orgia della discontinuità e della difformità di istituzioni, usi e tradizioni, una regolarità e una uniformità che riferisce allo spirito umano.
L’espressione non deve sembrare troppo antiquata, perché due secoli più tardi Claude Lévi-Strauss riferirà all’esprit humain le caratteristiche universali, le regole che presiedono alla formazione della cultura, del linguaggio, delle strutture di parentela e della circolazione dei beni economici. Lo strutturalismo altro non è che scoprire ricorrenze e regolarità di tipo scientifico in quelle articolazioni dello spirito umano sottoposte a un automatismo inconsapevole, che rappresentano i procedimenti universali del pensiero.
Per Lafitau la presenza della religione era un dato forte per affermare la necessaria esistenza di una civiltà. La comparazione che Lafitau intraprende tra i costumi dei popoli indigeni dell’America e quelli del mondo antico è un tentativo di dare dignità e civiltà ai cosiddetti selvaggi. Egli tentò non solo di descrivere i fatti culturali, ma anche di collegarli tra di loro in una struttura d’ordine che fosse comprensibile e che proponesse delle esplicazioni. La comparazione con il mondo classico era dettata dal desiderio di collocare religioni primitive e religioni storiche in un unico regno spirituale.
Lafitau formulò e applicò alcuni principi che sono diventati le basi dell’etnologia. Le culture primitive erano valutate alla luce delle condizioni in cui si erano sviluppate, e non in rapporto allo sviluppo delle culture europee. Egli affermava che solo da specifiche analogie si potevano dedurre relazioni genetiche: le culture primitive contemporanee gettavano luce su quelle antiche e viceversa. Le convinzioni di Lafitau si basano sull’intuizione del concetto di relativismo culturale.
Tra i pionieri dell’etnoantropologia occorre ricordare una società di filosofi francesi che si istituì alla fine del Settecento: la Société des Observateurs de l’homme, fondata nel 1799. Questa associazione di studiosi propose una serie di modalità per intraprendere lo studio delle culture altre e diverse: sottolineò la necessità dell’osservazione partecipante e cominciò a formulare il concetto differenziale di cultura, che prevede modalità diverse di organizzazione della conoscenza, delle istituzioni, degli usi e dei costumi.
Un caso interessante studiato dalla Société fu quello del bambino selvaggio dell’Aveyron. Si trattava di un adolescente ritrovato nel 1800, che aveva vissuto nei boschi allevato dai lupi. Il ragazzo fu al centro di vaste discussioni, e fu affidato a un medico, Jean Itard, che lo trattenne con sé diversi anni tentando un’opera di rieducazione. Il ragazzo, estremamente sensibile, non riuscì a integrarsi completamente, la sua personalità aveva subito fin dall’inizio l’assenza di stimoli umani. Non imparò completamente l’uso del linguaggio articolato, mentre aveva grande disposizione per la musica e interesse per l’aritmetica. Il suo caso stimolò ampie discussioni sul rapporto tra cultura e personalità umana, tra condizionamento culturale e sviluppo psichico nel processo di crescita e di formazione.
Lo sviluppo del pensiero antropologico
Lo studio scientifico delle società umane e delle loro culture nacque nella seconda metà dell’Ottocento, in quell’atmosfera mista di ottimismo e disperazione che era dominata dalla filosofia positivista, dalla teoria dell’evoluzione di Darwin e dai trionfi del colonialismo. Oggetto di studio per i primi antropologi non fu una determinata società o cultura, bensì la totalità della cultura umana nella sua estensione temporale e spaziale. Si trattava di immani storie universali, che saranno definite da Radcliffe-Brown come “storie congetturali”.
Il problema che ossessionava gli antropologi evoluzionisti era il problema delle origini, e le domande che si ponevano erano: qual è l’origine della religione, della famiglia, delle strutture economiche? Si impose un modello generalizzato che vedeva degli stadi e delle tappe nello sviluppo della civiltà. Questo modello veniva in qualche modo a influenzare persino l’antropologia fisica e l’evoluzionismo, infatti correnti di reciproci influssi vanno dalla visione socioculturale alla visione biologica dell’evoluzione umana. Attualmente ambedue i modelli evoluzionisti, quello biologico e quello socioculturale, sono stati ampiamente criticati e messi in discussione come ingenui o addirittura faziosi (Sermonti, 1987, 15; Bowden, 1982,15; 1991, 27).
Secondo le teorie di Spencer come nel mondo sociale è possibile rilevare un’evoluzione dalle organizzazioni semplici a quelle più complesse, e un progresso dei sistemi sociali nei settori economici, politici e religiosi, così nel mondo naturale è possibile osservare una differenziazione delle specie e un miglioramento costante nella capacità di adattamento all’ambiente.
L’evoluzionismo resta impigliato in un paradosso, da una parte vede un percorso migliorativo, caratterizzato dal procedere inarrestabile della civiltà, e dall’altra propone una visione deterministica che grava sull’essere umano a vari livelli: biologico, tecnologico, economico e psicologico. L’evoluzione “verso le magnifiche sorti e progressive”, per dirla con il Leopardi, sarebbe contrastata dai condizionamenti di queste varie sfere della realtà umana. In un mondo dominato dall’idea della produzione economica, della proprietà privata, della famiglia monogamica e della morale ottocentesca rigorosa, si intravidero nelle società selvagge modalità diverse che suscitarono un interesse a dir poco eccezionale, come sistemi di scambio cerimoniale, proprietà collettive, poligamia, tabù, cannibalismo.
Attraverso le ricostruzioni fantasiose dei primi evoluzionisti, si creò un’immagine del primitivo del tutto mitica, caratterizzata dalla magia e dalla stregoneria, dalla promiscuità sessuale, dal matriarcato con conseguente poliandria arcaica, dal comunismo primitivo, dal rapimento della sposa, dalla propensione agli stati alterati di coscienza, al punto che questo mitico primitivo era visto vivere come in un lungo sogno. Tali configurazioni erano erronee, e saranno puntualmente contestate dagli antropologi successivi. L’evoluzionismo giustificò il razzismo e le guerre coloniali, in quanto i popoli civili dovevano imporre il progresso ai popoli arretrati e selvaggi.
Il giurista statunitense Lewis Morgan (1818-1881) nel testo La società antica fece proprio il modello evoluzionista, affermando che l’intera specie umana aveva attraversato tre fasi (selvaggia, barbara e civile), ulteriormente tripartite in tre periodi (antico, medio e recente). La possibilità per le varie società umane di entrare nell’una o nell’altra delle caselle proposte da Morgan dipendeva da un’invenzione tecnologica: l’agricoltura permette il passaggio dallo stato selvaggio a quello barbarico, l’industria e il commercio permettono il passaggio alla civiltà. Il cammino dell’evoluzione è rappresentato dalla tecnologia, che condiziona la politica, le strutture di parentela e le trasformazioni della proprietà.
L’opera di Morgan influenzò profondamente il lavoro di Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), per cui ebbe una vasta risonanza. Nell’opera di Morgan troviamo errori clamorosi nella collocazione di gruppi umani in periodi più o meno selvaggi o più o meno barbarici. Queste collocazioni sono arbitrarie, nascono da scelte personali di Morgan. La parte più interessante della sua opera è quella che riguarda la descrizione delle terminologie di parentela, entro cui elabora concetti divenuti celebri come la distinzione tra le terminologie descrittive e quelle classificatorie, matrilineari e patrilineari, esogamia ed endogamia.
Morgan minimizza l’importanza della poliandria, l’unione di più uomini con una donna sola, che era stata invece la base di un testo fondamentale che pure ha influenzato notevolmente l’antropologia e le successive ideologie femministe. Si tratta di Das Mutterrecht del giurista svizzero J.-J. Bachofen, pubblicato nel 1861 (e tradotto come Il matriarcato), in cui l’autore ripropone l’ipotesi, comune a numerosi evoluzionisti, di una promiscuità primitiva, stadio in cui i rapporti sessuali non erano regolati da nessuna norma.
Dopo questa fase, secondo Bachofen, sarebbe nato il riconoscimento della maternità, e di conseguenza il potere femminile e il matriarcato. Successivamente gli uomini avrebbero rivendicato la loro capacità procreativa e sarebbe sorto il patriarcato. Malgrado tale modello si sia rivelato assolutamente insostenibile, l’idea di un matriarcato primitivo continua a influenzare l’immaginario collettivo.
L’autore evoluzionista che mitigò i modelli più rigidi fu Tylor. Egli pubblicò nel 1871 Cultura primitiva, studio articolato sullo sviluppo delle idee religiose. Tylor ha formulato un concetto di cultura che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità o attitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società. Questa definizione diventata proverbiale afferma che la cultura si ritrova ovunque in ogni popolo, anche il più selvaggio, che è un insieme complesso e che ha la caratteristica di essere acquisita.
Tylor tenta di rintracciare l’origine delle forme religiose, e pensa di scoprirle nell’animismo, ovvero nella credenza nelle anime e negli esseri spirituali in genere. Secondo Tylor l’uomo avrebbe avuto fin dall’inizio la percezione di un dualismo corpo-anima nel suo stesso essere. Nei sogni, nello stato di trance, nello stato di malattia o di delirio, è comune la percezione di esperienze spirituali compiute mentre il corpo giace inerte o nel sonno o nel delirio. Questa autonomia del livello spirituale o dell’anima ha, secondo Tylor, determinato la credenza in un mondo di esseri spirituali, da cui lentamente si sarebbe poi dipanata (in senso evolutivo) una visione più complessa della religiosità.
Anche Tylor non resiste alla tentazione di determinare fasi nello sviluppo della religione, fasi che comprendono il manismo (culto dei defunti), il feticismo (culto dei feticci o di oggetti ritenuti sacri), il politeismo e infine il monoteismo.
Un antropologo che influenzò notevolmente la cultura del tardo Ottocento e dell’inizio del Novecento fu James G. Frazer, autore de Il ramo d’oro. Studio sulla magia e sulla religione che uscì in una prima edizione nel 1890. Frazer avanzava l’ipotesi secondo la quale magia, religione e scienza avrebbero costituito fasi dello sviluppo intellettuale dell’uomo .L’antropologo sosteneva che la magia rappresentava un tentativo da parte dell’uomo di controllare la natura attraverso rituali, e caratterizzava una fase primitiva di confusione e di ignoranza. In una seconda fase alcuni uomini, visto l’insuccesso dei rituali magici, avrebbero pensato di implorare e venerare potenze divine immateriali, immanenti nella natura.
Questo avrebbe portato alla nascita della religione con i suoi funzionari, i sacerdoti, mediatori fra l’uomo e le potenze superiori. Successivamente gli esseri umani si sarebbero resi conto della futilità delle loro posizioni, e avrebbero abbracciato la scienza e la razionalità come unico modello per interpretare la realtà.
Al di là di questo schematismo (che pure è presente come modello fondante dell’opera di Frazer) il testo, in dodici volumi, ebbe un’influenza notevolissima soprattutto nella cultura anglosassone. L’autore studia una grande quantità di miti, approfondisce i concetti di “totemismo” e soprattutto il “sacrificio del re divino”. Inizia il suo percorso nel bosco di Nemi, dove esisteva un’antichissima tradizione ancora viva durante l’impero romano, secondo la quale il “re del bosco” o sacerdote della dea Diana poteva essere sostituito solo tramite un duello in cui soccombeva: chiunque poteva sfidare il re del bosco, ucciderlo e prendere il suo posto. Questo antichissimo rituale è stato da Frazer collegato all’uccisione del re divino nelle monarchie africane, uccisione che legava la figura del re alla fecondità della terra, degli uomini e dell’intera natura.
Mentre i singoli elementi culturali, i miti, le leggende, i rituali che Frazer cita sono ancora di notevole interesse, il modello costitutivo, la cornice evoluzionista in cui è posto il materiale è da contestare. Sia detto di sfuggita che mentre Frazer componeva la sua opera relegando la magia in epoche oscure e tenebrose del pensiero umano selvaggio, nella stessa Inghilterra nascevano gruppi magici estremamente vivaci che praticavano rituali occulti per trasformare la natura secondo i loro voleri. La più nota di queste sette a sfondo magico era la “Golden Dawn”, alla quale furono iniziati personaggi di grande spicco sia culturale che politico. Dunque nella Londra post-vittoriana, centro del sistema finanziario mondiale, esistevano nuclei estremamente vivaci di antichissima magia “selvaggia e primitiva” (Gatto Trocchi, 1998, 147).
L’evoluzionismo perse egemonia in seguito alle accurate critiche di Franz Boas, che pubblicò nel 1896 un celebre saggio dal titolo I limiti del metodo comparativo dell’antropologia, che è una contestazione radicale delle tesi evoluzioniste. Nel saggio Boas nega qualsiasi valore allo sforzo di costruire una storia sistematica e uniforme dell’evoluzione della cultura.
Per dimostrare la fragilità teorica degli evoluzionisti Boas portò centinaia di esempi relativi alla differente origine dei fenomeni culturali. Gli evoluzionisti erano convinti che il totemismo fosse nato dall’associazione di più famiglie entro un più ampio clan, che aveva scelto come antenato mitico un animale. Boas mostrò che il totemismo e la scelta del totem nascono in situazioni esattamente contrarie, consistenti nella scissione di tribù molto numerose in segmenti meno ampi come i clan, che si scelgono, una volta separati, un totem come antenato mitico.
Quando si postulava la priorità della discendenza matrilineare su quella patrilineare, Boas mostrò come tra gli Indiani della costa americana del Pacifico fosse accaduto esattamente il contrario. Franz Boas fondò la scuola antropologica statunitense. Fu specialista di geografia, linguistica, scienze naturali, archeologia e studiò a fondo i nativi americani con spedizioni sul campo. Raccolse un’enorme quantità di dati etnologici riguardanti usi, costumi, arte mitologia, rituali degli Indiani della costa settentrionale del Pacifico. Fu attento osservatore dei fatti sociali, ed evidenziò la dimensione storica dei fenomeni culturali.
Franz Boas fu nemico di ogni teorizzazione estrema. Studiò in particolare i fatti umani concreti, le lingue e la mitologia, raccogliendo una vastissima massa di dati. Egli sostenne che un fenomeno culturale, anche se compare in varie culture, può avere ragioni e motivazioni totalmente diverse, confutando le generalizzazioni degli evoluzionisti. Descrisse il potlatch, un complesso cerimoniale di ostentazione di ricchezza realizzato in grandissime feste, in cui un capo decide di sommergere gli avversari con fastosissimi banchetti, regali e distribuzione di beni. In tale pratica si nasconde l’idea di ottenere una supremazia attraverso la generosità e la fastosità. I rivali vengono superati nel potlatch attraverso l’esibizione della potenza economica, la consumazione e la distribuzione dei beni.
Malgrado l’evoluzionismo dominasse il pensiero tardo-ottocentesco, vi fu anche la corrente diffusionista, che mirava ad analizzare i fenomeni culturali in base alla loro diffusione in aree geografiche e la loro persistenza in aree storiche chiamate da Wissler “aree cronologiche e temporali”. Uno degli autori più interessanti della scuola diffusionista fu W. Schmidt (1868-1954). La sua scuola, nota anche come “scuola di Vienna”, si occupò dell’origine dell’idea di Dio e dell’antropologia religiosa. Numerosi ricercatori ed etnologi furono spinti dallo Schmidt a ricerche sul campo per analizzare le idee religiose di popoli primitivi in Africa, in Asia e nelle Americhe.
L’etnosociologia francese
La scuola sociologica francese, fondata da Durkheim, unisce gli studi sociologici ed etnologici in una visione unitaria dei popoli primitivi e dei popoli civilizzati. Il lavoro di Durkheim più prettamente etnologico è Le forme elementari della vita religiosa (1912), in cui l’autore tenta di ricostruire l’origine della religione, e di formulare una teoria generale dei fenomeni religiosi.
Secondo Durkheim la forma originaria della religione sarebbe il totemismo, visto come il sistema religioso più semplice, al cui interno agivano rappresentazioni collettive indipendenti dalla psiche individuale. Le figure di animali, di piante e di fenomeni naturali rappresentanti un determinato totem, esprimevano l’idea di forza associata simbolicamente al clan, unità sociale primordiale. L’immagine simbolica del totem altro non era che la proiezione della società nel suo insieme, per cui finiva per essere adorata, come entità suprema la società, da cui dipendono gli individui. Nella religione Durkheim vedeva fondamentalmente un fatto sociale totale, e una modalità attraverso la quale la società impone il suo potere sugli individui.
Lévy-Bruhl elaborò un sistema di differenziazione fra il pensiero dei primitivi e il pensiero degli esseri umani civilizzati. L’autore sosteneva che il primitivo fosse dotato di prelogismo, una sorta di rappresentazione mistica della realtà, in cui non esisterebbe differenza fra soggetto ed oggetto, fra io e il mondo. L’uomo primitivo vivrebbe in una sorta di partecipazione mistica con la natura che lo circonda, e sarebbe impenetrabile all’esperienza come nel caso della magia, che continua ad essere esercitata malgrado i suoi generali fallimenti.
Attraverso la teoria del prelogismo si viene a riversare sui primitivi quella irrazionalità che il pensiero occidentale tanto ardentemente allontanava dal suo stesso ambito. L’opera di Paul Radin L’uomo primitivo come filosofo fornisce numerosi esempi di pensiero organico e razionale nell’ambito delle elaborazioni primitive, smentendo il concetto di “prelogismo”.
Marcel Mauss (1872-1950), nipote di Durkheim, continuò la sintesi tra sociologia ed etnologia con il suo Saggio sul dono, in cui evidenziò la legge della reciprocità e dello scambio come regola sociale fondamentale. In Teoria generale della magia Mauss analizzò i fenomeni magici alla luce delle più recenti ricerche etnologiche. Mauss enucleò i fatti sociali totali come il dono e lo scambio basati sulle regole del “dare, ricevere, ricambiare”.
Il funzionalismo
La teoria funzionalista vede il suo principale rappresentante in Bronislaw Malinowski (1884-1942). La scuola funzionalista privilegia la ricerca sul campo e l’osservazione diretta dei fenomeni culturali.
Malinowski infatti visse a lungo in Melanesia, studiando la popolazione dei Trobriandesi. La sua opera Gli Argonauti del Pacifico occidentale resta un modello di monografia antropologica. Il testo inaugura una nuova epoca, in quanto l’osservazione partecipante permette all’antropologo di entrare nel cuore dei problemi culturali e di capirne il significato.
L’opera descrive la vita di villaggi melanesiani, ne esamina gli elementi culturali e si ferma a osservare una pratica di scambio rituale chiamato kula, un fenomeno di notevole rilevanza sociale che occupa un posto fondamentale nella vita tribale degli indigeni. Si tratta di uno scambio cerimoniale di collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie bianche, che circolano le prime in senso orario i secondi in senso contrario: lo scambio coinvolge isole e arcipelaghi anche lontanissimi dalle Trobriand.
Gli oggetti kula circolano in continuazione, restando nelle mani dei loro possessori solo per un periodo limitato di tempo. Essi vengono barattati nel corso di visite cerimoniali: il fenomeno ha quindi una funzione rituale che mette in luce la grande legge della reciprocità. Lo scambio di tipo cerimoniale ha la funzione di mantenere e rafforzare i rapporti fra individui e gruppi, ad esso è connesso anche lo scambio di beni economici, ancorché in maniera secondaria.
Gli studi sul campo di Malinowski fecero piazza pulita di molti luoghi comuni diffusi dall’evoluzionismo. Malinowski rigetta l’esistenza di un comunismo primitivo come caratteristico dei popoli selvaggi, e al tempo stesso rifiuta di vedere negli indigeni l’incarnazione dell’uomo economico primitivo. Egli sostiene che il trobriandese lavora spinto da motivi assai complessi di natura sociale e tradizionale, mirando a obiettivi che non sempre hanno a che vedere con l’immediata utilità. Esiste una complessità delle azioni umane, che non possono essere ridotte soltanto alla sfera economica.
Un altro luogo comune (che persiste talvolta nella mente dei giornalisti attuali) è quello della promiscuità primitiva. Malinowski sostiene che non è mai esistita questa pratica. Già nel 1913 aveva pubblicato un testo, La famiglia tra gli aborigeni australiani, in cui affermava in maniera inderogabile: “gli aspetti sessuali della vita sociale degli australiani, lungi dal possedere i caratteri della promiscuità indiscriminata, sono al contrario soggetti a strette norme, a restrizioni e a regole” (Malinowski, 1963, 123).
All’ipotesi della promiscuità primitiva Malinowski oppone elementi ricavati statisticamente, che evidenziano come la famiglia nucleare sia di gran lunga la più praticata e la più diffusa. La famiglia elementare è per Malinowski la cellula originaria della società, in quanto è il luogo della riproduzione biologica e dell’educazione culturale. Nel suo ambito è bandito l’incesto, in quanto disgregherebbe la famiglia e i rapporti che si instaurano intorno ad essa, rapporti che sono i modelli delle altre forme istituzionali.
La società risulta essere il prodotto dell’estensione dei rapporti familiari, e la pratica della esogamia, cioè lo sposarsi fuori dal proprio gruppo di parenti stretti, costruisce una rete di rapporti di affinità con membri diversi da quelli familiari. La società si sviluppa dall’estensione dei legami familiari, in quanto gli affini, cioè i parenti acquisiti, si comportano come i parenti di sangue.
Nel testo Una teoria scientifica della cultura, uscito postumo nel 1944, Malinowski elabora una teoria generale secondo la quale la cultura rappresenterebbe un complesso apparato spirituale, materiale e comunicativo, con il quale gli esseri umani risolvono problemi specifici e soddisfano bisogni fondamentali. Gli esseri umani risolvono i problemi materiali con risposte culturali: al bisogno di cibo rispondo con l’elaborazione delle strutture economiche, con le modalità degli usi culinari e delle buone maniere a tavola.
Al bisogno primario di riprodursi e all’istinto sessuale, l’essere umano risponde con l’organizzazione dei sistemi di parentela e degli scambi matrimoniali entro leggi precise e codificate. Dalle risposte ai bisogni primari nascono bisogni secondari o derivati, che coincidono con l’esigenza di organizzare e di mantenere la coesione sociale, a cui si risponde con le istituzioni politiche ed economiche. Nascono ulteriori bisogni chiamati “integrativi”, che accedono al livello del simbolico e che soddisfano altre necessità. Si tratta del linguaggio, della tradizione orale e scritta, dell’arte, delle forme mitologiche e teologiche, della religione e della magia.
L’idea fondante di Malinowski è che ogni istituzione culturale, anche la più esotica e bizzarra, assolve a una funzione specifica. Malinowski ha anche confutato la teoria di Freud circa la universalità del complesso edipico. E’ interessante notare che gli studi di Malinowski sulla famiglia australiana sono dello stesso anno (1913) in cui esce il testo di Freud Totem e tabù, che raccoglie saggi pubblicati tra il 1911 e il 1912. Si tratta di due testi in aperta contraddizione. Totem e tabù risulta essere un mito posto al di fuori del tempo e dello spazio, che racconta la leggenda di un’orda primitiva retta da un padre-padrone, che proibiva ai suoi figli l’unione con le donne
Gli aborigeni australiani che Malinowski descrive danno un’immagine totalmente diversa di primitivismo, in quanto sono sottoposti a strette norme, a restrizioni e a regole di carattere simbolico. Nelle società melanesiane a carattere matrilineare non esiste la costellazione nevrotica del complesso di Edipo, secondo il quale il bambino vorrebbe uccidere il padre e unirsi alla madre. In realtà la situazione della famiglia trobriandese presenta una totale diversità. Il padre è una figura amichevole e gentile, che non obbliga il figlio a nessuna costrizione. Tale compito è piuttosto svolto dallo zio materno che rappresenta l’ordine e la legge, e a cui il nipote è tenuto ad obbedire. Il tabù più forte non è nei confronti della madre ma della sorella, e questo starebbe a dimostrare come la legge della esogamia (sposarsi fuori dal proprio gruppo familiare) sia in realtà all’origine del tabù dell’incesto. Se un soggetto si priva dell’unione con la sorella, può dare la ragazza a un altro uomo che diventa suo cognato, e con cui stabilisce legami perenni di affinità, di mutua assistenza e di reciprocità.
Altro esponente del funzionalismo fu Radcliffe-Brown, che formulò il concetto di “struttura sociale” come rete di relazioni istituzionali tra i gruppi per realizzare l’organizzazione sociale. Gli studi di Radcliffe-Brown furono orientati sui sistemi di parentela degli australiani. In tal senso egli rivide la teoria del totemismo definendolo per ciò che esso è: una forma strutturale di organizzazione sociale.
Presso i popoli che si riconoscono discendenti da animali sacri, il mondo della vita animale è rappresentato in termini di relazioni sociali simili a quelle delle società umane. Gli animali sacri sono visti come forme simboliche che determinano una serie di scambi: mentre è impossibile mangiare la carne del proprio animale-totem, è possibile mangiare quella di un totem diverso. Tale norma potenzia gli scambi alimentari, ed esprime simbolicamente le modalità degli scambi matrimoniali: coloro che appartengono a un determinato totem non possono che sposarsi fuori del proprio clan.
Radcliffe-Brown formò un’intera generazione di antropologi tra cui Evans-Pritchard, che studiò i sistemi di pensiero legati alla magia e alla stregoneria fra gli Azande e i modelli organizzativi dei Nuer, una popolazione del Sudan. Egli formula un’interessante distinzione a proposito della magia degli Azande. La magia è vista come forma buona di azione rituale, volta a tamponare le negatività che incombono sulla vita umana. La stregoneria è invece un’azione segreta, notturna, compiuta da persone semi-mitiche che volerebbero di notte, e che causerebbero mali, disgrazie e sventure. La lotta contro la stregoneria può essere fatta solo da esseri umani che siano maghi, cioè che conoscono l’armamentario simbolico per opporsi al negativo.
Evans-Pritchard contribuì a formulare un nuovo modello delle scienze antropologiche, rivendicando la loro storicità. Egli infatti abbandonò il modello organicista tipico della scuola inglese, per sostenere che l’antropologia sociale è una sorta di storiografia, e quindi in ultima analisi di filosofia dell’arte (Evans-Pritchard, 1962, 26).
“Cultura e personalità”
L’antropologia americana dopo l’insegnamento di Franz Boas si è orientata verso una scuola nota come “cultura e personalità”, i cui principali esponenti furono Kardiner e Linton. Kardiner, psicanalista, articolò insieme a Linton, antropologo, il concetto di “personalità di base”, che risulterebbe essere quella struttura di base del temperamento che è omogenea in ogni gruppo culturale in forza di una educazione sia formale che informale dello stesso tipo.
Attraverso l’apprendimento si instaurerebbero nei soggetti modelli culturali condivisi, che renderebbero una società omogenea in forza della personalità di base. A questa scuola appartiene Ruth Benedict, che analizzò i modelli culturali di tre società primitive, gli indiani Hopi e Zuñi del Nuovo Messico, visti come “apollinei”, cioè riservati, ritualistici, tendenti all’armonia, e gli indiani delle pianure, considerati “dionisiaci” perché valorizzavano le emozioni estreme, la sregolatezza e l’aggressività.
Per la Benedict una cultura si definisce in base ai modelli ideologici che impregnano percentualmente in maniera più evidente la sua totalità. Margaret Mead intorno agli anni Sessanta analizzò soprattutto le strutture che caratterizzano l’appartenenza di genere, maschile e femminile, affermando come esse siano forme culturali che vengono plasmate dall’apprendimento precoce.
Lo strutturalismo francese
Claude Lévi-Strauss è l’esponente di spicco dell’antropologia strutturale francese. Influenzato dalla linguistica strutturale e dalla nozione del linguaggio inteso come sistema di segni, egli avvicina l’antropologia alla semiologia (scienza generale dei segni) per arrivare a una teoria generale del significato.
I campi d’indagine di Lévi-Strauss sono stati la parentela e la mitologia. Nel testo Le strutture elementari della parentela (1949) l’autore evidenzia come la proibizione che riguarda il divieto di unirsi sessualmente con un consanguineo è una regola che, unica fra tutte le regole sociali, possiede il carattere della universalità. Tale presenza universale fa omologare il tabù dell’incesto alla sfera della natura in quanto fenomeno universale, ma al tempo stesso il tabù è una regola, ed ha a che fare con il mondo culturale. Questo suo particolare carattere di essere universale, come le regole biologiche, ed essere al tempo stesso una nozione culturale, fa del tabù dell’incesto il momento logico di passaggio dalla natura alla cultura (vedi cap. 2).
Il tabù dell’incesto implica la prescrizione dell’esogamia (sposarsi al di fuori del gruppo ristretto dei parenti), presentandosi come un’espressione fondante di un sistema di comunicazione e di scambio tra gruppi. L’elemento che emerge dallo studio della parentela è la grande legge della reciprocità.
Secondo Lévi-Strauss le società organizzano sistemi di comunicazione almeno a tre livelli come la comunicazione linguistica, in cui si scambiano messaggi, la comunicazione dei beni economici, in cui si scambiano i prodotti, e il sistema degli scambi matrimoniali, in cui circolano le donne che sposandosi stabiliscono relazioni di affinità.
Nell’opera Il pensiero selvaggio (1962) Lévi-Strauss identifica nel pensiero primitivo le stesse articolazioni razionali del pensiero scientifico: non esiste un pensiero prelogico ma forme di articolazione razionale nel mito come nella matematica. L’analisi si approfondisce nei quattro volumi delle Mitologiche, testi che affrontano una serie complessa di miti legati alla scoperta e all’addomesticamento del fuoco (Il crudo e il cotto). L’invenzione del fuoco caratterizzò le distinzioni tra alimenti e fondò categorie logiche, inoltre l’acquisizione del fuoco caratterizzò il distacco tra mondo umano e divino. Per ripristinare un contatto fra il mondo umano e il mondo degli dei è necessario bruciare qualcosa come nei sacrifici o come nel consumo del tabacco (Dal miele alle ceneri). Nelle Buone maniere a tavola l’autore descrive le tradizioni culinarie ed il galateo, presente ovunque in quanto le regole caratterizzano la specie umana in quanto tale. Infine con L’uomo nudo si ripropone la tematica generale dell’acquisizione del fuoco e delle logiche ad essa sottese.
Antropologia interpretativa
Dall’inizio del 1970 se da un verso si intensificano gli studi antropologici, dall’altro si verifica una crisi teorica, quella che è stata chiamata “crisi della rappresentazione etnografica”: si indaga sulla affidabilità degli informatori e sulla capacità dell’etnologo di comprendere le culture indigene. L’antropologia interpretativa, rappresentata da Clifford Geertz, propone di interpretare le culture come fossero dei “testi”, ipotesi che impone la necessità di una “traduzione”; in questo senso traduzione e interpretazione sono le due modalità per comprendere le culture altre e diverse.
Come esemplificazione Geertz propone una interpretazione del concetto di persona in tre società diverse (Giava, Bali, Marocco), considerando la nozione dal punto di vista dei nativi. A Giava il concetto di persona corrisponde a un’armonia generalizzata del cosmo, per cui ogni singolo essere è collocato in un punto preciso entro un disegno armonico universale, nel cui ambito il re occupa il posto più elevato, specchio e immagine della potenza degli dei. A Bali il concetto di persona si collega piuttosto alla teatralità della vita rituale, tipicamente balinese, nella quale ogni persona recita una parte, è un personaggio del grande teatro del mondo. In Marocco infine la persona è determinata dalla sua posizione topologica, all’interno dello spazio sociale, che è strutturato a cerchi concentrici: la famiglia, la famiglia estesa, il villaggio, il paese e l’intero mondo. Il concetto di persona in Marocco è un concetto spaziale e relazionale (Geertz, 1988, 66).
Attualmente la dimensione interpretativa ha postulato il metodo della “negoziazione dei significati”: l’antropologo scende a patti con il suo gruppo di ricerca e con gli informatori, interpretando i significati dei fenomeni culturali in base a una transazione, in cui il punto di vista “interno”, quello dei nativi, viene confrontato esplicitamente con il punto di vista “esterno”, quello dell’antropologo, che implicitamente opera con metodo comparativo. Attualmente la situazione nel mondo implica di interpretare i fenomeni di sincretismo culturale. Oggi le comunità sono in contatto reciproco, la civiltà occidentale ha invaso in maniera pervasiva l’intero pianeta, sconvolgendo gli equilibri sia culturali che ecologici, e imponendo una serie di situazioni che hanno scardinato le strutture socioculturali originarie dei popoli di interesse etnologico.
Si può portare ad esempio ciò che accadde tra i Tikopia nelle Isole Salomone del Pacifico. L’introduzione della moneta provocò non solo un’alterazione del sistema economico ma anche altri mutamenti. Cambiarono le coltivazioni che vennero integrate con quelle della patata americana e della tapioca. L’incremento demografico e la pressione sulle risorse alimentari indebolirono i legami di parentela, “non vi era più tra le famiglie nucleari che costituivano le unità economiche della famiglia estesa la cooperazione che esisteva prima, in molti casi la terra era stata divisa fra varie famiglie nucleari, e i diritti sulla terra erano appannaggio di queste o addirittura, cosa che non si era mai verificata precedentemente, di singoli individui. I membri delle famiglie estese non erano più disposti a spartire i beni, soprattutto il denaro, e altri beni acquisiti attraverso il lavoro.
L’isola di Tikopia vicino alle Salomone fu così completamente trasformata dall’impatto con le modalità culturali dei bianchi” (Ember, 1998, 367). Un altro mutamento radicale è stato quello della fondazione degli Stati nazionali sulla scia delle colonie, che hanno inglobato comunità ed etnie a volte tra loro estremamente disomogenee. Oggi non è più possibile studiare le comunità native nella loro integrità. Il sincretismo culturale è l’elemento dominante. Come sostiene Amselle si è passati dall’attività della “ragione antropologica” all’attività delle “logiche meticce”, che tengono conto delle problematiche interculturali e transculturali ormai dominanti nel nostro pianeta.
BIBLIOGRAFIA
Testi di Cecilia Gatto Trocchi:
- Enciclopedia illustrata dei simboli, Gremese Editore
- Civiltà e culture. Lineamenti di antropologia, Franco Angeli
- Leggende e racconti popolari di Roma, Newton & Compton
- Storie e luoghi segreti di Roma, Newton
- Le più belle leggende popolari italiane. I racconti più antichi e nascosti della nostra tradizione culturale, Newton & Compton
- Affare magia. Ricerca su magia ed esoterismo in Italia, Queriniana
- Storia esoterica d’Italia, Piemme
- Le muse in azione. Ricerche di antropologia dell’arte, Franco Angeli
- I nuovi movimenti religiosi, Queriniana
- Etnie, miti, culture, Bulzoni
- La sorgente di Mnemosine. Memoria, cultura, racconto, Bulzoni
- Nomadi spirituali. Mappa dei culti del nuovo millennio, Mondadori
- Viaggio nella magia. La cultura esoterica nell’Italia di oggi, Laterza
- La magia, Newton
- Le sette in Italia, Newton
- Cultura come comunicazione e altri saggi, Bulzoni
- L’atto e la parola. Mito e rito nel pensiero antropologico, Bulzoni
- Le giumente degli dei. Analisi antropologica del ruolo economico della donna nelle società tradizionali, Bulzoni
- Per una sociologia dei gruppi teatrali. Ricerca sui gruppi di sperimentazione teatrale in Francia, Bulzoni
- I tarocchi, Newton
Altri testi
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1982, The Rise of Evolution Fraud, Bromley, Soverein.
1991 Science Versus Evolution, Bromley, Soverein. - Cocchiara, Giuseppe,
1971, Storia del folklore in Europa, Torino, Boringhieri
Il diavolo nella tradizione popolare italiana, Editori Riuniti
Popolo e letteratura in Italia, Sellerio di Giorgianni
L’eterno selvaggio, Sellerio di Giorgianni
Il mondo alla rovescia, Bollati Boringhieri
Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore, Bollati Boringhieri - Ember, Carol & Ember, Melvin,
1998, Antropologia culturale, Bologna, Il Mulino (ed. orig. 1973). - Evans-Pritchard, Edward-Evan,
1962, Essays on Social Anthropology, London, Faber. - Fabietti, Ugo,
2001, Storia dell’antropologia, Bologna, Zanichelli. - Geertz, Clifford,
1988, Antropologia interpretativa, Bologna, il Mulino (ed. orig. 1983). - Malinowski, Bronislaw,
1963, The Family among the Australian Aborigines, New York, Schocken Book (ed. orig. 1913). - Sermonti, Vittorio,
1987, Dimenticare Darwin, Milano, Rusconi. - Tullio-Altan, Carlo,
1971, Manuale di Antropologia Culturale, Milano, Bompiani. - Wagner, Roy,
1992, L’invenzione della cultura, Milano, Mursia. - Casella Paltrinieri Anna, Lineamenti essenziali di storia dell’antropologia culturale, ISU Università Cattolica
- Mondin Battista, Storia dell’antropologia filosofica. Vol. 1: Dalle origini fino a Vico; Storia dell’antropologia filosofica. Vol. 2: Da Kant fino ai giorni nostri, ESD-Edizioni Studio Domenicano
- Cicchese Gennaro, I percorsi dell’altro. Antropologia e storia, Città Nuova
- Mercier Paul, Storia dell’antropologia, Il Mulino
- Storia e antropologia storica. Dalla storia delle culture alla culturologia storica dell’Europa, Armando
- Augé Marc, Simbolo, funzione, storia. Gli interrogativi dell’antropologia, Liguori
- Jensen Adolf E., Come una cultura primitiva ha concepito il mondo, Bollati Boringhieri
- Antropologia del rito. Interpretazioni e spiegazioni, Bollati Boringhieri
- Cimmino Luigi, Santambrogio Ambrogio, Antropologia e interpretazione. Il contributo di Clifford Geertz alle scienze sociali, Morlacchi
Testi di Lévi-Strauss, Claude
- Tristi tropici, Il Saggiatore
Il crudo e il cotto. L’opposizione tra natura e cultura in un testo fondamentale dell’antropologia, Net
Diogene coricato. Una polemica su civiltà e barbarie (con Caillois Roger), Medusa Edizioni
L’identità, Sellerio di Giorgianni
Il pensiero selvaggio, Net
Saudades do Brasil. Immagini dai tristi Tropici, Net
Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli
Antropologia strutturale, Net
Babbo Natale giustiziato, Sellerio di Giovanni
Mito e significato, Net
Razza e storia-Razza e cultura, Einaudi
Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore
Guardare, ascoltare, leggere, Il Saggiatore
Le origini delle buone maniere a tavola, Il Saggiatore
L’uomo nudo, Il Saggiatore
Storia di Lince. Il mito dei gemelli e le radici etiche del dualismo amerindiano, Einaudi
Parole date, Einaudi
Il totemismo oggi, Feltrinelli
La vasaia gelosa. Il pensiero mitico nelle due Americhe, Einaudi
La via delle maschere, Einaudi
Lo sguardo da lontano, Einaudi
Primitivi e civilizzati. Conversazioni con Georges Charbonnier, Rusconi
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A PROPOSITO DI “VIAGGI NELLA MAGIA” [UNA NOTA SULL’OPERA DI CECILIA GATTO TROCCHI]
articolo di Massimo Introvigne pubblicato su La Critica Sociologica n.106 (estate 1993), pp.127-134.
Il genere letterario del diario di viaggio è stato largamente usato per i nuovi movimenti religiosi e magici dagli inizi del secolo fino circa al 1950, producendo una serie di opere curiose come quelle di Geyraud (pseudonimo dell’ex-trappista Guyader). Successivamente il genere sembrava essere stato abbandonato – con occasionali riscoperte in chiave giornalistica, come Les nuits secrètes de Paris di Guy Breton (2a ed., Presses de la Cité, Paris 1973) – a mano a mano che i nuovi movimenti religiosi e i gruppi magico-esoterici cominciavano ad essere studiati sistematicamente dagli storici e dai sociologi, e classificati secondo le rispettive famiglie spirituali e stili di pensiero, al di là della semplice aneddotica e dei quadretti curiosi. Il genere del carnet di viaggio non è stato tuttavia abbandonato, come dimostra il successo del volume del sociologo americano Randall Balmer Mine Eyes Have Seen The Glory : A Journey into the Evangelical Subculture in America (2a ed., Oxford University Press, Oxford-New York 1993), diario di una serie di avventure nella subcultura evangelica e fondamentalista degli Stati Uniti, così gradito al pubblico da essere stato ora accompagnato perfino da una serie televisiva. Lo stile piacevole e leggero – che facilita certamente la lettura, anche (il termine sembra particolarmente appropriato) per i non iniziati – si ritrova in questo lavoro di Cecilia Gatto Trocchi, docente di Antropologia culturale presso l’Università di Perugia. Come nel caso del libro di Balmer sul mondo evangelico-fondamentalista, l’autrice non ha inteso ricostruire in chiave storica le linee di evoluzione dei movimenti magici italiani, le loro relazioni con gruppi stranieri, gli aspetti più complessi della loro ideologia, ma ha preferito presentare un diario della sua interazione con alcune formazioni ritenute più significative o più curiose. Costituisce un’ulteriore analogia con il fortunato volume di Balmer il fatto che la studiosa romana non si limita a registrare le opinioni – spesso effettivamente bizzarre – dei suoi interlocutori, ma spesso le confuta mostrando che le presunte scoperte e misteri altro non sono che ripresentazioni banali di temi antichi quanto la cultura esoterica. Per il lettore (e non ne mancheranno) che leggerà il libro come un racconto di intrattenimento queste parti saranno forse le meno interessanti e le più prevedibili, perché l’antropologa si presenta come armata di una cultura superiore rispetto ai suoi interlocutori ed è quindi, in modo scontato, sempre vittoriosa negli scambi dialettici. D’altro canto, mentre Balmer si è presentato ai gruppi che ha visitato esplicitamente come sociologo (non senza, è vero, una certa ambiguità, in quanto è nato e cresciuto in una nota famiglia fondamentalista), Cecilia Gatto Trocchi dichiara: “In nome della tecnica antropologica dell’osservazione partecipante mi infiltrai in incognito nella nebulosa magico-occultistica, subendo più di sessanta iniziazioni” (p. IX).
Questa affermazione lascerà perplesso più di un sociologo, a cui sarà nota l’ampia discussione che si è svolta in ambito anglo-americano sull’osservazione partecipante, proprio a proposito dei nuovi movimenti religiosi, la quale ha dato come risultato un consenso ormai vasto che considera contraria alla deontologia professionale l’osservazione partecipante “coperta”, particolarmente da parte di studiosi che intendano criticare, mettere in ridicolo o in altro modo danneggiare il gruppo che studiano (cfr. per es. Allan J.Kimmel, Ethics and Values in Applied Social Research, Sage, Beverly Hills-London 1988). I sociologi hanno inoltre spesso osservato che l’osservazione partecipante esplicita – nota almeno ai dirigenti del gruppo che si intende studiare – dà spesso, anche a prescindere dalle questioni deontologiche, risultati migliori di quella “coperta”; basterebbe richiamare in proposito le importanti acquisizioni metodologiche (e anche fattuali) dello studio di William Sims Bainbridge Setta satanica (tr. it., SugarCo, Milano 1992), un classico dell’osservazione partecipante in cui il noto sociologo della religione californiano partecipò per diversi anni alla vita di un gruppo di satanisti anglo-americani, The Process. Lo stesso uso dell’espressione “osservazione partecipante” nel volume di Cecilia Gatto Trocchi sembra, del resto, discostarsi dal linguaggio sociologico corrente, in quanto l’osservazione partecipante viene in genere definita come una tecnica di indagine che si protrae nel tempo per un periodo ragionevolmente lungo (diversi anni per Bainbridge con The Process, o per David van Zandt con i Bambini di Dio; vari mesi in moltissimi altri casi), mentre nel caso di Viaggio nella magia sembra si sia trattato spesso soltanto di un breve numero di visite.
I problemi del metodo scelto dall’autrice si riflettono nel testo, che contiene un numero di imprecisioni notevole, anche considerato il genere letterario prescelto. Benché qualcuno degli errori sia forse imputabile a una frettolosa correzione delle bozze, i nomi propri sono riportati così spesso in modo inesatto da sembrare trascritti nel corso di conversazioni orali piuttosto che verificati sui testi dei movimenti, pure non difficilmente reperibili. Così i seguaci di Rudolf Steiner, gli antroposofi (talora in anni antichi chiamati “antroposofisti”), diventano “antroposofiti” (sic: p. 25); il ricercatore psichico inglese Hodgson diventa “Hobgson” (p. 26); il prestigiatore (e nemico dei maghi) James Randi viene citato come “Jamer Randi” (p. 37); la Chiesa Universale e Trionfante diventa “Chiesa Universale Trionfante” (p. 115); la divinità giapponese Izunomé Sama è “Izu Dome Sama” (p. 166); il gesto rituale del movimento Sukyo Mahikari, l’okiyomé, è “Oki iomo” (p. 169); Suza – il tempio del Dio Su dello stesso movimento a Takayama (Giappone) – diventa curiosamente “Susa”, e l’oggetto sacro omitama è “Onitana” (p. 173); Giuliano Kremmerz figura nel dizionarietto finale come “Kremmers” (p. 207). I problemi, del resto, non si limitano allo spelling. Alcuni episodi e movimenti su cui esiste una buona letteratura, anche scientifico-accademica, sono descritti in modo per dire il meno impreciso. Ai seguaci di Nuova Acropoli l’antropologa parla “di un testo che fece notevole scalpore negli anni Cinquanta, testo in cui si pretendeva di aver fotografato le fate” (p. 159). L’episodio delle fotografie delle fate è effettivamente notissimo, ma non risale agli anni Cinquanta: le fate furono fotografate a Cottingley, nello Yorkshire, nel 1917 e delle fotografie si interessò il noto scrittore spiritista Arthur Conan Doyle che le rese note nel suo volume Il ritorno delle fate (The Coming of the Fairies) del 1922. Nel 1992 ne ho curato, con Michael W. Homer, un’edizione italiana (SugarCo, Milano). Ci furono altre fotografie di fate negli anni 1920 e 1930, ma sia la prima edizione del volume di Conan Doyle sia la seconda del 1928 (che riportava altri casi) erano out of print negli anni Cinquanta. Che “la setta detta Thule … fu un po’ la culla del nazismo” costituisce, dopo gli studi di Nicholas Goodrick-Clarke (sul punto definitivi), una palese esagerazione; in ogni caso la Thule-Gesellschaft non “prendeva i testi di Madame Blavatsky come oro colato” (p. 27) ma, pure talora servendosene, li criticava vivacemente su diversi punti in conformità alla tradizione ariosofica austro-tedesca da cui derivava. A proposito di Sukyo Mahikari – un altro movimento su cui esiste una buona letteratura (anche antropologica, sia pure in chiave positivistica, con gli studi di Winston Davis) – un buon adepto del movimento non parlerebbe del “Terzo Occhio” (p. 167) – secondo la terminologia di un buddhismo divulgativo rifiutata dai gruppi neo-scintoisti di scuola Oomoto come è appunto Mahikari – ma piuttosto di “punto otto”. “Gioiello di luce” non è il nome di Mahikari (p. 170); è invece il significato di Kotama, nome sacro assunto dal fondatore Yoshikazu Okada al momento di fondare il movimento. Goseighen o Goseigen (parola sempre scritta di seguito e non “Go sei ghen”: p. 172) non significa “battesimo del fuoco” ma “libro delle rivelazioni”. L’Attività religiosa I Am, fondata dalla famiglia Ballard, non ha inventato il termine Sarmoun (p. 207); l’intera idea della scuola di Sarmoung (la grafia “Sarmoun” è tipica dell’omonimo gruppo teosofico piemontese) risale a Gurdjieff, che affermava appunto di essere entrato in contatto con una misteriosa Fratellanza di Sarmoung nel corso dei suoi viaggi in Asia. Nella corrente magica di cui ha fatto parte Giuliano Kremmerz non è la Fratellanza di Myriam che pretende “di padroneggiare le anime e di costruire per gli adepti un corpo di gloria” (p. 207); al contrario Kremmerz ha sempre insistito che la Myriam deve limitarsi ad un’attività terapeutica magica “isiaca” mentre le pratiche alchemiche relative al “corpo di gloria” sono riservate ad una diversa organizzazione, l’Ordine Osirideo Egizio (di cui gli adepti della Myriam non fanno necessariamente parte). Che l’O.T.O. oggi cerchi “di attuare gli insegnamenti del Crowley” (p. 209) è vero soltanto a metà: nel mondo esistono oltre una ventina di organizzazioni che si denominano O.T.O. (circostanza di cui l’autrice non sembra rendersi esattamente conto), con dottrine molto diverse, e alcuni O.T.O., non fra i minori, accettano soltanto le dottrine tantriche del fondatore Carl Kellner, si dichiarano “pre-crowleyani” e rifiutano perfino di ammettere che Crowley sia mai stato legittimamente eletto come leader del movimento. L’elenco potrebbe continuare, ma questi accenni sono sufficienti a mostrare che la base fattuale – e talora l’uso della letteratura scientifica già disponibile a proposito di taluni movimenti – è spesso insufficiente, e spiega le carenze di un’interpretazione in chiave di semplice marginalità o curiosità. E’ certamente normale dissentire dall’O.T.O. o da Sukyo Mahikari, ma l’influsso che (evidentemente in modi molto diversi) queste due organizzazioni hanno avuto su aspetti della letteratura e della cultura rispettivamente anglo-americana e giapponese (si vedono per l’O.T.O. gli studi di Melton, per Mahikari gli atti dei convegni dello Yoko Civilization Institute e gli studi di Nagami) non permettono di liquidarli in modo sbrigativo. Così leggere che “nel mondo dello spirito la Blavatsky sta a Plotino come Fantozzi sta a James Bond” (p. 23) forse non divertirà eccessivamente il centinaio e più di accademici europei, indiani e americani che si riuniscono annualmente alla Fullerton State University negli incontri della Theosophical History Association, dai cui atti l’autrice di Viaggio nella magia potrebbe derivare interessanti informazioni sull’influsso decisivo della Società Teosofica – per esempio – sulla politica indiana, su Gandhi, sull’arte astratta e sulla moderna psicologia transpersonale.
Un ultimo aspetto curioso di Viaggio nella magia è l’improvvisa apparizione nel testo di brani tratti da studi precedenti sull’argomento, senza che la fonte sia in alcun modo citata o segnalata. giacché l’autrice ci assicura che si tratta sempre di ricerche originali o di informazioni che le provengono dai maghi che ha intervistato, si è costretti a ritenere che costoro – vittime inconsapevoli di fenomeni di criptomnesia – si siano auto-descritti in termini tratti da opere di terzi, anche critiche, nei loro confronti. L’ipotesi è obbligata per quanto possa sembrare paradossale. benché – per usare un termine spiritico – gli “apporti” nel testo siano diversi, mi limiterò a qualche esempio tratto dai volumi del sottoscritto Le nuove religioni (SugarCo, Milano 1989) e Il cappello del mago (SugarCo, Milano 1990). A proposito dell’avatar italiano Francesco Isa Atmananda (Babaji) apprendiamo che
Dal 1988 si era presentato al pubblico di Roma e di Milano raccogliendo in breve tempo qualche centinaio di seguaci. A detta dello stesso Francesco, egli è l’Avatar più importante di tutta la storia. Per comunicare con lui, che è la stessa Coscienza universale, non è necessario parlargli, e neppure scrivergli; quando pensiamo di scrivergli la comunicazione è già stabilita. Francesco Isa aveva scritto il Settimo Vangelo, che se letto almeno sette volte permette all’adepto di diventare “Dio”. Nel Vangelo del nuovo Avatar italiano risuonano i temi tipici dei movimenti magici (…) una intensa difesa della reincarnazione” (Viaggio nella magia, p. 47). |
Si è presentato al pubblico di Roma e di Milano dal 1988, raccogliendo in breve tempo qualche centinaio di seguaci. Francesco è l’avatar più importante di tutta la storia: per comunicare con lui, che è la stessa Coscienza Universale, non è necessario parlargli, e neppure a rigore scrivergli; quando pensiamo di scrivergli la comunicazione con l’avatar – che tutto sa – è già stabilita. (…) Francesco ha rivelato Il Settimo Vangelo: chi lo legge sette volte “diventa Dio”. I temi tipici dei movimenti magici – con una vibrante difesa della reincarnazione – risuonano nel vangelo del nuovo avatar” (Il cappello del mago, pp. 319-320). |
Anche a proposito di personaggi antichi come il conte di Saint-Germain, si verificano fenomeni di criptomnesia:
“Ebbe una vita avventurosa, ma non più di un Casanova, di cui in un caso accertato fu rivale in amore. Casanova anzi ce lo descrive in maniera non troppo simpatica. Vennero attribuiti al Saint-Germain guarigioni e miracoli (…). Ciò che veramente inventò fu semplicemente una miscela di erbe dotata di una blanda funzione lassativa, una serie di procedure per conciare la pelle e tingere le stoffe, argomenti di cui era sicuramente un vero esperto” (Viaggio nella magia, p. 82). |
“Accreditato di una vita avventurosa: ma non più di un Casanova, di cui in almeno un caso accertato fu rivale in amore e che ne ha lasciato un ritratto piuttosto acido. Gli vennero attribuiti miracoli e guarigioni: ma (…) i suoi prodigi documentati non sono molto romantici, in quanto si riferiscono all’invenzione di un tè con funzioni di blando lassativo (…) e una serie di procedure per conciare la pelle e tingere le stoffe, argomento di cui era indubbiamente un vero esperto” (Il cappello del mago, p. 145). |
Ascoltiamo addirittura un frequentatore dei corsi di Scientology descriverne il mito di origine nei termini di un volume (il mio Le nuove religioni) che pure Scientology aveva, al suo apparire, criticato:
I thetan esistevano da soli, onnipotenti, indistruttibili e immortali. Avevano il dono dell’onniscienza. Ma non avendo nulla da fare, soffrivano della loro immortalità. Per uscire dalla noia decisero di giocare, creando vari universi. I thetan caddero vittime del loro stesso gioco, si fecero assorbire dagli universi che avevano creato, universi fatti di materia, energia, spazio e tempo, fino a dimenticare che essi stessi ne erano i creatori. (…) Credono di essere soltanto dei corpi” (Viaggio nella magia, p. 93). |
“Thetan, lo ‘spirito puro’ che esiste ‘fin dall’origine’, onnisciente, indistruttibile e immortale (…). All’origine i thetan vivevano nell’eterno presente di una beatitudine indefinita. Trovando ultimamente questo stato noioso, decisero di ‘giocare un gioco’ creando gli universi. Ma i thetan finirono per cadere vittime del loro stesso gioco, lasciandosi assorbire negli universi di MEST (materia, energia, spazio e tempo) che avevano creato fino a dimenticare di esserne i creatori (…) e a credersi imprigionati nei corpi” (Le nuove religioni, p. 364). |
La criptomnesia porta naturalmente con sé (come sempre accade in questi fenomeni) il rischio della pseudo-citazione e di curiosi equivoci. A proposito di Nuova Acropoli si afferma che in un suo testo si parla di:
“Nani, Fate, Gnomi, Ninfe e Ondine (…) è possibile e utile entrare in contatto con questi spiriti, giacché svolgono una funzione essenziale per la vita dell’universo. Questi esseri (…) vivono non senza problemi: i più piccoli sono vittime dei gatti domestici che per gioco li agganciano con le proiezioni magnetiche delle loro unghie” (Viaggio nella magia, pp. 158-159). |
“Con gli elementali – nani, fate, gnomi, ninfe e ondine – è possibile (anche se difficile) e utile entrare in contatto giacché svolgono una funzione essenziale per la vita dell’universo. Gli elementali peraltro (…) non vivono senza problemi: i più piccoli fra loro sono spesso vittima dei gatti domestici che per gioco ‘li agganciano con le proiezioni magnetiche delle loro unghie'” (Il cappello del mago, pp. 182-183). |
L’autrice di Viaggio nella magia assicura di avere appreso queste idee “dopo che io lessi un libro del fondatore di Nuova Acropoli, Angelo Livraga, che era intitolato Gli spiriti della terra” (p. 158). Chi consulti in una qualunque delle maggiori biblioteche latino-americano la copiosa lista degli scritti di Jorge Angel Livraga scoprirà che non esiste nessun testo dal titolo Gli spiriti della terra; esiste invece un testo tradotto in italiano con il titolo Gli spiriti della natura, debitamente citato in nota nel mio Il cappello del mago a proposito dei problemi dei poveri elementali con i gatti domestici.
Irresistibili sono infine i segreti alchemici in materia di magia sessuale rivelati all’antropologa, che non sono poi così nuovi:
“Seguire le teorie alchemiche di questa Fratellanza era di una difficoltà estrema. Nelle riunioni di faceva un gran parlare di un misterioso alambicco, di piante essiccate che provenivano dall’Argentina. Una di queste piante era rossa come il sangue e l’altra bianca come il latte (…). ‘Allora avanti. Perché l’Argentina?’ ‘La luna!’ esclamai. ‘Già’. ‘E l’erba rossa fiammante?’ ‘La luna regola le maree, la crescita delle sementi, e …’ ‘Il mestruo delle donne!’ ‘Brava!’ ‘L’erba rossa è il sangue mestruale? O mio Dio!’ (…) ‘E l’erba bianca?’ (…) ‘Ma sarà, non sarà per caso, il seme maschile?!'” (Viaggio nella magia, p. 130). |
“Sulla rivista della Miriam, ‘Ibis’, nel 1950 parlano di (…) ‘due diverse essenze provenienti da piante della Repubblica Argentina: una di colore rosso fiammante e un’altra di colore bianco latte’. Senonché, leggendo le note preparate dal gruppo che si definisce Ordine Osirideo Egizio (…) diventa evidente come il riferimento alla ‘Repubblica Argentina’ e alla luna (l’astro di ‘argento‘) a cui corrispondono le due ‘piante’: ‘rossa’ (il sangue mestruale della donna) e ‘bianca’ (il seme maschile)” (Il cappello del mago, pp.303-304). |
Qui – per la sola e unica volta nel testo – a distanza di una pagina farà capolino un riferimento al fatto che la magia sessuale “sta in tutti i libri di alchemia e di occultismo, da quelli di Eliade al Cappello del mago di Introvigne” (p. 131), senza tuttavia che si spieghi al lettore che la decrittazione dell’apparente enigma sulla Repubblica Argentina e sulle “erbe” non è cosa nuova né («O mio Dio!») particolarmente sconvolgente.
Sarebbe tuttavia ingeneroso insistere su questi (e altri) incidenti, che certamente non tolgono al libro la sua piacevole freschezza narrativa. Il lettore dotato di familiarità con i nuovi movimenti magici sarà soltanto spinto a mettere in dubbio le affermazioni dell’autrice secondo cui a proposito di “associazioni segrete” “occorre come al solito far parlare i pentiti” (p. 88) – le osservazioni di un sociologo autorevole come David Bromley sulla inaffidabilità degli “apostati” sembrano, al contrario, pertinenti – e la confessione secondo cui l’antropologa non si sentiva nelle sue indagini “particolarmente rilassata” perché, se avesse dato notizia della sua qualifica di studiosa, “certamente la tanto decantata tolleranza di tutti gli Acquariani si sarebbe trasformata in una violenta forma di intolleranza e di rigetto nei miei riguardi” (p. 80). Quest’ultima osservazione viene formulata a proposito del Villaggio Verde, una pacifica comunità teosofica piemontese dove tanto il sottoscritto quanto studiosi e sociologi stranieri (fra i quali Eileen Barker e J. Gordon Melton) hanno potuto soggiornare proficuamente presentandosi con il proprio nome e le proprie qualifiche e ricavando sui numerosi gruppi che si riuniscono presso il Villaggio informazioni certamente più ampie e articolate di quelle di cui si dà conto in Viaggio nella magia. Se a qualcuno queste ricerche – su cui ha riferito, con una prima analisi, in due suoi articoli una collaboratrice di J.G. Melton, Isotta Poggi – dovessero apparire poco interessanti, possiamo almeno assicurare che durante l’osservazione partecipante esplicita e dichiarata del Villaggio Verde e di altri luoghi citati in Viaggio nella magia non abbiamo mai sperimentato “violente forme di intolleranza e di rigetto” e, rianimati anche dalla buona cucina che si trova spesso nelle comunità “acquariane”, ci siamo perfino sentiti “particolarmente rilassati”.
Massimo Introvigne
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Risposta dell’antropologa Cecilia Gatto Trocchi a Massimo Introvigne
Viaggio nelle magie e nelle amicizie perdute
Di Cecilia Gatto Trocchi
Caro Massimo Introvigne,
come direttore del Cesnur e come “massimo” studioso di nuovi culti per antonomasia, mi sembra tu voglia attaccare chiunque non condivida le tue opinioni o non faccia atto di sottomissione.
Eppure io ti ho stimato, al punto di consegnarti appena uscite le ricerche da me dirette per L’EURISPES: “I soldi del diavolo” del marzo 1989 sull’universo dei maghi e “Notizie dal Mistero” del Febbraio 1990 sui nuovi culti. Tali ricerche hanno costituito il materiale di base per i miei testi di cui “Viaggio nella magia” rappresenta solo l’esito narrativo. Il tuo documentatissimo “Cappello del Mago” è dell’ottobre 1990.
Durante un viaggio notturno di ritorno dal convegno del GRIS, sono stata così attratta dalla tua cultura e dalla tua memoria che, nel 1992, ti chiesi di presiedere la sessione plenaria di apertura, con il Rettore e le maggiori autorità accademiche, nel convegno che organizzai a Perugia dal titolo “Il Talismano e la rosa”.
La mia stima ed amicizia si è accresciuta durante il Congresso di Santa Barbara in California.
Ma le amicizie tra gli umani sembrano essere effimere, se poi hai scagliato attacchi così violenti contro la mia persona.
Ora hai riesumato un tuo articolo contro di me di cinque anni fa, a cui risposi brevemente sul Messaggero nel giugno 1993 e su cui vorrei fare di nuovo delle precisazioni.
Il mio VIAGGIO NELLA MAGIA del 1993 è un “racconto” che riguarda le mie esperienze personali tra maghi, gruppi e conventicole esoteriche. Non pretende di essere un’opera scientifica, ma una serie di notazioni narrative.
Da tempo penso che la nozione di scientificità nelle discipline umane sia spesso un alibi o una cortina fumogena diffusa per non pronunciarsi sull’etica collettiva e sugli assunti della morale o, peggio, per nascondere interessi privati.
I miei testi scientifici a cui rimando sono:
Magia ed esoterismo in Italia (Mondadori, Milano, 1990),
“Charismatic Feminist Leaders in magic-esoteric Groups in Italy ” in Women as teachers & disciples in traditional and new religions, The Edwin Mellen Press, Lewiston, 1993, pp.114-124,
Il risorgimento esoterico (Mondadori, Milano, 1996),
Nomadi spirituali (Mondadori, Milano, 1998).
Tu Introvigne contesti l’osservazione partecipante che è la tecnica principale della ricerca antropologica e non vedo perché debba essere considerata scarsamente etica. Data la particolare natura dei soggetti non volevo svelare la mia identità ai maghi e ai veggenti che in quanto tali avrebbero dovuto capirla per doti… extrasensoriali.
Quanto ai movimenti magici, volevo sperimentare di prima mano cosa sente una comune mortale che si immerge nel nuovo gruppo, senza presentare obbligatoriamente biglietti da visita accademici (per chi ce li ha…)
Ciò che mi lascia di stucco sono le accuse di criptoamnesia, cioè di un disturbo della memoria per cui i ricordi appaiono come creazioni personali. Così estrapoli frasi dei tuoi libri che io avrei messo in bocca agli adepti dei gruppi esoterici. Solo che i punti contestati sono tagliati, ricuciti e ampiamente conditi di puntini di sospensione.
Inoltre riguardano notizie generiche e formule espressive standardizzate, che non mi sembra di ritenere creazioni originali. Si tratta di locuzioni di uso corrente che riportano notizie ampiamente note agli addetti ai lavori.
Scrivere che il Conte di Saint Germain sia stato rivale in amore di Casanova e che abbia inventato una tisana lassativa si trova in molti testi e che i Thetan di Scientology erano soli, onnipotenti, indistruttibili e immortali, sono grandi notizie di dominio pubblico, riportate da R. Chagnon, a J-F Mayer, e molti altri.
Il tuo attacco così violento è tanto più sorprendente in quanto il volume Il cappello del mago è uno dei pochissimi testi di eletti che cito nel mio racconto, unitamente a quelli di Mircea Eliade, Umberto Eco, Paola Zambelli, Epifanio di Salamina.
Parlando del misterioso corpo di gloria con un personaggio del libro, dico testualmente “Guarda che è il segreto di Pulcinella: sta in tutti i libri di alchimia e di occultismo, da quelli di Eliade al Cappello del mago di Introvigne” (Viaggio nella magia p.131).
Quanto poi a negare l’attendibilità di coloro che sono usciti dai vari culti, è un’idea tua personale, caro Massimo, che sta dando luogo ad un ampio dibattito, pari a quello sul “lavaggio del cervello” e della polemica con l’APA (American Psychological Association).
Comunque ti ringrazio caro Introvigne per avermi segnalato alcuni refusi. Purtroppo noi esseri umani siamo imprecisi, la nostra natura è imperfetta, come sanno non solo gli gnostici, ma tutti i buoni cristiani. Il perfezionamento interiore ed esteriore (per correggere i refusi e forse anche la volontà di potenza) fa parte della prassi cristiana e non solo di quella di Scientology.
In attesa di rinnovare amicizia e dialogo costruttivo, ti saluto cordialmente.
Cecilia Gatto Trocchi
Via Chini,69.00147 Roma.
Tel 06/5136021. Fax 06/51 33 150
E mail: ctrocch@tin.it
Note
[1] Trasmissione a cura del GRIS andata in onda l’8 novembre 1998 (in replica).
[2] Si veda il nostro «Attenti a Massimo Introvigne!».
[3] Articolo di Massimo Introvigne originariamente pubblicato su La Critica Sociologica n.106 (estate 1993), pp.127-134.
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Cos’è la resilienza?
Cos’è la resilienza? Il termine resilienza deriva dal latino “resilire” che significa saltare indietro, rimbalzare. E’ la capacità di resistere agli urti senza spezzarsi.
“studio baroni” propone il “Metodo Sviluppo Resiliente” per innovare la strategia di sviluppo di aziende, organizzazioni, enti pubblici e privati, territori.
La straordinarietà della resilienza sta nel fatto che riesce a far “dialogare” la diversità della conoscenza scientifica patrimonio delle discipline umanistiche, tecnologiche, economiche, ecologiche, biologiche… In ingegneria la resilienza definisce la capacità di un materiale di resistere a sollecitazioni impulsive. In biologia e in ecologia umana equivale alla capacità di un sistema di auto-ripararsi, di ritornare a uno stato di equilibrio in seguito a una perturbazione. In Svezia, lo “Stockholm Resilience Centre” opera per lo Sviluppo Sostenibile integrando la ricerca sui sistemi socio-ecologici con l’emergente economia dell’ecologia. Studio Baroni è in relazione con il dott. Sturle Hauge Simonsen esperto in Resilienza Culturale.
Nelle scienze umane la resilienza esprime la capacità di fronteggiare un qualsiasi evento critico, si collega ai concetti di benessere, trauma e vulnerabilità, stress ed empowerment, è anche praticata con successo nella psicologia nello sport. In psicologia si fa uso del termine resilienza per esprimere la capacità umana di far fronte in maniera positiva alle difficoltà coltivando le risorse interiori, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente alla crisi con la possibilità di migliorarlo. Negli ultimi anni la resilienza viene spesso utilizzata in economia. L’azienda, mediante il “Business Continuity Plan“, può dotarsi dota di uno strumento preventivo verso possibili incidenti che possono minacciare le sue funzioni vitali.
Considerato che la resilienza è declinabile in ambienti aziendali, associativi, territoriali, … si può quindi parlare di “imprese resilienti”, “organizzazioni resilienti”, “territori resilienti”, …
La resilienza si può acquisire come duplice qualità individuale e collettiva:
- Resilienza come qualità individuale in quanto riassume un complesso di capacità in grado di mettere la persona nelle condizioni di reagire con attiva flessibilità ai cambiamenti e alle difficoltà esistenziali e, nel superarle, sviluppa quelle potenzialità di equilibrio originate nell’iniziale relazione di attaccamento, ma anche migliorate in modo consapevole nel necessario percorso di Lifelong learning, cioè apprendimento lungo tutto l’arco della vita;
- Resilienza come qualità collettiva caratterizzata dalla capacità di reazione nelle situazioni di difficoltà, orientata al bene comune e guidata da principi solidali, cooperativi, collaborativi, che evolve e si sviluppa nel mutuo aiuto con la mobilitazione di risorse relazionali, con la promozione di responsabilità per il benessere delle persone e della stessa comunità di appartenenza (territoriale, aziendale, sociale, …).
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (interna ed esterna) sono da considerarsi come irrinunciabili, in questo senso “studio baroni”pone particolare attenzione alle dinamiche dell’innovazione tecnologica in chiave web 2.0.
download:
- Città glocali digitali. Vivere la città nell’era digitale
- Digitale e società post-industriale
- La società del rischio
leggi anche:
- Resilienza: trarre vantaggio dalle situazioni avverse, di Patrizia Godi su ManagerOnline
- La Resilienza, di Pietro Trabucchi
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Quando Cecilia Gatto Trocchi confermò l’esistenza di pratiche occulte nella Massoneria
Cecilia Gatto Trocchi (1939-2005) è stata un’antropologa italiana, scrittrice e docente di antropologia culturale. Durante questo programma televisivo, confermò che nella Massoneria è diffuso l’occultismo e il diavolo viene considerato un grande alleato dell’umanità. Chi ha orecchi da udire, oda.
Per approfondire questo aspetto della Massoneria leggete il mio libro ‘La Massoneria smascherata’.
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A proposito di Cecilia Gatto Trocchi
Citazione:
Per me che proprio in quegli anni mi allontanavo dallo studio di occultismo per avvicinarmi al satanismo, assistere a scene degradanti come quelle che venivano proposte da questi famigerati personaggi era davvero triste.
Io non so bene cosa ritieni essere il satanismo, ma questo é quello che in genere la gente pensa:
1) un satanista evoca dei demoni;
2) un satanista si ingrazia i demoni facendo cose turpi (omicidi e stupri per intenderci);
3) un satanista sfrutta le sue amicizie demoniache per acquisire denaro potere e ricchezza.
Spero che tu desideri sollevarmi dalle mie inquietudini e specificarmi cosa intendi per “avvicinarmi al satanismo”.
Dopo di ché mi piacerebbe anche sapere come riesci a conciliare il “satanismo” con gli “annunaki”.
Per spiegarti cosa é il satanismo bisogna distinguere 2 cose:
– cosa é il satanismo dal lato filosofico e dal lato magico
– la casistica di ‘cronoaca satanista’
1) Satanismo dal lato filosofico e magico
Dal punto di vista filosofico il Satanismo si distingue principalmente in 2 tipi:
– quello deista, dalla forte matrice anticristiana, che incarna Satana i una reale entità preterumana volgarmente chiamata ‘divinità’ che rappresenta l’ indulgenza in luogo della astinenza. IN questa ottica satana é visto come la ‘divinità’ che predica il pieno appagamento dello spirito tramite l’ appagamento del corpo. La sua visuale della struttura ‘uomo’ é simile a quella induista in cui ogni esperienza, positiva o negativa, accresce il bagaglio karmico e partecipa all’ accrescimento dello spirito. Potrei farti un paragone ‘terra-terra-‘ con la distinzione ‘Jedi-Sith’: Il jedi (religioso generico cristiano, ebraico, musulmano) esplora solo determinati lati della ‘forza’ vincolati dal concetto imposto di ‘positività’. Il Sith invece rende soggettivo il concetto di positivo o negativo ed esplora la ‘forza’ in toto.
– quello razionale, da molti erroneamente chiamato ateo, che incarna Satana in un archetipo che rappresenta stati alterati di coscenza dell’ individuo. Satana é una metafora per l’ Ego umano e la sua vera volontà non piegata da influenze moraliste, etiche, religiose che EGLI (l’ uomo) non condivide.
Ciò porta l’ uomo satanista razionalista a negare o a non domandarsi la reale esistenza di entità preterumane, riconoscendo come unico dio a cui tendere il suo ‘ego liberato’.
Dal punto di vista magico, i due tipi di satanismo hanno quasi tutto in comune… cambia solo l’ ottica in cui i riti vengono condotti. In più il satanista razionalista, conscio del fatto che non esistono strutture gerarchiche reali e prestabilite, é più libero di sperimentare nei propri riti perchè l’ uico vincolo che ha é quello di costruire riti che liberino le proprie energie… il che gli rende possibile attingere a ogni genere di cultura per la prorpria ritualistica.
Il lato magico satanista consta di 2 cerimonie principali:
– le messe
– i rituali
Le messe sono parodie della messa cristiana, o come le definisce Lavey che é stato il ‘canonizzatore’ della messa nera, sono dei ‘Psicodrammi atti a risvegliare le forze che abitano nell’ uomo’.
Che vengano condotte da un gruppo deista o razionalista non cambia. Satana, Leviathan, Belial etc per il deista saranno reali entità, mentre per il razionalista saranno metafore per il prpprio ego e ‘simboli’ delle sue varie forze nascoste (ognuna catalogata e rappresentante di un determinato lato del carattere umano).
I rituali son il cuore della pratica satanista. Vanno dai rituali di morte, a quelli di innamoramento, a quelli per la guarigione, a quellli per l’ accrescimento della stima, della fama, per l’ illuminazione, ma anche per le esperienze OBE, per la visione remota, per la sigillazione dei desideri, per l’ esplorazione delle ‘strutture magiche’ definite dalla teoria occultista, etc.
Il punto focale della ritualistica Satanista, per cui questa si distingue dal normale occultismo e dall’ esoterismo, é la presenza di preghiere ‘attive’, le chiavi enochiane, che nella tradizione magica sono preghiere dettate a John Dee direttamente da un arcangelo. Le chiavi enochiane son preghiere con le quali il mago ordina a determinate entità di obbedirgli con la intercessione divina o di una delle rappresentazioni divine più consone al tipo di rituale.
Per esempio la chiave della vendetta ordina a determinate entità di colpire chi ha causato danno al mago o a un componente del gruppo in nome della rappresentazione d dio che é chiamata ‘bilancia di giustizia e verità’.
Importante: in nessun caso la ritualistica satanista ammette o giustifica l’ uso NON VOLONTARIO del sesso e del sangue.
Ogni qualvolta compare sangue o sesso, deve essere solo per un dterminato tipo di rituale e solo ed esclusivamente di un partecipante del gruppo che si offre volontanrio, o nella maggioranza dei casi dell’ officiante. Il punto chiave della ritualistica satanista é la VOLONTA’ di agire, quindi é assurdo pensare all’ uso non conscio e volontario di sangue e sesso.
2) la casistica di cronaca
E’ bene precisare che chi non é satanista generalmente non arriva ad avere una informazione così approfondita di cosa sia l’ ottica satanista. Chi non capisce o non conosce la filosofia satanista, specialmente quanto é fondamentale la volontà (e la volontarietà) nel satanismo, può compiere azioni che vanno esattamente contro il concetto di satanismo. E’ il caso dei mentecati che rientrano nella classe del ‘satanismo acido’ che accrescono il loro ego con atti efferati reputando che, mancando di rispetto o oltraggiando i luoghi sacri, si ingrazino un eventuale demone.
E’ il caso di gentaglia come le ‘bestie di satana’, psicolabili criminali che hanno usato la figura di satana per giustificare normali atti criminali per i quali devono essere giustamente perseguiti.
Alla pari, per esempio, dei tanti casi che negli anni 90 si leggevano sul giornale di bambini trucidati da parenti perchè ritenuti indemoniati. Un caso per tutti… il bambino di 3 anni trucidato da parte della madre e di uno zio perchè piangeva di continuo. Lo zio, un pazzo bigotto che credeva di essere l’ incarnazione di padre pio, aveva convinto la madre del bambino che questo era indemoniato. Il risultato: l’ omicidio del bambino.
Per rispndere ai tuoi 3 punti:
1) un satanista evoca i demoni: dipende… un satanista deista evoca o invoca demoni ma non li contempla come tali – demone é il termine usato dalla cristianità – se senti un satanista che dice ‘io evoco demoni’ ridigli in faccia
2) un satanista si ingrazia i demoni facendo cose turpi (omicidi e stupri per intenderci) : sbagliato. quello é un criinale. Il satanista é la persona che ha il più alto rispetto altrui ma mette prima se stesso. In queta ottica la vita altrui é sacra e può essere tolta solo per vendetta o per impedire di nuocere.
Importante: il satanista crede nella legge del boomerang. Ciò che fai ti torna indietro. Quindi non spacerebe mai un omicidio o un reato per una ‘necessità’.
3) un satanista sfrutta le sue amicizie demoniache per acquisire denaro potere e ricchezza: anche. In realtà sfrutta la sua volontà e ciò che questa riesce a ‘sprigionare’ per aquisire ciò che vuole. Siano esso soldi, fama, conoscenza, esperienze medianiche etc. Il satanista sa di avere dentro di se ilmassimo potenziale che gli permette e gli da diritto ad ottenere ciò che vuole. Cosa poi chieda e cerchi di ottenere é dettato dall’ interesse e dalla ‘sensibilità’ personale.
Come contemplo il satanismo con il discorso Anunnaki?
Gli anunnaki sono un gruppo di extraterrestri che hanno fondato le civiltà terrestri. Sono stati adorati come dei per le loro capacità tecnologiche. Nel corso dei illenni la adorazione degli anunnaki si è evoluta fino a un monoteismo in cui il culto di uno di questi esseri ha soppiantato e soggiogato gli altri culti. Li ha ‘demonizzati’ creando la figura del satana come avversario della divinità eletta a ‘dio universale’.
Il Satana era Enki, e i demoni i suoi figli e discendenti.
Enki é per intendersi quello che ha sempre aiutato e rivelato i segreti agli uomini, che li ha favriti, fatti moltiplicare etc. Enlil quello che li ha sempre soggogati e tenuti entro determinati canoni, tanto che li ha voluti distruggere perchè si moltiplicavano troppo (mandando il diluvio).
Satana quindi per me, razionalista che si rifà al primo paganesimo, quello sumero, é la rappresentazione di quell’ Enki che ha aiutato la civiltà liberandola dal giogo e dai limiti imposti da Enlil/Jahwe.
Vi faccio notare una cosa. Molti gruppi ‘satanisti’, indipendentemente dal fatto che credano o meno agli anunnaki, si rifanno al pantheon sumero, ricoonscendo l’ origine di tutto da li, anche del satanismo.
Molti rituali della chaos magick sono scritti in babilonese o hanno in babilonese-sumero le invocazioni principali.
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A proposito di Cecilia Gatto Trocchi
Ciao a tutti. Ho svariate cose da dire e da chiedere, soprattutto a sitchinite e a davide.
In modo sparso, così come mi vengono in mente.
Premetto che studio e pratico esoterismo da diversi anni. Sono pagana nel senso più ampio della definizione, conosco rituali romani, etruschi, sumeri, voudoun e via dicendo. Non conosco l’ambiente satanista, ma ho un’infarinatura del culto Luciferino e so perfettamente che la maggior parte di quelli che si definiscono satanisti sono dei poveracci, spesso criminali repressi, quando non espressi.
Finché è stata in vita ho odiato la Gatto Trocchi per le sue immani cecità, confusione, strumentalizzazione e ignoranza su tutto ciò che non era prettamente terreno. In tanti anni passati a denigrare il piano spirituale non è riuscita a trovare un appiglio solido cui aggrapparsi per affrontare la morte di suo figlio. Il tutto per aiutare quegli organi di comando che tanto vogliono ridurci ad una massa mono-pensante, totalmente soggiogabile… in stile “1984” di Orwell.
Ho conosciuto personalmente alcuni individui dediti a pratiche magiche senza un background adeguato, senza avere la minima idea di quali energie si va a smuovere, anche solo con una richiesta volontaria (la volontà, ricordiamolo, è uno dei 4 princìpi grazie ai quali la magia agisce).
Il loro aspetto? smunto, occhi vacui con borse nere sotto gli occhi. Rosi dentro. Io li chiamo i “consumati”.
Il loro atteggiamento? bè ovviamente loro sanno tutto e noi siamo delle merde inesperte. Chiaro.
Tutta gente che ho prontamente allontanato dalla mia vita. E senza guardarmi indietro.
Il caro Dimitri ha la stessa parvenza dei personaggi qui sopra. Poi non sarà colpevole dei fatti di cui venne accusato… ma parliamoci chiaro: a parte le foto in posa “io sono cattttivo” e qualche affermazione populista qua e là… non è che sia questa persona fantastica, dedita alla Conoscenza Suprema. Uno che davvero Conosce non ha quell’aspetto lì. Uno che conosce, sa. E se “sa” allora è a posto con sé stesso e con il mondo che lo circonda. Ha un’aspetto sereno, una carnagione salubre e via dicendo (risparmiatemi di spiegare millenni di studi medico-psicologici.)
Inoltre nella sua intervista non dice proprio un bel niente. Una specie di leif motiv per lui. Infatti in un’altra sua intervista al Maurizio Costanzo Show (sì, tanti anni fa lo guardavo a volte…) Maurizio cercava di chiedergli cos’è che si faceva in questo circoletto culturale chiamato rassicurantemente “Bambini di Satana”. E ogni volta lui diceva “non è vero che ammazziamo animali – non è vero che facciamo sesso – non facciamo messe…” Alla fina Maurizio, un po’ stanco e deluso, gli rispose: “Ma se non fate nulla cosa vi siete costituiti a fare? E lui zitto ridacchiava…
Bè, permettimi… tutt’altro che la persona di “cultura” che si crede di essere.
Infine su Dimitri, povero stellino incompreso: uno che va in giro atteggiandosi da “figo e dannato”, che predica Satana in una cultura tradizionalista, senza specificare un cazzo di cosa intende lui per satanismo, come fa a pretendere che nessuno si faccia qualche domanda? Come può credere che il suo comportamento non attiri qualche mente bigotta? Sia chiaro, non discuto la sua buona fede (anche se mi serbo il lecito dubbio), ma la sua completa mancanza di contatto con la realtà.
Non vi dico nemmeno che genere di comunicati giravano nei siti pagani qualche anno fa per mettere in guardia le persone su come agiscono certi gruppi che si definiscono satanisti, ma che in realtà vogliono solo avere adepti da mandare al massacro.
Sì è vero è una pericolosa caccia alle streghe. Prima c’erano i pagani, poi le donne e adesso tocca ai satanisti. Ma lo sappiamo da secoli che è così. Cosa, di preciso, ha convinto Dimitri di essere al di sopra dei sospetti di una società bigotta e repressa?
Per quanto riguarda il legame satanismo-massoneria e il convolgimento cattolico, può anche starci. Nel senso che siccome la chiesa tende a demonizzare tutto, semplicemente usa la scusa del Satanismo. Quando era ancora cardinale, sua “santità” Ratzinger, disse che ogni pratica volta alla conoscenza del sé superiore è magia nera perciò anche chi fa Yoga deve essere esorcizzato come i posseduti. Ho conservato l’articolo a casa.
Ultimamente ho letto alcuni interventi nel blog di Franceschini di un esoterista estremamente competente su certe tematiche e devo dire che sono rimasta stupefatta dai suoi discorsi. In maniera del tutto logica e dimostrativa ha spiegato come la massoneria si serve dei rituali per piegare le menti degli altri per propri fini, tutt’altro che illuminati. Ci si serve di quella che chiameremmo magia nera per raggiungere scopi materiali, posizioni sociali, politiche e via dicendo. Chi conosce la magia e come funziona, non farà fatica a capire quanto detto.
Insomma non c’è da stupirsi se Umberto Eco viene invitato in certe discussioni…
Il serpente. Ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia sul significato esoterico del serpente e mi pare riduttivo partire a parlarne da adamo ed eva, visto che veniva venerato in tempi molto più remoti di quando è stata inventata la bibbia.
DAVIDE
Citazione:
I riti magici sono spesso ricalcati sul modello di quelli religiosi; in molte tradizioni il sacrificio animale é praticato; il resto si deduce di conseguenza…
Mi dispiace, ma questa affermazione è priva di qualsivoglia verità. Innanzi tutto il rito che noi moderni sapientoni definiamo magico (con quell’accezione di “primitivo e ignorante” che sottintendiamo) è nato prima di qualunque idea di personificazione divina. La religione è venuta dopo.
Se poi vogliamo parlare dei riti magici cristiani il discorso non cambia di una virgola. Gli antichi pagani (romani, greci, celti ed europei in genere) solevano porre un calice e un pugnale sugli altari per indicare il principio femminile e maschile del divino. E i primi cristiani (fino a tempi relativamente recenti) ancora usavano sia il calice che il pugnale. Ora è rimasto solo il calice col quale il parroco beve il vino… o il sangue di Cristo. Ma le origini del rito sono molto diverse.
Il sacrificio animale è contemplato in molte religioni e nessuno si scandalizza più di tanto. Io rabbrividisco all’idea di sgozzare un pollo per imbonarmi qualche Orisha, ma ancora oggi, nelle vicine campagne italiane, alcune donne praticano la stregoneria italiana, in cui usare un cuore di manzo o un laccetto di cotone, non è poi ‘sta gran differenza. Sono animalista, ma non sono così ipocrita da denigrare le culture altrui, dettate da chissà quali radici e penso che se fossi haitiana forse la penserei diversamente.
In ogni caso non capisco cosa intendi con “il resto si deduce di conseguenza”… Cosa significa cha dal pollo arrosto al sacrificio umano il passo è breve? Va bene l’infarinatura di magia, ma questa affermazione è tirata un po’ per le orecchie. Ti prego di spiegarmi.
Infine… boh, appena mi viene in mente qualcos’altro vi dirò 🙂
Grazie per lo spunto di riflessione.
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Per ogni considerazione si invita a riflettere su queste “condizioni” che controllano le culture nè più ne meno che le religioni
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Armi, acciaio e malattie
« La geografia era una materia di cui si richiedeva la conoscenza nelle scuole e nei college americani fino a qualche decennio fa, quando si cominciò a lasciarla cadere da molti piani di studio. Si diffuse allora l’errata convinzione che essa consistesse in poco più che nell’apprendimento mnemonico dei nomi delle capitali dei vari Stati. Ma venti settimane di studio di questa materia nella settima classe non sono sufficienti a insegnare ai nostri futuri uomini politici gli effetti che la geografia ha in realtà sul genere umano. » |
(Jared Diamond) |
Armi, acciaio e malattie Breve storia degli ultimi tredicimila anni |
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Titolo originale | Guns, Germs and Steel: The Fates of Human Societies |
Autore | Jared Diamond |
1ª ed. originale | 1997 |
Genere | Saggio |
Sottogenere | Storico / geografico / antropologico |
Lingua originale | inglese |
Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni (titolo originale Guns, Germs and Steel: The Fates of Human Societies) è un saggio di Jared Diamond. Edito nel 1997, è stato tradotto in italiano da Luigi Civalleri per conto di Einaudi.
Il libro è incentrato sulla ricerca di una risposta alla domanda che Yali, un abitante della Nuova Guinea, fece all’autore nel luglio del 1972: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”, dove per Cargo si intendono tutti quei beni tecnologici di cui i guineani erano privi prima dell’arrivo dei coloni. In pratica l’autore cerca di rispondere alle seguenti domande: perché sono stati gli europei e gli americani del nord a sviluppare una civiltà tecnologicamente avanzata e non, ad esempio, i cinesi o i sumeri? Perché gli europei sono partiti alla conquista degli altri popoli (ottenendo evidenti successi, spesso con tragiche conseguenze per i “conquistati”), e non è avvenuto il contrario? Come mai i fieri guerrieri nativi americani sono stati spodestati dall’invasione di un popolo di agricoltori?
Riunendo in un unico libro cognizioni dalle più svariate discipline, Diamond sviluppa un quadro d’insieme sulla storia delle varie società umane a partire dalla fine dell’ultima glaciazione, avvenuta circa 13000 anni fa. Per la prima volta, si riunisce nella visione storica un quadro formato da archeologia, antropologia, biologia molecolare, ecologia, epidemiologia, genetica, linguistica e scienze sociali, per non parlare della teoria del caos.
In pratica l’autore cerca di dare una sorta di metodo d’indagine scientifico ad una disciplina considerata finora “letteraria” e di respingere spiegazioni razziste della storia dell’umanità, non tanto per motivi ideologici, ma piuttosto, appunto, scientifici. Consapevole del suo ruolo di iniziatore, precisa che la sua è solo una visione generale, i cui dettagli vanno indagati più approfonditamente.
Il libro ha vinto il Premio Pulitzer per la saggistica nel 1998.
Indice |
Sintesi
Prologo e anticipazione delle critiche
Diamond non trovò una buona risposta alla domanda di Yali. Lo stesso tipo di domanda sembra trovare applicazione in una quantità di casi: “Gli originari dell’Eurasia… dominano il mondo quanto a benessere e potere”. Gli altri popoli, che si sono liberati dal colonialismo, restano arretrati quanto a benessere e potenza. Altri ancora, dice, “sono stati decimati, soggiogati e talora perfino sterminati dai colonialisti europei”. Spiega che, nell’incapacità di ricavare una spiegazione soddisfacente dai più rinomati racconti storici, ha deciso di fare un’indagine per conto proprio.
Prima di enunciare la propria tesi principale, Diamond considera tre possibili critiche alla sua indagine:
- “Se riusciamo a spiegare come alcuni popoli dominarono gli altri, non basta questo per giustificare la dominazione? Non sembra che il risultato sia inevitabile e perciò sarebbe futile tentare di cambiare il risultato oggi?” La sua risposta è: si confonde una spiegazione di cause con una giustificazione di risultati. “[Psicologi, storici della società, e medici] non cercano di giustificare omicidi, stupri, genocidio e malattia”. Piuttosto, indagano sulle cause per poter bloccare gli effetti.
- Non indirizzare la domanda “automaticamente implica un approccio eurocentrico alla storia, una glorificazione degli europei occidentali… ?” Ma, secondo Diamond, “la maggior parte di questo libro avrà a che fare con popoli extraeuropei”. Descriverà – secondo Diamond – le interazioni tra popoli non europei. “Lungi dal glorificare i popoli di origine occidentale, vedremo che gli elementi più basilari della loro civiltà furono sviluppati da popoli che vivevano altrove e furono poi importati in Occidente”.
- “Parole come ‘civiltà’, e frasi come ‘sorgere della civiltà’, [non] comunicano la falsa impressione che la civiltà è buona, i cacciatori-raccoglitori sono miserabili, …? Al contrario, secondo Diamond, la civiltà è proprio una fortuna a metà, come spiega più avanti.
La teoria esposta
Prima che qualcuno sviluppasse l’agricoltura, si viveva come cacciatori-raccoglitori, ed alcuni lo fanno ancor oggi.
Diamond sostiene che il successo delle civiltà europee, che hanno conquistato terre come l’America, l’Africa e l’Oceania, non è dovuto ad una loro presunta superiorità intellettuale. Gli europei non sono più intelligenti degli altri popoli, ma semplicemente hanno avuto la fortuna di vivere in un continente, l’Eurasia, le cui condizioni ambientali hanno favorito lo sviluppo e la diffusione degli elementi che hanno contribuito in maniera determinante alla loro supremazia sugli altri popoli: le armi (e più in generale la tecnologia) e le malattie.
Diamond spiega come lo sviluppo dell’agricoltura e la domesticazione degli animali sia stato un pre-requisito per giungere alle civiltà di armi e malattie. Tale sviluppo è stato più veloce in Eurasia per molti motivi:
- in Eurasia, molto più che negli altri continenti, vivevano più animali selvatici che per le loro caratteristiche erano “facilmente” domesticabili
- in Eurasia, molto più che negli altri continenti, esistevano specie vegetali facilmente domesticabili, cioè da cui si potevano ottenere facilmente delle specie adatte ad essere coltivate e che apportassero un significativo contributo nutritivo
- in Eurasia, molto più che negli altri continenti, le caratteristiche geografiche del continente hanno favorito il diffondersi delle innovazioni tecnologiche. In altri continenti questa diffusione è stata rallentata dalla presenza di barriere geografiche (deserti, catene montuose).
- L’Eurasia, inoltre, è l’unico continente che si sviluppa principalmente da est a ovest e non da nord a sud come Africa e Americhe. Pertanto specie animali e vegetali potevano essere spostate più facilmente lungo questo continente. In Africa e nelle Americhe le specie animali e vegetali addomesticate in una regione potevano non incontrare a latitudini distinte le condizioni ambientali e climatologiche che ne consentissero la sopravvivenza.
Transizione
Armi acciaio e malattie sostiene che la supremazia dei popoli Euroasiatici è legata al sorgere delle città. Queste città sono caratterizzate da elevate densità abitative e da complesse strutture sociali che hanno consentito il sorgere di:
- classi politiche, in grado di mobilitare i popoli e organizzare eserciti impegnati in guerre di conquista
- artigiani, che hanno fornito armi tecnologicamente avanzate (spade, armature, armi da fuoco)
- malattie estremamente contagiose, nei confronti delle quali gli abitanti dell’Eurasia hanno sviluppato una parziale immunità. Queste malattie hanno decimato le popolazioni conquistate delle Americhe molto più di quanto lo abbiano fatto le armi dei conquistadores.
Il sorgere delle città è legato allo sviluppo dell’agricoltura. Questa ha reso possibile la produzione e lo stoccaggio di elevate quantità di cibo, di fatto consentendo ai cittadini di dedicarsi a tempo pieno ad attività quali artigianato, innovazione tecnologica, realizzazione di strutture politiche e militari, e liberarli dall’onere di procurarsi il cibo. Tale onere poteva ricadere sulle spalle degli agricoltori. Diamond spiega come i popoli che sono rimasti cacciatori-raccoglitori non sono stati in grado di produrre surplus di cibo tali da sostenere classi “non produttive” di artigiani, politici, militari.
Essenziale alla transizione da cacciatori-raccoglitori a società agrarie di abitatori di città fu la presenza di grandi animali domesticabili, allevati per carne, lavoro (per es. trainare l’aratro), comunicazione e trasporto di uomini e merci e viveri sulla lunga distanza (per es. per trainare carri). Alcuni di questi, sono stati anche usati come efficaci armi da guerra. A tal proposito si pensi all’importanza della cavalleria fino alla prima guerra mondiale.
Diamond identifica appena quattordici specie adattabili in tutto il mondo. Le cinque più importanti (vacca, cavallo, pecora, capra e maiale) sono tutte native dell’Eurasia. Delle rimanenti nove, solo una (il lama del Sudamerica) proviene da una zona al di fuori delle più importanti che abbiamo visto. La presenza di così poche specie di animali domesticabili al di fuori dell’Eurasia è legata all’estensione geografica dei continenti, alle loro caratteristiche ambientali, ma anche all’impatto delle migrazioni di uomini primitivi. In Eurasia l’uomo primitivo è giunto quando le sue capacità di cacciatore non erano pienamente sviluppate, pertanto le prede hanno subito un processo evolutivo che le ha preservate fino al nascere dell’agricoltura e della pastorizia. In altri continenti, principalmente le Americhe, l’uomo è giunto dopo aver sviluppato le sue capacità di cacciatore ed ha incontrato animali non preparati a sopravvivere in presenza di un predatore tanto abile. Pertanto alcune specie animali si sono estinte molto prima che l’uomo iniziasse a domesticare piante e animali.
Gli animali domesticabili più piccoli, quali cani, gatti, polli e porcellini d’India possono essere valutabili in molti modi in una società agricola, ma non saranno adeguati di per sé per sostenere una società agraria in grande scala.
Geografia
Diamond spiega anche come la geografia abbia dato forma alla migrazione umana, non semplicemente rendendo difficile viaggiare (particolarmente in senso longitudinale), ma attraverso il meccanismo per cui il clima condiziona i luoghi in cui gli animali domesticabili possono facilmente viaggiare e quelli in cui i raccolti possono crescere in modo ideale. Semplificando, la geografia determina la storia.
Si ritiene che i moderni esseri umani si siano sviluppati nella regione meridionale dell’Africa, in un periodo oppure in un altro. Il Sahara ha impedito che si migrasse a nord verso la Mezzaluna Fertile, fino a che più tardi la valle del Nilo divenne più ospitale. Si ritiene che alcuni popoli, come gli aborigeni dell’Australia, siano migrati precocemente dall’Africa, salpando con barche.[1]
Diamond continua a spiegare la storia dello sviluppo umano fino all’era moderna, attraverso il rapido sviluppo della tecnologia, e le sue tremende conseguenze sulle culture dei cacciatori-raccoglitori sparsi nel mondo.
Ci sono stati però alcuni casi, e qui Diamond fa l’esempio della Cina, in cui però la geografia non ha determinato la storia, seppure ne è stata in parte responsabile. Nel caso appunto della Cina, che aveva tutte le premesse per assumere quel ruolo che è stato poi preso dalla razza bianca, alcune decisioni politiche e strategiche ne hanno determinato nei secoli scorsi l’isolamento piuttosto che l’espansione, a riprova che anche le scelte politiche e culturali, e non solo la geografia, possono influenzare il destino di un popolo e in definitiva del mondo. Diamond sostiene che in questo caso la geografia della Cina ha comunque contribuito a permettere che il paese non tornasse rapidamente ad una politica espansionistica. La Cina, a causa della assenza di barriere geografiche interne, era diventata un unico grande stato già nel 221 a.C. Inoltre non aveva dei vicini agguerriti. Una scelta strategica errata poteva rimanere tale per secoli senza che sorgessero ragioni per revocarla. Diversa era la situazione dell’Europa, la cui geografia ha favorito il sorgere di molti stati nazionali in feroce competizione. Una scelta sbagliata di uno di questi stati lo poneva in breve tempo in svantaggio competitivo con i vicini imponendogli di cambiare strategia, oppure determinandone la sopraffazione da parte degli stati confinanti.
Malattie
Durante la conquista delle Americhe, il 90% delle popolazioni indigene sono state uccise dalle malattie introdotte dagli europei.
Come mai allora le malattie originarie del continente americano non hanno sterminato gli europei? Diamond spiega che i germi che hanno sterminato le popolazioni americane si sono potuti sviluppare grazie a due condizioni:
- lo stretto contatto degli uomini con gli animali domesticabili, possibile in Eurasia e non nelle Americhe che non avevano specie animali domesticabili. Molte malattie sono dovute a mutazioni genetiche di germi che infettavano gli animali domestici. Nel corso dei secoli le popolazioni euroasiatiche hanno sviluppato una parziale immunità, ma non così quelle Americane.
- l’alta densità abitativa delle città euroasiatiche e la loro rete di collegamento con altre città, che costituiscono il pre-requisito per la diffusione di epidemie. In società piccole o isolate i germi responsabili di epidemie letali in breve tempo infettano tutta la popolazione. Di conseguenza una parte della popolazione muore, mentre un’altra parte diventa immune. In queste condizioni il germe responsabile della malattia non può sopravvivere. In Eurasia la fitta rete di collegamenti consentiva ai germi di sopravvivere per lunghi periodi prima di ritornate nelle città infettate. Questi patogeni potevano propagarsi di città in città e ritornare ad infettare la città di partenza quando, dopo molti anni dalla precedente epidemia, la popolazione originaria era stata sostituita dalle nuove generazione. Queste, non essendo state infettate, non avevano sviluppato la totale immunità nei confronti della malattia.
Riflessioni socio-politiche
Nel capitolo “Dall’uguaglianza alla cleptocrazia“, l’autore, premessa una disamina delle tipologie di comunità (dalla più semplice, per graduale evoluzione, fino alla più complessa) che hanno segnato lo sviluppo delle collettività umane dalla preistoria ad oggi, pone in rilievo le quattro strategie che – da sempre – permettono ad un’élite di conservare/aumentare il consenso popolare, senza che l’élite stessa debba sacrificare il proprio stile di vita.
- Assicurarsi il monopolio della violenza.
- Ridistribuire la ricchezza, rastrellata con i tributi, in modo da rendere felici gli individui soggetti al potere dell’élite.
- Usare il monopolio della violenza in modo da mantenere l’ordine pubblico, per gratificare, tra l’altro, i “buoni cittadini” che rispettano la legge.
- Fabbricare un’ideologia o una religione adatta a motivare moralmente le persone ad agire secondo gli interessi dell’élite (riguardo a quest’ultima osservazione è inevitabile pensare al concetto marxiano di sovrastruttura).
L’autore sostiene che le comunità meno numerose sono sostanzialmente egalitarie. Spesso c’è un “Big Man“, ma la sua leadership è dovuta unicamente al suo carisma e alle sue capacità di convincere i membri della comunità ad avallare le sue decisioni. Il suo ruolo non è sancito formalmente, né è ereditario. Inoltre il Big Man si procura da sé il proprio cibo come ogni altro membro della comunità. Nelle piccole comunità una “struttura politica” così semplice può funzionare, ma non nelle grandi comunità. Per esempio quando c’è un contrasto tra due membri della comunità molto spesso amici o parenti comuni intervengono a sedarlo ed evitare una escalation di violenza. Nelle grandi comunità è difficile che i due contendenti abbiano amici o parenti in comune. Per questo motivo grandi comunità che non si siano dotate di strutture formali di controllo dell’ordine pubblico (polizia, tribunali, leggi condivise) sono implose. Quello che si osserva è che quando una comunità cresce anche le sue strutture politico-sociali diventano più complesse. In sostanza nasce una classe politica che assume il ruolo di guida, ma non si procaccia direttamente il cibo per il proprio sostentamento. Questa classe politica trae il suo sostentamento dalla ricchezza prelevata dal resto della comunità attraverso tasse e contributi (per es. parte del raccolto). Siamo in presenza di una cleptocrazia, che tuttavia riesce a “mantenersi” perché riesce a soggiogare le classi inferiori o ottenere l’approvazione al proprio operato. A tale scopo l’autore evidenzia alcune delle strategie usate dalla classe politica:
- l’utilizzo della violenza per imporsi, per es. sedando le rivolte
- l’utilizzo della forza per garantire l’ordine pubblico, salvaguardando i “cittadini onesti”
- l’utilizzo di parte delle ricchezze prelevate per realizzare grandi opere pubbliche di cui beneficia tutta la comunità (per es. acquedotti, strade ecc)
- la ridistribuzione di parte delle ricchezze prelevate, per es. durante i periodi di carestia o ai ceti più deboli.
Stile
Il libro rappresenta in un certo senso il tipico testo di divulgazione scientifica statunitense. A differenza di quanto si trova generalmente nei testi di autori europei, Diamond preferisce un approccio piuttosto ridondante, ripetendo più volte lo stesso concetto e tendendo a fare una serie di domande retoriche per avvicinare il lettore alla risposta, oltre a portare sempre molti dati a sostegno delle tesi dell’autore.
Alcuni commenti allo stile del libro
« Jared Diamond… ha una vasta erudizione, e scrive con uno stile che esprime piacevolmente concetti scientifici in un inglese americano vernacolare […] Leggere Diamond è come guardare qualcuno che va su un monociclo, con un birillo sul naso e fa il giocoliere con cinque maialini urlanti. » |
(Alfred Crosby, Los Angeles Times) |
« […] La prosa non è brillante e ci sono spiegazioni e ridondanze di cui si potrebbe fare a meno. Ma è sicuramente una sufficiente risposta alla domanda di Yali e, soddisfacentemente, rende chiaro che la razza non ha niente a che fare con chi sviluppa o non sviluppa la tecnologia. » |
(Kirkus Reviews) |
Nuova edizione accresciuta
Esiste in commercio una nuova versione 2006 del libro (ISBN 88-06-18354-0), che contiene un capitolo aggiuntivo dal titolo Chi sono i giapponesi?, e una Postfazione redatta dall’autore medesimo. L’opera, dunque, si presenta ora come segue.
Capitolo per capitolo
Introduzione di Luca e Francesco Cavalli Sforza, i quali hanno definito l’opera come “un libro destinato a diventare una pietra miliare della ricerca preistorica e storica”
- Prologo – La domanda di Yali
- Parte prima – Dall’Eden a Cajamarca
- I. Sulla linea di partenza
- II. Un esperimento naturale di evoluzione storica
- III. Lo scontro di Cajamarca
- Parte seconda – Come l’agricoltura fu scoperta e perché ebbe successo
- IV. Potere contadino
- V. A chi tutto e a chi niente
- VI. Coltivare o non coltivare?
- VII. Come costruire una mandorla
- VIII. Mele o indiani?
- IX. Le zebre e il principio di Anna Karenina
- X. Grandi spazi e grandi assi
- Parte terza – Dal cibo alle armi, all’acciaio e alle malattie
- XI. Il dono fatale del bestiame
- XII. Alfabeti e modelli
- XIII. La madre delle necessità
- XIV. Dall’uguaglianza alla cleptocrazia
- Parte quarta – Il giro del mondo in cinque capitoli
- XV. Il popolo di Yali
- XVI. Come la Cina divenne cinese
- XVII. In Polinesia col vento in poppa
- XVIII. Scontro di emisferi
- XIX. Come l’Africa divenne nera
- Epilogo
- Il futuro della storia come scienza
-
- Chi sono i giapponesi? (2003)
- Postfazione (2003)
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LA SESTA TAPPA DEL COLLASSO
Postato il Venerdì, 08 novembre @ 09:15:00 CET di ernesto
DI DMITRY ORLOV
cluborlov.blogspot.it
Lo ammetto: nel mio ultimo libro, I cinque stadi del collasso, ho guardato alla fine del mondo con gli occhiali rosa.
Ma forse posso essere perdonato per questo peccatuccio, è solo la natura umana che cerca di trovare un pò di ottimismo in qualsiasi cosa. Poi, come ingegnere, cerco sempre una soluzione ai problemi. E così ho quasi inconsciamente spiegato una situazione in cui la civiltà industriale svanisce abbastanza rapidamente per salvare quel che resta del regno naturale, permettendo a qualche scampolo di umanità di ricominciare.
Idealmente tutto potrebbe cominciare con un crollo finanziario globale, innescato da una catastrofica perdita di fiducia in tutti gli strumenti della finanza globalizzata.
Questo porterebbe rapidamente ad un collasso dei commerci dovuto alla rottura della catena di fornitura globale e ad un effetto domino . Se si fermassero tutte le attività, le entrate fiscali si ridurrebbero a zero , e ne seguirebbe un collasso politico su vasta scala, a tutti i livelli, permettendo a piccoli gruppi di persone di ritornare a varie forme di anarchia, ad una forma autonoma di autogoverno. Qualche gruppo con una certa coesione sociale troverebbe un accesso diretto alle risorse naturali e alla ricchezza culturale ( con relazioni interpersonali e ritornando alle tradizioni orali) e sopravviverebbe, mentre il resto degli uomini scomparirebbe in poco tempo.
Naturalmente , ci sarebbero problemi anche in questo scenario. Prendiamo, per esempio , il problema del “dimming” globale.
Il fenomeno può essere spiegato facilmente: la luce solare viene riflessa nello spazio dalla nebbia nell’ atmosfera e dalle particelle generate dalla combustione di combustibili fossili, riducendo la temperatura media globale di ben più di un grado Celsius ( il blocco del traffico aereo seguito agli attacchi terroristici dell’11 Settembre ha permesso agli scienziati del clima di misurare questo effetto). Se le attività industriali dovessero fermarsi improvvisamente , la temperatura media globale farebbe un balzo verso l’alto di un paio di gradi Celsius, cosa questa considerata molto, molto male davvero.
In secondo luogo, anche se tutta l’attività industriale dovesse finire domani , il riscaldamento globale , attribuibile per il 95 % alle attività umane, dal più recente ( piuttosto conservatore e prudente) rapporto dell’IPCC , dovrebbe continuare a ritmo sostenuto per buona parte del prossimo millennio , portando il clima della Terra ad un livello senza precedenti dalla nascita della specie umana.
Su un pianeta come questo, dove l’oceano, all’equatore, sarà più caldo di una vasca idromassaggio e gli alligatori popoleranno le zone artiche, la nostra sopravvivenza come specie umana sarà tutt’altro che assicurata.
Eppure , guardiamo le cose con ottimismo, noi siamo molto adattabili.
Sì , i mari saliranno e inonderanno le zone costiere dove oggi abita più della metà della popolazione.
Sì , terreni agricoli nell’entroterra diventeranno aridi e saranno spazzati via e travolti dalle piogge torrenziali periodiche.
Sì , i tropici prima, e le latitudini temperate poi, diventeranno troppo caldi e tutti quelli che ci vivranno moriranno per i colpi di calore . Ma se questo processo durerà per secoli, solo pochi qualche banda di superstiti e di tribù più forti troverà il modo per migrare più a nord e imparare a sopravvivere inventandosi una qualche esistenza in equilibrio con quello che resterà dell’ecosistema.
Possiamo provare a capire come potrà essere questa sopravvivenza leggendo la storia del passato.
Quando il capitano James Cook sbarcò sulle coste australiane fu il primo uomo bianco ad incontrare gli aborigeni, che avevano fino a quel momento vissuto in perfetto isolamento per qualcosa come 40.000 anni . (Arrivarono in Australia circa nello stesso periodo in cui l’uomo di Cromagnons cacciò l’uomo di Neanderthal in Europa ) . All’epoca gli aborigeni parlavano una miriade di lingue e dialetti diversi , senza possibilità, né motivo di un qualsiasi tipo di unità . Vivevano senza vestiti e utilizzavano solo piccoli rifugi di fortuna per ripararsi. Avevano pochi strumenti oltre al bastone per scavare e cercare radici commestibili e per catturare qualche pesce. Non avevano scorte né magazzini e non conservavano nemmeno il minimo da utilizzare un giorno per l’altro. Non avevano interesse né per gli oggetti materiali di qualsiasi tipo , né per gli scambi commerciali, e benché avessero accettato dei vestiti e altri regali , li gettarono via appena Cook e il suo equipaggio furono lontani dalla loro vista.
Erano , osservò Cook nel suo diario , del tutto inoffensivi , ma certe azioni degli uomini di Cook li facevano infuriare . Si offesero nel vedere che gli uccelli venivano catturati e messi in gabbia, e chiesero di lasciarli immediatamente liberi.
Mettere in gabbia chiunque , animale o persona , era per loro “tabù” . E si infuriarono ancora di più quando videro gli uomini di Cook catturare non solo una, ma diverse, tartarughe. Le tartarughe sono animali che crescono lentamente ed è facile annientare la loro popolazione con un bracconaggio indiscriminato, motivo per cui era consentito solo prendere una tartaruga alla volta , e solo da una persona appositamente designata , responsabile per il benessere delle tartarughe.
Cook li considerò uomini primitivi, ma era lui a non capire.
Sapendo quello che sappiamo oggi, gli aborigeni ci sembrano abbastanza avanzati . Vivendo su un’isola enorme , per lo più arida e sterile, con poche piante autoctone di un qualche interesse agricolo e senza animali addomesticabili , avevano capito che la loro sopravvivenza era strettamente legata all’equilibrio del regno naturale circostante . Per loro, gli uccelli e le tartarughe erano più importanti di loro stessi, perché questi animali avrebbero potuto sopravvivere senza di loro , ma nessun uomo avrebbe potuto sopravvivere senza questi animali.
Averli chiamati “esseri primitivi” è un bell’esempio di colossale primitivismo culturale . Alla Conferenza – ‘L’età dei Limiti”– tenutasi all’inizio di quest’anno , a un certo punto la discussione si spostò sul perché il regno naturale deve essere protetto anche a costo della vita umana . ( Per esempio: possiamo permettere ai bracconieri di cacciare nei parchi protetti, se le loro famiglie stanno morendo di fame ?)
Un tizio, sdraiato su una sedia di fronte al podio, disse la sua opinione più o meno in questo modo: ” Vale la pena sacrificare ogni singolo animale pur di salvare anche una sola vita umana!” . Questa affermazione mi tolse il fiato, per me era un pensiero così primitivo che il mio cervello si rifiutava di funzionare ogni volta che cercavo di rispondergli . Dopo aver lottato con me stesso per un pò , ecco le mie considerazioni
Vale la pena distruggere tutta una macchina per salvare solo il volante ? A che serve un volante senza un’auto? Beh, suppongo che , se si è particolarmente stupidi o inesperti, ci si può giocare fingendo di essere su una macchina e facendo ” Vroom vroom ” con la bocca.
Diamo un’occhiata a questa domanda da un punto di vista economico , per il fatto che gli economisti tendono a pensare al regno naturale solo in termini di valore economico . Questa è la stessa cosa di quando guardiamo al nostro corpo in termini di contenuto nutrizionale , e quanto può farci star bene un buon pasto .
Certo, volendo guardare al pianeta dallo stesso punto di vista, la cosa non funziona bene perché si tratta dell’unico e solo pianeta vivente che noi usiamo come un magazzino di materie prime da saccheggiare. Ma poi si scopre che la maggior parte della nostra “ricchezza” in termini economici deriva proprio dai “servizi eco-sistemici” che riceviamo senza pagarli.
C’è acqua abbastanza pulita per bere, aria abbastanza pulita per respirare , un ambiente con una temperatura né troppo fredda né troppo calda che permette la sopravvivenza dell’umanità in gran parte del pianeta , ci sono foreste che purificano e umidificano l’aria e rendono la temperatura sulla terra moderata , ci sono le correnti oceaniche che disciplinano gli eventi climatici estremi e permettono di coltivare i campi, ci sono gli oceani (che erano ) ricchi di pesci , ci sono i predatori che mantengono l’equilibrio tra le specie ecc…..
Se fossimo costretti a usufruire di questi stessi servizi pagandoli , andremmo immediatamente in bancarotta , e poi , in breve tempo, ci estingueremmo .
Il nostro problema più grande non è che non possiamo trasferirci su altri pianeti , è che non ce lo possiamo permettere. Se potessimo dare un valore alla ricchezza naturale trattandola come una attività economica ci renderemmo presto conto che l’uomo distrugge continuamente molta più ricchezza di quanta ne crei, quindi l’economia è un gioco a somma negativa . Poi andremmo a scoprire anche che non sappiamo nemmeno come funzionano questi ” servizi degli eco-sistemi ” né quale sia il loro giusto equilibrio e che possiamo solo prendere atto che è tutto complicato e interconnesso in modo sorprendente e imprevedibile .
Così, il buon uomo, che alla conferenza era disposto a sacrificare tutte le altre specie per il bene della sua, non potrebbe mai essere abbastanza sicuro che tra le specie che sarebbe disposto a sacrificare non sia compresa anche la sua.
Inoltre, vale la pena ricordare che, di fatto , stiamo sacrificando la nostra specie da parecchi secoli, per amore di qualcosa che chiamiamo “progresso”. Capitan Cook navigò intorno alle isole del Pacifico per ” scoprire” che i polinesiani le avevano scoperte molti secoli prima . La sua ciurma di marinai ubriachi e avidi diffusero malattie veneree , alcolismo e corruzione , lasciando rovine sulla loro scia ovunque andassero.
Dopo la peste portata dai arrivò quella portata dai missionari , che fecero indossare alle donne tahitiane, che andavano a seno nudo, dei vestiti da “vecchie puritane” e cercarono di spiegare che la fornicazione era contro la legge. Mai tahitiani avevano una cultura sessualmente avanzata ed avevano una dozzina di termini diversi per definire la fornicazione , a seconda di ogni atto sessuale. Così i missionari incontrarono un problema tecnico : vietare qualsiasi atto sessuale non avrebbe risolto niente, mentre un divieto che elencava tutti gli atti sessuali praticabili sarebbe stato letto come un altro Kama Sutra . Invece i missionari scelsero di promuovere una propria “griffe del sesso : La Posizione del Missionario “, che si spiega facilmente con due sole posizioni – sopra e sotto . E’ una posizione base che è meglio di una doccia fredda, meglio di mettersi un rossetto blu o di non respirare .
Dubito comunque che a Tahiti l’abbiano usata molto.
I tahitiani continuano ad esistere, ma molte altre tribù e molte culture si estinsero, o continuano ad esistere in piccole comunità, tanto depressi da non essere interessati a fare altro che bere birra, fumare e guardare la televisione.
E quale gruppo ha avuto più successo? È stato quello che ha causato i danni maggiori. Così, la retorica sul “salvare la nostra specie dall’estinzione “ sembra piuttosto fuori luogo : per parecchi secoli abbiamo fatto tutto il possibile per spingere la nostra specie verso l’estinzione nel modo più efficiente possibile e non vogliamo nemmeno cambiare direzione, perché questo “sarebbe da incivili”.
Perché, vedete , noi siamo persone colte , istruite, civili.
I lettori di questo articolo sono persone particolarmente illuminate, sanno di economia e dei problemi ambientali , il loro progressismo poggia sui tre pilastri che sostengono lo schema finanziario di Ponzi (1), , sono contrari alle devastazioni ambientali e sono abituati a mangiare deliziosi alimenti biologici coltivati a Km Zero .
Tutti noi vogliamo sopravvivere al collasso ambientale, a condizione però che la strategia scelta per sopravvivere lasci uno spazio a principi come multiculturalismo , parità di genere – lesbiche, gay,i bisessuali, transgender , – amicalità e nonviolenza . Non siamo disposti a spogliarci e vagare nudi per le savane con un bastone per scavare tuberi commestibili . Preferiamo sederci intorno ad un tavolo e discutere di tecnologia verde, davanti a un bicchiere di birra ( ovviamente artigianale e fatta sottocasa), forse divagando di tanto in tanto , per capire bene le anche le opinioni di un qualsiasi Ped-erasmus da Ulm sui corsi e ricorsi infiniti e gloriosi della storia umana .
Noi non vogliamo cambiare il nostro modo di vivere, per vivere in armonia con la natura , vogliamo che la natura viva in armonia con noi , mentre continuiamo a vivere a modo nostro, come sempre.
Nel frattempo , stiamo continuando a fare la guerra contro i superstiti delle tribù che un tempo vivevano in equilibrio con la natura , offrendo “istruzione”, “sviluppo economico” e la possibilità di giocare un ruolo, pur se minore, nel nostro rovinoso gioco della vita in cui abbiamo sempre perso, almeno in economia. Viste le alternative tra cui scegliere, spesso queste popolazioni hanno mostrato una propensione a non fare nulla e a restarsene ubriachi. Cosa che sembra una scelta perfettamente razionale, quantomeno minimizza il danno.
Ma il danno potrebbe già essere stato fatto.
Ecco un paio di esempi dei danni prodotti, ma se questi non bastassero a far capire, ce ne sono tanti altri …..
1.
Per verificare il primo esempio basta comprarsi un biglietto aereo per un paradiso tropicale qualsiasi e andarsene in un resort sul mare e svegliarsi presto la mattina e andare a guardare la spiaggia .
C’è un sacco di gente con la pelle scura , con carriole , secchi , pale e rastrelli che ripuliscono dai rifiuti del mare che si sono depositati sui surf durante la notte, lavorano per dare alla spiaggia un aspetto pulito, sicuro e presentabile per i turisti . Poi camminando lungo la spiaggia lontano dai villaggi turistici e dagli alberghi , dove nessuno rastrella o pulisce, troverete tanti di quei rifiuti che è quasi impossibile continuare a camminare sulla spiaggia. In mezzo ci sarà un po’ di materiale di origine naturale, come legno o alghe , ma la maggior parte dei rifiuti è composto di plastica.
Guardando bene si scopre che è una montagna piena di polipropilene, nylon, corde e boe di polistirolo galleggianti usate dall’industria della pesca . Poi si troverà una vasta gamma di recipienti monouso come creme abbronzanti, bottiglie di shampoo , flaconi di detersivi , bottiglie d’acqua , contenitori per fast food ecc.. Tifoni e uragani hanno un interessante effetto organizzatore sui rifiuti di plastica e separano mucchi di taniche di olio motore, accanto a mucchi di roba di plastica, a mucchi di bottiglie dell’acqua , come se qualcuno effettivamente si fosse preso la briga di metterli in ordine . Su una spiaggia vicino a Tulum in Messico una volta ho trovato una intera collezione di sandali di plastica per bambini , tutti di colori, stili e annate diverse.
Le buste di plastica restano sulla spiaggia e si bio-degradano nel tempo, si scoloriscono e si rompono in pezzetti sempre più piccoli con il risultato finale di diventare una schiuma di plastica microscopica , che può infestare l’ambiente per secoli. Distruggendo così l’ecosistema perché una molti animali confondono le particelle di plastica per cibo e le ingoiano, il . loro apparato digerente si intasa muoiono di fame . Questa è la devastazione che continuerà per molti secoli e che è già iniziata : il mare sta morendo. Su grandi aree di oceano , le particelle di plastica sono molto più estese del plancton, che costituisce la base della catena alimentare marina.
Ma la devastazione che provoca la peste della plastica continua anche sulla terra . Di solito si bruciano insieme materiali sanitari e rifiuti di plastica, perché riciclarli costerebbe troppo. La plastica può essere incenerita in modo relativamente sicuro e pulito , ma portando i forni a temperature estremamente alte, e solo in strutture specializzate . Le centrali elettriche possono bruciare plastica come combustibile , ma i rifiuti di plastica sono una fonte di energia diffusa che occupa un sacco di spazio e la spesa energetica e la manodopera che servono per trasportarli fino alle centrali elettriche sono troppo alti e spesso non conviene. Così tanti rifiuti di plastica vengono bruciati in fosse all’aperto , a basse temperature , e liberano nell’atmosfera una vasta gamma di sostanze chimiche tossiche , tra cui quelle che influenzano il sistema ormonale degli animali .
Gli effetti principali sono anomalie genitali, sterilità e obesità. L’obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche in molte parti del mondo e colpisce non solo gli esseri umani , ma anche altre specie .
Eccolo , allora , questo è il nostro futuro : impianti chimici che continuano a sfornare materiali sintetici, la maggior parte dei quali si infiltrano nell’ambiente e lentamente lo distruggono con il loro carico di tossine . Mentre questo accade, le persone e gli animali per gli stessi motivi diventano obese , come bolle senza sesso . Prima scoprono che non riescono più a dare alla luce figli maschi fertili e questo sta già succedendo perché il numero degli spermatozoi umani sono in calo in tutto il mondo “ sviluppato” . Poi non riusciranno far nascere nemmeno bambini normali – cioè :maschi senza anomalie genitali . Alla fine non nessuno potrà avere figli maschi, come è già successo ad un certo numero di specie marine .
Poi l’estinzione.
Non ci sarà bisogno di nessun disastro e di nessun incidente eclatante perché si arrivi ad uno scenario di questo genere, basterà andare avanti come al solito .
Ogni volta che si acquista una bottiglietta di shampoo o una bottiglia d’acqua o un panino che viene avvolto in plastica o sigillato in una scatola di vinile , si aiuta ad avvicinarci al disastro un po’ di più . Basta solo quello che industria petrolchimica (che produce materiale per incartare il cibo) e impianti chimici (che trasformano petrolio e gas in plastica) continuino a funzionare normalmente. Non sappiamo se la quantità di materie plastiche e tossine associate, già presenti nell’ambiente siano sufficienti a determinare una nostra eventuale estinzione .
Ma noi certamente non vogliamo rinunciare alla chimica di sintesi per tornare a come vivevamo prima del 1950, perché …. il business ne risentirebbe .
Probabilmente nessuno vuole arrivare all’estinzione, ma tutti sanno che prima o poi, dovrà succedere ….. beh allora, prima che accada, meglio vivere in un modo confortevole e civile fino alla fine.
E la vita senza i sintetici moderni sarebbe scomoda . Vogliamo i pannolini e i pannoloni foderati di plastica sia per i bambini che per i vecchi !
Questo modo di pensare relega chi ha maturato una coscienza per la sopravvivenza , in un mondo astratto , in un livello impersonale , come se desiderasse che si verifichi al più presto un collasso finanziario, commerciale e politico globale. Sembra che si auspichi uno scenario catastrofico con una istantanea e massiccia perdita di fiducia e con la diffusione del panico nei mercati finanziari che livellasse tutte le piramidi del debito e bloccasse la creazione di credito . Il commercio si interromperebbe bruscamente perché nessuno avrebbe finanziamenti da investire . Nel giro di poche settimane , le catene di approvvigionamento globali si fermerebbero e nel giro di pochi mesi , le attività commerciali ferme provocherebbero la diminuzione a zero delle entrate fiscali e l’utilità dei governi diverrebbe irrilevante ovunque.
Nel giro di pochi anni , i restanti pochi sopravvissuti diventerebbero come Capitan Cook vide gli aborigeni australiani: quasi del tutto inoffensivi .
Una delle prime vittime del crollo sarebbero le idustrie energetiche , che sono tra le maggior imprese ad alta intensità di capitale . Poi seguono le aziende chimiche che producono materie plastiche e altre sostanze chimiche di sintesi e materiali organici: se i prodotti alla base dell’industria petrolchimica non fossero più disponibili , sarebbero costretti a bloccare la produzione .
Se siamo fortunati , tutta la plastica che si trova nell’ambiente non basta ancora per portarci tutti all’estinzione. La popolazione umana potrebbe diminuire se si arrivasse ad una decina di femmine riproduttrici (da un’analisi del DNA mitocondriale questo è il numero che sopravvisse all’Era Glaciale ), ma in una decina di millenni il clima si sarà probabilmente stabilizzato e l’ecologia della Terra si sarà rinvigorita come la popolazione umana . Forse non potremmo mai più raggiungere una civiltà tecnologica complessa , ma almeno potremo cantare e ballare , avere dei figli e , se fortunati , anche invecchiare in pace .
2.
Questo era lo scenario più semplice. Il prossimo esempio rende discutibile la possibilità di un crollo rapido e profondo. I primi sintomi vengono dalla fusione nucleare avvenuta negli impianti di Fukushima , in Giappone . Contrariamente a quanto il governo giapponese avrebbe voluto far credere a tutti, la situazione non è sotto nessun tipo di controllo . Nessuno sa che fine abbia fatto il combustibile nucleare uscito dai reattori che si sono fusi . E’ andato verso la Cina, c’è una Sindrome cinese ?
Poi c’è la piscina di combustibile nucleare esaurito , che è piena e che perde . Se l’acqua che lo raffredda evaporasse, le barre di combustibile in fiamme si fonderebbero e / o esploderebbero e poi , secondo alcuni esperti nucleari , sarebbe il momento di evacuare tutto l’emisfero settentrionale. Il sito di Fukushima è talmente radioattivo che i lavoratori non possono avvicinarsi se non per pochissimo tempo , il che rende piuttosto fantasioso pensare che siano in grado di mantenere la situazione sotto controllo , né ora né mai . Ma possiamo essere sicuri che alla fine l’edificio, già gravemente danneggiato, in cui si trova il combustibile nucleare esaurito, crolli e , spargendo il suo contenuto, dia l’avvio alla fase due del disastro . Dopo di che non ci sarà nessuna possibilità per nessuno di andare a Fukushima , se non per morire di malattie da radiazioni .
Si potrebbe pensare che Fukushima sia il peggiore dei casi, ma impianti proprio come Fukushima punteggiano il paesaggio in gran parte del mondo sviluppato . Di solito sono stati costruiti vicino ad una fonte di acqua , che serve per raffreddare e per alimentare le turbine a vapore . Molti di quelli costruiti sui fiumi corrono il rischio di prosciugarli. Molti di quelli costruiti sul mare sono a rischio di inondazioni per l’innalzamento del livello degli oceani , delle mareggiate e degli tsunami . In genere, hanno creato delle piscine piene di scorie nucleari a caldo , perché nessuno ha trovato un modo per smaltirle. Tutti questi impianti avranno bisogno di energia per ancora molti decenni , per non rischiare di finire fusi proprio come Fukushima . Se si verificherà un certo numero di questi incidenti, allora si abbasserà il sipario sugli animali, come noi stessi, perché la maggior parte di noi morirà di cancro prima di raggiungere la maturità sessuale , e quelli che resisteranno non saranno in condizioni di produrre prole sana .
Una volta sono passato dall’aeroporto di Minsk , dove ho incrociato un gran gruppo di ” bambini di Chernobyl “ in viaggio per la Germania per cure mediche. Li ho guardati bene, e la loro immagine mi accompagna sempre. Quello che mi ha scioccato di più è la grande varietà delle anomalie dello sviluppo che si potevano vedere.
Non sembra che arrivare al collasso della civiltà industriale globale e abbandonare gli impianti nucleari a se stessi sia una buona opzione, perché segnerà il nostro destino.
Ma l’alternativa è quella di “continuare e fingere” e “continuare a dare calci ai barattoli per strada ” mentre si continua a distruggere l’ambiente in tutti i modi pur di mantenere in attività le industrie : fracking idraulico , estrazione di sabbie bituminose , perforazioni nell’Artico ecc. . E nemmeno questa non è una buona opzione, perché segnerà il nostro destino in altri modi .
E così sembra che non ci potrà essere un lieto fine alla mia storia delle cinque fasi del collasso, le prime tre (finanziaria , commerciale , politica ) sono inevitabili , mentre le ultime due ( sociale e culturale ) dipendono da noi ma, ahimè , in molte parti del mondo sono già arrivate alla fine della strada.
Perché, vedete , c’è anche la sesta tappa che finora ho evitato di dire – il collasso dell’ambiente – che potrebbe lasciarci senza casa , perché avremo reso la Terra ( il nostro pianeta ) inabitabile.
Questo tragico esito potrebbe non essere inevitabile . E se non fosse inevitabile , allora questo sarebbe veramente l’ unico problema che vale ancora la pena risolvere .
La soluzione potrebbe avere dei costi quasi inimmaginabili sia in vite umane che in ricchezze, ma vorrei umilmente suggerire che può valere la pena spendere tutto il denaro del mondo e anche un paio di miliardi di vite umane perché se non si trova una soluzione , quel tesoro e quelle vite umane sarebbero perse comunque.
Bisogna trovare una soluzione per evitare la sesta tappa, ma non si può sapere dove può portarci questa soluzione. Trovo pericoloso credere disinvoltamente che il collasso ci accompagnerà mentre noi continuiamo a pensare ai nostri problemi. Qualcuno potrebbe cominciare a sentirsi tanto depresso da farsi venire voglia di sdraiarsi ( comodamente su qualcosa di caldo e morbido ) e lasciarsi morire .
Ma qualcun altro potrebbe aver ancora la forza di lottare ed avere il desiderio di lasciare un pianeta in cui potranno sopravvivere i propri figli e nipoti . Ma non dobbiamo aspettarci che si useranno metodi convenzionali , ortodossi, rispettosi, educati e ragionevoli con gli “esuberi”.
Speriamo solo che abbiano un piano , e che lo portino avanti. .
Note :
1. Lo schema di Ponzi è una semplice tecnica alla base di molte truffe finanziarie. Si tratta di una specie di catena di Sant’Antonio che assicura alte entrate a breve termine ai primi investitori grazie alle sottoscrizioni degli ultimi arrivati. Il truffatore sfrutta l’avidità delle persone, pronte a cullarsi nell’illusione di essere di fronte a un mago della finanza, in grado di procurare alti guadagni con pochissimi rischi.
Dmitry Orlov
Fonte: http://cluborlov.blogspot.it/
Link: cluborlov.blogspot.it/2013/10/the-sixth-stage-of-collapse.html
22.10.2013
Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di Bosque Primario
Eroina nella strategia della tensione italiana
Quello che fecero con l’eroina, adesso lo fanno con slot e pornografia che distruggono completamente
la sfera umana dei sentimenti in ambito personale
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Che Tempo che Fa, 13 ottobre 2013: Renzo Piano
20.33 Preferisce essere chiamato architetto, si sente più preparato. Ma racconta della grande emozione provata entrando in Senato: “Un orgoglio civile, non un orgoglio personale”.
20.34 Quale il rapporto tra arte e politica? “La politica è un’arte. Io penso sempre al giuramento della Polis, in cui i politici giuravano di consegnare al termine del mandato un’Atene migliore di quella che avevano ricevuto”. Come oggi proprio, eh.
20.36 “L’Italia è per forza una culla delle cultura, perché ha la testa in Europa e i piedi in Africa”.
20.37 Si parla dunque del progetto delle città del futuro: per lui sono le periferie. “Spesso non sono fotogeniche, ma sono ricche di umanità. Il destino delle città è nelle periferie. La nostra generazione ha fatto un po’ di disastri su quello che ci hanno lasciato i nostri avi, ma i giovani devono guardare alle periferie”.
20.39 Il suo concetto non è ‘ampliare’ le periferie, ma completarle, raffinarle, ma non estenderle, anche perché bisogna tutelare la fragilità del nostro territorio. “Il nostro Paese ha bisogno di un’opera ciclopica di ‘rammendo’, sul fronte idrogeologico, sismico. E come una casa bella ma mai manutenuta”.
20.41 La sua bellezza, la sua idea di bellezza è nell’urbanità, nel costruire luoghi di incontro.
20.42 Perché da noi non si punta sulle energie alternative? E’ uno dei grandi misteri. “Se mettiamo insieme la bellezza paesaggistica, quella costruita e la bellezza del suo popolo, l’Italia è imbattibile”.
20.43 “La bellezza è come il silenzio, come lo evochi sparisce. Ma quella dell’Italia non è fatta di cipria, di superficie, ma profonda, di cultura. Che non è affatto inutile. Ed è quello che deve dare la forza ai giovani”. Un discorso molto ‘politico’ nota Fazio.
20.44 La differenza tra buon lavoro e un bel lavoro? “Il buon lavoro è bello anche dentro…”.
20.46 Fazio ricorda che la prima barca che ha costruito era sbagliata. “Non l’avevo disegnata io, ma la costruì. E non passava per la porta del garage”. Aveva 18 anni, eh.
20.47 “Si parla tanto di local, ma quando lavori sulle radici, che ti porti sempre con te, diventa il tuo universale”.
20.48 Perché non ha votato la fiducia? “Perché ero a New York. Ma ho intenzione di onorare le istituzioni. Io ho un ufficio a Roma, ed è la prima volta che ho un ufficio e ci andrò. E questo è proprio il mio progetto più ambizioso. Ma quello che ha colpito me e le matricole è che è un impegno a vita: non è una corsa, è una maratona”.
20.49 “Qualche gentile critico ha parlato di me e di noi senatori a vita come una ‘pedina’ nelle mani di qualcuno: ma figuratevi se io o Carlo Rubbia possiamo diventare pedine di qualcuno! Nessuno di noi si farà mai usare”.
20.51 Darà il suo emolumento da senatore per girarli a giovani progettisti per il consolidamento di istituti pubblici, scuole in primis.
20.51 “I mestieri di grande responsabilità penso debbano essere retribuiti. Questo depauperamento della politica mi preoccupa, temo livelli alla mediocrità”: così Fazio, che mi sa lancia già frecciate al prossimo ospite…
20.53 “E’ importante che i giovani non si abituino alla mediocrità” dice Piano che non fa che parlare di giovani, giovani, nuovi mestieri per i giovani, ai quali lui sta e vuole lavorare. “Mi domando se questo sia possibile in un Paese che si sta ripeigando su se stesso, che si autocommisera, fino all’autodistruzione”. E il consiglio è sempre lo stesso: viaggiare, per conoscere e capire gli altri. E capire che la diversità è un valore, non un problema”. E per capire anche quanto sia bella l’Italia, alla quale siamo fin troppo abituati.
21.00 Brunetta: “Posso dire una cosa? Bellissima intervista politica a Renzo Piano”; Fazio: “Beh sì, politica ALTA”. Si inizia alla grandissima.
20.55 “Pubblicità, sennò ci danno la multa”: altra frecciata?
AVVOLTOI FINANZIARI CONTRO L’ARGENTINA
Postato il Lunedì, 14 ottobre @ 00:10:00 CEST di Truman
strategic-culture.org
Gli avvoltoi finanziari sono una particolare categoria di possessori di titoli di debito (debt holders) nei paesi alle periferie del capitalismo globale. Innanzi tutto, sono holders che possiedono solo una piccola percentuale del debito sovrano di un paese. In secondo luogo, essi sono per lo più holders secondari, il che significa che acquistano titoli dai creditori originali. In più godono del sostegno non ufficiale delle corti occidentali. Infine, sono i fondi speculativi a giocare il ruolo di avvoltoi. Le altre istituzioni si astengono da saccheggi finanziari così ovvi, nel timore di rovinarsi la reputazione.
Il fondatore iniziale dei “fondi avvoltoio” specializzato nei debiti sovrani si crede che sia Paul Singer, un miliardario americano di New York. Nel 1977 creò il fondo di investimento Elliot Associates, che riuscì a derubare diverse nazioni povere. Al momento, ci sono almeno 40 cause intentate da nei tribunali da “fondi avvoltoio” nei confronti dei paesi nelle periferie del capitalismo globale. Sono riusciti a strizzare un gran numero di paesi e ricavarci somme considerevoli. Secondo un rapporto del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e della World Bank, almeno 11 paesi in via di sviluppo sono diventate vittime degli avvoltoi finanziari specializzati nei debiti sovrani.
Avvoltoi in America Latina
Si ritiene che lo sviluppo di tecniche di saccheggio finanziario, incluse quelle relative al debito sovrano iniziò in America Latina. Negli anni ’90 gli avvoltoi puntarono il Brasile e il Perù. L’ assalto al Brasile fu organizzato dal rinomato speculatore Kenneth Dart. Nel 1992 Dart iniziò a comprare il debito estero del Brasile al 24-40 % del suo valore nominale. Dopo aver acquistato approssimativamente il 4 % del debito statale (35 miliardi di dollari USA) per 375 milioni di dollari, divenne il più grande creditore privato del Brasile. Tanto per cominciare, lo stato non aveva idea di con chi avesse a che fare, e vide il finanziatore quasi come un benefattore. Dopo un anno, comunque, Dart tirò fuori i denti quando iniziò a dialogare con gli investitori a proposito di una riorganizzazione del debito estero. Tutti gli investitori approvarono l’idea eccetto Dart. Kenneth Dart si scoprì essere la persona che era riuscita a ricattare un intero governo –il piano di riorganizzazione non poteva andare avanti senza di lui. Citicorp, Citibank, Banco di Brasil e altri investitori provarono a convincerlo, ma senza successo. William Rhodes, vicepresidente della Citicorp, si incontrò segretamente con Dart in una pista d’ atterraggio privata, a New York, per convincerlo a lasciare il Brasile da solo. Ancora nessun risultato. Alla fine il governo del Brasile fu costretto a prendere un accordo in segreto con Dart, ed offrirgli condizioni insolitamente vantaggiose. Dart sentiva già di aver messo il paese all’angolo, e chiese ancora di più. Il risultato fu che il Brasile rischiò il tutto per tutto e riorganizzò il suo debito estero indipendentemente da Dart. In principio aveva già fatto abbastanza soldi durante il processo di riorganizzazione dal momento che ricevette più denaro di quanto ne avesse spesi per comprare i titoli sul mercato secondario. Dart intentò comunque una causa chiedendo che il governo brasiliano pagasse 1,4 miliardi di dollari statunitensi come risarcimento. Dart fu in causa con il Brasile per più di due anni, e nel 1992 gli fu concesso il risarcimento, sebbene fosse significativamente meno di quanto avesse chiesto. Ci sono voci secondo le quali attualmente Dart stia puntando sull’ Ecuador.
Circa nello stesso momento in cui il Brasile veniva depredato da Dart, il già menzionato Paul Singer agiva ai danni del Perù tramite il suo fondo di investimento Elliot Associates. Nel 1996 comprò i titoli di debito peruviani ad un valore nominale di 20 milioni di USD (dollari statunitensi) per un totale di 11 milioni. Successivamente, minacciò di bancarotta il paese se Lima non avesse restituito il denaro con gli interessi. Messo all’ angolo, il governo pagò a Singer 58 milioni di USD nel 2000, più di 5 volte il valore con cui gli speculatori avevano inizialmente comprato i titoli.
La cronologia degli eventi in Argentina
Ad oggi, l’operazione col più alto profilo operata dagli avvoltoi finanziari è quella contro l’ Argentina. Negli anni ’90 il FMI e i media mondiali indicarono l’ Argentina quale modello degno d’essere imitato. Era un esempio del modello di economia liberale sviluppato nel FMI ed introdotto attivamente nel Ministero dell’ Economia argentino ad opera di Domingo Cavallo. Alla fine del 1998 l’ economia argentina entrò in una fase di declino. In cambio di una serie di misure impopolari, inclusi tagli di bilancio e aumento delle tasse, il FMI, la World Bank e la US Treasury fecero al paese diversi prestiti. La crisi finanziaria si intensificò e ci fu un ondata di panico finanziario su larga scala che portò alla crisi politica e sociale del 2001. L’ economia del paese arrivò a un punto morto, il suo debito estero arrivò alla cifra record di 132 miliardi di USD (166 % del PIL), e il governo fu in grado di estinguere il debito (e pagarne gli interessi) solo grazie a una nuova serie finanziamenti esteri.
Alla fine del 2001 il FMI bloccò i nuovi finanziamenti e all’ Argentina non rimase che un’ opzione: dichiarare il default delle obbligazioni per un valore nominale di 95 miliardi di USD (riguardo ai suoi cosiddetti prestiti “privilegiati”, principalmente prestiti da organizzazioni finanziarie internazionali, il paese continuò a rispettare i propri impegni e non dichiarò il default). Un riassetto dei titoli di debito in Argentina ebbe luogo tra il 2005 e il 2010. Si scambiarono vecchi titoli per degli altri nuovi con uno sconto del 70% (fino a 30 centesimi al dollaro). Possessori di titoli di debito ricevettero bond legati al PIL: più velocemente cresceva l’economia del paese, più i creditori guadagnavano. E’ interessante che la maggior parte, ma non tutti, i possessori dei titoli argentini accettarono di scambiarli con quelli nuovi. Alcuni di loro decisero di vendere le loro obbligazioni a fondi “avvoltoio” per un prezzo decisamente minorato. Alcuni speculatori di lunga data, primariamente il fondo speculativo Elliot Management, sotto la guida del miliardario Paul Singer, videro un’ opportunità di enorme guadagno nella situazione problematica in cui si trovava il governo latino americano. Essi comprarono dunque le vecchie obbligazioni a poco e niente, ed iniziarono a chiedere che l’Argentina ripagasse l’intero debito –fino a 100 centesimi per ogni dollaro. Come ha notato con arguzia un blogger: “i fondi speculativi si sono comportati come una ragazzina viziata che, dopo aver comprato ai saldi un maglione con il 70% di sconto, chiedesse al negozio di riprenderselo e ripagarlo a prezzo pieno”. L’Argentina era finita nella stessa identica situazione in cui Brasile, Perù ed alcuni paesi africani si erano trovati poco tempo prima. Le autorità argentine non si fecero piegare, resistendo ai tentativi di ricatto degli avvoltoi e respingendo le loro pretese. Prima, nel 2005, quando la riorganizzazione del debito stava avendo luogo, centinaia di cause vennero intentate contro l’Argentina, ma il paese era sicuro di essere al sicuro: piccoli prestasoldi difficilmente vincono cause e ancora più difficilmente riescono a mettere le mani sul governo.
Avendo fallito nel tentativo di far pagare all’ Argentina il suo debito al 100%, i fondi avvoltoio americani (NML Capital, Elliot Management) decisero di intentare una causa presso una corte di New York. Nel novembre 2012, la più “imparziale” corte d’America decise che l’ Argentina dovesse pagare ai creditori 1,33 miliardi di dollari statunitensi. Inoltre, prima di trasferire il denaro agli avvoltoi, tutti gli altri ripaga menti del debito vennero sospesi. Al tempo in cui fu annunciata la sentenza della corte, il debito sovrano dell’ Argentina ammontava a circa 24 miliardi di dollari (45% del PIL). Prima del 15 dicembre 2012, l’Argentina fu costretta a pagare 3 miliardi di dollari sulle sue obbligazioni. Gli interessi dei possessori dei nuovi titoli furono discriminati. Gli esperti dicono che la somma di 1,33 miliardi che doveva essere pagata non è che la punta dell’ iceberg. Secondo le loro stime, il volume totale dei titoli (al loro valore nominale originario) nelle mani di coloro che is opposero alla riorganizzazione, ammonta a circa 10 miliardi di dollari statunitensi.
“Colonialismo giuridico”
La decisione della corte di New York è stata un duro colpo per l’Argentina. Dopo la sentenza tutti gli investimenti e ogni affidabilità creditizia del paese precipitarono. Sul finire del 2012 era ormai chiaro per tutti che le armi al servizio dell’egemonia globale americano non erano solo missili e portaerei, ma anche corti americane che avevano esteso la loro giurisdizione a tutto il mondo. In Argentina la decisione della Themis americana fu definita “colonialismo giuridico”. Buenos Aires si rifiutò di rispettare la tale sentenza e presentò un ricorso ai tribunali americani.
Gli avvoltoi finanziari esercitano una grande influenza non solo sulle autorità giuridiche. Sarebbe poi una sorpresa se Paul Singer fosse uno dei principali sponsor del Partito Repubblicano, per esempio? Sfruttando tale influenza, essi cercano di organizzare un blocco dell’ Argentina, senza nemmeno dover ricorrere alle norme legislative per proporre sanzioni, ma semplicemente affidandosi alle sentenze dei tribunali. Tentativi di impadronirsi dei beni esteri argentini sono già stati compiuti più d’una volta. Principalmente tali beni sono costituiti dai trasporti via aria e via terra. Il presidente Cristina Kirchner, per esempio, è impossibilitata di volare verso ovest con il suo aereo presidenziale, dal momento che al primo cenno di Washington, esso sarebbe requisito all’ istante.
Quest’anno, la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito ha accettato di esaminare le proteste dell’ Argentina. Alla fine di agosto 2013, la corte ha annunciato la decisione, probabilmente storica, di revocare il diritto di uno stato sovrano a gestire indipendentemente il proprio debito…
L’ Argentina ha riorganizzato il proprio debito parecchi anni fa, ma ora, a causa della decisione della corte, e nonostante l’annuncio del default in conformità alle regolamentazioni e aver firmato accordi con gli investitori, dovrà pagare agli speculatori americani, che hanno comprato parte del debito sovrano argentino a basso costo, l’intera somma dovuta dalle obbligazioni, come se il default non ci fosse mai stato.
La disputa non è ancora finita, ed all’ Argentina non resta che ricorrere ad un’ ultima via legale –fare ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
La Corte Suprema degli USA potrebbe trasformare ogni paese in una “colonia del debito”
Se l’ Argentina pagasse quanto stabilito dalla corte, costituirebbe un pericoloso precedente. I possessori dei titoli di debito argentini, che avevano accettato una ristrutturazione del debito (equivalente al 97 per cento del valore originale) richiederebbero un ritorno alla situazione originaria. In altre parole, l’ Argentina sarebbe nuovamente stretta nella medesima posizione in cui si trovava nel 2001, alla vigilia del default.
Come dichiarato dall’ economista americano premio Nobel Joseph Stiglitz, il precedente legale riguardante il debito argentino cambia fondamentalmente il concetto moderno di mercato del debito sovrano, e trasforma gli investitori americani in una casta privilegiata di “dei” del sistema finanziario globale, davanti ai quali i debiti assumono un carattere assoluto e irrevocabile. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha espresso la sua perplessità riguardo al precedente costituito dal debito argentino. La decisione priva il FMI della possibilità di guidare i paesi nel riassetto dei loro debiti e fa precipitare gli stati del “terzo mondo” in un buco nero di debiti, senza lasciargli alcuna possibilità.
Nel novembre 2012 (subito dopo la scandalosa decisione della corte di New York) apparve un articolo sul Guardian intitolato “Come fare a liberare la Grecia e l’ Argentina –le nuove colonie del debito?” L’articolo analizzava il diritto di bancarotta delle nazioni, e conteneva suggerimenti per la regolamentazione dei debiti sovrani. Il pezzo è stato scritto dall’ economista sud coreano Ha-Joon Chang, uno dei massimi esperti di sviluppo economico al mondo, ed attualmente professore a Cambridge. Ha-Joon Chang solleva la seguente questione: E’ possibile che un piccolo fondo speculativo porti alla bancarotta uno o anche due paesi? La comunità globale si trova faccia a faccia con un enorme problema etico ed economico. In definitiva, il prezzo da pagare per la bancarotta potrebbe essere altissimo –un nuovo round della crisi economica globale. Il problema è anche che le discussioni con i creditori possono durare svariati anni, spingendo a forza i paesi debitori in una spirale di crisi.
L’ Europa ha tenuto gli occhi chiusi su quello che accadeva in Argentina. Se l’ Argentina ottemperasse alla decisione della corte, sarebbe un grave precedente anche per i paesi membri dell’ UE. Vi ricorderete che il più grande riassetto del debito sovrano in Europa (e forse nel mondo) ebbe luogo nel 2012. Mi riferisco alla Grecia. Un imponente fetta dei possessori di titoli di debito greci accettò i termini della riorganizzazione. Inizialmente, il valore nominale dei titoli fu ridotto del 54%. Successivamente i periodi dei pagamenti e i tassi di interesse furono rivisti. In totale le obbligazioni sui titoli di debito greci furono ridotte del 70-75%. Il debito greco, semplicemente tramite una revisione del valore nominale dei titoli, si ridusse di 107 miliardi di euro. Sarebbe stato tutto a posto, ma la sfortuna fu che un esiguo numero di possessori di titoli (non più del 3-4%) non accettarono la revisione. Alcuni di essi hanno intentato svariate cause nello scorso anno. Il precedente argentino ha aumentato le loro chance di vittoria, e nel caso la avessero, l’ intero riassetto del debito greco (furono cancellati circa 107 miliardi di euro) potrebbe essere soggetto a un’ ulteriore revisione. Avrebbe inizio un tumulto finanziario globale, le cui conseguenze sono difficili da predire. Nel febbraio 2013, il ministro argentino dell’ economia, Hernàn Lorenzino, ha fatto notare che la decisione a favore dei quel 7% di creditori che vorrebbero i loro titoli ripagati a prezzo pieno non è corretta nei confronti del restante 93% che aveva votato per il riassetto. Secondo Lorenzino “la domanda fondamentale è se la riorganizzazione del debito sovrano, una necessità con cui potrebbero trovarsi faccia a faccia altri paesi nel mondo, abbia o no un futuro”.
Sono necessarie procedure internazionali per risolvere le controversie del debito
Fino ad ora le clausole di azione collettiva (CAC) erano state usate in casi di imminente default nei quali il debitore suggerisse le condizioni per una ristrutturazione del debito. La questione viene messa ai voti. Se la maggioranza dei possessori di titoli (in genere tra i due terzi e i tre quarti) si trovano d’accordo sulla ristrutturazione, allora l’ obbligo di adottare le misure convenute ed aderire al programma fissato si applica a tutti i creditori. Negli ultimi 10 anni praticamente ogni paese ha emesso titoli secondo le CAC. E’ diventata la norma. Ad ogni modo, le regole delle CAC sono state bersagliate (legalmente) dagli avvoltoi finanziari.
Negli anni 90, era nell’ aria l’ idea di creare un ente internazionale che facilitasse le soluzioni delle dispute a proposito del debito sovrano. Dopo la crisi in Argentina, ci fu un tentativo di creare un unico meccanismo internazionale che assicurasse un giusto riassetto del debito, ma l’ amministrazione Bush pose un veto sul progetto.
Ha-Joon Chang crede che nella gestione dei casi di bancarotta andrebbero introdotte le consuetudini del diritto d’ impresa. Un soggetto dovrebbe tornare indietro alle sopra menzionate CAC dopo aver concluso gli accordi internazionali (convenzioni). L’ economista coreano non è il solo a pensarla così: gli analisti iniziano sempre più a propendere per l’ idea che i rischi del colonialismo del debito siano troppo alti, specialmente per l’economia globale nel complesso.
Il famoso economista americano Nouriel Roubini, soprannominato dalla stampa “profeta dell’ economia”, ha commentato le decisioni della corte americana. Fa notare che dalla fine degli anni ’90, un sistema per gestire i default controllati si è gradualmente evoluto nel mondo. Fu esattamente uno di questi sistemi quello sperimentato dalla Grecia nel marzo scorso, quando parte del debito del paese verso creditori privati venne cancellato. La decisione della corte di New York poteva minare l’ intero sistema, dice Roubini, sebbene richiedesse solo un miglioramento. Roubini è certo che la sentenza costituisca un pericoloso precedente per tutti i paesi del mondo, ma soprattutto per la Grecia. E’ Atene che dovrà sostenere l’ impatto: la seconda riorganizzazione del suo debito privato, cosa necessaria al paese, non avverrà. Roubini nota che i creditori ufficiali della Grecia proveniente dalla “Troika” ( la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, il FMI) non sono assolutamente migliori dei fondi speculativi dei cosiddetti avvoltoi. Dopo tutto, i default controllati, hanno mantenuto tali istituzioni in una posizione di creditori “privilegiati”, dovendo essere pagati al 100%. Roubini sostiene che il FMI possa e dovrebbe analizzare la risoluzione di tali dispute nei casi in cui la minaccia di un default sia vicina, cosa che non sta facendo. Il FMI sta solo silenziosamente impiegando il tempo osservando le decisioni illegali delle corti americane.
L’Argentina contro gli avvoltoi del debito
Dunque, Buenos Aires sta provando a contestare le sentenze emesse presso la Corte Suprema degli Stati Uniti. In questo caso, secondo gli esperti, la questione potrebbe rimanere sospesa fino alla metà del 2015. Il team di difesa dell’ Argentina ha apertamente ammesso che se la corte non dovesse pronunciarsi in suo favore, Buenos Aires semplicemente si rifiuterà di pagare. “Stiamo rappresentando un governo”, sottolinea l’ avvocato Jonathan Blackman, “ed ai governi non si può dire di fare qualcosa che viola i suoi principi”. Se prima era il FMI ad interferire con gli affari interni del paese, ora è la corte americana a farlo.
Se un default sta per essere annunciato, potrebbe causare una caduta del valore dei titoli di stato e sferrare un colpo alle banche locali troppo indebitate. Ad ogni modo, la maggioranza degli esperti crede che un default tecnico non farebbe precipitare il paese in una crisi, dato che le esportazioni argentine non dipendono più tanto dai creditori per il finanziamento del commercio estero quanto facevano invece nel 2001. Dopo la morte del Presidente del Venezuela Hugo Chavez, Cristina Kirchner è probabilmente il più duro oppositore dell’ imperialismo americano in America Latina. La Kirchner compare nella “lista nera” della finanza internazionale insieme a Fidel Castro.
Comunque, non è solo il Presidente dell’ Argentina a trovarsi in tale posizione, ma l’ intero paese. Il Presidente non riesce a sfruttare le opportunità del mercato finanziario internazionale per attirare investimenti, ma d’ altra parte ha imparato ad andare avanti senza tali finanziamenti esterni mantenendo positivo il bilancio del commercio estero. Attualmente, in altre parole, l’ Argentina non sta prendendo in prestito denaro, ma lo sta guadagnando. Nel 2011, il paese aveva un bilancio in positivo di 13,3 miliardi di dollari, e nel 2012 di 12,6 miliardi. Il paese sta affrontando molte difficoltà sociali ed economiche, ma il ritmo del suo sviluppo economico è più alto che non quello dei paesi che stanno seguendo con obbedienza le raccomandazioni del FMI e le decisioni delle corti americane.
Valentin Katasonov
Fonte: http://www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/10/03/financial-vultures-against-argentina.html
3.10.2013
Traduzione per http://www.ComeDonChisciotte.org a cura di STEFANO GRECO
La Ue spende per la propaganda più della Coca Cola
Il suo budget per promuovere se stessa e tutte le sue opere arriva alla cifra mostre di 2,87 miliardi di euro un anno, paragonato ai 2,54 miliardi di euro spesi nello stesso anno dalla società di soft drink Coca-Cola per promuovere il proprio marchio in tutto il mondo.
Lo si scopre grazia ad un nuovo ‘factbook fiscale’ destinato a far luce su come Bruxelles spende i miliardi che riceve dai paesi membri. L’Italia è creditore netto della Ue per diversi miliardi l’anno.
Ma ci sono altre primizie nel rapporto. Ad esempio si scopre che la Ue mantiene 44 diplomatici in un luogo del mondo ‘strategico’: alle Barbados.
Ci sono poi i 179 milioni di euro che la Ue destina al trasporto dei deputati e del loro personale tra i due edifici sede del Parlamento europeo a Bruxelles e Strasburgo.
Il Factbook fiscale UE, è stato presentato e pubblicato dalla Alleanza dei contribuenti alla conferenza Tory nel Regno Unito.
La Corte dei conti ha rifiutato di approvare il bilancio UE per 18 anni consecutivi affermando di essere preoccupata per la cattiva gestione e le frodi.
Il budget pubblicitario su citato, include anche i 18 milioni di euro spesi per un Parliamentarium, inaugurato nel 2011 come attrazione turistica, ma definito dalla critica come un ‘tempio della propaganda’.
Il costo della pubblicità dell’UE è stato calcolato nel 2008 dalla Open Europe , e include un canale di trasmissione, una società di sondaggi d’opinione – si fanno i sondaggi pilotati e poi li pubblicano – films e un gran numero di pubblicazioni, il finanziamento di gruppi di pressione favorevoli all’Unione Europea, e speciali conferenze pubblicitarie.
Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2013/10/03/la-ue-spende-per-la-propaganda-piu-della-coca-cola/
LA CULTURA DEL MENGA…
Quella che oggi è definita “la cultura”, non ha niente a che vedere con la libertà, la conoscenza, e con quella consapevolezza di sé e delle cose, capace di darci il polso della situazione così da intervenire sui nostri comportamenti e atteggiamenti. E’ una menzogna del Sistema Potere, ripetuta così tante volte da averla trasfigurata nel tempo in verità assoluta. Il branco di allocchi si adegua e ne fa baluardo, trattandola come bene primario, e “condizione senza la quale” nessun individuo potrà mai liberarsi da quel presunto stato di ignoranza e letargia intellettuale che, a oggi, gli preclude ogni vera capacità di giudizio critico. Nei fatti poi, non esiste nulla di più omologante, inconcludente e improduttivo ..
Se oggi la cultura producesse reali vantaggi alla collettività, di fatto non esisterebbe – come del resto la politica e le privatizzazioni, che se fossero di qualche utilità sociale, sarebbero vietate.
Immaginare per un solo istante che al Sistema Bestia stia a cuore il nostro livello di istruzione, per meglio comprendere i meccanismi perversi attraverso i quali ha reciso ogni nostro personalismo, slancio creativo e sussulto rivoluzionario, non solo è una bieca contraffazione della realtà, ma è una tale fesseria, che ci da la misura del livello di condizionamento mentale dentro il quale siamo precipitati. Tutto si è ridotto ad arido apprendimento, informazione, a sterile e fastidioso chiacchiericcio – una condizione di totale subalternità al Sistema Potere, dove, gli schiavi si sono convinti di essere uomini liberi e così potere decidere delle proprie scelte.
Alfabetizzazione e omologazione procedono allo stesso passo, e sono le due facce di una stessa medaglia. Spingono gli individui a uniformarsi alle tendenze dell’idea dominante – un’opera di plagio senza precedenti, che in pochi decenni ha scardinato ogni preesistente regola, e costretto l’individuo a tradire la sua vera natura, per sottomettersi all’egemonia del Sistema e alle seducenti sirene del consumismo.
Quanti giovani, oggi, hanno buttato il loro prezioso tempo, chini sui banchi di scuola, dentro atenei caotici, fra master, stages e improbabili specializzazioni? Quanti hanno rinunciato a vivere per rincorrere il mito di una laurea svuotata di ogni significato e intenzione, per coronare l’ambizione dei loro padri? Quante energie e sudati risparmi è costato tutto questo? Meglio sarebbe stato per loro zappare un campo, coltivare patate – raccogliere i frutti della fatica, dando alla propria esistenza, un senso, una dignità e una vera libertà.
Che futuro avranno mai questi ragazzi, quando oggi il Sistema li ha derubati dalla capacità di volare da soli e liberi, incatenandoli all’illusione di una libertà dalle ali spezzate?
Il mito dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione obbligatoria, sdoganato dal Sistema come riscatto da una condizione di ignoranza, accesso alla società civile, e come presupposto per un lavoro dignitoso (mortificando così il lavoro della terra, vera conoscenza, tradizioni, principi e valori) è dunque miseramente defunto.
LA “STORIA” RACCONTATA DA PRESA DIRETTA
IL MIO SALTO SULLA POLTRONA
di Filippo Giannini
Presa diretta è un programma, diciamo politico, trasmesso settimanalmente da Rai/3 (una volta indacata come Radio Kabul). Ebbene il giorno 2 settembre 2013, il conduttore Riccardo Lacona, scrupolosamente con un brillantino all’orecchio sinistro, certamente per essere consono alla way of life yankee, ad un certo punto della trasmissione intervistò un signore. Questi era seduto in uno stanzone, dietro a lui, sullo sfondo, si intravedeva un grande quadro raffigurante Karl Marx; rispondendo ad una domanda del conduttore disse che per uscire dalla crisi che ci attanaglia, dovremmo fare quel che fece negli anni ’30 Franklin D. Roosevelt. Data l’enormità della bestemmia non potei trattenermi dal fare un balzo dal divano dove ero seduto.
Provo a spiegarne il motivo.
Per prima cosa prego i lettori di leggere attentamente e di tenerlo ben presente anche oltre la fine della lettura, quanto ebbe a dire l’allora futuro Presidente Usa Woodrom Wilson. Questi tenne una lezione alla Columbia University e, sfacciatamente, così caricò la mentalità predatoria degli studenti americani: <Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute… Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti… Vanno conquistate e impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo trascurato o inutilizzato>.
Sarebbero sufficienti queste parole per comprendere “come siamo ridotti oggi!”. Ma non basta, tanto è sufficiente per esclamare: e pensare che in Europa ci sono ancora tanti idioti che festeggiano la data della “liberazione” del 1945!
Ma la lezione di Woodrom Wilson è solo un passaggio; vediamo le sue radici.
Quello che poi sarà il primo Presidente degli Stati Uniti, George Washington profetizzò quella che sarà la guerra contro l’Europa (cito a memoria): <Quelli che sono i mali dell’Europa, dovranno diventare i nostri beni>. Pochi decenni dopo subentrò colui che sarà il quinto Presidente Usa, James Monroe con la sua famosa Dottrina, detta, impropriamente: Dottrina Monroe (2 dicembre 1823): essa sanciva che il continente americano (tutto, incluso quello meridionale!) non era un territorio destinato alla colonizzazione europea e che ogni tentativo delle potenze europee di estendere la loro influenza sul continente americano sarebbe stato considerato dagli Stati Uniti come una minaccia. In altre parole gli Stati Uniti ponevano la propria sovranità non solo sull’America del Nord (che sarebbe pure stato giusto e ovvio), ma su tutto il “continente americano”, quindi anche sull’America meridionale. Infatti non tardò molto che gli statunitensi si avvalsero di questo diritto (?).
E questo diritto sarà esercitato non solo sul continente americano tutto, ma su ogni angolo del mondo, grazie all’alleanza massonica della diabolica triade Francia-Gran Bretagna-Stati Uniti. Gli effettivi padroni del mondo, anche grazie alla scarsa capacità politica dimostrata nel XX Secolo. Le prime due cadranno da Potenze Mondiali, lasciando il posto alla terza, quella cioè, come ha scritto Bernhard Shaw: <Gli Stati Uniti sono l’unico Paese occidentale ad essere passati da uno stato di barbarie ad uno di decadenza senza essersi fermati in quello della civiltà>. Quindi siamo messi bene! Da Bernhard Shaw, anche il direttore della rivista Harper’s: <Nel 1945 gli Stati Uniti hanno ereditato la terra… Alla fine della seconda guerra mondiale, quello che era rimasto della civiltà occidentale passò sotto la responsabilità americana>. E siamo come stiamo!
Torniamo alla ci a zeta zeta a ta proferita dal capiscine di turno nella ricordata trasmissione Presa diretta e cioè che per uscire dalla crisi dovremo fare come Roosevelt negli anni ’30.
Anticipo che negli anni ’30 tutto il mondo – ad eccezione di Italia e Germania – affogavano nella crisi congiunturale iniziata nel 1929. Si facciano forza il capiscione e il signor Riccardo Lacona, ma quanto segue è la verità VERA. In merito sentiamo quanto hanno scritto su “L’Economia Italiana fra le due Guerre” Giorgio De Angelis, laureato in Scienze politiche all’Università di Roma: <L’onda d’urto provocata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine governativa (per intenderci guidata da Benito Mussolini, nda)… L’opera di risanamento monetario, accompagnata da un primo riordino del sistema bancario, permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizioni di sanità generale la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (…)>. E, sempre nello stesso volume, il professor Gaetano Trupiano, a pag. 169, afferma: <Nel 1929, al momento della crisi mondiale, l’Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte risanata; erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento del debito fluttuante con una riduzione degli oneri per interessi e le assicurazioni sociali avevano registrato un sensibile sviluppo>.
Ed ora altre citazioni .
J.P. Diggins (L’America, Mussolini e il Fascismo) a pag. 45 ha scritto: <Negli anni Trenta lo Stato Corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia (…). In confronto all’inettitudine con cui il presidente Hoover affrontò la crisi economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività>. E ancora: il giornale Noradni Novnij di Brno, il 15 dicembre 1933, scriveva: <(…). In Italia il piano Mussolini rende una popolazione felice e nuove città sorgono in mezzo a terre redente, coperte ovunque di biondi cereali>.
Caro Capiscione e caro signor Riccardo Lacuna, un invito accettatelo, se siete solo ignoranti vi suggerisco di andare a leggere la Storia (quella vera); se invece la vostra è solo malafede, beh! Continuate così. Però aggiungo: l’Italia sotto il male assoluto, pur essendo una piccola provincia in una grande Europa, tuttavia dettava leggi al mondo. Una prova? Una volta eletto Roosevelt, (e questo nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del Brain Trust per studiare il miracolo italiano.
Lucio Villari ha scritto: <Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>. Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda il fatto tratto dal diario inedito di Rexford Tugwell in data 22 ottobre 1934 (Anche l’Economia Italiana tra le due Guerre, ne riporta alcune parti; pag. 123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso… Ma ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no>. Molti economisti americani, vedevano nel Corporativismo italiano il coordinamento economico statale necessario davanti alla bancarotta liberista del lassez-faire, quindi suggerirono a Roosevelt di introdurre anche negli Stati Uniti qualcosa di simile al corporativismo italiano, il New Deal. Così nel 1933 (attenzione alla data signor Capiscione) Roosevelt firmò il First New Deal e il Second New Deal venne firmato nel 1934-1936.
Lo stesso Bernhard Shaw affermò che <lo Stato corporativo fascista costituiva il grande avvenimento del secolo>. Fu un grande avvenimento, ma costituiva un ulteriore motivo di attrito con quei Paesi che adottavano il sistema liberista in economia e questo aggravato ancor più dal fatto che in quasi tutti i Paesi del mondo sorgevano partiti o movimenti tendenti a seguire l’esempio italiano.
Che l’Italia fosse sulla strada giusta è attestato proprio da colui che è considerato uno dei maggiori scrittori del secolo: Giuseppe Prezzolini. Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a Perugia il 27 gennaio 1882 (morì, centenario, a Lugano nel 1982). Iniziò la sua attività di giornalista ed editore appena ventunenne. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti nel 1929; ma, come poi scriverà, non mancherà di tornare frequentemente in Italia. Dopo uno di questi viaggi compiuto nei primi anni Trenta, scrisse: <Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Nel resto del mondo vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…). Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare senza dubbio più contento>.
Il grande banchiere americano John P. Morgan sembra condividere l’opinione di Prezzolini: <In America i nostri uomini politici non si curano se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini, avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini>.
E questo, e tanto altro ancora in Italia, mentre l’America in quegli anni ancora navigava nella grande congiuntura che portava centinaia di persone al suicidio per la disperazione e la miseria.
La grande Nazione americana doveva provvedere ad assistere 13 milioni di disoccupati. Questo, mentre l’Italia fascista era impegnata in una pianificazione economica di vasta portata. Il Presidente americano intravide nel piano italiano i mezzi necessari per porre rimedio ai mali esplosi nel 1929; nel contempo quegli stessi mezzi potevano essere utilizzati per evitare che nel futuro il Paese potesse cadere nella medesima crisi. Roosevelt imboccò quella strada utilizzando, però, mezzi e leggi non proprio conformi ad una democrazia. Con questa definizione ci riferiamo all’Executive Order 6102 a firma di Franklin D. Roosevelt: con tale Order veniva imposto agli americani di consegnare tutto l’oro alla Federal Riserve. A questa imposizione faceva eccezione l’oro utilizzato per scopi professionali, ad esempio, per i dentisti. Chi non ottemperava rischiava una pena di 10 mila dollari (del valore del tempo) e fino a 10 anni di carcere. In Italia, invece, proprio in quegli anni, sotto la dittatura mussoliniana vennero offerti alla Patria, con spontaneità ed entusiasmo, oltre 33 mila chili d’oro e più di 94 mila chili d’argento. Il testo, in lingua originale dell’Executive Order, viene riportato in Appendice n° 3 e 4 nel mio ultimo libro Le Guerre di Mussolini? (attenzione al punto interrogativo).
Oggi la triade gangsteristica, Usa, Gran Bretagna e Francia, o quel che rimane dei soliti noti, stanno organizzando un nuovo attacco, questa volta tocca alla Siria, Le giustificazioni sono le solite banali, e pre-costruite.
E la solita storia che si ripete da almeno quattro secoli.
In Siria cade Maalula, città cristiana
I ribelli sono entrati in uno dei luoghi simbolo del cristianesimo orientale. Maalula era candidata a diventare Patrimonio dell’umanità dell’Unesco
10:30 – I ribelli siriani hanno preso il controllo della città di Maalula, luogo simbolo del cristianesimo orientale alle porte di Damasco, da giorni stretta tra le forze governative e i ribelli. Lo ha annunciato una Ong, l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria con base a Londra. Maalula, candidata a diventare Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è uno dei pochissimi luoghi al mondo dove si parla la lingua di Gesù, l’aramaico.
“Nella notte l’esercito è entrato in città ma i ribelli hanno assunto il controllo”, ha detto Rami Abdel Rahmane, direttore dell’ong. La sua versione è stata confermata da testimoni. Sabato erano ripresi i combattimenti tra ribelli e forze governative vicino a Maalula dove gli insorti avevano detto di essersi ritirati per evitare che la cittadina venisse bombardata dalle forze lealiste. Le truppe governative, secondo quanto riferito sempre dall’Osservatorio nazionale, avevano bombardato una collina sovrastante la città dove sorge l’hotel Safir e dove i combattenti anti-regime sono concentrati.
-o0o-
A quando Damasco, Efeso e Zenobia (Palmyria), Laodicea, Smirne, Tarso, ….?
Perché un contadino medievale aveva più tempo libero di te
Fonte: http://cogitoergo.it/?p=23381
La vita per il contadino medievale non era certo una scampagnata. La sua vita era segnata dalla paura della carestia, della malattia e dai venti di guerra. La sua dieta e l’igiene personale lasciavano molto a desiderare. Ma nonostante la sua reputazione di miserabile, lo si potrebbe invidiare per una cosa: le sue vacanze.
L’aratura e la raccolta erano faticosi compiti, ma il contadino poteva godere ovunque da otto settimane a sei mesi all’anno di riposo. La Chiesa, consapevole di come mantenere una popolazione lontano dalla ribellione, ordinava frequenti feste obbligatorie. Matrimoni, veglie e nascite significavano una settimana di riposo a tracannare birra per festeggiare, e quando i vagabondi giocolieri o gli eventi sportivi arrivavano in città, per il contadino era previsto del tempo libero per l’intrattenimento. C’erano domeniche libere dal lavoro, e quando le stagioni di aratura e raccolta erano finite, il contadino aveva anche tempo di riposare. In effetti, l’economista Juliet Shor ha scoperto che durante i periodi di salari particolarmente alti, come l’Inghilterra del 14° secolo , i contadini potevano lavorare non più di 150 giorni l’anno.
E per il moderno lavoratore americano? Dopo un anno di lavoro ottiene una media di otto giorni di vacanza all’anno.
Non doveva finire così : John Maynard Keynes, uno dei fondatori della moderna economia, fece una famosa previsione che entro il 2030 le società avanzate sarebbero state abbastanza ricche che il tempo libero, piuttosto che il lavoro, avrebbe caratterizzato gli stili di vita nazionali. Finora , tale previsione non è stata rispettata.
Che cosa è successo? Alcuni citano la vittoria della moderna giornata di otto ore, 40 ore nella settimana lavorativa che pose fine alle punitive 70 o 80 ore del lavoratore del 19° secolo passate a lavorare duramente come prova che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Ma gli americani hanno da tempo detto addio alla settimana lavorativa di 40 ore, e l’analisi di Shor sui modelli di lavoro rivela che il 19° secolo fu un’aberrazione nella storia del lavoro umano. Quando i lavoratori combatterono per la giornata lavorativa di otto ore, non stavano cercando di ottenere qualcosa di radicale e nuovo, ma piuttosto per ripristinare ciò di cui i loro antenati avevano goduto prima che i capitalisti industriali e la lampadina elettrica entrassero in scena. Tornando indietro a 200, 300 o 400 anni fa, e si scopre che la maggior parte delle persone non lavoravano affatto molte ore. Oltre al relax durante le lunghe vacanze, il contadino medievale aveva il suo tempo per mangiare i pasti e di giorno spesso era incluso il tempo per un sonnellino pomeridiano. ” Il ritmo della vita era lento, anche piacevole, il ritmo di lavoro rilassato “, osserva Shor . “I nostri antenati non potevano essere ricchi, ma avevano l’abbondanza di tempo libero.”
Tornando al 21° secolo, gli Stati Uniti sono l’unico paese avanzato senza nessuna politica di vacanza nazionale. Molti lavoratori americani devono continuare a lavorare per giorni festivi e i giorni di vacanza sono spesso inutilizzati. Anche quando si riesce ad avere una vacanza, molti di noi rispondono a messaggi di posta elettronica e di ” check-in ” addirittura se siamo in campeggio con i bambini o cercando di rilassarci sulla spiaggia.
Alcuni incolpano il lavoratore americano di non prendere ciò che gli spetterebbe. Ma in un periodo di elevata e costante disoccupazione, precarietà e debolezza dei sindacati, i dipendenti possono non avere altra scelta che accettare le condizioni stabilite dalla cultura e dal datore di lavoro privato. In un mondo di occupazione a gogò, in cui il contratto di lavoro può essere risolto in qualsiasi momento, non è facile sollevare obiezioni.
È vero che il New Deal riportò alcune delle condizioni che i lavoratori agricoli e artigiani del Medioevo davano per scontato, ma dal 1980 le cose sono andate costantemente peggiorando. Con l’occupazione a lungo termine sempre più lontana, la gente salta da un lavoro all’altro, così l’anzianità non offre più i vantaggi di giorni aggiuntivi di riposo. Il trend di crescita dell’orario full e part-time di lavoro, alimentato dalla Grande Recessione, significa che per molti l’ idea di una vacanza garantita è solo un pallido ricordo.
Ironia della sorte, questo culto della fatica senza fine non aiuta nei risultati. Studi e ricerche dimostrano che il superlavoro riduce la produttività. D’altra parte le prestazioni aumentano dopo una vacanza quando gli operai tornano con rinnovata energia restaurata e concentrazione. Più lunga è la vacanza più le persone sono rilassate e felici al ritorno in ufficio.
Le crisi economiche forniscono ai politici dalla mentalità ristretta alla sola austerità le scuse per parlare di diminuzione del tempo libero aumentando l’età pensionabile, e di tagli per i programmi di assicurazione sociale e degli ammortizzatori sociali che avrebbero dovuto consentirci un destino migliore che lavorare fino allo sfinimento. In Europa, dove i lavoratori hanno in media da 25 a 30 giorni di ferie all’anno, politici come il presidente francese Francois Hollande e il primo ministro greco Antonis Samaras stanno inviando segnali che la cultura delle vacanze lunghe sta arrivando al termine. Ma la convinzione che le vacanze più brevi portano vantaggi economici non sembra piacere. Secondo l’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE ), i greci, che devono affrontare una crisi economica orribile, lavorano più ore rispetto a tutti gli altri europei. In Germania , una potenza economica, i lavoratori si classificano secondi per numero di ore lavorate più basse lavorate. Nonostante abbiano più tempo di riposo, i lavoratori tedeschi sono all’ottavo posto come i più produttivi in Europa, mentre i greci con lunghe ore di lavoro si piazzano al 24° posto su 25 per quel che riguarda la produttività.
Al di là dello sfinimento, vacanze di corta durata fanno soffrire i nostri rapporti con le famiglie e gli amici. La nostra salute si sta deteriorando: la depressione e alto rischio di morte sono tra gli esiti per la nostra nazione senza vacanze [NdA, gli USA]. Alcune persone lungimiranti hanno cercato di invertire questa tendenza, come l’economista progressista Robert Reich che ha argomentato a favore di un periodo obbligatorio di tre settimane di vacanza per tutti i lavoratori americani. Il deputato Alan Grayson ha proposto la legge Paid Vacation del 2009, ma, ahimè, il disegno di legge non ha nemmeno varcato la soglia del Congresso .
Parlando del Congresso, i suoi membri sembrano essere le uniche persone in America ad ottenere più tempo libero del contadino medievale. Hanno avuto 239 giorni di riposo quest’anno.
Link all’<a href=”http://blogs.reuters.com/great-debate/2013/08/29/why-a-medieval-peasant-got-more-vacation-time-than-you/“>articolo originale in inglese</a>.
Traduzione di Daniele Pace
FOTO: Caitlin, un turista australiano, gode il sole su una spiaggia della Croisette durante una calda giornata estiva a Cannes 31 luglio 2013 . REUTERS / Eric Gaillard
UN PAESE PER BANDITI
Quando guardo questo paese, non credo ai miei occhi!
Accadono cose talmente aberranti, inverosimili e inenarrabili, da credere sia il Flashback di un acido fatto in gioventù, di una canna troppo caricata, i postumi una solenne sbornia: un incubo!! Poi capisco che è tutto vero, reale, e ogni aggettivo appartenente al lessico corrente, non è in grado di descriverne la portata, la sua degenerazione morale, etica, e socio/ambientale.
Viviamo in un mondo al contrario, dove i posti di responsabilità si raggiungono per demeriti – dove vige il nepotismo, la raccomandazione – dove la capacità di mentire, il mercimonio della dignità, la corruzione, e la propensione a tradire, sono divenute pratiche relazionali e comportamentali: le inedite credenziali per avere accesso al mondo del lavoro e garantirsi così la tanto agognata stabilità economica.
Questi sono i fondamentali del Sistema – un dogma – una pre/condizione venendo a mancare la quale, ogni possibilità di migliorare il nostro status ci è preclusa per sempre.
Il concetto di “merito”, che oggi si vuole sdoganare come parametro atto a selezionare la competenza, è l’ennesima impostura del Sistema Paese che, opportunamente, facilita il servilismo.
Una persona di buon senso, colta e intelligente, ancorata a solidi principi e valori, è vista dal Sistema Potere come elemento disturbatore, capace di destabilizzare le logiche perverse che, da tempo, regolamentano la società italiana.
E il tuo curriculum, mio caro giovane, che con orgoglio (viste le ottime e lodevoli esperienze professionali) ti appresti a sottoporre al giudizio dell’ennesimo filibustiere di turno, sappi che paradossalmente è quella indelebile macchia nera che farà carta straccia di ogni tua ambizione e speranza, al fine di entrare nel mondo del lavoro – Ma se diversamente, sei in grado di produrre una fedina penale all’altezza della situazione, dove i reati per corruzione, appropriazione indebita, peculato, riciclaggio, si alternano allegramente all’associazione mafiosa, fino alla rapina a mano armata, ti puoi considerare già assunto, e così partecipare al grande business confortato dalla protezione e dalla stima dei tuoi benemeriti padrini.
Se poi sei donna, giovane e attraente, hai tutte le porte aperte, ma non prima di avere soddisfatto i pruriti sessuali del tuo futuro datore di lavoro. A questo punto hai la strada spianata per intraprendere una carriera di tutto rispetto.
La nostra società è così marcia e corrotta in ogni sua cellula, che se per assurdo, si riuscisse ad imporre regole ferree e pene certe, lo stesso Sistema Socio Economico Finanziario imploderebbe in breve tempo. E’ questa la cruda, terribile e sconcertante realtà del nostro paese! E non c’è modo di contrastarla ne tanto meno di cambiarla.
Per tanto, mio caro e onesto giovane, che dopo tanti sacrifici e rinunce ti appresti a traghettare le tue capacità, eccellenze e competenze nel mondo del lavoro, sappi che questo percorso sarà disseminato di ostacoli, lungo e doloroso, perché in cambio di quel posto, dovrai sacrificare la tua dignità e il culo.
Potremo dunque educare i nostri figli nel migliore dei modi, e insegnare loro tutto il bene del mondo, ma quel giorno, la fuori, “questi banditi al governo del paese” faranno carta straccia di tutto il nostro lavoro, impegno e sacrificio.
Per tutti questi motivi (scriveva Corrado Alvaro), “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società, è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”.
Religione instrumentum regni
Molte volte nella storia si è tentato (con qualche successo, a dire il vero) di approfittare della religione, della paura della morte, dell’inconsapevolezza sull’aldilà, per incatenare le masse e tenerle sottomesse. Tutto sommato forse è stato proprio questo il “crimine” più grande di Gesù, quello per il quale i potenti del Sinedrio hanno deciso che andasse messo a morte: aveva inaugurato un rapporto nuovo con Dio, da figli a padre, anzi a “papà”, senza la necessità della mediazione dell’apparato religioso (“quando pregate, non andate sul monte, ma chudetevi nel segreto della vostra stanza…“).
Ma si sa come va. La scimmia di Dio, incapace di creare alcunchè, riesce solo a prendere e trasformare le cose buone e belle che Dio ha fatto e volgerle per la distruzione dell’Uomo. Come ho scritto nelle note “Patacche del falsario“, la sua opera è molto astuta e ingannatrice:
Ripensavo a queste cose leggendo l’ultima lettera di Socci che parla di economia e di PIL (che copio e incollo sotto); ancora una volta possiamo vedere i due esiti dell’insegnamento che ci è stato dato: quello originale, liberante, che permette all’umanità di crescere e realizzarsi, di aumentare il bene comune; e quello deteriore, distorto, adattato ad uso e consumo di una elite, che ne vorrebbe fare la propria stampella per il controllo delle masse ignare. Per questo è importante chiedere sempre il dono del discernimento: cristiani sì, cretinetti no.
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Monopolizzano la scena ormai da mesi: la “signora crescita” e il “signor pil”. E inseguiamo tutti drammaticamente il loro matrimonio. Anche in queste ore sono al centro delle trattative fra partiti, governo e sindacati.
La politica italiana si è perfino suicidata sull’altare di questa nuova divinità statistica da cui sembra dipendere il nostro futuro. Se però alzassimo lo sguardo dalla cronaca dovremmo chiederci: chi è questo “signor Pil”?
I manuali dicono che è il “valore di beni e servizi finali prodotti all’interno di un certo Paese in un intervallo di tempo”. Ma fu proprio l’inventore del Pil, Simon Kuznets, ad affermare che “il benessere di un Paese non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale”.
Lo ha ricordato ieri Marco Girardo, in un bell’articolo su “Avvenire”, aggiungendo che ormai da decenni economisti e pensatori mettono in discussione questo parametro: da Nordhaus a Tobin, da Amartya Sen a Stiglitz e Fitoussi.
KENNEDY LO SAPEVA
Girardo ha riproposto anche un bell’intervento di Bob Kennedy, che già nel 1968, tre mesi prima di essere ammazzato nella campagna presidenziale che lo avrebbe portato alla Casa Bianca, formulò così il nuovo sogno americano:
“Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.
Non è una discussione astratta. Infatti con l’esplosione e lo strapotere della finanza – che nei primi anni Ottanta valeva l’80 per cento del Pil mondiale e oggi è il 400 per cento di esso – questo “erroneo” Pil è diventata la forca a cui si impiccano i sistemi economici, il benessere dei popoli e la sovranità degli stati.
Oggi la ricchezza finanziaria non è più al servizio dell’economia reale e del benessere generale, ma conta più dell’economia reale e se la divora, la determina e la sconvolge (e con essa la vita di masse enormi di persone).
Anche perché ha imposto una globalizzazione selvaggia che ha messo ko la politica e gli stati e che sta terremotando tutto.
PRIGIONIERI DELLA FINANZA
La crescita del Pil o la sua decrescita decide il destino dei popoli, è diventata quasi questione di vita o di morte e tutti – a cominciare dalla politica, ridotta a vassalla dei mercati finanziari – stanno appesi a quei numerini.
Dunque le distorsioni e gli errori che erano insiti nell’originaria definizione del Pil rischiano di diventare giudizi sommari e sentenze di condanna per i popoli.
Per questo, l’estate scorsa, nel pieno della tempesta finanziaria che ha investito l’Italia, un grande pensatore come Zygmunt Bauman, denunciando “un potere, quello finanziario, totalmente fuori controllo”, descriveva così l’assurdità della situazione: “C’è una crisi di valori fondamentali. L’unica cosa che conta è la crescita del pil. E quando il mercato si ferma la società si blocca”.
Nessuno ovviamente può pensare che non si debba cercare la crescita del Pil (l’idea della decrescita è un suicidio). Il problema è cosa vuol dire questa “crescita” e come viene calcolata oggi. Qui sta l’assurdo.
Bauman faceva un esempio:
“se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo. Dobbiamo parlare con gli istituti di credito”.
Con questa assurda logica – per esempio – fare una guerra diventa una scelta salutare perché incrementa il pil, mentre avere in un Paese cento Madre Teresa di Calcutta che soccorrono i diseredati è irrilevante.
Un esempio italiano: avere una solidità delle famiglie o una rete di volontariato che permettano di far fronte alla crisi non è minimamente calcolato nel Pil.
Eppure proprio noi, in questi anni, abbiamo visto che una simile ricchezza, non misurabile con passaggio di denaro, ha attutito dei drammi sociali che potevano essere dirompenti.
IL PAPA CI ILLUMINA
Ciò significa che ci sono fattori umani, non calcolabili nel Pil, che hanno un enorme peso nelle condizioni di vita di una società e anche nel rilancio della stessa economia.
Perché danno una coesione sociale che il mercato non può produrre, ma senza la quale non c’è neppure il mercato.
Ecco perché Benedetto XVI nella sua straordinaria enciclica sociale, “Caritas in Veritate”, uscita nel 2009, nel pieno della crisi mondiale, ha spiegato che “lo sviluppo economico, sociale e politico, ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano di fare spazio al principio di gratuità”, alla “logica del dono”.
Ovviamente il Papa non prospetta “l’economia del regalo”. Il “dono” è tutto ciò che è “gratuito”, non calcolabile e che non si può produrre: l’intelligenza dell’uomo, l’amore, la fraternità, l’etica, l’arte, l’unità di una famiglia, la carità, l’educazione, la creatività, la lealtà e la fiducia, l’inventiva, la storia e la cultura di un popolo, la sua fede religiosa, la sua laboriosità, la sua speranza.
MIRACOLO ITALIANO
Se vogliamo guardare alla nostra storia, sono proprio questi fattori che spiegano come poté verificarsi, nel dopoguerra, quel “miracolo economico” italiano che stupì il mondo.
Tutti oggi parlano di crescita (e siamo sotto lo zero), ma come fu possibile in Italia, dal 1951 al 1958, avere una crescita media del 5,5 per cento annuo e dal 1958 al 1963 addirittura del 6,3 per cento annuo?
Non c’erano né Monti, né la Fornero al governo. Chiediamoci come fu possibile che un Paese sottosviluppato e devastato dalla guerra balzasse, in pochi anni, alla vetta dei Paesi più sviluppati del mondo.
Dal 1952 al 1970 il reddito medio degli italiani crebbe più del 130 per cento, quattro volte più di Francia e Inghilterra, rispettivamente al 30 e al 32 per cento (se assumiamo che fosse 100 il reddito medio del 1952, nel 1970 noi eravamo a 234,1).
E’ vero che avemmo il Piano Marshall, ma anche gli altri lo ebbero. Inoltre noi non avevamo né materie prime, né capitali, né fonti energetiche. Eravamo usciti distrutti e perdenti da una dittatura e da una guerra e avevamo il più forte Pc d’occidente che ci rendeva molto fragili.
Quale fu dunque la nostra forza?
E’ – in forme storiche diverse – la stessa che produsse i momenti più alti della nostra storia, la Firenze di Dante o il Rinascimento che ha illuminato il mondo, l’Europa dei monaci, degli ospedali e delle università: il cristianesimo. Pure la moderna scienza economica ha le fondamenta nel pensiero cristiano, dalla scuola francescana del XIV secolo alla scuola di Salamanca del XVI.
Noi c’illudiamo che il nostro Pil torni a crescere se imiteremo la Cina. Ma la Cina – anzi la Cindia – non fa che fabbricare, in un sistema semi-schiavistico (quindi a prezzi stracciati), secondo un “know how” del capitalismo che è occidentale. Scienza, tecnologia ed economia sono occidentali. L’Oriente copia.
ECCO IL SEGRETO
Proprio l’Accademia delle scienze sociali di Pechino, richiesta dal regime di “spiegare il successo, anzi la superiorità dell’Occidente su tutto il mondo”, nel 2002, scrisse nel suo rapporto: “Abbiamo studiato tutto ciò che è stato possibile dal punto di vista storico, politico, economico e culturale”.
Scartate la superiorità delle armi, poi del sistema politico, si concentrarono sul sistema economico: “negli ultimi venti anni” scrissero “abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Questa è la ragione per cui l’Occidente è stato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è ciò che ha reso possibile la comparsa del capitalismo e poi la riuscita transizione alla vita democratica. Non abbiamo alcun dubbio”.
Loro lo sanno. Noi non più.
Antonio Socci
Da “Libero”, 18 marzo 2012
NELL’APOCALISSE DI GIULIETTO MANCA QUEL CHE È NEL SUO COGNOME : CHIESA
di Arai Daniele
Sull’esame della situazione apocalittica del mondo attuale, fatto dal valente giornalista-scrittore Giulietto Chiesa, c’è da raccomandare l’ascolto; meno la conclusione.
Le sue accuse dirette al corso della drammatica situazione globale, si poggia su una lucida analisi della sua genesi nella degenerazione capitalistica causata dall’infausto morbo di natura monetaria nel mondo presente. Esso è diagnosticato come apice di tutte le trame storiche sommate per la devastazione morale, civile e fisica del Pianeta; un tumore di crescente malignità mai vista in secoli di storia. Più che di una crisi, si tratta del ginepraio di crisi dirette a una devastazione senza precedenti.
E il primo marchio di tale guaio planetario è l’esercizio della menzogna diffusa dalla grande informazione. Perfino quando essa accusa responsabilità governative e si scaglia contro grandi potenze nazionali, come l’America, che scatenano guerre folli di scopi dissennati, ancora mente, occulta o ignora i veri mandanti della corsa fatale all’abisso.
In verità non vi è tanto da accusare paesi quanto la mentalità infame dei centri di potere e di pensiero che, di fatto, governano il mondo. Le loro redini sono il sistema monetario manipolato e gestito da una cricca di banchieri, mossi da una folle brama di dominio globale attraverso la truffa «legale» di falsare il concetto stesso di denaro nel vasto giro internazionale. Non si tratta nemmeno più del vecchio capitalismo avido di rimpinzare d’oro mostruosi forzieri; si tratta d’inoculare nello stesso concetto di moneta, che è sangue e linfa del valore di scambio dell’attività umana, le astrazioni cancerogene, tanto invisibili quanto letali, della moneta fantastica; moltiplicata senza limiti per la goduria e la felicità generale. Altroché «pane et circensis»!
Ecco che tali «centri» lievitarono in misura galattica il mezzo monetario per una corsa inarrestabile delle genti, sempre più mosse dalla cupidigia dell’avere, del godere e del dominare, gonfiando delle «bolle abbaglianti» che impediscono di vedere i limiti reali delle risorse delle famiglie, delle imprese, delle nazioni e della stessa Terra. Così, non solo i privati, ma i paesi non riescono più a vivere senza un illimitato uso dei prodotti della più aggiornata tecnologia; dai satelliti agli F35. Un mondo che tutto consuma e brucia indifferente all’idea di una gestione sostenibile delle risorse naturali della terra, che hanno pur un limite misurabile.
Queste ormai sono limitazioni impossibili da spiegare a una generazione educata nella visione dell’evoluzione e del progresso senza confini. Perché averli per la cupidigia? Tale liberazione s’è tradotta nei nostri tempi nel linguaggio del denaro senza fondo, creato dal nulla; che non va neanche più stampato, ma digitato elettronicamente in un attimo. L’immaginazione al potere. Sì, in mano a degli assatanati!
Torniamo allora sul punto di una maledizione originale di cui il denaro non è alieno.
Il luogo del denaro nell’ordine teleologico (rapporto tra mezzi e fini nella filosofia perenne), pone la discussione sul rapporto della libertà individuale e i valori personali, che sfocia nella visione del comportamento e dello stile di vita d’ogni epoca.
Il noto sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) dimostra come la modernità è caratterizzata da tratti intrinsecamente legati alla vita monetaria, come ad esempio l’accelerazione del tempo, la monetizzazione delle relazioni sociali, l’espansione dei mercati, la razionalizzazione e la quantificazione della vita e l’inversione tra mezzi e fini. Il denaro è il dio della vita moderna, afferma Simmel, che mostra come nella modernità tutto ruota intorno al denaro e, allo stesso tempo, il denaro fa girare tutto. Questo non vuol dire che nel mondo di oggi tutto è determinato e spiegato dalla vita monetaria, ma ci si rende conto che questa è una manifestazione e incarnazione degli elementi che caratterizzano i tratti sociali del nostro tempo. Ecco che l’opera di Simmel è una delle principali interpretazioni sociologiche della genesi del mondo moderno.
Tale analisi moltiplicata per mille dopo le Grandi Guerre e la Rivoluzione comunista e abbiamo il «dio denaro» elevato a dichiarato signore di tutta la Terra attraverso la coscienza consumistica di moltitudini.
Poiché è il pensiero a dover governare le persone e i popoli, ritorniamo per un momento all’idea di cosa debba essere la moneta nella vita civile.
Ora, il denaro è quel «segno» nel rapporto di scambio di valori tra persone, popoli e in fondo, di tutti con la natura. Una finanza che inventa soldi all’infuori di questi rapporti, e lo fa senza limiti, incute l’abuso smisurato della natura come frutto di un’ideologia che, senza contegno né misura dei mezzi, è di spreco elevato a sistema; è della guerra elevata a correttivo finanziario; è dell’utopia di un progresso senza limiti elevato a fine ultimo delle società. E dopo un certo tempo si presenta la fattura del disastro globale.
Basta pensare che la spesa con armamenti, che raggiunge cifre galattiche, è per la sua stessa natura progressiva, poiché pure il nemico continua a incrementare le sue spese di modo a perfezionare armi sempre nuove. In questo giro demenziale si svolgono anche i piani spaziali che bruciano foreste di risorse per sondare l’esistenza d’acqua nei pianeti.
In questi termini l’umanità è in via di un’accelerata autodistruzione, verso un epilogo storico apocalittico che dall’inizio vigono nei segni di Caino e di Babele.
A comprovarli vi è la realtà più dimostrata della storia: quella del Peccato originale.
Qui entra però la soluzione che segue i disegni divini: la Redenzione che ha suscitato nel mondo il Cristianesimo e la Chiesa per confermarlo.
Non mancano i registri storici su quest’Ordine sociale capace di affrontare a lungo termine l’economia legata alla giustizia e perciò ai sistemi sostenibili secondo la capacità e misura dell’uomo e della sua società di fronte alla natura. Oggi si vorrebbe deridere l’esempio della civiltà contadina. Si dice che questa nei suoi limiti non sarebbe mai bastata a sviluppare il potenziale di progresso umano. Che non ci sarebbe stato lo straordinario avanzamento scientifico e tecnologico se fosse mancato lo spirito mercantile che ha ingenerato l’impudente spirito moderno, del vertiginosa turbine del denaro inventato e moltiplicato senza ritegni e che ora viene giustamente individuato come vettore, causa efficiente del nefasto degrado umano in ogni campo. Non è forse da stabilire un rapporto tra, per esempio la pornografia miliardaria e la rovina sociale?
La questione assume, quindi, un sicuro senso religioso riguardante la verità.
E, infatti, tornando all’accusa di Giulietto Chiesa, oggi domina ovunque la menzogna in ogni campo. Va detto che la vera vittima del dominio monetarista è «la Verità».
A questo punto la lacuna trovata nell’«apocalisse» di quest’autore ha un chiaro Nome e cognome, è la Chiesa cattolica, la cui Cattedra pontificia, retta in ogni tempo da un Vicario del Signore, fu istituita per custodire la Verità in terra. Si tratta del capo della Cristianità, i cui principi cattolici devono reggere la vita in terra, affinché essa si svolga nella tranquillità dell’ordine; nella giustizia mirante il fine ultimo dell’uomo redento, come è nei disegni divini del Signore e Salvatore.
A causa della sua trasgressione ora ci confrontiamo con problemi ingenti: la caducità demografica dell’Europa, risultante dalla radicale incompetenza e irresponsabilità democratica, che è però imposta ovunque come soluzione universale.
Come risolvere un tale problema, che assume gravità «metafisica»?
Per i cattolici che sanno essere la Chiesa cattolica la vera custode della Verità e perciò dell’Ordine e della Giustizia, la crisi può solo derivare da una sua eclisse, così come la sola via per affrontare la crisi è restaurare la sua influenza e autorità pontificale.
Solo attraverso la Chiesa, che ha per Capo Gesù Cristo, si può tornare a quel vero ordine consistente nella supremazia dei disegni divini sulle ragioni politiche umane; si può avere la guida per la libertà delle coscienze che eleva l’anima spirituale dell’uomo verso il bene delle società. Solamente nella restaurazione degli eterni principi religiosi per l’ordine politico e sociale si può riavere quanto edifica la vita in questo mondo e salva nell’altro. “Questi principi non possono essere riattivati se non da chi li conosce, e nessuno li conosce se non la Chiesa cattolica”. (Juan Donoso Cortès)
La conclusione è che qualsiasi iniziativa nel senso di ristabilire l’influenza del pensiero cattolico su quello laicista, non può che partire dal ristabilimento dell’autorità papale la cui Sede è oggi occupata dai fautori di un’altra religione aliena se non contraria ai principi cattolici e perciò causa strumentale del disorientamento generale. Alla chiesa conciliare resta solo la luce fatua delle personali opinioni, che prendono per il sole della Rivelazione cristiana le ambiguità diabolicamente maliziose del Vaticano 2º.
E tutto dietro la maschera di quella religiosità conciliare, animatrice del più perverso democratismo, che vuole mettere a voti perfino i dettami della Legge naturale e divina.
Per trattare la questione dell’ordine nella società, per quanto riguarda la giustizia e la morale, sia quella della finanza legata al bene comune, sia quella della politica legata ai valori universali, si deve tornare al Magistero della Chiesa cattolica. Ma per farlo, il primo dovere è testimoniare il suo tragico silenzio. Quindi pregare e lavorare per il ritorno di un Papa cattolico, che la Misericordia divina susciti, a dispetto della miseria di questa generazione confusa e apostata.
La cultura che anestetizza l’umano
di Giovanni Fighera 22-08-2013
Qualche tempo fa, in una lezione in un’università italiana, un professore di filosofia sosteneva di fronte agli studenti che un atteggiamento serio avrebbe dovuto indurli a dubitare che lui stesso stesse parlando e che quella fosse una cattedra. Una studentessa ha allora alzato la mano per controbattere tali disquisizioni, sostenendo che la conseguenza più ragionevole di tale impostazione del problema sarebbe stata uscire dall’aula, dal momento che nessuno era certo che in quel momento si stesse tenendo una lezione di filosofia. Una tale impostazione negava anche l’evidenza stessa della realtà.
Siamo nell’epoca in cui ogni affermazione sull’esistenza della verità viene tacciata di “fondamentalismo religioso” o di “conservatorismo culturale”, di “anacronistico atteggiamento” non al passo con i tempi. Ebbene, in quest’epoca in cui le persone cercano le risposte alle loro domande solo dagli esperti, che possano infondere serenità per le loro inquietudini, tutti si improvvisano esperti, tutti pensano di poter giudicare tutto e di poter dire la propria verità su tutto. Ciò che è importante è che nessuno osi parlare di verità. Ognuno può esprimere la sua opinione. Tutte le opinioni sono importanti allo stesso modo secondo l’espressione che, spesso, ricorre nei discorsi “io sono del mio parere, tu del tuo”.
Bene, in questo modo, il dialogo non può avvenire. Paradossalmente, il presupposto che la verità non ci sia oppure che ci siano tante verità (che è come dire che la verità non esista) annienta all’origine ogni possibilità di reale comunicazione, di dialogo interculturale, ogni tentativo di educazione, ogni possibile e reale crescita culturale.
Non ci può essere comunicazione, perché non si può pensare di arrivare a mettere in compartecipazione una verità che sia portata da uno dei due interlocutori o che sia derivata da altri. Quando la verità è negata alle radici, ognuno continua a camminare nel proprio tunnel di vetro trasparente in cui potrà vedere gli altri, senza, però, entrare realmente in contatto con loro. Manca, infatti, anche solo il presupposto iniziale che si faccia un tentativo per trovare un percorso insieme. L’aprioristica negazione dell’esistenza della verità nega ogni possibilità di cammino, di dialogo, di ricerca; mina alle radici ogni possibile sviluppo umano, crea le basi di uno scetticismo che, nel tempo, diventerà motivo di sconforto, di aridità, di poca volontà di costruire e di realizzare per il bene di sé e degli altri.
Non ci può essere vero dialogo interculturale tra popoli diversi, perché nel dialogo bisogna avere piena consapevolezza della propria posizione e della propria identità. Per poter dire “tu”, bisogna prima saper dire “io”. Devo sapere chi sono io, per chiedere all’altro chi sia lui.
Non può esistere una reale educazione, perché si educa introducendo qualcuno nella realtà secondo una ipotesi esplicativa della stessa, ipotesi che deve essere, quindi, considerata come buona, reale, attendibile. Non ci si può addentrare in una stanza completamente al buio senza alcuno strumento di illuminazione, occorre l’uso di una luce che in qualche modo illumini qualche particolare della stanza.
Non ci può essere cultura, perché tutto il sapere, la crescita e l’evoluzione nel campo della cultura e della tecnologia partono dal presupposto di tributare fiducia, fede alla tradizione che ti è stata consegnata fino a quel momento: se l’uomo dovesse rifare tutti i passi dello sviluppo scientifico dalla ruota e dal fuoco, ogni volta per verificarli, non procederebbe più lo sviluppo umano. Tutti coloro che negano ideologicamente e aprioristicamente l’esistenza della verità sono costretti in maniera surrettizia a reintrodurla e a considerarla valida nei loro discorsi. Non può darsi, infatti, discorso umano senza il presupposto dell’esistenza di una verità, non può darsi cultura, non esiste sviluppo, saremmo tutti ancora all’età della pietra.
Certo, la modernità è proprio ben rappresentata da questo dubbio applicato a tutto, quel dubbio metodico che Cartesio ha introdotto come unico possibile punto di partenza nella conoscibilità del reale. In Cartesio il dubbio sostituisce la meraviglia, che nella filosofia antica ha sempre rappresentato il punto di partenza di ogni riflessione. Tutta la filosofia moderna si presenta come articolazione e ramificazione del dubbio. Ce lo testimonia Nietzsche. Il dubbio cartesiano investe i sensi, la ragione e la fede. L’unica certezza risiede nella coscienza e la forma conoscitiva più alta sarà allora quella matematica, ovvero quella che si raggiunge attraverso uno strumento che è prodotto della propria mente.
La verità, così, non è più qualcosa di oggettivo che si rivela, ma è un prodotto soggettivo della mente umana. Quindi, alla contemplazione (posizione umana che rappresenta il vertice supremo di fronte alla realtà) è sostituita l’azione. In maniera conseguente, la modernità si è sempre più interessata al come, cioè al processo di realizzazione di un oggetto o di accadimento di un fenomeno, e si è disinteressata alle domande sul perché e sull’Essere. L’uomo moderno, l’homo faber, è, così, esposto al rischio di percepirsi come nuovo Dio che si sostituisce al Creatore.
Dunque, la storia non sarà più racconto delle vicende umane e delle sofferenze, ma sarà considerata prodotta dalle mani dell’uomo. Da qui consegue l’idea della storia umana come progresso inesauribile, da cui Dio è definitivamente esiliato.
Chiedendosi che cosa influisca maggiormente nell’affermazione del relativismo nella contemporaneità, lo storico dell’arte austriaco Hans Sedlmayr (1896-1984) risponde la perdita del centro, ovvero la perdita della centralità dell’io.
Solo in un autentico rapporto di riconoscimento della dipendenza dal Mistero, dal significato del Tutto, da Dio, possono persistere la consapevolezza di sé dell’uomo, un vero umanesimo e una proficua fecondità. Così, il grande filosofo russo contemporaneo N. A. Berdjaev (1874-1948) si è espresso al riguardo: «La persona umana cerca per sé qualcosa di sacro, agogna sottomettersi liberamente per ritrovare se stessa. Si ripete così la verità paradossale che l’uomo acquista e afferma se stesso se si sottomette a un principio supremo sovrumano e trova in un sacro sovrumano il contenuto della propria vita; al contrario l’uomo perde se stesso se si sbarazza del contenuto sovrumano supremo e non ritrova in sé che il suo piccolo mondo umano chiuso. L’affermazione dell’individualità umana presuppone l’universalismo; lo dimostrano tutti i risultati della cultura e della storia moderna nella scienza, nella filosofia, nell’arte, nella morale, nello stato, nella vita economica, nella tecnica, lo dimostrano e lo provano con l’esperienza. È provato e dimostrato che l’ateismo umanistico porta all’autonegazione dell’umanesimo, alla degenerazione dell’umanesimo in antiumanesimo, al passaggio della libertà in costrizione. Così finisce la storia moderna e incomincia una storia diversa che io per analogia ho chiamato nuovo medioevo. In essa l’uomo deve di nuovo legarsi per raccogliersi, deve sottomettersi al supremo per non perdersi definitivamente».
Quando l’uomo non ha più la consapevolezza del proprio io, potremmo anche dire della natura del proprio cuore, fatto per l’amore, per il bene, per la bellezza, allora emergono il brutto, la negatività, la perdita di senso delle cose. Morte, oscenità, bruttezza, abnorme uso della sessualità sostituiscono desiderio di vita, sacralità, bellezza e tenerezza amorosa: ecco in parte chiariti alcuni scenari artistici, pseudoartistici e cinematografici della contemporaneità. La contemporaneità ha perso il senso della morte (completamente esorcizzata o massificata, perciò resa estranea a noi). La morte pubblica, collettiva, infatti, è presentata in forma impersonale e cinematografica, non ci tocca, perché pensiamo che non ci riguardi. La morte privata è, invece, rivendicata come diritto personale di scelta, da difendere contro ogni tentativo di tutela della vita debole e fragile. Sta trionfando la cultura della morte contro la cultura della vita.
Proprio per questo motivo, a detta di Berdjaev, la contemporaneità si caratterizza per il grande spreco di energie spirituali, che induce ad un impoverimento dell’uomo, della sua capacità produttiva e della sua fecondità artistica.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-culturache-anestetizza-lumano-7121.htm
Zuckerberg ora vuole internet in tutto il mondo
Il fondatore di Facebook lancia un ambizioso progetto, in collaborazione con i colossi della tecnologia; “internet.org” vuole raggiungere altri 5 miliardi di persone nei Paesi emergenti
12:18 – Estendere la connessione ad internet in tutto il pianeta, raggiungendo i 5 miliardi di persone al momento tagliate fuori dal web. È questo l’ultimo ambizioso obiettivo di Mark Zuckerberg, in collaborazione con diverse delle più importanti aziende di telecomunicazione a livello mondiale.
IL Dio Trino o il dio quattrino?
A seguito della pubblicazione del post precedente (“Cosa cresce nel giardino dell’ignoranza“) su Stampalibera.com, Parusìa ha scritto un commento che merita essere ripreso. (forse perchè IO mi sono sentito ripreso?)
-oOo-
…nel giardino dell’ignoranza (è inutile nascondersi dietro facili parole)…
per uscirne, occorre anche saper scegliere:
DenarOdio
Gesù afferma: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Secondo le parole di Gesù la sete di ricchezza, la brama di denaro è assolutamente incompatibile per l’uomo che vuole vivere secondo i desideri di Dio. La sete di denaro, da una parte, impedisce all’uomo di vivere sul pianeta terra secondo le procedure evangeliche, e gli rende impossibile coltivare pensieri adatti per costruire una vita secondo l’armonia, la bellezza, la grazia, la gioia, la pace, la sapienza del regno di Dio, dall’altra, impedisce all’uomo di poter entrare un giorno a far parte della vita senza fine nelle dimore eterne, nella luce e nella pace di Dio.
Perché? La sete di denaro è la più mortale malattia dell’uomo, in quanto è diventata la vera devozione dell’umanità, e, il denaro, il suo unico, vero dio.
Il dio denaro ha fatto costruire i suoi templi su tutto il pianeta per essere adorato, celebrato, onorato, acclamato. Il dio denaro ha suoi discepoli ovunque, ha i suoi gruppi di venerazione, ha costruito i suoi centri organizzativi direzionali, e, nel tempo, ha distribuito su tutta la terra i suoi emissari rappresentanti, i suoi missionari predicatori, i suoi profeti di persuasione, i suoi catechisti ideologici, pubblicitari, i suoi celebranti rituali, i suoi ministri e servitori, difensori e paladini.
Il dio denaro si è presentato al mondo inizialmente come piccole, innovative monete di terracotta, rame, argento, oro e altri metalli e ha persuaso l’uomo a ritenerlo il più potente mezzo di difesa e controllo, supremazia e dominio, perché permetteva di avere eserciti più numerosi e meglio armati.
Il dio denaro, poi, si è presentato al mondo come piccoli, inermi, innocui fogli di carta colorata, e ha persuaso l’umanità che, con lui, l’uomo può essere il più forte e potente di tutti, e che, con lui, l’uomo può essere il più nobile, importante, autorevole, influente, apprezzato di tutti.
Quando il dio denaro si è presentato al mondo come innocente e comoda tessera magnetica di credito, ha persuaso l’umanità che tutto ha un prezzo e che tutto può essere comprato e che, con lui, l’uomo può essere un invincibile tiranno su scala globale, un inattaccabile despota planetario, un onnipotente signore della globalizzazione, un’irresistibile, maestosa bellezza, un imponente, impressionante, possente padrone del mondo.
Quando il dio denaro si è presentato al mondo come legittimi numeri in un conto bancario, segno di autonomia e libertà personale, ha persuaso l’uomo a credere di essere egli stesso un dio, un dio cui tutto è possibile, un dio che può donare lusso sfrenato a pochi e debiti senza fine a tutti gli altri.
Il dio denaro ha lavorato senza sosta per riuscire, un po’ alla volta, a rappresentare per l’umanità la sua più sicura fonte di sopravvivenza, la sua reale difesa contro il male e la malattia, contro l’invecchiamento, contro l’ingiustizia, la paura, la guerra.
Il dio denaro ha persuaso l’uomo che senza denaro nulla ha senso e nulla deve muoversi sulla terra senza guadagno.
Il dio denaro ha fatto in modo tale che tutto della vita dell’uomo sia regolato, governato, disciplinato, subordinato, ordinato, sostenuto, guidato, stabilito dal denaro. Sono dominati e controllati dal denaro gli affetti, le relazioni, i contratti matrimoniali, le separazioni di coppia, la nascita dei figli, il lavoro, il divertimento, il gioco, le comunicazioni, il riposo, l’alimentazione, le bevande, il caldo e il freddo, l’abitare, il vestire, la scienza, la cultura, l’educazione, la salute, la malattia, la ricerca medica e tecnologica, la farmacologia, la medicina, le cure mediche, le morali, le religioni, ogni forma politica, il commercio, il viaggiare.
Il dio denaro odia con tutte le sue forze tutto ciò che in natura l’uomo può trovare in quantità abbondante e in forma gratuita. Il dio denaro odia l’acqua e il cibo che Dio ha creato e che l’uomo può usare per bere e alimentarsi gratuitamente, perché, fino a che sulla terra ci sarà acqua pulita da bere e cibo buono, il dio denaro non potrà vendere a tutti la sua acqua imbottigliata e i suoi cibi transgenici. Il dio denaro odia il fatto che esista per l’uomo la possibilità di guarigione dalla malattia fisica e psichica attraverso la cura e la guarigione dei propri pensieri, perché, se la gente impara a prevenire e a guarire le malattie attraverso il processo individuale, personale, gratuito, autonomo di pulizia e cura del proprio dialogo interiore, a chi potrà vendere i suoi farmaci, le sue costosissime cure?
Il dio denaro odia l’armonia e la pace, perché l’armonia e la pace non fanno fruttare e girare denaro come il disordine e la guerra. Il dio denaro odia il corpo integro e sano, forte e intatto dell’uomo perché un corpo sano non si può vendere e comprare facilmente, per questo preferisce il corpo dell’uomo a pezzi, diviso in organi, che sono senza dubbio più commerciali e costituiscono un fiorente mercato.
L’uomo è ossessionato dal dio denaro ma al dio denaro non interessa assolutamente nulla dell’uomo. Per il dio denaro l’uomo, la persona umana non ha dignità, libertà, senso, significato, valore, per il dio denaro l’uomo è solo e unicamente una batteria con un certo potenziale energetico sotto forma di competenze, addestramento, forza lavoro da sfruttare fino al midollo, a prezzo minimo, per poi essere gettata in discarica. Il dio denaro odia dell’uomo soprattutto i tempi morti della vita, i tempi fisiologici dell’infanzia e della vecchiaia, i tempi non produttivi, non trasformabili immediatamente in denaro.
Il dio denaro odia il Dio vero, perché il Dio vero ha creato tutto nella più totale bellezza, abbondanza, pienezza, armonia, e soprattutto tutto gratuitamente. Tutto ciò che Dio ha creato non ha prezzo, perché è tutto gratuito.
Il dio denaro ama i ricchi e odia i miseri, perché i miseri, per quanto sottomessi e silenziosi, a volte gridano e fanno rumore, attirando attenzioni fastidiose. Il dio denaro ama tanto la ricchezza, odia i miseri, ma ama la miseria. Ama la miseria, la povertà, lo svantaggio delle moltitudini, perché questo aumenta a dismisura la ricchezza, il lusso, il vantaggio dei pochi ricchi, i suoi figli prediletti. Il dio denaro ama la schiavitù e la sottomissione delle masse, perché questo aumenta a dismisura la separazione delle masse sfortunate dai ricchi fortunati.
Il dio denaro ama la separazione incolmabile tra ricchi e poveri, perché questa separazione istituzionalizzata e inviolabile è all’origine della sua religione preferita, la religione fondata sul culto dell’azzardo, della fortuna e della sfortuna, del destino, del caso, del fato. Il dio denaro ama la separazione in ogni sua forma, perché la separazione genera antipatia, ostilità, conflitto, guerra, distruzione, tutte situazioni che portano alle casse del dio denaro fiumi di valuta.
Il dio denaro ama la malattia, la solitudine, la sofferenza dell’uomo, perché, per superare queste disgrazie, l’uomo tende a spendere tutti i propri beni e averi senza battere ciglio, anche se non riceve alcun sollievo, aiuto e guarigione.
Il dio denaro odia i bambini, perché non sono produttivi, ma anche li ama, in quanto sono il suo investimento preferito, perché, se persuasi e addestrati a dovere, rappresentano una fonte formidabile e rinnovabile di guadagno senza limiti.
Il dio denaro ama l’infelicità dell’uomo, perché per un po’ di felicità e di piacere, l’uomo è disposto a spendere tutto ciò che possiede e a indebitarsi per millenni fino alla miseria e alla schiavitù. Il dio denaro ama il debito e i debitori come le sue vittime sacrificali predilette, perché, attraverso il debito genera nel cuore e nella mente dell’uomo non solo un perenne e invincibile senso di colpa, ma anche uno stato costante di schiavitù e dipendenza. L’uomo debitore è già uno schiavo, ma quando non ha più risorse per pagare il debito, può essere schiavizzato dal creditore in modo legale e istituzionalizzato.
Il dio denaro disonora l’uomo, lo rende stupido, dipendente, debitore, schiavo, aggressivo, violento, misero, separato.
Ora, se questo è in parte ciò che offre il dio denaro, che senso avrebbe per un uomo, che ha
per tutta la vita terrena, desiderare di entrare un giorno, terminata l’esperienza sul pianeta terra, nel regno del Dio vero? Sarebbe mai possibile che un uomo o una donna, che hanno servito e reso culto al dio denaro come il padre della loro vita, per tutti i giorni della propria vita, nel momento di entrare nella vita senza fine avessero anche solo il minimo interesse e desiderio di far parte del regno del Dio dell’amore, del Padre dell’amore, della gratuità, della pace, della bellezza, dell’armonia?
Ecco perché Gesù insiste: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.
Cosa cresce nel giardino dell’ignoranza
Nel giardino dell’ignoranza cresce la paura per il diverso.
Nel giardino dell’ignoranza cresce la paura per la malattia.
Nel giardino dell’ignoranza trovano spazio le colture OGM.
Nel giardino dell’ignoranza si pensa che il clima cambi a causa delle attività umane.
Nel giardino dell’ignoranza si teme la malattia come un nemico da combattere, una maledizione da evitare.
Nel giardino dell’ignoranza cresce il senso di abbandono, la paura del domani, il bisogno di qualcuno che ci dica come fare, come mangiare, come curarci, cosa studiare, che lavoro chiedere, a chi chiedere tutto, ma proprio tutto.
Nel giardino dell’ignoranza non c’è libertà: si chiede alla burocrazia quello che si può e non si può fare.
Nel parco della consapevolezza prospera la serenità alimentata dall’amore sconfinato del Padre.
Nel parco della consapevolezza si riconoscono i falsi maestri che ci vogliono preoccupati, spaventati, soli, indifesi.
Nel parco della consapevolezza avvizziscono e si seccano subito le erbacce dell’invidia, dell’avidità, della paura di restare senza, perchè tutto è abbondanza.
Nel parco della consapevolezza le malattie sono un campanello d’allarme che serve a riportarci sulla strada maestra, piuttosto che un castigo o un attacco dall’esterno da combattere e soffocare.
Nel parco della consapevolezza prosperano naturalmente amicizia e solidarietà.
Nel parco della consapevolezza c’è spazio per tutti, e nessuno deve chiedere a qualcun altro cosa può fare: viene guidato dall’Amore.
Dove volete far crescere i vostri figli?
Vangelo di Matteo 19,23-30
In quel tempo, 23 Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
25 A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?» 26 Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». 27 Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» 28 E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30 Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».
Denarodio
Gesù afferma: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Secondo le parole di Gesù la sete di ricchezza, la brama di denaro è assolutamente incompatibile per l’uomo che vuole vivere secondo i desideri di Dio. La sete di denaro, da una parte, impedisce all’uomo di vivere sul pianeta terra secondo le procedure evangeliche, e gli rende impossibile coltivare pensieri adatti per costruire una vita secondo l’armonia, la bellezza, la grazia, la gioia, la pace, la sapienza del regno di Dio, dall’altra, impedisce all’uomo di poter entrare un giorno a far parte della vita senza fine nelle dimore eterne, nella luce e nella pace di Dio. Perché? La sete di denaro è la più mortale malattia dell’uomo, in quanto è diventata la vera devozione dell’umanità, e, il denaro, il suo unico, vero dio. Il dio denaro ha fatto costruire i suoi templi su tutto il pianeta per essere adorato, celebrato, onorato, acclamato. Il dio denaro ha suoi discepoli ovunque, ha i suoi gruppi di venerazione, ha costruito i suoi centri organizzativi direzionali, e, nel tempo, ha distribuito su tutta la terra i suoi emissari rappresentanti, i suoi missionari predicatori, i suoi profeti di persuasione, i suoi catechisti ideologici, pubblicitari, i suoi celebranti rituali, i suoi ministri e servitori, difensori e paladini.
Il dio denaro si è presentato al mondo inizialmente come piccole, innovative monete di terracotta, rame, argento, oro e altri metalli e ha persuaso l’uomo a ritenerlo il più potente mezzo di difesa e controllo, supremazia e dominio, perché permetteva di avere eserciti più numerosi e meglio armati. Il dio denaro, poi, si è presentato al mondo come piccoli, inermi, innocui fogli di carta colorata, e ha persuaso l’umanità che, con lui, l’uomo può essere il più forte e potente di tutti, e che, con lui, l’uomo può essere il più nobile, importante, autorevole, influente, apprezzato di tutti. Quando il dio denaro si è presentato al mondo come innocente e comoda tessera magnetica di credito, ha persuaso l’umanità che tutto ha un prezzo e che tutto può essere comprato e che, con lui, l’uomo può essere un invincibile tiranno su scala globale, un inattaccabile despota planetario, un onnipotente signore della globalizzazione, un’irresistibile, maestosa bellezza, un imponente, impressionante, possente padrone del mondo. Quando il dio denaro si è presentato al mondo come legittimi numeri in un conto bancario, segno di autonomia e libertà personale, ha persuaso l’uomo a credere di essere egli stesso un dio, un dio cui tutto è possibile, un dio che può donare lusso sfrenato a pochi e debiti senza fine a tutti gli altri. Il dio denaro ha lavorato senza sosta per riuscire, un po’ alla volta, a rappresentare per l’umanità la sua più sicura fonte di sopravvivenza, la sua reale difesa contro il male e la malattia, contro l’invecchiamento, contro l’ingiustizia, la paura, la guerra. Il dio denaro ha persuaso l’uomo che senza denaro nulla ha senso e nulla deve muoversi sulla terra senza guadagno. Il dio denaro ha fatto in modo tale che tutto della vita dell’uomo sia regolato, governato, disciplinato, subordinato, ordinato, sostenuto, guidato, stabilito dal denaro. Sono dominati e controllati dal denaro gli affetti, le relazioni, i contratti matrimoniali, le separazioni di coppia, la nascita dei figli, il lavoro, il divertimento, il gioco, le comunicazioni, il riposo, l’alimentazione, le bevande, il caldo e il freddo, l’abitare, il vestire, la scienza, la cultura, l’educazione, la salute, la malattia, la ricerca medica e tecnologica, la farmacologia, la medicina, le cure mediche, le morali, le religioni, ogni forma politica, il commercio, il viaggiare. Il dio denaro odia con tutte le sue forze tutto ciò che in natura l’uomo può trovare in quantità abbondante e in forma gratuita. Il dio denaro odia l’acqua e il cibo che Dio ha creato e che l’uomo può usare per bere e alimentarsi gratuitamente, perché, fino a che sulla terra ci sarà acqua pulita da bere e cibo buono, il dio denaro non potrà vendere a tutti la sua acqua imbottigliata e i suoi cibi transgenici. Il dio denaro odia il fatto che esista per l’uomo la possibilità di guarigione dalla malattia fisica e psichica attraverso la cura e la guarigione dei propri pensieri, perché, se la gente impara a prevenire e a guarire le malattie attraverso il processo individuale, personale, gratuito, autonomo di pulizia e cura del proprio dialogo interiore, a chi potrà vendere i suoi farmaci, le sue costosissime cure? Il dio denaro odia l’armonia e la pace, perché l’armonia e la pace non fanno fruttare e girare denaro come il disordine e la guerra. Il dio denaro odia il corpo integro e sano, forte e intatto dell’uomo perché un corpo sano non si può vendere e comprare facilmente, per questo preferisce il corpo dell’uomo a pezzi, diviso in organi, che sono senza dubbio più commerciali e costituiscono un fiorente mercato. L’uomo è ossessionato dal dio denaro ma al dio denaro non interessa assolutamente nulla dell’uomo. Per il dio denaro l’uomo, la persona umana non ha dignità, libertà, senso, significato, valore, per il dio denaro l’uomo è solo e unicamente una batteria con un certo potenziale energetico sotto forma di competenze, addestramento, forza lavoro da sfruttare fino al midollo, a prezzo minimo, per poi essere gettata in discarica. Il dio denaro odia dell’uomo soprattutto i tempi morti della vita, i tempi fisiologici dell’infanzia e della vecchiaia, i tempi non produttivi, non trasformabili immediatamente in denaro. Il dio denaro odia il Dio vero, perché il Dio vero ha creato tutto nella più totale bellezza, abbondanza, pienezza, armonia, e soprattutto tutto gratuitamente. Tutto ciò che Dio ha creato non ha prezzo, perché è tutto gratuito.
Il dio denaro ama i ricchi e odia i miseri, perché i miseri, per quanto sottomessi e silenziosi, a volte gridano e fanno rumore, attirando attenzioni fastidiose. Il dio denaro ama tanto la ricchezza, odia i miseri, ma ama la miseria. Ama la miseria, la povertà, lo svantaggio delle moltitudini, perché questo aumenta a dismisura la ricchezza, il lusso, il vantaggio dei pochi ricchi, i suoi figli prediletti. Il dio denaro ama la schiavitù e la sottomissione delle masse, perché questo aumenta a dismisura la separazione delle masse sfortunate dai ricchi fortunati. Il dio denaro ama la separazione incolmabile tra ricchi e poveri, perché questa separazione istituzionalizzata e inviolabile è all’origine della sua religione preferita, la religione fondata sul culto dell’azzardo, della fortuna e della sfortuna, del destino, del caso, del fato. Il dio denaro ama la separazione in ogni sua forma, perché la separazione genera antipatia, ostilità, conflitto, guerra, distruzione, tutte situazioni che portano alle casse del dio denaro fiumi di valuta. Il dio denaro ama la malattia, la solitudine, la sofferenza dell’uomo, perché, per superare queste disgrazie, l’uomo tende a spendere tutti i propri beni e averi senza battere ciglio, anche se non riceve alcun sollievo, aiuto e guarigione. Il dio denaro odia i bambini, perché non sono produttivi, ma anche li ama, in quanto sono il suo investimento preferito, perché, se persuasi e addestrati a dovere, rappresentano una fonte formidabile e rinnovabile di guadagno senza limiti. Il dio denaro ama l’infelicità dell’uomo, perché per un po’ di felicità e di piacere, l’uomo è disposto a spendere tutto ciò che possiede e a indebitarsi per millenni fino alla miseria e alla schiavitù. Il dio denaro ama il debito e i debitori come le sue vittime sacrificali predilette, perché, attraverso il debito genera nel cuore e nella mente dell’uomo non solo un perenne e invincibile senso di colpa, ma anche uno stato costante di schiavitù e dipendenza. L’uomo debitore è già uno schiavo, ma quando non ha più risorse per pagare il debito, può essere schiavizzato dal creditore in modo legale e istituzionalizzato.
Il dio denaro disonora l’uomo, lo rende stupido, dipendente, debitore, schiavo, aggressivo, violento, misero, separato. Ora, se questo è in parte ciò che offre il dio denaro, che senso avrebbe per un uomo, che ha onorato il dio denaro, servito il dio denaro, obbedito al dio denaro per tutta la vita terrena, desiderare di entrare un giorno, terminata l’esperienza sul pianeta terra, nel regno del Dio vero? Sarebbe mai possibile che un uomo o una donna, che hanno servito e reso culto al dio denaro come il padre della loro vita, per tutti i giorni della propria vita, nel momento di entrare nella vita senza fine avessero anche solo il minimo interesse e desiderio di far parte del regno del Dio dell’amore, del Padre dell’amore, della gratuità, della pace, della bellezza, dell’armonia? Ecco perché Gesù insiste: Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio
La perfezione fisica e mentale degli aborigeni australialiani e la loro degenerazione causata dalla dieta dell’uomo bianco
Il dottor Weston A. Price, quando li visitò negli anni ’30 del secolo scorso, fu impressionato anche dall’eccezionale stato di salute dei loro denti e dalla perfetta regolarità delle loro arcate dentarie. Come egli scrive nel suo libro “Nutrition and Physical Degeneration – a Comparison of Primitive and Modern Diets and Their Effects”:
I cibi dell’uomo bianco, che ha ormai rovinato la dentatura e più in genrale la salute di quasi tutti i popoli del mondo, è quello basato su prodotti da forno realizzati con farina bianca e zucchero e cibi in scatola. L’effetto di questo cibo povero di sostanze vitali (specie se la farina è stata macinata più di due settimane prima del suo consumo) lo si vede subito dal confronto tra lo stato dei nativi che seguono ancora l’alimentazione tradizionale e quelli che si sono fatti corrompere dai dallo stile di vita e di alimentazione moderna.
I teschi degli antichi aborigeni, conservati nei musei, sono stati esaminati dal dottor Price il quale ha rilevato una interessante differenza: “i teschi che provenivano dalle zone costiere dove sono disponibili cibi di origine marina, mostrano dimensioni più massicce”.
Quali sono i cibi che la natura ha reso disponibili per queste popolazioni? Leggiamo ancora una volta il resoconto del dottor Price:
Leggi anche
http://scienzamarcia.blogspot.com/2013/08/il-dottor-price-testimonia-la-forte.html
Fonte: GENUINO CLANDESTINO:
ESISTE un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta; un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna.
Per quest’agricoltura che rischia di scomparire sotto il peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose, per ottenere un riconoscimento che la distingua dall’agricoltura imprenditoriale e industriale, per ottenere la rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali che ostacolano il lavoro dei contadini e la loro permanenza sulla terra,
CHIEDIAMO CHE
1. Chi coltiva un appezzamento di terra, qualunque sia la sua dimensione, per l’autoconsumo familiare e per la vendita diretta e senza intermediari, possa liberamente:
a. trasformare e confezionare i propri prodotti nell’abitazione o nei suoi annessi, attraverso le attrezzature e gli utensili usati nella consueta gestione domestica;
b. vendere i propri prodotti agricoli (comprese le sementi autoriprodotte), alimentari e di artigianato manuale ai consumatori finali, senza che ciò sia considerato atto di commercio.
2. I contadini che, come occupazione prevalente, praticano la coltivazione del fondo e del bosco o l’allevamento o la raccolta di erbe e frutti spontanei, esclusivamente per l’autoconsumo familiare e per la vendita diretta ai consumatori finali e agli esercenti locali di vendita al dettaglio e ristorazione, e che non siano anche lavoratori dipendenti o liberi professionisti né abbiano dipendenti, salvo eventuali avventizi impiegati in attività di raccolta
SIANO ESONERATI DA
a. il regime Iva, la tenuta di registri contabili, l’obbligo di iscrizione alla camera di commercio; ogni imposta o tassa relativa all’occupazione prevalente, alla propria abitazione e al fondo, comprese quelle di registrazione e proprietà relativa all’acquisto di terreni confinanti con i propri e confinanti tra loro;
b. l’applicazione del sistema HACCP e, più in generale, le norme vigenti in materia di igiene e sicurezza degli alimenti;
c. i vincoli progettuali e urbanistici per:
– la costruzione di stalle, serre e altri annessi sui propri terreni e per l’esclusiva occupazione prevalente, purché realizzati con una dimensione massima di 30 mq e a un piano fuori terra, secondo tipologie bene inserite nel contesto ambientale, con strutture solo rimovibili e senza possibilità di cambio della destinazione d’uso;
– la ricostruzione di manufatti preesistenti in terra, in legno o in pietra a secco;
ABBIANO DIRITTO DI
d. macellare direttamente nel proprio fondo il bestiame nato e allevato nel podere, limitatamente a un numero di capi proporzionati ai membri della famiglia e ai propri ospiti, e seppellirne i resti secondo le consuetudini locali, fatti salvi gravi motivi sanitari o la non idoneità dei terreni;
e. esercitare nella propria abitazione e sul proprio fondo attività di ospitalità rurale, fino a un massimo di dieci coperti e posti letto, senza necessità di autorizzazioni e senza essere soggetti a regole fiscali e sanitarie;
f. pagare i minimi contributi assistenziali e previdenziali;
g. ricevere, attraverso le regioni, servizi gratuiti a domicilio di:
– assistenza veterinaria e agronomica;
– assistenza burocratica e ricezione per qualunque domanda, dichiarazione, denuncia o modulistica di altro genere a qualunque titolo richiesta dall’amministrazione pubblica o comunque dovuta per legge.
3. I contadini definiti nel punto 2 siano registrati in uno specifico albo del comune di residenza e possano attestarsi con autocertificazione, vera fino a prova di falso.
4. Il lavoro prestato ai contadini definiti nel punto 2, nel loro fondo, gratuitamente o come apprendistato o come scambio di opere, sia assimilato al volontariato e – salvo l’uso di scale o di macchine e attrezzature elettriche o a motore- non sia assoggettato a obblighi contributivi e previdenziali.
5. Siano abolite le limitazioni sui contratti agrari in natura, purché favorevoli ai conduttori per una misura non inferiore al 70% del raccolto.
http://genuinoclandestino.noblogs.org/
Il dottor Price testimonia la forte salute fisica e mentale delle popolazioni che nel 1900 non avevano ancora abbandonato lo stile di alimentazione tradizionale basato su cibi locali e genuini, e dimostra come i problemi di ortodonzia e i difetti della struttura scheletrica siano causati da un’alimentazione sbagliata (anche della madre durante il periodo della gestazione) e dalle carenze nutritive che essa causa
Negli anni 1931 e 1932 il medico dentista statunitense Weston A. Price condusse un viaggio in Svizzera per studiare l’alimentazione delle popolazioni che vivevano in alta montagna, e per confrontare lo stato dei denti (e lo stato della salute più in generale) degli svizzeri che avevano adottato uno stile di vita e di alimentazione moderna (pane bianco fatto con farina raffinata, zucchero, marmellate, cibi in scatola) con quello delle popolazioni isolate che vivevano in alcune vallate isolate della svizzera e conservavano stili di vita e di alimentazione ancestrali.
Fu così che si decise a visitare la vallata di Loetschental, situata a circa mille metri di altezza, dove risiedevano circa duemila persone che vivevano quasi esclusivamente di quanto produceva la propria terra, fatta eccezione per il sale marino e pochissime altre cose.
Tale valle è limitata su tre lati da alte montagne ricoperti di neve e di ghiacci, mentre sul terzo lato l’unico altro accesso è attraverso la ripida fenditura di un fiume che scende verso la valle del Rodano. Non esistono quindi agevoli strade di accesso alla vallata la cui popolazione è rimasta in stato di quasi totale isolamento per un migliaio di anni, periodo di tempo in cui mai nessuno ha potuto conquistare quel territorio.
Quando il dottor Price visitò la vallata di Loetschental la popolazione era suddivisa in diversi villaggi disposti lungo il corso del fiume, e le abitazioni (alcune delle quali avevano un’età secolare) erano tutte fatte di legno.
Lo stato di salute della popolazione era davvero invidiabile: non si riscontravano casi di tubercolosi mentre i casi di carie o di altra forma di decadimento dentale erano davvero rari. In quella piccola comunità, così come non c’erano né dottore né dentista, non c’erano nemmeno poliziotti né c’era una prigione, cose di cui semplicemente non c’era bisogno dal momento che la gente di Loetschental erano dotati di un’etica salda tanto quanto la propria salute.
Come è stato già mostrato nel precedente articolo, ciò deve mettersi in relazione con le buone abitudini alimentari di questa gente, che continuava ancora all’inizio del 20° secolo, a nutrirsi del cibo prodotto da loro stessi, a base di pane di segale integrale, latte burro e carne delle proprie bestie (ovini e bovini), e verdure nella stagione estiva. Come dicevano i romani “mens sana in corpore sano”; in effetti quando l’alimentazione fornisce tutti gli elementi nutritivi necessari al nostro corpo ed è basata su cibi genuini, non trattati, non processati (a prescindere dal fatto che siano di origine vegetale o animale, questione che verrà analizzata in un prossimo articolo), non si sviluppa correttamente né la struttura fisica (ossea e muscolare), né quella cerebrale. Un cervello ben nutrito ed efficiente è la base indispensabile per avere una mente agile, capace di concentrarsi e di imparare, una mente che funziona correttamente e che non è soggetta a sbalzi di umore, depressioni, ossessioni, paranoie, accessi di violenza, comportamenti asociali.
Questa illustrazione del libro del dentista Weston A. Price mostra come l’effetto del consumo di cibi a base di farina raffinata e zucchero non sia solo la carie dentale, ma anche la deformazione delle arcate dentali e l’affollamento dei denti. “Questa deformazione non è dovuta all’eredità” afferma il dottor Price.
6 medici testimoniano la degenerazione della razza umana causata dall’alimentazione moderna
giovedì 1 agosto 2013