15 Agosto: Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo
di Redazione
Domani, 15 Agosto, Festività dell’Assuzione di Maria Vergine Santissima, don Floriano Abrahamowicz celebrerà la Santa Messa tradizionale a Paese (TV) alle ore 10.30 (la diretta sarà trasmessa sul canale web www.livestream.com/DOMUSMARCEL )
S.S. Pio XII il 1 novembre 1950, nel giorno della dichiarazione del Dogma, compose questa Novena e questa preghiera:
NOVENA per l’ASSUNZIONE della B.V. MARIA
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella tua Assunzione trionfale in anima e corpo al Cielo, dove sei acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi; ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore che Ti ha esaltata sopra tutte le creature e offrirti il nostro omaggio ed il nostro amore.
Ave Maria…
O Maria assunta in Cielo in corpo ed anima, prega per noi.
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, noi sappiamo che il tuo sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia ora in Cielo alla vista dell’umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima tua, nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità, fa sussultare il tuo cuore di beatificante tenerezza; noi, poveri peccatori a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, Ti supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinché apprendiamo fin da questa nostra vita terrena a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.
Ave Maria…O Maria assunta in Cielo in corpo ed anima, prega per noi.
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, noi confidiamo che le tue pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le tue labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che tu senta la voce di Gesù dirti di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: «Ecco il tuo figlio»; noi, che Ti invochiamo nostra Madre, Ti prendiamo come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.
Ave Maria…
O Maria assunta in Cielo in corpo ed anima, prega per noi.
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, noi abbiamo la vivificante certezza che i tuoi occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgano ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, all’oppressione dei giusti e dei deboli; noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal tuo celeste lume e dalla tua dolce pietà, sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra Patria.
Ave Maria…
O Maria assunta in Cielo in corpo ed anima, prega per noi.
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, noi crediamo infine che nella gloria dove regni vestita di sole e coronata di stelle Tu sia, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; da questa terra dove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di Te, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza. Attiraci con la soavità della tua voce per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen.
Ave Maria…
O Maria assunta in Cielo in corpo ed anima, prega per noi.
Salve, o Regina..
NOVENA per l’ASSUNZIONE della B.V. MARIA
(Piccola corona di dodici salutazioni angeliche ed altrettante benedizioni)
* I. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale foste invitata dal vostro Signore al cielo.
Ave Maria
* II. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale foste assunta dagli Angeli santi in cielo.
Ave Maria
* III. Sia benedetta, o Maria, l’ora in cui tutta la corte celeste vi venne incontro.
Ave Maria
* IV. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale foste ricevuta con tanto onore in cielo.
Ave Maria
* V. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale sedeste alla destra del vostro Figlio in cielo.
Ave Maria
* VI. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale foste coronata con tanta gloria in cielo.
Ave Maria
* VII. Sia benedetta, o Maria, l’ora in cui vi fu dato il titolo di Figlia, Madre e Sposa del Re del cielo.
Ave Maria
* VIII. Sia benedetta, MMrria, l’ora nella quale foste riconosciuta Regina suprema di tutto il cielo.
Ave Maria
* IX. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale tutti gli Spiriti e Beati del cielo vi acclamarono.
Ave Maria
* X. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale foste costituita Avvocata nostra in cielo.
Ave Maria
* XI. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale cominciaste a intercedere per noi in cielo.
Ave Maria
* XII. Sia benedetta. o Maria, l’ora nella quale vi degnerete di ricevere tutti in cielo.
Ave Maria
Preghiamo:
O Dio, che volgendo lo sguardo all’umiltà della Vergine Maria l’hai innalzata alla sublime dignità di madre del tuo unico Figlio fatto uomo e oggi l’hai coronata di gloria incomparabile, fa’ che, inseriti nel mistero di salvezza, anche noi possiamo per sua intercessione giungere fino a te nella gloria del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA per l’ASSUNZIONE della B.V. MARIA
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini,
noi crediamo nella tua assunzione in anima e corpo al cielo,
ove sei acclamata da tutti i cori degli angeli e da tutte le schiere dei santi.
E noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore che ti ha esaltata sopra
tutte le creature e per offrirti l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.
Noi confidiamo che i tuoi occhi misericordiosi si abbassino sulle nostre miserie
e sulle nostre sofferenze; che le tue labbra sorridano alle nostre gioie
e alle nostre vittorie; che tu senta la voce di Gesù ripeterti per ciascuno di noi:
Ecco tuo figlio.
E noi ti invochiamo nostra madre e ti prendiamo, come Giovanni, per guida,
forza e consolazione della nostra vita mortale.
Noi crediamo che nella gloria, dove regni vestita di sole e coronata di stelle,
sei la gioia e la letizia degli angeli e dei santi.
E noi in questa terra, ove passiamo pellegrini, guardiamo verso di te,
nostra speranza; attiraci con la soavità della tua voce per mostrarci un giorno,
dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del tuo seno, o clemente,
o pia, o dolce Vergine Maria.
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Manuale per la Resilienza Cattolica
LA MIA CONVIVENZA
(dal romanzo storico autobiografico di Frà Giuseppe Mercuri già eremita del Santuario del Santissimo Crocifisso e di Nostra Signora Mediatrice di Grazie a Vallerano-VT)
…….
IL VOTO DI VERGINITA’ DI MARIA E DI GIUSEPPE. IL FIDANZAMENTO
I santi Padri, da San Girolamo a Sant’Agostino, seguiti poi dagli esegeti e dai teologi quasi all’unanimità, ritengono che Mari abbia fatto voto di verginitá. La stessa cosa si ritiene oggi di San Giuseppe.(1) Ma quando Maria e Giuseppe avrebbero emesso questo voto? I Vangeli non ne parlano ma questa lacuna puó essere riempita con ipotesi verosimili. Il sottoscritto ha in proposito la sua convinzione: ai biblisti il giudizio, per quanto discorde o favorevole che sia. Certamente Maria aveva fatto voto di verginità prima che l’angelo le dicesse che era stata scelta come madre del Salvatore, perché rispose all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”, risposta che non avrebbe senso se Maria non avesse promesso a Dio di non voler conoscere uomo (Le 1,34).
Continuando sullo stile del mio romanzo (abbiamo iniziato il racconto dall’ottavo capitolo), nella convivenza con la Santa Famiglia ho chiesto a Maria come sono andate le cose. A questa domanda Maria è rimasta pensierosa, poi mi ha detto: “Ero perplessa perché si tratta di svelarti la mia anima, ma ho pensato che ma lia risposta possa essere una testimonianza da fare per la gloria di Dio. Qualcuno potrebbe pensare che io abbia fatto voto di verginità per una avversione patologica ai matrimonio, lo escludo nel modo più assoluto. Le maestre e i sacerdoti del tempio erano tutti sposati e ci parlavano del matrimoniocome di un vincolo santo tra l’uomo e la donna: avere figli era ritenuta una grande benedizione di Dio. Ma nel Tempio si maturó in me la convinzione che il Signore mi chiedeva la consacrazione totale a Lui. In Israele si pregava molto perché Dio facesse presto a mandare il Salvatore promesso, e molte donne in Israele nutrivano il pensiero di poter essere scelte da Dio per dare alla luce il Messia, essendo maturi i tempi della sua venuta. A me questo pensiero non venne, perché sentivo che il Signore mi chiedeva soltanto la preghiera e un grande amore verso il Messia che sarebbe venuto, insieme alla consacrazione a Lui dell’anima e del corpo. Così, all’età di undici anni, mi consacrai al Signore facendo voto di verginitá.”
La interrompo: “Non ti consigliasti con le maestre e i sacerdoti? Non pensavi che quel voto era in contrasto con le tradizioni d’Israele e avrebbe potuto crearti dei problemi?
Non mi consiglia con nessuno. Soltanto dopo aver fatto il voto mi sono confidata con zio Zaccaria, che era sacerdote nel Tempio. Mi disse che non capiva se era stato Dio o il demonio a ispirarmi quella promessa; ma ne avrebbe parlato al sommo sacerdote. Che cosa sia avvenuto tra loro, non lo so. Anch’io pensavo che quel voto avrebbe potuto crearmi dei problemi, ma se era stato Dio ad ispirarmelo, come pensavo, Lui avrebbe provveduto. Poi fu eletto sommo sacerdote zio Zaccaria.
Quando compii dodici anni e dovevo essere dimessa dal tempio, zio Zaccaria convocò i sacerdoti e disse: “Maria di Gioacchino non è più una bambina, deve essere dimessa perché non le accada nel tempio ciò che accade alle ragazze di una certa età(2), come vuole la consuetudine dobbiamo trovarle uno sposo (un fidanzato) ma c’è un problema serio da risolvere: Maria ha fatto voto di verginità pensando di consacrarsi al Signore in modo più perfetto che con il matrimonio. Che cosa facciamo?”
Le opinioni dei sacerdoti furono diverse. Alcuni dissero che quel voto era invalido perché contrario alle tradizioni d’Israele; altri esortarono Zaccaria a convincermi di recedere da quella promessa o di accettare di esserne dispensata; altri dissero che si poteva procedere ugual- mente perché il problema si sarebbe posto quando si doveva passare al secondo rito delle nozze, alla convivenza. Fu accettata l’ultima pro- posta. Allora Zaccaria inviò i banditori per invitare i pretendenti alla mia mano, della casa di Davide, ad essere presenti nella sala delle cerimonie nel giorno e nell’ora stabiliti.
Quel giorno la sala delle cerimonie era piena. Zaccaria si alzò e disse: “Tra voi devo scegliere chi sarà lo sposo di Maria, ma non posso procedere secondo la consuetudine, perché Maria l’ha rotta facendo voto di verginitá; potrà fidanzarsi ma non potrà procedere al secondo rito se nel frattempo non recederà dal voto o non vorrà esserne dispensata; chi non vorrà fidanzarsi con lei a queste condizioni può uscire dalla sala, quelli che restano pregheranno con me affinché il Signore ci dia un segno, perché soltanto Dio sa se in questa sala c’è qualcuno in grado di rispettare il voto di questa ragazza.”
Molti – prosegue Maria – uscirono dalla sala, pochi restarono. Mentre quelli che erano restati stavano pregando con il sommo sacerdote, si udì un brusio nella sala: sul bastone di Giuseppe, figlio di Giacobbe, era fiorito un giglio. Il sommo sacerdote disse a Giuseppe di portargli il bastone e gli disse: “Come vedi, il Signore ha dato il segno, sarai sposo di Maria e custode del suo voto, prometti?” E disse a me: “Maria, vuoi prendere in tuo sposo Giuseppe, figlio di Giacobbe?”. Io e Giuseppe ci siamo guardati e abbiamo detto “Sì”. Il sommo sacerdote ci ha benedetti e, rivolto all’assemblea, ha detto: “E’ la prima volta che accade questo in Israele”. E a noi: “Credo che non tornerete qui per il secondo rito…”. “Domando a Maria: “Anche Giuseppe aveva fatto voto di verginità?”.
Mi risponde: “E’ meglio che te lo dica lui, adesso lo vado a chiamare”. Maria va a chiamare Giuseppe che sta nel suo laboratorio e gli dice che il sacerdote desidera un chiarimento da lui. Giuseppe viene e mi chiede che cosa desidero sapere. Gli dico: “Mettiti seduto. Vorrei sapere se anche tu avevi fatto voto di verginità come Maria.”
Risponde: “Le cose sono andate così: io ero molto innamorato di Maria; quando il sommo sacerdote disse di uscire dalla sala delle cerimonie a coloro che non erano disposti a sposare Maria a quelle condizioni, io restai. Quando ci disse di pregare per chiedere un segno, anche io, per non perdere Maria, ho fatto voto di verginità nel mio cuore ed è fiorito il giglio sul mio bastone. Io e Maria ci eravamo conosciuti fin da bambini, qualche volta ero andato a trovarla nel tempio insieme a Gioacchino e quando Gioacchino morì seguitai ad andare a trovarla con mio padre. Il mio amore per lei cresceva… Si vede che fin da allora era scritto in cielo che Maria doveva essere la mia sposa.”
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MARIA EREDITA LA CASA NUOVA DI NAZARETH. L’ANNUNCIO DELL’ANGELO
Secondo la tradizione, l’annuncio dell’angelo a Maria avvenne a Nazareth. Dunque, Maria, uscendo dal tempio a dodici anni, non tornò nella casa di Gerusalemme dove era nata,(3) i suoi genitori si erano trasferiti a Nazareth. Occorre riempire questa lacuna perché i Vangeli non parlano di questo trasferimento.
Chiedo a Maria di dirmi come andarono le cose e mi risponde: “Dopo la mia presentazione al tempio, i miei genitori pensarono di ritornare a Nazareth, la loro patria di origine dove avevano ancora molti parenti: avrebbero venduto la casa di Gerusalemme e il gregge e avrebbero costruito una casa nuova accanto a quella di Giacobbe, padre di Giuseppe e di Alfeo. Mi fecero la proposta di seguirli, ma se preferivo potevo restare nel tempio fino all’età di dodici anni, quando le ragazze venivano dimesse. Risposi che preferivo restare nel tempio e mi dissero: “Figlia, anche noi pensiamo che questa sia la volontà di Dio per te e per noi. Verremo a trovarti, restiamo uniti nelle preghiere.” Mi scrissero dicendo che per il momento erano ospiti in casa di Giacobbe ma stavano costruendo la casa nuova. Vennero a trovarmi due volte e mi dissero che forse l’età avanzata non gliel’avrebbe più permesso. Un giorno, Giacobbe venne a trovarmi da solo, perché mamma e papà erano andati in cielo, a distanza di due giorni l’uno dall’altra. Mi dissero che la casa nuova era terminata e lui con i figli Alfeo e Giuseppe la custodivano; intanto stavano costruendo un tempietto nel giardino dove riposavano i loro resti.(4) Dissi a Giacobbe che la morte dei miei genitori non mi rattristava perché il Signore mi aveva concesso di assisterli senza uscire dal tempio: «la loro morte non era stata morte, perché si erano spenti come dolcemente si spengono le stelle quando il sole sorge all’aurora».(5)
Quando a dodici anni fui dimessa dal tempio, dopo essere stata fidanzata a Giuseppe dal sommo sacerdote, presi possesso della nuova casa. Tutti i parenti mi aiutavano nelle faccende di casa, nella cura del giardino e nella manutenzione del tempietto dove non solo i parenti ma anche molti nazaretani venivano a pregare con me e a riempirlo di fiori. Intanto i parenti mi sollecitavano di fare presto a passare al secondo rito delle nozze essendo sola in casa.
Ero in preghiera in questa stanza quando improvvisamente la stanza si illuminò. La tenda della finestra si muoveva come se dietro vi soffiasse un venticello. Senza che la finestra si aprisse entrò un giovane vestito di bianco. Pensai subito che fosse un angelo ma poi pensai che poteva essere l’angelo delle tenebre travestito da angelo di luce. Mi sorrise e mi disse: “Rallegrati, Maria,(6) perché hai trovato grazia presso Dio. Concepirai e darai alla luce un figlio che chiamerai Gesù (= Dio salva). Egli sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, il Signore gli darà il trono di Davide e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe: il suo regno non avrà mai fine”.
Al pensiero che, come diceva quel giovane, dovevo essere madre e non avrei potuto osservare la promessa che avevo fatto al Signore, io mi sentii confermata nell’idea che quel giovane fosse davvero l’angelo delle tenebre; tuttavia le sue parole suonavano al mio orecchio e al mio cuore come una dolce melodia che mi rassicurava e mi dava gioia. Gli risposi: “Come è possibile se ho promesso al Signore di non conoscere uomo?” L’angelo mi rispose: “Concepirai il Messia non per opera dell’uomo ma dello Spirito Santo; tua cugina Elisabetta è al sesto mese di gravidanza nonostante la sua età avanzata, e tutti sanno che era sterile: nulla è impossibile a Dio.” Allora gli ho detto: “Sono la serva del Signore, si faccia di me come hai detto”. (Lc 1,26-38)
Pensai di andare a trovare subito Elisabetta ma intanto una grande luce era entrata in me: ero certa che mi aveva parlato l’angelo del Signore. Ebbi anche un’altra certezza, che alle parole con le quali avevo detto il mio “sì”, il Verbo di Dio aveva preso carne in me, mi misi in ginocchio e adorai il Messia che avevo concepito. Ho sbagliato? Dovevo adorarlo soltanto dopo che fosse passato qualche tempo perché potesse diventare un uomo?”
Le rispondo: “No Maria, non hai sbagliato: il Figlio di Dio si era incarnato in te nello stesso momento che hai dato il tuo assenso, si era fatto uomo perché era stata infusa in l’anima umana immortale. In un certo modo si potrebbe dire che hai concepito il Messia con l’amore che avevi nel cuore per Lui, prima di concepirlo nella tua carne: le anime che si consacrano al Signore non Lo concepiscono forse nel loro cuore con il loro amore? Dunque, Maria, l’annuncio dell’angelo è avvenuto a Nazareth ma non nel luogo che chiamiamo la Sacra Grotta?”
Risponde: “La Sacra Grotta era lo scantinato della casa dove preferivo ritirarmi a pregare, ma l’angelo mi apparve in casa.(7)”
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MARIA SI RECA IN FRETTA DA ELISABETTA
L’angelo –racconta Maria- mi aveva detto che Elisabetta era al sesto mese di gravidanza; era vecchia e pensavo che avesse bisgono della mia assistenza. D’altra parte sentivo un forte desiderio di comunicarle l’annuncio dell’angelo e il concepimento del Messiá nel mio grembo. Ma non potevo rivelare a Giuseppe la mia maternitá per opera dello Spirito Santo perché lo Spirito stesso me lo aveva proibito; Giuseppe avrebbe pensato che era una favola inventata da me per nascondergli il mio peccato. Avrebbe pensato Dio a giustificarmi di fronte a Giuseppe. Pregai il Signore di farmi trovare le parole giuste e dissi a Giuseppe:
“Ho tanto desiderio di rivedere Elisabetta e Zaccaria. Ci hanno chiesto preghiere per avere un figlio, abbiamo pregato tanto ma non li abbiamo più visti. Verso Zaccaria abbiamo molti doveri di riconoscenza: mi ha fatto entrare nel tempio a tre anni, mi è stato sempre vicino nell’educandato, ci ha sposati… Posso andare?”.
“Non solo puoi andare — mi ha risposto Giuseppe — ma devi andare; io però non posso accompagnarti fino ad Ain-Karim (8) perché ho alcuni lavori urgenti da fare; potrei accompagnarti fino a Gerusalemme ed un mio amico, un vecchietto che è stato giardiniere nella villa di Zaccaria, potrebbe accompagnarti fino alla casa di Zaccaria: conosce bene la strada, ti puoi fidare.”
Accolsi subito la proposta. Giuseppe chiese l’asino ad Alfeo ed io lo avrei seguito sul nostro asinello. Mi aiutò a caricare sull’asino un bauletto (arca) con alcuni effetti personali e partimmo verso la montagna (Lc 1,39). Facemmo una sosta per mangiare e ripartimmo; prima del tramonto del sole eravamo davanti alla casa dell’amico di Giuseppe. Il vecchietto e sua moglie, quando videro Giuseppe, ci accolsero con gioia e Giuseppe mi presentò: “Si chiama Maria, è la mia sposa, la cugina di Elisabetta. Deve andare a trovare Elisabetta e Zaccaria che ci ha sposati nel tempio, ma io non posso accompagnarla fino ad Ain-Karim perché ho lavori urgenti per le mani, puoi accompagnarla tu?”. Il vecchietto rispose: “Come no? Sei un caro amico ma ho anche piacere di rivedere i miei padroni e i vecchi amici che sono ancora a loro servizio.”
Abbiamo mangiato e pernottato; l’ indomani all’aurora siamo partiti su due asinelli, mentre Giuseppe è tornato a casa. Nel tardo pomeriggio eravamo davanti alla casa di Zaccaria. Il vecchietto ha suonato la campanella ed un servo è venuto al cancello. Non appena si sono riconosciuti, si sono abbracciati e il vecchietto mi ha presentata: “Si chiama Maria, è la cugina di Elisabetta, Zaccaria l’ha sposata a Giuseppe, il falegname di Nazareth che mi ha chiesto di accompagnarla; mi fai il favore di chiamare Elisabetta?”.
Elisabetta, alla notizia che ero giunta, è scesa di corsa dalle scale esterne della casa; io le ho detto di fermarsi perché non doveva scendere di corsa in quelle condizioni; sono corsa su per le scale e ci siamo abbracciate; lei ha cominciato a singhiozzare per la gioia di rivedermi. Mi ha portato nella sua stanza e mi ha detto: “Non ti presento subito a Zaccaria perché potrebbe venirgli un malore, prima lo devo preparare a questo incontro.”
“Dunque — le ho detto — il Signore ha ascoltato le vostre e le nostre preghiere, come sono contenta! Sai chi mi ha detto che eri al sesto mese? Indovina… Me lo ha detto un angelo del Signore. Mi ha detto anche che il Messia sarebbe nato da me, lo porto in grembo da pochi giorni…”
“Cosa mi dici? Zaccaria mi ha detto che hai fatto voto di verginità..”
“E’ vero, ma l’angelo mi ha detto che avrei concepito per opera dello Spirito Santo.” Elisabetta è rimasta per qualche attimo a pensare, poi mi ha detto: “Ti credo, non solo perché sei sincera ma anche perché, quando ci siamo abbracciati, il mio bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo, i due bambini si sono riconosciuti… Vieni con me, io vado a preparare Zaccaria e tu resta dietro la sua porta origliando e guardando dal buco della serratura.”
Elisabetta ha bussato alla porta di Zaccaria e questi ha risposto con due colpetti sul tavolo che poteva entrare. Tutta giuliva, Elisabetta ha detto al marito: “Zaccaria, vuoi sapere che cosa ho sognato questa notte? Ho sognato che Maria di Nazareth stava venendo da noi sopra un asinello.” Zaccaria sorride e allarga le braccia come per dire: è un bel sogno ma purtroppo è un sogno!
“Zaccaria, non abbiamo forse pregato perché il Signore ispirasse Maria a venire da noi? Se un angelo ti dicesse che il Signore ha ascoltato anche questa nostra preghiera, crederesti all’angelo?”. Zaccaria si tocca la bocca, come per dire: gli crederei, perché non mi accada di peggio.
“Zaccaria, questa volta l’angelo sono io: ti annuncio una grande gioia, Maria di Nazareth è qui!”. Apre la porta, io entro e Zaccaria scatta in piedi ed esclama singhiozzando: “Maria!”. Elisabetta pensa che zio ha riacquistato la favella ma io le dico: “Questo è il segno che Zaccaria parlerà presto ma non è ancora il momento.” Abbraccio lo zio ma sento che gli tremano le gambe e lo aiuto a sedersi sulla poltrona. Lo abbraccio ancora mentre continua a singhiozzare e mi accarezza sul viso, forse per sentire se sono davvero io, non un fantasma. Vorrebbe dirmi tante cose ma non può. Gliele dico io:
“Zio, ricordi quando ero piccina e tu mi davi la mano per aiutarmi a salire la gradinata del tempio? Ricordi quando pensavi che il sommo sacerdote non mi avrebbe accettato perché avevo soltanto tre anni, ma tu gli parlasti e lui mi accettò? Ricordi quando ogni tanto mi venivi a trovare per vedere se ero contenta di stare nel tempio? E quando mi fidanzasti con Giuseppe e sul suo bastone fiorì un giglio?”. Ad ogni domanda risponde con il capo: “Sì, sì, sì…”. “Zio, presto io e Giuseppe perfezioneremo le nostre nozze con il secondo rito, verrai anche tu alla festa?”
Zaccaria si turba, sta pensando al mio voto. Allora proseguo: “Zio, vuoi sapere una cosa grande grande? Il Signore mi ha inviato il suo angelo, mi ha detto che sarei diventata madre per opera dello Spirito Santo… e sai perché? Perché mi ha scelta come madre del Messia, lo porto già nel mio grembo.”
Zaccaria mi ha guardato negli occhi, poi singhiozzando ancora ha posato il capo sul mio petto. Lo aiuto a stendersi sul letto e gli dico: “Ora riposati, io ed Elisabetta torniamo nella sua stanza, avrò tempo di raccontarti tante cose belle.”
Elisabetta, mentre io parlavo a Zaccaria, è restata sempre silenziosa ad ascoltarmi con gli occhi lucidi; mi ha preso per mano e siamo rientrate nella sua stanza. Le ho chiesto io stilo e il favore di mandare un servo a chiamare il corriere, volevo scrivere a Giuseppe. Gli ho scritto:
«Giuseppe, Elisabetta è al sesto mese di gravidanza, le loro preghiere e le nostre sono state esaudite. Penso di rimanere fino a quando Elisabetta partorirà e il bambino sarà circonciso. Sono certa che tutto andrà bene. Ti riscriverò quando il bambino sarà nato e ti farò sapere quando sarà circonciso. È bene che quel giorno anche tu sarai con noi alla festa. Adesso non ti muovere e non preoccuparti. Shalom! Maria».”
Mi dice che, nonostante queste parole rassicuranti per Giuseppe, lei sentiva nel cuore qualche apprensione. “Vedremo, preghiamo” ha detto ad Elisabetta.
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LA NASCITA DI GIOVANNI, ZACCARIA RIACQUISTA LA FAVELLA, LA NOTTE OSCURA DI GIUSEPPE
Maria trascorse tre mesi con Elisabetta. E’ facile immaginare gli argomenti dei loro colloqui: il Bambino di Maria che era il Messia, il bambino di Elisabetta che lo avrebbe preceduto per preparargli la strada. Chiedo a Maria di parlarmi degli ultimi giorni della gravidanza di Elisabetta e della nascita del suo bambino.
“Per Elisabetta – dice – cominciavano le doglie del parto. Tutto procedeva normalmente, eppure vedevo in lei e in Zaccaria tanta ap- prensione, sembrava che non ricordassero più l’intervento miracoloso di Dio perché avessero un figlio: se Dio era stato con loro fino a quel momento, forse li avrebbe abbandonati? Il mio servizio in quei giorni consisteva soprattutto nel mantenerli sereni. Dalla finestra di Elisabetta vedevo Zaccaria irrequieto che passeggiava su e giù nel viale del giardino. Gli dicevo: “Perché ti agiti Zaccaria? Perché non vai nella tua stanza a riposare?”. Elisabetta da parte sua mi voleva sempre accanto e teneva continuamente una mano poggiata sul mio seno. Le dicevo: “Non occorre, prega, il Bambino non è soltanto nel mio grembo, è anche accanto a te e al bambino che darai alla luce.”
Anche Sara, la donna di servizio preferita da Elisabetta, faceva la sua parte per tenere serena la sua padrona e aveva sempre l’acqua calda a portata di mano. Anche lei le ricordava l’intervento di Dio nel concepire il figlio che ora stava per nascere; le ripeteva con me che sarebbe stato un bimbo sano e bello, le chiedevamo se voleva pre- sente anche Zaccaria ma rispondeva: “No, glielo metterete tra le braccia quando sarà nato.” Intanto il bimbo premeva, voleva uscire dal grembo. Poi un grido della mamma e il bambino mi scivolò tra le mani.
Lo lavammo, lo fasciammo, lo ponemmo sul petto di Elisabetta e poi lo portammo a Zaccaria. Piangendo, Zaccaria stringeva forte il bambino tra le braccia, aveva paura che gli cadesse, non sapeva come tenerlo; lo baciò più volte e lo restituì a me perché lo riportassi alla madre. Nel villaggio si diffuse subito la notizia: Elisabetta, la donna sterile e vecchia ha partorito un maschio! La casa si riempì di parenti e di curiosi. “Come lo chiamerete?” Elisabetta rispondeva: “Giovanni, perché è dono di Dio”. “Ma nel vostro casato non c’è nessuno con questo nome!” (Lc 1,61). “Non importa, è dono di Dio!”.
Venne l’ottavo giorno, il bambino doveva essere circonciso e i parenti discutevano ancora sul nome. Zaccaria doveva dire l’ultima parola ma era muto; prese lo stilo e la tavoletta cerata e scrisse: “Il suo nome è Giovanni”. In quel momento si sciolse il nodo della sua lingua e lodando Dio profetò: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele che ha visitato il suo popolo; e tu, bambino, sarai il profeta dell’Altissimo perché andrai davanti al Signore a preparargli le strade…” (Lc 1,63-64; 1,68ss).
Zaccaria stava lodando il Signore quando entrò Giuseppe. Si scusò per non essere riuscito a venire prima, ma era contento perché il rito della circoncisione non era ancora iniziato. Abbracciò Elisabetta e Zaccaria e prese il bambino tra le braccia guardandosi intorno: cercava me ma non mi vedeva. “Io – dice Maria – vedendo entrare Giuseppe sono corsa nella mia stanza per mettermi un vestito che coprisse meglio la mia maternità, ma non lo trovavo, ero agitata.
Mi sono coperta con un manto e sono rientrata in sala. Giuseppe è venuto ad abbracciarmi e il manto mi è scivolato dalle spalle. Raccogliendolo, Giuseppe mi ha dato uno sguardo dal basso in alto e si è turbato. Ha visto che anch’io ero turbata. Non potendo giustificarmi, mi sono fatta rossa in viso e ho capito che per Giuseppe e per me la festa era terminata. I presenti capirono dal nostro turbamento che Giuseppe non sapeva ancora che io ero incinta. Mi disse che voleva parlarmi e lo invitai nella mia stanza. Indicò con lo sguardo la mia maternità ma io tacevo. Allora mi disse: “Prendi le tue cose e andiamo”.
Lo seguii nella sala dove si stava preparando la cerimonia della circoncisione, si avvicinò a Zaccaria, impasticciò qualche scusa e disse che doveva partire d’urgenza per Nazareth con me. Zaccaria cercava di dissuaderlo: “Sta calando il sole, la strada è lunga, restate…”, ma Giuseppe era irremovibile. Chiesi ad Elisabetta di dire a qualche servo di prepararci gli asini; Elisabetta lo disse a Sara perché lo dicesse al servo incaricato della stalla, poi mi prese per mano e mi condusse nella sua stanza. Mi abbracciò piangendo, io le dissi: “Non preoccuparti, penserà il Signore a giustificarmi davanti a Giuseppe.” L’abbracciai forte e dissi a Giuseppe che ero pronta. Salimmo sugli asini e partimmo.
Il viaggio di ritorno a Nazareth andò così: lui muto sul suo asino, io muta sul mio. C’era la luna piena. Attraverso scorciatoie e perdendo la nozione del tempo giungemmo finalmente a Nazareth affamati e stanchi. Giuseppe si fermò davanti alla casa di Alfeo, lo chiamò e gli disse: “Domani ti spiegherò, ora sono tanto stanco, non, mi sento bene, vado a stendermi; Maria andrà a casa sua.” Alfeo ri- mase impressionato, io lo salutai con la mano e andai a casa. Entrai e mi prostrai sul pavimento implorando: “Signore, sto facendo la tua volontà, fai presto, mandagli un angelo…”. Mi sembrava di vedere Giuseppe che non riusciva a dormire e diceva: “Signore, che cosa devo fare? Se la rimando con il libello del ripudio sarà lapidata… ma se avesse subìto violenza? Perché non parla? Al vederla mi sembra ancora un angelo, la respingerò in segreto”.
“Giuseppe era caduto in depressione. Con profondo senso di colpa diceva: “Signore, me l’hai affidata ma io non sono stato capace di proteggerla… Signore, sono tanto stanco, fammi addormentare e non svegliarmi più…”.
“A questo punto — prosegue Maria — mi è parso di vedere un angelo che è andato da lui e gli ha detto: “Giuseppe, coraggio, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché Colui che è stato generato in lei è opera dello Spirito Santo: darà alla luce un Figlio e tu lo chiamerai Gesù.” (Mt 1,18-21)
Giuseppe si è subito levato dalla branda ed è uscito da casa. Poco dopo ho sentito bussare alla porta, ho aperto e Giuseppe è caduto in ginocchio davanti a me dicendo: “Maria, perdonami, ho peccato, ti ho giudicata…” e piangeva. L’ho afferrato per un braccio e l’ho messo in piedi ma lui ha ripetuto: “Sì, ho peccato, ti ho giudicata… ma l’angelo mi ha detto di prenderti con me perché Colui che è stato generato in te è opera dello Spirito Santo…”.
Gli ho risposto: “Giuseppe, perdonami se ti ho fatto soffrire ma lo Spirito mi aveva imposto di non giustificarmi con te, avrebbe pensato Lui a giustificarmi. Se ti avessi detto che ero incinta per opera dello Spirito, mi avresti creduto? Poiché l’angelo ti ha detto di pren- dermi con te, perfezioneremo subito le nostre nozze.”
“Sì, sì. Mentre tu eri da Elisabetta, io ti ho preparato il regalo di nozze… ma perché il Signore ha voluto che soffrissi tanto?”
“Non lo so, Giuseppe, ma penso che dovevi soffrire le doglie del parto che a me saranno risparmiate… sarai il suo papà e anche tu lo chiamerai Gesù”.
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GIUSEPPE MOSTRA IL REGALO DI NOZZE A MARIA E AGLI AMICI
Passata la notte oscura, Giuseppe e Maria decidono di perfezionare le nozze ma prima Giuseppe vuole mostrare il regalo di nozze a Maria e agli amici invitandoli ad un pranzo in casa della sposa. Maria racconta:
“Il giorno stabilito, questa stanza era piena di invitati. Vicino a Giuseppe e a me sedeva Luca, il nostro medico di famiglia che ogni tanto veniva a documentarsi da me perché aveva intenzione di scrivere il Vangelo. Il pranzo fu preparato da Maria di Alfeo e da altre donne. Terminato il pranzo, Giuseppe ha chiesto la parola e ha detto: “Fratelli, sorelle, ascoltatemi. Prima di mostrarvi il regalo di nozze che ho preparato per Maria, desidero dirvi alcune cose importanti, anche se qualcuno di voi le conosce già. Tre mesi orsono l’angelo del Signore ha parlato a Maria. Le ha detto che il Signore l’aveva scelta per essere la madre del Messia che tutti in Israele aspettiamo. Dovete sapere che quando Maria era nel tempio si consacrò al Signore facendo voto di verginità, perciò ha risposto all’angelo che aveva promesso al Signore di non conoscere uomo; l’angelo le ha risposto che avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo, allora lei ha accettato rispondendo: “Sono la serva del Signore, avvenga in me come hai detto.” Siccome l’angelo l’aveva informata che sua cugina Elisabetta era al sesto mese di gravidanza, pur essendo sterile e vecchia, Maria si è recata subito da Elisabetta per servirla ed è rimasta con lei tre mesi, cioè fino a quando Elisabetta ha partorito. Naturalmente Maria ha confidato alla cugina l’annuncio ricevuto dall’angelo mentre a me non aveva detto nulla di questo fatto perché lo Spirito le aveva imposto di non giustificarsi con me circa la sua gravidanza: avrebbe pensato Lui, lo Spirito stesso, a giustificarla. Infatti quando Maria è tornata a casa, un angelo mi è apparso e mi ha detto: “Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché Colui che porta in grembo non è opera dell’uomo ma dello Spirito Santo”. Così abbiamo deciso di perfezionare le nozze ed ora sono qui per mostrare a Maria e a voi il regalo di nozze che ho preparato per lei mentre era da Elisabetta. Mi sono spiegato?”
Un brusio ha riempito la sala, si è capito subito che era un brusio di approvazione. Si è alzato il medico Luca e ha confermato le parole di Giuseppe dicendo: “Io sto scrivendo il Vangelo, Maria mi ha detto le stesse cose che ora ci ha detto Giuseppe.” Si è alzato Alfeo e ha detto: “Mio fratello mi ha già raccontato quello che ora ha detto a tutti e mio fratello non mente, tutti sappiamo che è un uomo giusto.” Un altro ha detto: “Lo sappiamo tutti che a Maria e a Giuseppe parlano gli angeli.” Rivolgendosi a Giuseppe, un altro ha detto: “Hai fatto bene a dire pubblicamente queste cose perché a Nazareth girano chiacchiere sulla gravidanza di Maria.” Giuseppe sorride e dice: “Sarà lo Spirito Santo a giustificarla anche davanti alla gente. Ma ora, fratelli, seguitemi, vi mostrerò il regalo di nozze che ho prepa- rato per Maria e ringrazio mio fratello Alfeo che mi ha aiutato nei lavori che vi mostrerò.”
Giuseppe — prosegue Maria — mi ha preso per mano e ci ha condotti nella grotta dell’asino e della capretta. Sorridendo ha detto: “Non sono queste bestiole il regalo di nozze per Maria, seguitemi in fondo alla grotta.” In fondo alla grotta ha acceso una lucerna mostrando una grotticella laterale e dicendo: “Facciamo silenzio, ditemi se sentite qualche rumore.” Alcuni hanno detto di sentire un fruscio, come di acqua che scende. “Precisamente — ha detto Giuseppe — è una piccola sorgente: l’acqua scendeva dalla roccia e si disperdeva nel terreno sabbioso, ora non più, perché sotto la sorgente io e Alfeo abbiamo costruito una vaschetta; l’acqua è limpida e fresca, Maria può usarla per la mensa, per la cucina e per abbeverare le bestiole senza dover recarsi al ruscello o tirarla su da qualche pozzo. Ma non finisce qui, seguitemi nel giardino.”
Nel giardino — prosegue Maria — Giuseppe ci ha mostrato una vasca più grande e ha detto: –Attraverso un canale scavato a circa mezzo metro di profondità, l’acqua scende dalla vaschetta della sorgente in questa vasca: Maria può lavare i panni senza dover recarsi al ruscello. Come potete vedere, io e Alfeo abbiamo piantato le viti intorno alla vasca, quando le viti saranno cresciute, faremo una pergola affinché Maria sia riparata dal sole quando lava. L’acqua della vasca può essere utilizzata per il giardino e per le pulizie della casa. Attraverso un canale come il precedente l’acqua scende nella cunetta della strada e si disperde.” Segue un lungo applauso.”
Maria prosegue il racconto: “Giuseppe si è seduto sopra una grossa pietra e ha invitato tutti intorno a sé; a me ha detto di mettermi seduta accanto a lui. Ha tirato fuori dalla tasca una pergamena e ha detto: “Questa pergamena è il documento della donazione dei lavori da me eseguiti per Maria ma prima di leggerlo permettetemi di raccontarvi un episodio:
«Un giorno ero seduto su questa pietra e vidi Maria che tornava dal ruscello portando sul capo la conca dei panni lavati e l’anfora dell’ acqua poggiata sul fianco. Le dissi: “Maria, riposati, metti giù la conca e l’anfora, come sei sudata!” Si sedette e mi rispose: “Giuseppe, perché ti preoccupi? Sono giovane e forte!” Le dissi: “Quanto vorrei renderti la vita meno difficile!” E lei sorridendo: “A Dio tutto è possibile, potrebbe far scaturire una sorgente tutta per noi!” ».
Quando io ho scoperto la sorgente nella grotta, ho pensato che Dio aveva preso sul serio le parole di Maria e ha fatto scaturire la sorgente. Sì, fratelli, perché prima la sorgente non c’era, altrimenti Gioacchino l’avrebbe vista e utilizzata. Penso che quest’acqua sia miracolosa, io ne bevo un bicchiere ogni mattina.”
A questo punto Giuseppe ha srotolato la pergamena e ha letto ad alta voce: “Io, Giuseppe fu Giacobbe, dono a Maria, mia sposa, come regali di nozze, i seguenti lavori da me eseguiti con la collaborazione di mio fratello Alfeo: a) la vaschetta costruita sotto la sorgente della grotta dove scaturisce; b) il canale scavato a circa mezzo metro di profondità che porta l’acqua dalla vaschetta della sorgente alla vasca del giardino; c) la vasca costruita nel giardino circondata da viti per fare la pergola sopra la vasca medesima; d) il canale scavato sotto terra che fa scendere l’acqua dalla vasca del giardino alla cunetta della strada dove si disperde.
Firme: Giuseppe fu Giacobbe, donatore
Maria fu Gioacchino, donataria
Luca medico e pittore, testimonio
Alfeo fu Giacobbe, fratello di Giuseppe, testimonio.”
Maria prosegue la sua narrazione: “Mentre ascoltavo la lettura del documento, ero commossa, non tanto per la donazione quanto per l’amore di Giuseppe che voleva dimostrarmelo anche in questo modo davanti a tutti. Dopo avermi consegnato la pergamena, Giuseppe mi ha baciata sulla fronte e anch’io l’ho baciato sulla fronte tra gli applausi dei presenti. Poi Giuseppe ha detto: “Io vado a bere alla sorgente miracolosa, la seduta è sciolta”. Tutti l’abbiamo seguito e abbiamo bevuto, ma non sembrava che la seduta fosse sciolta perché tutti si erano fermati a fare commenti e a felicitarsi con me. Luca ha abbracciato Giuseppe e sorridendo gli ha detto: “Caro, non c’era bisogno che tu stilassi la scrittura della donazione, perché a rigor di legge il documento è invalido, i lavori sono stati eseguiti sulla proprietà di Maria, sono di Maria per legge.” Giuseppe l’ha fissato negli occhi e gli ha risposto: “Caro il mio dottor sottile, io non ho donato a Maria le opere che ho fatto ma il mio lavoro, il mio sudore.” Luca lo ha abbracciato di nuovo dicendo: “E tu mi chiami dottor sottile?”.
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L’INGRESSO DELLO SPOSO IN CASA DELLA SPOSA
Il secondo rito delle nozze tra gli israeliti era l’ingresso della sposa in casa dello sposo o viceversa, quando aveva inizio la convivenza. Nel nostro caso, lo sposo sarebbe andato a vivere in casa della sposa, da lei ereditata a Nazareth alla morte dei genitori. Gli storici, in genere, sono dell’opinione che Maria e Giuseppe non celebrarono il secondo rito delle nozze perché Maria era incinta e il secondo rito avrebbe alimentato le chiacchiere vedendoli celebrare quel rito solenne; poi, umanamente parlando, per quelli che sapevano o avrebbero saputo dei voto di verginità degli sposi sarebbe stato uno scandalo. Dico umanamente parlando perché qui siamo davanti ad un caso soprannaturale e perciò non si può procedere soltanto con ragionamenti umani. Domando a Maria se nel loro caso c’è stato il secondo rito delle nozze. Mi risponde:
“C’è stato e come! L’abbiamo organizzato in modo che fosse il più possibile festoso e bello: come un profondo ringraziamento a Dio che ci aveva scelto e, soprattutto, una festa per il Bambino che portavo in seno e che faceva l’ingresso solenne in casa della sposa che era la sua mamma. D’altra parte, Giuseppe era il mio sposo davanti alla legge e davanti a Dio, avevamo il diritto di compiere il secondo rito, non potevamo farci influenzare da condizionamenti umani, come erano le chiacchiere di chi non sapeva come stavano le cose. Del resto, i commenti negativi delle comari furono biasimati subito dalle persone di buon senso che dicevano: “Gli sposi hanno le carte in regola per fare la festa, sono stati fidanzati dal sommo sacerdote nel tempio.”
“E’ molto bello, Maria, che offrivate la festa a Gesù! Ma venendo Giuseppe a convivere con te, era normale pensare che mettevate a rischio il vostro voto per quelli che lo conoscevano.”
“Era normale per quelli che sapevano del voto ma non era normale per quelli che conoscevano i prodigi che Dio aveva operato e stava operando in noi. Io e Giuseppe sapevamo bene che Dio ci aveva ispirato il voto e quindi ci avrebbe dato la grazia di restare fedeli alla promessa. D’altra parte, l’angelo aveva detto a Giuseppe da parte di Dio: “Non temere di prendere con te Maria, tua sposa.” (Mt 1,20) “Raccontami della festa.”
“Giuseppe è venuto da me sul carro addobbato in casa del fratello, Alfeo guidava il carro, Giuseppe era alla sua destra, la sposa di Alfeo era nel sedile posteriore con i figli Giacomino e Giuseppe, i due paggetti. Quando il carro è spuntato sulla strada, si è levato il grido “Ecco lo sposo, andategli incontro” (cfr Mt 25,6). Le ragazze vestite di bianco che attendevano sulla strada davanti al cancello, hanno acceso le lampade e sono andate incontro allo sposo. Io, vestita di raso bianco, ero sulla porta di casa e attendevo che il carro giungesse davanti al cancello. Quando il carro giunse, io, avendo una fanciulla alla mia destra e una alla mia sinistra, ho percorso il viale e sono andata a ricevere lo sposo. Giuseppe mi ha presa per mano e, seguiti dal corteo delle ragazze con le lampade accese, abbiamo percorso il viale fino alla porta di casa mentre i paggetti spargevano petali davanti a noi. Io e Giuseppe abbiamo salito i tre gradini davanti alla porta di casa e abbiamo fatto accoglienza alle persone che entravano in sala; dopo siamo entrati anche noi e Giuseppe ha detto due parole di ringraziamento ai presenti tenendomi per mano.”
“Penso che il Bambino gioiva dentro di te.”
“Lo pensavo anch’io. Dopo Giuseppe ha parlato Alfeo che era il cerimoniere e il maestro di tavola. Ha letto una lettera inviata agli sposi da Elisabetta e Zaccaria e consegnata dal corriere. Quando io e Giuseppe sentimmo che la lettera era stata inviata da Elisabetta e Zaccaria, ci siamo alzati in piedi commossi: si scusavano per non essere potuti venire, data la loro età; ci auguravano tanta gioia nel Signore, ci abbracciavano dalla loro dimora insieme a Giovannino, il loro bambino che cresceva sano e bello. Dissi ai presenti che l’indomani stesso io e Giuseppe avremmo consegnato al corriere una lettera di ringraziamento per Elisabetta e Zaccaria che ci erano tanto cari, promettendo che al più presto saremmo andati a trovarli.”
“Maria — dico io — quanto avrei voluto essere presente anch’io alla festa!” “Eri presente anche tu — mi ha risposto Maria — perché sapevamo che un giorno saresti venuto in casa nostra a fare convivenza con noi e, tra l’altro, ti avremmo parlato anche di quella festa ”
Maria prosegue: “La festa del secondo rito delle nozze fu grande.
Alfeo teneva d’occhio i commensali perché, si sa, in queste occasioni c’é sempre qualcuno che alza il gomito senza contare i bicchieri. Poi chiesi agli invitati di fare un applauso a due signori che sedevano uno alla mia destra ed uno alla sinistra di Giuseppe: rap presentavano i poveri di Nazareth per i quali era stato programmato un pranzo dopo qualche giorno.”
Maria ha saltato il resto ed é passata a raccontarmi della fine del banchetto. “Dopo che Alfeo ebbe ringraziato i presenti a nome degli sposi e rinnovato gli auguri a noi, le persone cominciarono ad uscire dalla sala facendo un inchino davanti a me e a Giuseppe che ci mettemmo in piedi. Stringendoci la mano e rinnovandoci gli auguri, il medico Luca mi chiese di poter venire da me in futuro ogni volta che desiderava informazioni sull’infanzia del Bambino che stava per nascere. Naturalmente gli risposi che poteva venire quando voleva.
Quando tutti furono usciti dalla sala –prosegue Maria- Giuseppe sorridendo mi ha detto: “Finalmente soli!”. Rimanemmo a scambiarci le impressioni e a lodare il Signore. Poi accesi due lampade, una per Giuseppe ed una per me, ma le ponemmo sopra un tavolo perché chiesi a Giuseppe di aiutarmi a sistemare la mia branda che era stata tolta dall’angolo dove io andavo a riposare: mi aiutò ma non si decideva a riprendere la sua lampada per salire al piano rialzato. Mi guardò e mi disse: “La nostra preghiera prima di andare a riposare non può essere che una: ringraziamo lo Spirito che ha programmato per noi un matrimonio così fantastico, ispirandoci a fare quel voto che ci sta dando tanta gioia…”. Ci guardammo nuovamente negli occhi e ci abbracciammo. Nessuno di noi sa dire quanto duró quell’abbraccio perché fu un’estasi dove lo Spirito ci parlò ancora una volta al cuore. In quel momento io compresi il senso profondo delle parole che mi aveva detto l’angelo: “Piena di grazia”. Giuseppe comprese la profondità delle parole dette a lui: “Prendi Maria con te, anche tu Lo chiamerai Gesù.” (Mt 1,21)
Con quell’abbraccio il Signore diede compimento al secondo rito delle nostre nozze operando dentro di noi una trasformazione che nessun rito sulla terra avrebbe potuto operare. Ci sentimmo veri sposi, mamma e papà di Gesù, anche se Giuseppe non secondo la carne. Con questi sentimenti nel cuore riprendemmo le nostre lampade e andammo a riposare: io a pianterreno, Giuseppe al piano rialzato.”
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IL RITORNO IN ISRAELE
Esprimo a Maria il desiderio di conoscere in sintesi la vita della Santa Famiglia in Egitto: “Come passavate le giornate? Vi siete fatti degli amici? Per quanto tempo avete dimorato in quella terra straniera?”.
Maria ha accolto volentieri il mio desiderio, è stata particolarmente contenta di parlarmi del tempo trascorso in Egitto. Forse qualche storico-biblista potrebbe essere incuriosito dall’argomento e indotto a fare delle ricerche per sapere se il racconto che sto per narrare è soltanto frutto della mia fantasia, a parte i riferimenti storici dei Vangeli. Maria mi racconta:
“Entrati in terra d’Egitto, l’angelo apparve a Giuseppe e gli disse di non procedere oltre perché Erode non avrebbe potuto attraversare il confine. Alla fine della nostra permanenza in Egitto l’angelo disse a Giuseppe: “Alzati, prendi con te il Bambino e Sua Madre e va nella terra d’Israele, perché sono morti qualli che insidiavano la vita del bambino.” (Mt 2,20). Gesù aveva circa 4 anni quando l’angelo disse a Giuseppe di ritornare in Israele; ne erano passati tre dalla morte di Erode ma Dio fece passare ancora qualche tempo prima di mandare l’angelo, perché morissero anche quelli che, come Erode, insidiavani la vita del bambino: se non tutti, almeno quelli più pericolosi. Dunque dinorammo in Egitto circa quattro anni.
Sul campo in cui eravamo entrati facemmo subito conoscenza con il padreone del campo. Era un ebreo ed il Signore gli ispirò fiducia verso di noi: prima ci permise di costruire una capannella sul suo campo, poi, vedendo che la capannella che costruiva Giuseppe era troppo piccola, ha cominciato a farne costruire una più grande. Vedendo che io ero molto devota e quasi ogni giorno mi recavo con il bambino sopra una collina vicina per pregare, lo disse a sua moglie, anch’essa ebrea, e lei gli chiese di invitarci a pranzo. Volle sapere da me e da Giuseppe il racconto della nostra vita e per le sue insistenze seppe che da Nazareth eravamo andati a Betlemme per farci registrare nel libro del censimento ordinato da Cesare Augusto. A Betlemme era nato il nostro Bambino ma un angelo disse a Giuseppe di fuggire in Egitto perché Erode, Re della Giudea, venuto a sapere che era nato a Betlemme “il Re dei Giudei”, voleva venire a Betlemme per ucciderlo. Per questo eravamo andati in Egitto. Forse avevano saputo della strage dei bambini ordinata da Erode a Betlemme e nei dintorni ai suoi soldati, non avendo potuto sapere dove ci eravamo rifugiati.
La moglie del padrone del campo credette alla nostra sincerità, il padrone del campo, invece, chiese un segno e disse: “Se le cose stanno davvero così, pregate perché mia moglie mi dia un figlio, è sterile e le nostre preghiere non sono state ancora ascoltate. “Io dissi alla donna che tra qualche giorno avrebbe concepito, ne fu certa quando per la prima volta si arrestò il flusso del suo sangue (le mestruazioni). Allora anche suo marito ha creduto e con i suoi operai ha costruito una capanna ancora più grande nel suo campo, a sue spese.
È interessante notare che il nome di “Osiride” (Ausar) nei geroglifici contiene la sagoma di un uomo barbuto con i capelli lunghi, la stessa immagine incisa sui sarcofaghi antropomorfi! Qual è il significato di questo affascinante enigma? Guardando a questa antica usanza funeraria egizia attraverso occhi moderni sembra quasi come se Osiride rappresentasse la “prima venuta” di Cristo sulla Terra. Gli egiziani furono chiaramente i primi cristiani, nel senso che credevano nella “vita” dopo la morte, seguendo le orme del loro Salvatore risorto. Incredibilmente, questa “vita” dopo la morte veniva espressa dalla croce ankh, un altro simbolo che ha una significativa controparte nel cristianesimo!
La capanna era dotata di tutti i conforti, molti ebrei dei villaggi vicini venivano a vederla. Ci venne l’idea di utilizzarla anche come un centro di preghiera per una comunità giudeo-cristiana, perché il Cristo-Messia promesso da Dio e del quale avevano parlato i profeti, ormai stava per venire nel mondo ma non dicemmo che era nato ed era il nostro Bambino: questo lo sapevano soltando il padrone del campo e sua moglie che su questo punto ci avevano promesso il silenzio perché il Messia si sarebbe manifestato a suo tempo.
Nacque così la prima comunità giudeo-cristiana d’Egitto. Alcuni ebrei facevano difficoltà ad entrare in questa comunità ma l’esempio della nostra famiglia convincevano quasi tutti: io ero ebrea, Giuseppe era ebreo, Gesù veniva educato da noi secondo le leggi e le tradizioni degli ebrei, le Scritture Sacre degli ebrei continuavano ad essere sacre per i membri della nuova comunità che è stata la nostra più grande consolazione in Egitto.
Quando siamo tornati in Israele, l’abbiamo seguita con le preghiere e siamo rimasti in corrispondenza con il padrone del campo, il quale ci diceva che le comunità giudeo-cristiane si stavano diffondendo in Egitto ed in altre nazioni, su iniziativa di ebrei che emigravano da un paese all’altro.
Dunque venne il giorno del ritorno in Israele. In cielo brillava la stella del mattino quando partimmo: io seduta sull’asino con Gesù sulle ginocchia, Giuseppe a piedi tenendo per mano la cavezza dell’asino. Avevo raccontato più volte a Gesù la “fiaba” della donna e dell’uomo poverelli che in una grotta ebbero in dono dagli angeli un bel bambino; Gesù mi disse di raccontargliela ancora. Raccontata ancora una volta questa “fiaba”, dissi a Gesù: “Quando saremo in Israele, faremo sosta nella grotta dove la donna e l’uomo poverelli ebbero in dono il bambino dagli angeli: “Gesù mi chiese: “Mamma, allora non è una fiaba?” Gli risposi: “E’ una fiaba vera”. Non mi chiese altro e proseguimmo il cammino: forse Gesù si chiedeva cosa volesse dire una fiaba vera.
Giuseppe fermò l’asinello davanti alla grotta della fiaba e ci disse di scendere perché eravamo giunti alla grotta. Io mi sono diretta con Gesù nell’angolo dove nacque e baciai quella terra, così fece anche Giuseppe. Dissi a Gesù di fare altrettanto ed anche Lui baciò la terra. Poi mi diressi verso la mangiatoia e la baciai, così fece ancvhe Giuseppe e così fece anche Gesù che mi domandò: “Mamma, perché abbiamo baciato la terra e la mangiatoia?”. Gli ho risposto: “Perché in quell’angolo la donna e l’uomo poverelli hanno ricvuto in dono dagli angeli il Bambino e l’hanno messo a dormire nella mangiatoia”. “Nella mangiatoia –mi chiese Gesù- c’era la paglia come adesso? La paglia non lo pungeva? Perché non mi metti nella mangiatoia per vedere se la paglia mi punge?”
Mi sono commossa, ho preso Gesù e l’ho posto nella mangiatoia. Mi ha detto: “Mamma, la paglia non punge, perché non mi canti la ninna-nanna che cantarono gli angeli al Bambino che avevano donato alla donna e all’uomo poverelli?” “Caro, non la ricordo bene ma ricordo la ninna nanna che canta sempre una mamma in cielo quando nasce un bambino sulla terra. Vuoi sentirla? Dice così:
Nuvolette tutte l’oro – paion greggi del Signore,
sopra un prato tutto in fiore – un altro gregge sta a guardar.
Ma se avessi tutti i greggi – che ci sono sulla terra,
l’agnellino a me più caro – saresti solo tu!
Dormi dormi… dormi dormi” (è una strofetta de “la ninna-nanna della Vergine” dal Poema dell’Uomo-Dio di Maria Valtorta, vol. I)
Al canto della ninna-nanna Gesù si è addormentato. Io e Giuseppe siamo rimasti a guardarlo con gli occhi lucidi, sembrava che sognasse gli angeli. Dopo poco si è destato e ha detto: “Ho visto gli angeli, hanno cantato e poi sono partiti, stavano entrando i pastori…”.
“Su, su, fate presto –ha detto Giuseppe- dobbiamo andare a salutare la famiglia del pastore”. Siamo usciti dalla grotta, Giuseppe mi ha aiutato a sedermi sull’asino, mi ha messo Gesù sulle ginocchia e ci ha condotto alla casa del pastore. Ha bussato e la moglie del pastore ha aperto la porta. Ci ha subito riconosciuti, ha preso in braccio Gesù e gli ha detto: “Gesù, quanto sei cresciuto!”.
Il figlio del pastore, che oramai aveva sette anni, ha detto a Gesù: “Ricordi quando eri piccolino e dormivi nella mia culla? Conservi ancora la tunicella che ti regalai?”
L’incantesimo era rotto –dice Maria- Gesù aveva capito che mamma gli aveva raccontato una fiaba vera. Aveva capito che la donna e l’uomo poverelli erano mamma e papà ed il bambino regalato loro dagli angeli era lui!
Dopo aver pernottato in casa del pastore –mi ha detto Maria- ci siamo messi in viaggio per Nazareth in Galilea: non solo perché in Giudea regnava Archelao, figlio di Erode, e non ci sentivamo sicuri (Matteo 2, 19-23), ma anche perché a Nazareth vivevano tanti nostri parenti e avremmo abitato la casa da me ereditata dai miei genitori. Ma sul momento non pensammo che era stato scritto che il Messia sarebbe stato chiamato il Nazareno (Matteo 2,23; Luca 2, 39; cfr. Gdc 13,5.7; Is 42, 6 e 49,8).
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LA TUNICA TESSUTA DA MARIA. GESU’ VA A PREDICARE IL REGNO
I Vangeli non parlano del momento in cui Gesù lasciò la Madre per iniziare la vita pubblica del profeta. Chiedo a Maria di parlarmene. Mi dice: “Fu un momento di grande sofferenza per me e per Gesù. Capivo che per Lui stava per cominciare la Passione, perché tutti i profeti erano stati incompresi, perseguitati e persino uccisi. Per me cominciava la solitudine totale: Giuseppe era tornato alla casa del Padre ed ora anche Gesù mi lasciava. Confidai la mia pena a Maria di Alfeo e mi promise che mi sarebbe stata vicina; avrebbe voluto venire a vivere con me, ma aveva il marito ed i figli. Mi confidò un pensiero che stava sbocciando nel suo cuore: perché non seguire Gesù insieme ad altre donne, come era avvenuto per molti profeti? (18)
Le dissi che questo pensiero era venuto anche a me, ma Gesù mi aveva risposto: “Mamma, mi seguirai più tardi”. “più tardi seppi che alcune donne lo seguivanop insieme ai suoi discepoli e chiesi di nuovo a Gesù se potevo seguirlo anch’io, mi ripetè le stesse parole: “Mi seguirai più tardi”.
Allora pensai di tessergli una tunica nuova e glielo dissi: pemsavo che con una tunica nuova si sarebbe presentato meglio come profeta e avrebbe pensato a me quando la indossava. Lo dissi a Gesù, mi ringraziò del pensiero e mi rispose: “Mamma, non occorre una tunica nuova per pensare a te perché ti porterò sempre nel mio cuore; se però mi tesseraiuna tunica, la indosserò nelle grandi occasioni; la prima grande occasione è questa, l’inizio della mia predicazione”.
Mi misi subito al telaio, giorno e notte, ed in tre giorni la tunica fu pronta. Quando gliela presentai, mi disse: “Vedo che l’hai tessuta tutta intera, senza cuciture, grazie. Adesso andrò a ricevere il Battesimo da Giovanni nel Giordano, farò un Ritiro poi ritornerò da te, indosserò la tunica e partirò.
Gesù seguì questo programma. Il giorno della partenza indossò la tunica e preparò la bisaccia. Poi mi disse: “Mamma, siediti accanto a Me”. Mi sedetti, mi prese il capo fra le mani e lo strinse al Suo peto. Gli dissi: “Figlio, dove andrai?”. Mi rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi…” (Matteo 9,20). Gli chiesi: “Perché non mi porti con te?”. Rispose: “Non ti ho detto che mi seguirai più tardi?” Mi fece due carezze sul viso, si commosse e si mise in ginocchio chiedendomi la benedizione. Mi misi in ginocchio anch’io e ci benedicemmo. Lo aiutai a mettersi la bisaccia sulla spalla e partì”.
Le chiedo: “Di che cosa parlava Gesù quando predicava?”
“Parlava del Padre e del Regno. Diceva che era venuto per fare la volontà del Padre e che il Padre e Lui erano una cosa sola (Giovanni 10,30), e parlavamolto del Regno. Molti pensavano che Gesù avrebbe restaurato il regno di Israele liberando la Palestina dal dominio di Roma, ma Lui dicave chiaramente che il Suo Regno non era di questo mondo, ma nei cuori (Giovanni 18,36). Esortava tutti a convertirsi e a credere alla Buona notizia che il Messia promesso era venuto”.
“Maria, come si spiega che Gesù era seguito dalle folle nonostante predicasse una dottrina molto esigente?”
“Perché parlava con autorità, in prima persona e diceva: “Vi fu detto di non uccidere ma io vi dico: chi dice al fratello ‘stupido’, brucerà nel fuoco della geenna; vi fu detto di non commettere adulterio, ma io vi dico: chi guarda la donna di un altro e la desidera, ha già commesso adulterio nel suo cuore; fu detto ‘occhio per occhio e dente per dente’, ma io vi dico di non resistere al malvagio e se uno ti colpisce sulla guancia destra, tu presentagli anche la guancia sinistra”.
“Come si spiega, Maria, che pur predicando l’amore e la fratellanza, Gesù ha portato la divisione in Israele ed è stato Crocifisso?” “Perché Gesù non è venuto a distruggere il ‘Misterio dell’Iniquità’ (2 Ts 2,7); con la morte, satana è stato sconfitto e condannato ma la sentenza non è stata ancora eseguita. Io sapevo questo fin da quando il vecchio Simone mi disse che il mio Bambino sarevve stato segno di contraddizione”. (Luca 2,34).
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LA VIA CRUCIS DI MARIA
Gesù Bambino è seduto sul gradino davanti alla porta di casa e parla con l’asinello di legno facendo la parte del maestro: Gesù gli parla e l’asinello gli risponde. Maria ha veduto la scenetta e mi conduce da Lui. Sembra che Gesù non si accorga nemmeno della presenza della mamma e mia, tanto è assorto nella conversazione con l’asinello. Intendiamoci, è sempre Gesù che parla e risponde, immaginando che cosa risponderebbe l’asinello alle sue domande se potesse parlare.
Maria mi fa rientrare in casa sorridendo, ma sul volto ha un velo di tristezza: capisco, oggi mi deve parlare della sua Via Crucis quando seguì Gesù fino al Calvario e lo vide morire sulla Croce. Le chiedo di continuare il racconto di ieri, perché sembra che non si decida. Le dico: “Dunque, Gesù ti lasciò e andò a predicare. Ti aveva detto che lo avresti seguito più tardi”.
“Sì, dopo circa tre anni ho sentito nel cuore la sua voce che diceva: Gerusalemme Gerusalemme che uccidi i profeti! (Matteo 23, 37; Luca 13, 34). Ho capito che per me era giunta l’ora di seguirlo. In preghiera ho detto a Giuseppe che venisse a prendermi con l’asinello e mi conducesse a Gerusalemme, in casa di Giovanni. Giuseppe è venuto subito, mi ha fatto sedere sull’asino e mi ha condotto in casa di Giovanni che mi stava attendendo. Giovanni mi ha raccontato che dopo la cattura nell’orto degli uilivi, Gesù fu condotto dal sommo sacerdote Anna, poi da sommo sacerdote Caifa, poi da Erode, poi da Pilato, perché soltanto Pilato aveva il potere di condannare a morte (cfr Vangeli).
Pilato aveva detto ai sacerdoti, agli scribi e al popolo radunato sulla piazza del pretorio che non trovava in quell’uomo nessuna colpa per condannarlo a morte, ma i sacerdoti e gli scribi continuavano a chiedere la morte di Gesù; allora aveva detto che avrebbe frustato Gesù alla colonna e poi l’avrebbe liberato.
Allora –prosegue Maria- io pregai Giovanni di condurmi sulla piazza del pretorio per vedere Gesù quando Pilato lo avrebbe mostrato al popolo, ma Giovanni si rifiutava. Allora dissi a Giovanni che Gesù mi stava parlando nel cuore e mi invitava a seguirlo. Malvolentieri Giovanni mi ha preso per mano e mi ha condotto sulla piazza, nel gruppo delle donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea.
Pilato –dice Maria- è uscito sulla loggia seguito da Gesù fra due soldati: aveva le mani legate, tra le mani gli avevano messo per burla una canna come scettro regale, sul capo una corona di spine, sulle spalle uno straccio di porpora e sotto questo straccio vedevo la tunica che io gli avevo tessuto, tutta intrisa di sangue. Presentando Gesù alla folla, Pilato ha deto: “Ecco l’uomo, l’uomo che avrebbe detto di essere il vostro re”. Ma i sacerdoti e gli scribi hanno ripreso a gridare: “Via, via! Crocifiggilo, altrimenti non sei amico di Cesare, il nostro re è Cesare!” Pilato capì che se non avesse condannato Gesù, i sacerdoti e gli scribi si sarebbero appellati a Cesare, e questa era comunque una rogna da evitare. Io intanto guardavo Gesù, sentii che le gambe mi tremavano, mi si annebbiò la vista e persi i sensi. Non so per quanto tempo persi la conoscenza. Quando mi ripresi, mi trovai accasciata sopra uno sgabello, sorretta da alcune donne che dicevano ad altre: “E’ la madre!” Intanto Pilato diceva alla folla: “Tra voi c’è la consuetudine di liberare a Pasquq un detenuto: volete che vi liberi Gesù o Barabba, il brigante omicida?” I sacerdoti, gli scribi ed una parte dle popolo sobillato da loro risposero: “Libera Barabba e crocifiggi Gesù!” Di nuovo mi tremavano le gambe e mi si annebbiava la vista, ma non persi i sensi: il Padre voleva che seguissi Gesù sino alla fine. Poi ho sentito Pilato che diceva: “Crocifiggetelo voi, io non trovo iun quest’uomo nessuna colpa per condannarlo a morte. “Si è fatto portare un catino d’acqua e lavandosi le mani ha detto: “Io ho le mani pulite! (Matteo 27,24)
A questo punto il centurione romano ha preso in mano la situazione: le ultime parole di Pilato equivalevano ad una condanna a morte perché i giudei non avevano il potere di condannare a morte e Pilato lo aveva. Perciò si è sentito in dovere di eseguire la sentenza.
Ha detto ai soldati di mettere sulle spalle di Gesù l’asta orizzontale della Croce ed ad altri di precederlo portando tre aste verticali sulle quali fissare le aste orizzontali per farne tre croci, una per Gesù e due per i ladri già condannati a morte. Poi si è sfilata la processione: davanti il centurione con un plotone di soldati, dietro Gesù con l’asta orizzontale della Croce sulle spalle avendo ai lati due soldati con la frusta. Poi le donne che piangevano, tra le quali ero anch’io, seguite da Giovanni e dal altri. Non sto a descriverti la mia Via Crucis perché la conosci dai Vangeli.
Giunti al calvario erano state già scavate l ebuche per fissarvi le croci. I due ladri sono stati legati sulle loro croci mentre Gesù l’hanno inchiodato in croce mani e piedi. Perché non sentisse troppo dolore, gli hanno offerto vino misto a mirra, ma lui l’ha rifiutato (Marco 15,23; Matteo 27,34). Io, sotto la Croce, ho ascoltato tutte le parole che Gesù diceva in quello strazio, tra le quali queste: ha detto a Giovanni che io sarei diventata sua madre e ha detto a me che Giovanni sarebbe diventato mio figlio; ho sentito che il ladro di destra diceva: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. E Gesù gli ha risposto: “Oggi sarai con me in Paradiso”. (Luca 23,43)
Gesù ha detto al Padre di perdonare i suoi crocifissori, poi ha dertto: “Padre, perché mi hai abbandonato?” Allora piangendo ho gridato: “Gesù, non è vero, io vedo il Padre accanto a Te che soffre con Te”. “Credo che in quel momento anche Gesù ha visto il Padre perché gli ha detto: “Padre, tutto è compiuto, accogli il mio spirito”. E dando un forte grido ha chinato il capo ed è spirato. (Marco 15,37)
Il centurione ha ordinato che fossero state spezzate le gambe ai ladroni che tardavano a morire, mentre a Gesù che era già morto, non hanno spezzato l egambe ma un soldato gli ha conficcato una lacia nel fianco. (Giovanni 19,34)
Io non piangevo più. In piedi, sotto la Croce, riflettevo al grande mistero di amore e di dolore di un dio che aveva voluto soffrire così tanto nellaSua carne e ne cuore per riscattare gli uomini. Assorta in questo pensiero, mi sono sentita toccare le spalle: era Giuseppe di Arimatea (19) che mi ha detto: “Ho ricevuto da Pilato il permesso di togliere dalla Corce il corpo di Gesù e di seppellirlo nel mio sepolcro nuovo, ma io e Giovanni vorremmo deporlo prima sulle tue ginocchia”. Con la testa ho detto sì. Maria Maddalena, Maria di Alfeo e Maria di Cleofa sono venute accanto a me e quando mi hanno messo sulle ginocchia il corpo di Gesù hanno pianto con me, mentre io facevo lamenti e accarezzando Gesù dicevo: “Gesù, figlio mio, i cattivi ti hanno portato via da me e i tuoi amici ti hanno riportato da me, così… Gesù, quando eri piccino ti cullavo sulle mie ginocchia e mi sorridevi, perché ora non mi sorridi?… Pietà di me Maddalena, pietà di me Giovanni, pietà di me angeli del Paradiso…”.
Giuseppe di Arimatea e Giovanni mi hanno tolto il corpo di Gesù e l’hanno portato verso il sepolcro nuovo, seguiti da me, sorretta dalle altre donne. Entrati nel sepolcro scavato nella roccia, Maria di Magdala ha tirato fuori gli olii profumati, ma Giovanni le ha detto: “Che cosa vuoi fare? E’ terminata la parasceve ed è entrato il sabato, non si può lavorare”.
Allora Maddalena mi ha abbracciata e mi ha detto piangendo: “Nemmeno questo posso fare per Gesù! Ritornerò quando sarà passato il sabato”.
Gli uomini hanno arrotolato una grossa pietra davanti al sepolcro, Giovanni mi ha preso per mano e mi ha condotto a casa sua”.
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GESU’ RISORTO APPARE ALLA MADRE, A GIOVANNI E ALLA MADDALENA. LA TUNICA GLORIOSA
Chiedo a Maria se Gesù risorto è apparso alla Maddalena, prima che a Lei. Mi risponde che è apparso anzitutto a lei in casa di Giovanni.
“Ma perché –le domando- gli evangelisti non hanno parlato di questa prima apparizione di Gesù fatta a te?”
Risponde: “Gli evangelisti non hanno parlato neanche delle altre apparizioni fatte a me. Perché le apparizioni fatte a me erano troppo importanti nel loro contenuto, non sarebbero state comprese subito dai cristiani e sarebbero state rivelate dallo Spirito della Chiesa progressivamente: a me e a Giovanni, Gesù ha parlato e parla ancora del mio ruolo nella Chiesa e nel mondo sino alla fine dei tempi. Pensa: dopo venti secoli molti cristiani e teologi fanno fatica a credere alla mia maternità divina, ai miei titoli di corredentrice e di mediatrice di tutte le grazie, alla mia regalità accanto a quella di Gesù, alla mia assunzione in Cielo in anima e corpo… Ma Giovanni ha accennato velatamente alla mia grandezza –per sola libera scelta di Dio- nel suo ultimo libro, l’Apocalisse, dicendo di aver veduto una donna vestita di sole, con la luna sottoi suoi piedi, sul capo una corona di stelle, ed un grosso dragone rosso che si pone di fronte alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato… (Ap 12,iss)
Vuoi che ti parli della prima apparizione di Gesù Risorto in casa di Giovanni? La stanza dove eravamo a pregare e a piangere il sabato seguante alla crocifissione di Gesù, appena spuntata l’alba si illuminò: Gesù era davanti a noi, bellissimo, con i segni della crocifissione che emanavano raggi di luce, vestito della tunica che io gli avevo tessuto, candida e trapuntata di fili d’oro. Ci ha salutati, poi tenendo la tunica con due dita, mi ha detto: “Mamma, questa è l’occasione più grande e più bella per indossarla ma continuerò ad indossarla in Cielo, perché questa tunica sei tu, tessuta da ta ma anche da Me, dal Padre e dallo Spirito Santo.
Io –prosegue Maria- ero fuori di me dalla gioia, mentre Giovanni era caduto in ginocchio e contemplava il volto di Gesù…
Uscendo da questa estasi, Gesù mi ha abbracciato: non era un fantasma, lo stringevo tra le mie braccia, il profumo della Sua Persona era lo stesso profumo cge emanava quando mi abbracciava a Nazareth. Poi ha abbracciato Giovanni che ha reclinato il capo sul suo petto come nell’ultima cena. Ci ha invitati a sederci accanto a Lui e tenendo le mie mani strette tra le Sue mi ha detto: “Mamma, ti annuncio cose grandi per te: tu sei la nuova Eva, da Me e da te sorgerà la nuova umanità, redenta dal mio sangue e dalle tue lacrime. Tu sarai per sempre la mia Regina. Lo Spirito che mi ha concepito nel tuo grembo sarà il tuo sposo per l’eternità: con Lui e con Me sconfiggerai l’antico serpente, il dragone che voleva divorarmi quando mi partoristi e tenta di farlo ancora, ma finalmente il tuo Cuore immacolato trionferà… comprendi? Sei la Regina vestita di sole e coronata di stelle…”.
A questo punto gli ho detto: “Figlio, come è possibile? Io ho promesso al Padre di restare sempre la Sua pover serva…”.
Mi ha risposto: “Lo sarai continuando a dire il tuo sì, tenendo Mamma con te… Ma ora devo correre al sepolcro vuoto, Maria di Magdala è già lì e piange credendo che hanno traffugato il mio corpo, poi ritornerò da voi e vi racconterò…”.
Detto questo –ha proseguito Maria- Gesù è partito come se non toccasse la terra con i piedi. Dopo qualche minuto è tornato e mi ha detto: “Maria di Magdala era seduta sulla grossa pietra che il terremoto (Matteo 28,2) aveva rotolato via dell’ingresso del sepolcro, teneva sulle ginocchia due vasetti di olio profumato per ungere il mio corpo e piangeva. Le ho chiesto: “Donna, perché piangi?” Credendo che fossi il custode del giardino, mi ha detto piangendo: “Se sei stato tu a portar via il corpo del mio signore, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Allora l’ho chiamata per nome: “Maria!”. Mi ha riconosciuto e si è lanciata verso di me chiamandomi: “Rabbunì!” (Maestro). Le ho detto: <<Non mi toccare perché non sono ancora salito al Padre ma va dai miei fratelli (gli apostoli) e dì loro che sono Risorto come avevo detto, mi vedranno anch’essi, alcuni qui in Giudea, altri in Galilea>>”.
Mentre Gesù parlava –prosegue Maria- io l’ascoltavo ma con gli occhi fissvo la Sua tunica e mi chiedevo se fosse veramente la tunica tessuta da me. Sorridendo Gesù mi ha chiesto: “Mamma, che cosa stai pensando? E’ veramente la tunica tessuta da te!” Gli ho risposto: “Figlio, è molto più bella!… E come hai fatto a riprenderla, quando fu tirata a sorte ed è stata vinta da un soldato romano?”. Allora mi ha spiegato: “E’ molto più bella perché ora è la tunica della Mia Gloria. E’ tornata a me perché il soldato romano che l’aveva vinta a sorte temeva che lasciandola in caserma, quando fu posto di guardia del sepolcro, poteva essere rubata e l’ha portata con sé. Quando Io sono Risorto e c’è stato il terremoto, il soldato romano è fuggito insieme all’altra guardia e per la paura ha dimenticato di riprendere la tunica. Gli angeli l’hanno mondata, l’hanno trapuntata di fili d’oro e me l’hanno indossata. Per me –ha ripetuto Gesù- la tunica che mi hai tessuto sei tu; insiemer a te l’ho tessuta anch’io con il Padre e lo Spirito Santo fin da quando sei stata creata. Sarai la mia gloria per sempre”.
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GESU’ CONFERMA IL PRIMATO DI PIETRO DAVANTI AI DISCEPOLI
Alcuni biblisti e teologi si sono chiesti dove dimorò Gesù nei quaranta giorni che rimase sulla terra dopo la Resurrezione. Alcuni pensano che Gesù ascese in Cielo subito dopo la Sua Resurrezione, perché “il Cielo” e “la destra del Padre” non sono luoghi ma indicano semplicemente la Gloria di Gesù, anche come uomo, conseguita con la Sua Morte e Resurrezione. Comunque, gli Atti degli Apostoli sono chiari parlando dei quaranta giorni durante i quali Gesù apparve ai discepoli, e chiari sono i Vangeli parlando della sua Ascensione (Marco 16,19; Luca 25,51; Giovanni 20,17; Atti 1,3).
E’ verosimile che Gesù risorto abbia dimorato nei quaranta giorni in casa di Giovanni con la Madre, abbia continuato a parlar loro del ruolo di Maria nella Chiesa e nel mondo, e dalla casa di Giovanni sia partito ogni volta che doveva recarsi dai discepoli. Come pure i Vangeli sono chiari nel riferire l’appuntamento in Galilea dato da Gesù ai discepoli. Ma l’Ascensione di Gesù è avvenuta verso Betania (Giovanni 21,1), a due chilometri da Gerusalemme, quindi in Giudea.
Subito dopo il rinnegamento di Gesù fatto da Pietro nel cortile di Caifa, Pietro pianse amaramente (Matteo 26,75), vedendo passare Gesù con le mani legate, lo guardò e nello stesso tempo il gallo cantò. Gesù fu crocifisso ed è probabile che Pietro si sia recato a piangere dal fratello Andrea che lo confermò nel proposito di recarsi dalla Madre di Gesù per chiederle perdono e perché intercedesse presso Gesù non appena le fosse apparso dopo la Sua Resurrezione, come aveva detto. Anche se Pietro si vergognava di andare a confessare il suo peccato a Maria, era certo che lo avrebbe perdonato e avrebbe interceduto presso Gesù. Andò subito a bussare alla porta di Giovanni alle prime luci del giorno di domenica e vide Gesù Risorto che era lì con Maria e Giovanni. Si gettò ai suoi piedi e singhiozzando gli chiese perdono. Gesù lo abbracciò e gli disse:
“Pietro, non hai ancora capito che ti ho già perdonato, quando vedendoMi passare nel cortile di Caifa sei uscito fuori e hai pianto amaramente? Adesso torna con i fratelli (gli apostoli) e vai con loro a pescare nel lago di Tiberiade: la terza volta che andrete insieme a pescare, sarò presente anch’io”.
Certamente Pietro si domandava perché Gesù non andava subito con lui dai fratelli per dire loro che lo aveva perdonato ma si è dato egli stesso la risposta: Gesù voleva da lui questa penitenza, voleva la sua riconciliazione con i fratelli che conoscevano bene i suoi tre rinnegamenti del Maestro. Si recò da quei fratelli, tra i quali c’era anche il fratello Andrea, con il timore che lo avrebbe respinto. Li ha salutati a testa bassa e ha pianto. Andrea lo prese per mano e lo presentò agli altri dicendo loro che era pentito al punto da essere nuovamente accolto da Gesù, ma Andrea disse che Gesù l’aveva già perdonato e l’aveva mandato a pescare con loro. Qualcuno tuttavia pensava che Pietro non era più degno di restare con Gesù ed in cuor suo non riusciva aperdonarlo.
La terza volta che Pietro andò con i fratelli a pescare, Gesù risorto era con loro. Ha chiamato Pietro e gli ha chiesto davanti agli altri: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Pietro gli rispose: “Sì, Signore, Tu sai che Ti amo”. “Gesù gli disse: “Pasci i Miei agnelli”.
Gli ha chiesto una seconda volta: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Pietro gli ha risposto: “Sì, Signore, Tu sai che Ti amo”. Gesù gli ha detto: “Pasci le Mie pecore”.
Per la terza volta Gesù gli ha chiesto: “Simone di Giovanni, mi ami?” Pietro si è rattristato perché per la terza volta gli ha chiesto se lo amava ed ha risposto: “ Signore, Tu sai tutto, Tu sai che ti amo” ed ha pianto. Gesù ha guardato gli altri discepoli presenti ed ha detto a Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Poi davanti a tutti ha profetizzato con quale morte Pietro avrebbe testimoniato la sua fedeltà (Giovanni 21,15-17). (20)
Poi Gesù ha invitato quei discepoli a sedersi intorno a lui sulla riva del lago ed ha detto: “Non tutti tra voi sanno discernere il vero peccato da una debolezza passeggera. Se dovete lavarvi i piedi tra voi, quale difficoltà avete a togliervi le polvere dai sandali? Dio guarda soprattutto il cuore, ed il cuore di Pietro è ricolmo di amore per Me. Per questo l’ho ocnfermato nell’incarico di pascere i miei agnelli e le mie pecore. Vi assicuro che saprà farlo, con l’aiuto dello Spirito Santo. Un giorno Pietro dovrà recarsi a Roma, centro dell’Impero che si è dato molte buone leggi, ma la legge suprema per lui e per i suoi successori dovrà essere il Mio Vangelo, il servizio della Carità”.
Così sarà anche di suo fratello Andrea. (21)
Poi Gesù si è rivolto ad Andrea e gli ha detto: “ Tu sei fratello di Pietrp secondo la carne ma lo sei molto di più secondo lo Spirito. Anche tu mi testimonierai come Pietro, lontano da Roma, ma intanto prega molto per i tuoi successori nella Chiesa che fonderai: con la Chiesa di Roma sarà un’unica Chiesa, con doni diversi esercitati nel servizio dell’unico amore”.
Detto questo, Gesù ha benedetto alcuni pani e alcuni pesci; ha mangiato con i discepoli, li ha benedetti, ha ordinato loro di salire sulla barca e di prendere il largo.
“Gesù, invece –conclude Maria- è tornato da me e mi ha raccontato queste cose, che poi sono state scritte nei Vangeli”.
1) Oggi i biblisti ritengono che Maria e Giuseppe abbiano fatto entrambi voto di verginità (cfr Enciclopedia Biblica alla voce Giuseppe, 5 e 6). Gli apocrifi ci presentano Giuseppe anziano, vedovo e con figli quando andò sposo a Maria; gli storici ritengono che si tratta di notizie inventate per rendere più verosimile, razionalmente, la fede nella verginità di Maria, già presente nelle comunità cristiane. Oggi si ritiene che Giuseppe, quando sposò Maria (fidanzamento) avesse l’età dei giovani ebrei quando si fidanzavano, all’incirca 20-25 anni. D’altra parte, la fedeltà di Giuseppe al voto di verginità non può essere attribuita alla sua età avanzata ma alla grazia di Dio che gliel’aveva ispirato: cosa più ragionevole tenuto conto del livello soprannaturale in cui Dio conduceva Giuseppe accanto a Maria.
2) Le mestruazioni.
3) Anna e Gioacchino avevano la casa a Gerusalemme presso la piscina di Betsada. In quella casa Anna diede alla luce Maria (cfr Enciclopedia della Bibbia alla voce Gioacchino).
4) Subito dopo essere stato accolto in casa della Santa Famiglia, Giuseppe mi aveva portato a vedere il tempietto costruito sulle tombe di Anna e Gioacchino (cfr. cap. 6).
5) Parole di Gesù dette in visione a Maria Valtorta, riportate nel suo Poema dell’Uomo-Dio, vol. I, n. 15.
6) La traduzione esatta del saluto dell’angelo non è “Ave Maria” ma “Rallegrati Maria”, un invito alla gioia.
7) Cfr Enciclopedia della Bibbia alla voce Nazareth. Così anche Maria Valtorta, op. cit. vol. I, n. 23.
8) Ain-Karim: paese a meno di 6 Km. ad ovest di Gerusalemme, ritenuto patria di san Giovanni Battista.
….
18) Maria e Alfeo erano i genitori di Taddeo e Giacomo il minore, discepoli di Gesù. Più tardi anche essi
seguiranno Gesù.
19) Giuseppe di Arimatea come Nicodemo era membro del Sinedrio ma di nascosto era anche discepolo di Gesù.
20) Pietro è stato crocifisso a Roma sotto la persecuzione di Nerone. Secondo la tradizione, ha chiesto di essere crocifisso con la testa in giù reputandosi indegno di morire come è morto Gesù.
21) Andrea è stato crocifisso a Patrasso, nell’Acaia (Grecia), sopra una croce a forma di aspo, che da allora porta il nome di “croce di Sant’Andrea”.
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Sul “falso immaginario” rispetto la povertà di Gesù
Chiaramoci subito: Gesù non era povero. Tutt’altro! La sua scelta di povertà in spirito fu successiva secondo il nuovo stato che si era dato per le predicazioni
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Gesù era povero? – Don Mauro Agreste
1) Giuseppe, artigiano abbastanza benestante
2) La tunica inconsutile
3) La casa ebraica e le grotte
4) Povertà come distacco
5) Le cose sante vanno trattate con dignità
6) Non coltivare una falsa mentalità pauperistica
7) Realtà materiali che testimoniano valori spirituali
8) Spirito di povertà è apertura alle necessità altrui
9) L’egoismo e il male
10) Noi siamo stati salvati
11) La rivelazione biblica e verità di fede
1) GIUSEPPE, ARTIGIANO ABBASTANZA BENESTANTE
Gesù era povero? Essere poveri significa essere miseri?
Facciamo qualche breve considerazione.
Non è un dato di fede, ma è una considerazione: Giuseppe era falegname.
I falegnami facevano parte della categoria, che nella società ebraica era quella degli artigiani.
Gli artigiani, nella mentalità ebraica, occupavano un posto abbastanza elevato nella gerarchia, perché gli artigiani erano coloro che, in qualche modo, assomigliavano all’azione di Dio che crea il mondo: perché come Dio ha plasmato l’universo, ha plasmato l’uomo, così l’artigiano ha le capacità per plasmare la materia.
Quindi ha un modo particolare di assomigliare a Lui e, anche dal punto di vista culturale, l’artigiano era una persona molto considerata.
Non è pensabile che Giuseppe fosse una persona povera, non sarà stato ricco, ma non povero, diciamo abbastanza benestante.
2) LA TUNICA INCONSUTILE
Lo capiamo anche da un altro aspetto, per esempio dal fatto che Gesù, quando fu spogliato delle sue vesti, gli fu tolta la tunica inconsutile.
È strano che nei Vangeli si dica che Gesù avesse una tunica inconsutile, cioè tessuta tutta di un pezzo.
Curiosità inutile? Non si trova niente di inutile nella Bibbia.
La tunica inconsutile era la tunica che di solito usava il Sommo Sacerdote.
Quindi dal punto di vista spirituale uno può dire”: Certamente Lui era il Sommo Sacerdote, quindi era giusto che usasse la tunica inconsutile”.
Però avete idea di quanto potesse costare tale tunica?
Il fatto che i soldati non l’abbiano divisa, è perché sapevano quello che valeva.
Se Gesù si vestiva tutti i giorni con la tunica inconsutile, questo ci fa capire che non era povero in canna.
Il fatto che Gesù fosse nato in una stalla non significa che sia nato all’addiaccio, come fanno vedere i nostri presepi.
3) LA CASA EBRAICA E LE GROTTE
Vi ho già spiegato com’era la struttura della casa ebraica.
Nel Vangelo si dice che non c’era più posto nell’albergo.
Con albergo si possono identificare almeno due cose: il caravanserraglio e il luogo antistante della casa che era adibito all’abitazione degli uomini.
La casa soprattutto quella delle persone comuni (persone che avevano la casa al di fuori delle mura della città fortificata).
Dunque le case dovevano essere difese come si poteva.
Gli animali da cortile, essendo l’unica ricchezza delle famiglie, erano importanti, erano preziosi.
Dunque al calar del sole venivano protetti, non semplicemente in un recinto, in quanto, in tal caso, voleva dire che erano tanti e che quindi avevano bisogno di un pastore; ma se erano il fabbisogno di una famiglia questi animali venivano riposti in una grotta, che era scavata dietro la casa, adiacente alla casa; dalla casa si passava direttamente in questa grotta.
Queste grotte fra di loro erano comunicanti, per permettere la fuga, in caso di aggressione, in un’altra casa.
Tutti gli animali di queste famiglie erano conservati in queste grotte.
Tutto ciò significa che il luogo in cui Gesù nacque non era l’abitazione, perché in essa non c’era posto, perché era occupata dalla famiglia.
La grotta non era un luogo freddo, era un luogo chiuso, protetto.
Coloro che hanno potuto recarsi in Terra Santa vi potranno dire che a Betlemme, dove c’è la Basilica della Natività, c’è una grotta che gli Ortodossi dicono che lì è nato Gesù.
Però nella stessa grotta, dall’altra parte c’è la Basilica dei Francescani e Gesù potrebbe essere nato lì.
Questo ci fa capire che tutte le grotte erano comunicanti tra di loro.
Non sappiamo con esattezza quale fu esattamente la grotta in cui Gesù nacque, la tradizione ci dice lì, però potrebbe essere là, perché le grotte erano comunicanti tra loro.
È impensabile che Maria e Giuseppe prevedendo i giorni del parto, si mettessero in viaggio senza avere nulla.
Il fatto che siano andati in Egitto testimonia del fatto che potevano permettersi di andarci.
Avevano i soldi necessari per andarci, per starci, per trovare lavoro, per insediarsi li.
Dunque è da sfatare questa idea falsa secondo la quale Gesù fosse povero in canna.
4) POVERTÀ COME DISTACCO
Gesù era povero, ma nel senso di distaccato; una persona che ha pochissimi soldi, ma è attaccatissima ha tutte le cose che ha, sta vivendo nella povertà? No.
Una persona ricca che però è generosa, sta vivendo la virtù della povertà? Certo.
La povertà non va confusa con la miseria.
I tesori presunti del Vaticano sono possesso del Sommo Pontefice o sono possesso di tutti i Cattolici?
Della Chiesa, ma la Chiesa siamo noi.
Se ci fanno un dono, siamo ben contenti, mica li rifiutiamo, oltretutto offenderemmo la persona che ci ha fatto quel dono.
Se il dono è la rappresentazione di un legame affettivo, di rispetto, di stima, allora rifiutare quel dono significa rifiutare quella persona.
Intervento: e l’anello del Papa…?
L’anello del Papa si chiama: anello piscatorio, che vuol dire l’anello del pescatore.
Il pescatore è Pietro.
L’anello indica la sua appartenenza alla Chiesa, la sua dedizione totale, come un vincolo matrimoniale.
I coniugi che si sposano davanti a Dio, si scambiano le vera nuziale, che significa un attestato di fedeltà reciproca e di donazione totale reciproca.
L’anello episcopale, e dunque anche piscatorio, non è nient’altro che questa testimonianza.
L’anello può essere di materiale prezioso, ma può anche essere di materiale effimero.
5) LE COSE SANTE VANNO TRATTATE CON DIGNITÀ
Generalmente per ciò che comporta un significato spirituale ampio, sarebbe un po’ un insulto che venissero utilizzati dei materiali non nobili.
I calici di coccio non sono tanto liturgici, perché è un materiale deteriorabile e non nobile.
I materiali con cui si fanno i vasi sacri dovrebbe essere materiale nobile.
Generalmente, almeno la coppa dovrebbe essere d’argento ricoperta di oro zecchino, perché l’oro non si ossida, e quindi il vino che c’è dentro rimane vino e non viene condizionato dal materiale con cui è fatta la coppa.
Poi c’è il significato che le cose sante vanno trattate con un certo tipo di dignità, se noi non riconosciamo un certo tipo di dignità alle cose sante, è come dire che per noi non sono poi così sante.
Vi ricordo che i grandi santi, per tutto ciò che riguarda il culto, non hanno mai fatto economia, magari mangiavano pane e cipolla, ma per quello che riguarda le tovaglie dell’altare, i paramenti, i camici, i vasi sacri ecc… il meglio di quanto si potevano permettere.
6) NON COLTIVARE UNA FALSA MENTALITÀ PAUPERISTICA
Attenzione a non coltivare una falsa mentalità pauperistica.
Credo che il Signore si possa meritare il meglio di quello che noi possiamo offrirgli.
Possiamo offrirgli il meglio del nostro cuore, si merita che gli diamo il meglio del nostro cuore; il meglio delle nostre capacità, si merita che gliele diamo; sappiamo cantare, allora cantiamo con tutto il cuore e veramente con gioia e amore, perché questo è il massimo che possiamo offrire a Lui.
Se dobbiamo costruire un edificio dedicato al culto del Signore, io non sono d’accordo che sia un garage trasformato in chiesa, deve essere assolutamente il meglio che la nostra cultura e le nostre capacità sono in grado di esprimere.
Per Dio, che ha fatto tutto quello che ha fatto, penso che l’uomo debba scomodarsi un pochino per fare il meglio che può fare.
Nelle nostre case non manca nulla e non vedo perché debbano essere più eleganti i garage delle chiese, o eleganti pellicce, ma paramenti sacri che sembrano stracci.
Ci sono delle incongruenze che però debbono essere superate con l’equilibrio e la visione di certi valori.
Ci sono certe cose che superano il valore economico delle cose, ci sono dei valori, quelli spirituali, che le superano di gran lunga.
Per quello che riguarda gli oggetti sacri del culto che possono essere l’anello, i calici, gli ostensori, i paramenti ricamati questi non sono proprietà di chi li usa, ossia sono proprietà di chi li usa finché è vivo.
Quando io morirò il mio calice non lo lascio a mio figlio, non ho figli, cosa ne farò del mio calice?
Lo regalerò ad un altro sacerdote, oppure lo lascerò ad una persona che so che lo valuta; magari non è di materiale così prezioso, però è ricco di significati.
Tutto ciò che ci può essere di bello e prezioso che c’è nella nostra famiglia che è la Chiesa, rimane in famiglia, a beneficio di quelli che vengono dopo di noi.
Magari il materiale può avere un certo tipo di valore, ma la fattura ne moltiplica il valore.
Posso avere un calice di legno ma tutto scolpito, tutto istoriato, tutto lavorato.
Se io valutassi solo il legno avrebbe solo il valore del materiale, ma poiché è stato lavorato acquista un valore notevolmente superiore.
Attenzione quindi, non possiamo valutare esclusivamente con il valore economico le cose che fanno riferimento ai valori spirituali, perché altrimenti abbiamo un approccio materialistico alle realtà spirituali della Chiesa, mentre i valori dello spirito non sono valori valutabili.
Ora poiché noi siamo persone, cioè spirito, anima e corpo, è chiaro che noi esprimiamo le realtà spirituali anche attraverso le realtà materiali.
Se noi esprimiamo delle realtà materiali scialbe vuol dire che i nostri valori spirituali non sono così ampi e profondamente vissuti, perché, tutto sommato, reputiamo che non sia necessario offrire per la riflessione, o per il culto, qualche cosa che sia veramente degno di questo nome.
Ora non dico che dobbiamo cadere nel lusso, ma nella dignità si!
Nel significato di quello che si compie sì!
Qui c’è un Dio che si mette nelle tue mani e vorrai avere un minimo di riguardo, oppure tu vai a prendere la Comunione con le mani tutte sporche.
A me è capitato di non mettere la Comunione su certe mani e dovergliela mettere in bocca, perché erano talmente sporche che facevano vergogna.
Certi valori per noi sono fondamentali e tutto il resto viene di conseguenza.
7) REALTÀ MATERIALI CHE TESTIMONIANO VALORI SPIRITUALI
Se per noi Dio è importante, tutto ciò che riguarda Dio è importante.
Se tu hai, nella tua famiglia, una persona cara che ti viene a mancare, tutti i ricordi di quella persona cara per te sono intoccabili.
Magari non valgono niente, ma per te hanno un valore assoluto, perché ti richiamano quella persona.
Allora il nostro Dio è morto e risorto e ci ha lasciato un testamento ricchissimo, ci ha dato la sua stessa vita, ci ha dato la sua stessa presenza, la Chiesa, i Sacramenti, ci ha dato sua madre, lo Spirito Santo, più di così che cosa ci doveva dare?
Vi rendete conto che di fronte a queste cose tutto il resto non è niente altro che paglia.
Se noi vogliamo esprimere lo splendore, la maestà, la bellezza, la gloria e la potenza di Dio, con cosa lo possiamo esprimere, con la creta?
Sì, si può anche esprimere con la creta, ma la creta ha un valore effimero e se cade per terra si rompe subito.
Che significato si ha da una cosa che si rompe subito?
Attenzione ci sono delle realtà materiali che testimoniano dei valori spirituali, senza fare di queste realtà materiali un valore assoluto, ma semplicemente un significato.
Ricordo quando, quest’estate, assieme ad un seminarista andai a visitare la cupola di San Pietro, ricevendone un’impressione spaventosa, quasi terrificante, ricordo un commento: ” È proprio vero che tutto quello che c’è qui dentro non è stato costruito per gli uomini ma per Dio.”
Le dimensioni sono tali che se tu guardi sotto, dall’interno della cupola, ti sembra di essere nell’alto dei cieli e se cerchi di vedere in fondo gli uomini che cosa fanno, li vedi piccoli così.
Che cosa fa capire tutto questo:? Fa capire che ci sono dei valori spirituali che si esprimono anche attraverso delle realtà materiali, non solo con le realtà materiali, ma che invitano il cuore del credente ad aprirsi alla comprensione maggiore delle cose.
Se vuoi fare un regalo a tua madre, non le regalerai un anello di plastica.
Ho conosciute persone che sono diventati vescovi ed hanno ricevuto in dono l’anello episcopale.
Ma quale persona, meschina, nel regalare un anello al vescovo, glielo regala di latta?
Io sono diventato sacerdote.
I miei genitori hanno voluto regalarmi il mio calice, che ha la coppa d’argento, perché è il segno di una cosa importante del loro amore nei miei confronti.
Tutte le volte che celebro Messa con quel calice, ricordo che me lo hanno regalato con amore.
Voi vi siete sposati.
Vi hanno fatto dei doni che ricorderete per tutta la vostra vita, perché è un qualcosa che viene dal cuore.
Se anche fosse di materiale scadente, non vi importerebbe molto, però voi sapete che tutto quello che essi potevano fare per voi essi lo hanno fatto.
C’è da stupirsi che se uno diventa sacerdote, vescovo o papa riceva dai suoi amici il massimo che essi possono fare?
È un discorso populista, direi quasi marxista, che valuta tutte le cose semplicemente dal punto di vista economico.
Ma la vita non è solo economia, ci sono dei valori che superano di gran lunga i valori economici ed è un atteggiamento meschino misurare tutto in base al valore oggettivo della cosa.
8) SPIRITO DI POVERTÀ È APERTURA ALLE NECESSITÀ ALTRUI
Importante è coltivare lo spirito di povertà che significa apertura alle necessità del prossimo.
Il grave è quando le benedizioni del Signore per noi diventano esclusive, cioè diventiamo insensibili alle necessità del nostro prossimo.
Se il Signore ci concede di avere più intelligenza degli altri, quindi di avere una laurea, di avere un lavoro più remunerativo, non è per caso.
Il Signore si servirà delle mie capacità superiori (denaro ecc…) per aiutare una persona che ha una capacità minore.
Se il Signore ti dà due mani e due piedi per camminare, te li da perché tu puoi essere utile a Lui nel servire quei fratelli e quelle sorelle che non hanno questa fortuna.
Questo è un aspetto importante da considerare: bisogna considerare la Chiesa come ai vasi comunicanti dove chi ha di più dovrebbe occuparsi di chi ha di meno, non con superiorità, ma come condivisione.
Su questo aspetto non troverete spesso che tutti sono d’accordo anche perché il discorso che io vi ho fatto è un discorso adatto a persone che hanno percorso un cammino spirituale e che capiscono il valore delle cose spirituali.
Non tutti stanno facendo questo cammino.
Se una persona si attacca al valore dell’anello del papa significa che è una persona che controlla le spese degli altri, e allora dovrebbe cominciare ad esaminare come utilizza il proprio denaro e se non è di scandalo di fronte alle povertà del mondo.
Attenzione, certe volte, per sentirci giustificati nel nostro egoismo, cerchiamo di trovare l’egoismo o le incongruenze nella vita degli altri.
Ci sono dei valori che non si vedono ma che sono più fondamentali di quelli che si vedono.
9) L’EGOISMO E IL MALE
Nell’uomo, a causa della corruzione del peccato originale, c’è l’inclinazione al male.
Vi ricordate che vi avevo parlato di questo contagio di egoismo, secondo cui l’uomo è sempre portato ad appagare se stesso.
Quindi c’è questa inclinazione al male, che rende facile questa esecuzione al male.
Però dire che il male è dentro di noi è un po’ peggiore, significa dire che noi siamo costitutivamente male e ciò vorrebbe dire che non ci si può salvare.
È un problema talmente complesso che non si può risolvere dicendo che il male è dentro di noi, dentro di noi c’è, a parte l’inclinazione verso l’egoismo, c’è l’assenso al male; però ci può anche essere l’assenso al bene.
Dire che c’è l’assenso al male, è diverso dal dire che c’è il male dentro di noi.
Perché se io dico che c’è l’inclinazione o l’assenso, io dico che sono libero e posso decidere.
Se io, invece, dico che c’è il male dentro di me, vuol dire che io sono impastato di male e questo viene a negare, per esempio, tutto quello che fa parte della Creazione, dove, si dice nel secondo racconto che è il più antico, che Dio prese della saliva e l’impastò con della terra … questo ci vuol dire che l’uomo è impastato di Dio, non di male.
Noi, magari, abbiamo una certa consapevolezza che se diciamo che c’è il male dentro di noi ci capiamo subito, ma se lo diciamo ad una persona che non fa’ un cammino è gravissimo.
Non dobbiamo dire che il male è dentro di noi quando invece c’è l’essere perverso e pervertitore che ha la volontà di pervertire gli altri.
Perché una frase di questo genere produce talmente tanti compromessi e talmente tante confusioni che è già di per se stessa una frase cattiva.
Il peccato originale ha generato la corruzione non il male, il male non abita dentro di noi.
L’egoismo pone te al centro di tutto.
Il tendere sempre al meglio non è egoismo e non produce necessariamente atti cattivi a meno che sia un tendere al meglio solo per se stessi, questo è egoismo.
L’egoismo fa parte della storia di tutti, ma ognuno può decidere se seguire l’egoismo oppure no.
Per la capacità che ognuno ha di riconoscere il suggerimento di Dio c’è la possibilità di rispondere in una maniera più o meno libera; per fortuna Dio giudica della nostra capacità di libero arbitrio.
Dire che il male abiti dentro di noi non è una cosa giusta, dentro di noi può abitare l’inclinazione al male.
Una nave che ha dentro di sé una falla può affondare, però se si protegge, se in qualche modo tenta di arginare i danni la nave non affonderà e arriverà in porto, anche se imbarcherà dell’acqua.
Allora noi facciamo conto di essere delle navi che hanno subito uno speronamento, per cui abbiamo delle falle dentro di noi, che è simboleggiato dal peccato originale, noi possiamo salvarci e arrivare in porto nonostante filtri dentro di noi l’acqua, che può farci affondare.
Però abbiamo dentro di noi l’autore della vita che ci salva dalla nostra situazione rovinosa.
10) NOI SIAMO STATO SALVATI
L’uomo ha dentro di sé molecole del veleno, che sono in circolo.
Ora se questa persona non fa una trasfusione di sangue, non prende l’antidoto, questo veleno si stabilirà nel fegato e la persona morirà.
Ma noi siamo stati salvati, abbiamo ricevuto una trasfusione di sangue divino, ossia il nostro sangue è ammalato, ma ricevendo il sangue divino noi possiamo in qualche modo bloccare l’infezione, poter vivere una vita pressoché normale, fino alla pienezza di questa salvezza che si chiama risurrezione.
Quindi dentro di noi c’è il germe del peccato, il germe del male, ma noi non siamo costitutivamente male e peccato.
Dio non ha creato né il male né il peccato.
Il male e il peccato sono sorti nel cuore di questo essere angelico che ha voluto distaccarsi da Dio.
È lì l’origine del male e del peccato, ma non sappiamo il perché.
Nella nostra logica debole, piccola, limitata non riusciamo a capire come abbia fatto Lucifero a vedersi Dio di fronte agli occhi e a dire: ” Non me ne importa niente, non faccio come vuoi tu e faccio come voglio io”.
Io non lo so come possa nascere dentro il cuore di un essere che vede Dio in quel modo un pensiero di questo genere, però è capitato.
11) LA RIVELAZIONE BIBLICA E VERITÀ DI FEDE
Io non ho nessun diritto di dire che ciò che c’è scritto nella Bibbia non è vero.
Se io, per di più, sono un uomo di Chiesa non ho nessun diritto di salire su un pulpito, smentendo ciò che c’è scritto nella Rivelazione, non ho nessun diritto di dire che Gesù non è venuto a lottare contro Satana, quando nel Vangelo di Luca si dice: “Lo Spirito Santo lo condusse nel deserto per essere tentato da Satana”.
Non ho diritto di dire che questo essere non esiste, perché non mi fa comodo pensare che esiste; perché io non sono Dio e se fossi Papa sarei eretico.
Quindi tutti gli altri cristiani avrebbero il diritto di non credermi, perché ciò che è scritto sulla Rivelazione biblica non si discute: è una verità di fede, non una verità che dipende dalla mia capacità di accettarla o non accettarla.
Dio ci ha rivelato questo.
Ci credi o non ci credi che questo è quello che ti ha rivelato Dio, se non ci credi è un problema tuo, ma non puoi insegnare agli altri che ciò che scritto sulla Bibbia è falso.
Se insegni questo sei tu l’eretico.
Chi ha ragione: Dio che si è rivelato o tu che pensi di aver scoperto l’acqua bollita dicendo che quello che c’è scritto sulla Bibbia non è vero?
Prima di dire che una cosa che è scritta sulla Bibbia non è vera, ci penserei un miliardo di volte.
Prima di dire delle teorie umane al contrario di quelle che sono le rivelazioni bibliche, ci vuole un coraggio da leoni.
State attenti, nel Nuovo Testamento S. Paolo dice anche: ” Se qualcuno vi predicasse un vangelo, fosse anche un angelo del cielo, che fosse diverso da quello che avete ricevuto sia anatema”.
Cioè sconosciuto, eretico, una cosa che non ha senso.
Gesù nei suoi insegnamenti ha detto determinate cose.
O accetti Gesù e i suoi insegnamenti o, se non accetti i suoi insegnamenti, vuol dire che non credi a Gesù.
” È vero fino a un certo punto, però Socrate dice qualcosa di più importante di te, quindi per me è più importante Socrate che Gesù”.
Se porto le cose alle estreme conseguenze ci rendiamo conto dell’incongruenza, poiché non si chiama Socrate, ma il teologo dal del tali ha detto questo, allora il teologo è più importante di Dio; perché Dio ha detto una cosa scomoda e io credo al teologo piuttosto che a Dio.
La domanda di fondo è sempre questa: crediamo in Dio o crediamo a Dio?
Sia lodato Gesù Cristo.
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Piccolo errore di san Francesco. Gesù non era povero.
di Francesca Ribeiro
Nella discussione sulla nascita verginale di Gesù, lo spunto è stato dato dall’offerta per la purificazione di due tortore, offerta soltiamente riservata alle famiglie più povere.
All’interno dei vangeli, ci sono però molti passaggi in cui Gesù critica apertamente il comportametno dei ricchi ma, al tempo stesso, prova una profonda compassione per i poveri, guardandoli però dall’esterno, come da una condizione diversa.
Mt 26,6 Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. 8I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? 9Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!”. 10Ma Gesù, accortosene, disse loro: “Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’azione buona verso di me. 11I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete.
Lo stesso episodio viene riportato in maniera molto simile in Marco 14,6. Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; 7i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempreAnche in Gv 12,8.Sempre in Gv 19,23 c’è l’episodio della tunica che, oltre al valore simbolico, ci fa riflettere sul fatto che la tunica era preziosa, tanto che i soldti non vollero sciuparla 23I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:..Per non parlare delle donne al seguito che mettevano i loro beni a disposizione. durante il periodo della predicazione.Per converso,l a tradizione Sufi, mistici musulmani che hanno una venerazione del tutto particolare per Gesù, parla di un Gesù poverissimo che aveva una sola tunica piena di rattoppi, ma il significato simbolico di quanto narrato sembra sueprare di gran lunga la ricostruzione storica.
Comunque secondo me è abbastanza difficile determinare l’origine sociale della famiglia di Gesù dai dati in nostro possesso. Sono comunque del parere che, a prescindere dalla sua origine, Gesù abbia impostato la propria vita secondo le categorie messianiche di cui abbiamo testimonianza in Enoc e a Qumran e nelle fonti di Luca, categoria che danno alla povertà sociale un ruolo di primo piano.
Fonte: Selezione del Reader’s Digest – Dicembre 2004
25 dicembre… è proprio vero
Volete conoscere la verità su Gesù? Gettate alle ortiche duecento anni di studio e ricerche dei più grandi teologi di tutto il mondo e tenetevi cari i racconti della nonna, del parroco e della suora che, magari, alla scuola materna, vi ha aiutato a crescere. La tradizione, insomma, non sbagliava: Gesù è nato proprio il 25 dicembre dell’anno zero. Tutto il resto sono dettagli, con un pizzico di mitologia presa dai Vangeli apocrifi, come ad esempio il bue e l’asinello, o San Gioacchino e
Sant’Anna, genitori di Maria, nonni, quindi, di Gesù. Altro fraintendimento è la povertà del Signore: l’ha aggiunta san Francesco, e certo male non fa, perché, se povero Gesù non era, per noi tutti si è comunque incarnato.
Ecco, è questo l’esito degli infiniti studi iniziati a partire dal Settecento, dal secolo dei Lumi, dal bisogno di montare e smontare i Vangeli. Una nuova scoperta, che cancella tutte le altre, vale a dire la dimostrazione che non c’era nulla da scoprire oltre ai Vangeli: sembra, oggi, una rivoluzione.
Non resta allora che far riemergere la tradizione e ripulirla dai mille luoghi comuni che si sono incrostati in questi duemila anni di cristianesimo. Per far ciò, siamo andati a trovare lo studioso che più di ogni altro (esclusi gli Apostoli, si intende) ha contribuito a divulgare, almeno con i libri, la figura di Gesù. Si tratta di Vittorio Messori, il giornalista che con il suo Ipotesi su Gesù, pubblicato nel 1976, ha avvicinato più giovani alla figura del Cristo di qualunque dotto teologo. Quel libro vendette alcuni milioni di copie, fu tradotto in 34 lingue (più le edizioni pirata). A quel volume ne seguirono molti altri, tra i quali uno scritto con Giovanni Paolo II che, in due mesi, vendette 2 milioni di copie: un’impresa
da Guinness dei primati. Ma Messori non ama usare i numeri quando si tratta di misurare il proprio lavoro.
Reader’s Digest: Vale davvero la pena di indagare sui tempi e sui luoghi che hanno visto nascere, predicare e morire Gesù?
Messori: Altro che, se ne vale la pena. Il Vangelo racconta un evento che sta nei piani di Dio e che porta suo figlio a incontrare la Storia. Non si discute il progetto di Dio, lo si accetta e, accettandolo, lo si deve comprendere e indagare anche a livello storico. Il Vangelo è sapienza incarnata. Nessun buddista si preoccuperebbe di verificare la veridicità storica del Buddha: che importa, è sapienza pura. Quanto all’Islam, Maometto non è che un semplice interprete, uno scrivano. E’ l’arcangelo Gabriele che detta a lui il Corano, la legge di Dio che sta scritta in cielo. Ma Gesù è il figlio di Dio che scende in terra: dimostra che non è mai esistito e cancelli, con un tratto,la fede cristiana.
RD: Allora, come si è giunti a questo ritorno alle origini?
Messori: Abbiamo tutti peccato di superficialità. Abbiamo messo in discussione la tradizione, pensando che la scelta di festeggiare la nascita di Cristo il 25 dicembre fosse una convenzione, una scelta arbitraria che andava incontro al bisogno di contrastare le feste pagane del Sol Invictus, a ridosso del solstizio d’inverno. Ma ci siamo sbagliati tutti, e la prova è venuta da un dettaglio su cui nessuno si era soffermato, ma che era lì, da cogliere, lasciato in bella vista da un evangelista. La scoperta è stata fatta dal professar Shemarjahu Talmon, dell’università di Gerusalemme, quindi non accusabile di voler dare man forte alla tradizione cristiana. Il ragionamento è complesso, andiamo per passi. Se Gesù è nato il 25 dicembre, il concepimento della Vergine è avvenuto 9 mesi prima, il 25 marzo.
Dai Vangeli sappiamo che altri 6 mesi prima era stato concepito il precursore di Cristo, Giovanni detto il Battista. I cattolici non festeggiano questo evento, ma gli ortodossi si, solennemente, tra il 23 e il 24 di settembre: vale a dire sei mesi esatti dal concepimento di Maria. Oggi abbiamo la prova che questa sequenza è storicamente autentica.
Il padre del Battista, Zaccaria, era un sacerdote e il Vangelo di Luca narra che l’arcangelo Gabriele gli annunciò la miracolosa nascita di un figlio, perché‚ sua moglie era sterile, un giorno in cui era di servizio liturgico al Tempio. Luca precisa, come se volesse aprirci la strada per giungere alla verità, che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia. Attenzione, questo è il passaggio chiave: i sacerdoti, nell’antico Israele, erano divisi in 24 classi e prestavano servizio al Tempio due volte l’anno; quella di Abia era l’ottava classe e, lavorando sui testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, i cosiddetti rotoli del Mar Morto, lo studioso di Gerusalemme ha scoperto che doveva svolgere il proprio impegno liturgico proprio l’ultima settimana di settembre. Dunque, se proviamo che la data di partenza di tutto il nostro ragionamento è davvero il 25 di settembre, risulta esatta, di conseguenza, anche la data di arrivo, quella della nascita di Gesù: il 25 dicembre. Dio perdoni gli esperti, me compreso.
RD: Tutto questo, basandosi su quanto dice Luca. Ma non è possibile avere dubbi sulle sequenze storiche proposte dai Vangeli?
Messori: Nessun dubbio sul Vangeli: sono rappresentazione storica, oculare, da cronista. Gli Apostoli sono, per definizione, una garanzia di verità. Negli Atti degli Apostoli si narra di come i discepoli di Gesù, che erano 12 ed erano diventati 11 perché uno aveva tradito, dovessero essere reintegrati. Dodici per ragioni simboliche, perché 12 sono le tribù di Israele. E allora cooptano un nuovo Apostolo, Mattia, avendo cura di scegliere un uomo che sia stato con Gesù dall’inizio alla fine, perché gli Apostoli devono essere testimoni oculari, sono loro le colonne della fede, appunto testimoni dell’evento storico. Sono loro che reggono il racconto dall’inizio alla fine.
RD: Gli esperti mettevano in dubbio anche l’anno di nascita. Come mai anche questo dilemma è stato sciolto definitivamente?
Messori: E’ un ragionamento matematico complicato. Cerco di spiegarlo senza addentrarmi in calcoli noiosi. Siccome Gesù era nato sotto Erode e i calcoli della morte dei re (è lui che ordina la strage degli innocenti a Betlemme) non consentivano al Cristo di essere nato nell’anno zero, noi tutti ci eravamo fatti la convinzione che, in realtà il Natale fosse avvenuto sei anni prima. Oggi, quindi, pensavamo di trovarci non nel 2003 bensì nel 2009. La datazione tradizionale era dovuta a Dionigi il Piccolo, bravo matematico ma che, avendo operato attorno all’anno Mille, aveva il diritto di commettere qualche errore. E invece no, chapeau a Dionigi, aveva ragione lui, siamo noi che abbiamo sbagliato la datazione della morte di Erode in realtà Gesù è nato davvero nell’anno zero.
RD: In una mangiatoia di Betlemme, dove la famiglia si era recata per il censimento…
Messori: Pare di no. Giuseppe non va a Betlemme per il censimento, ci va, in realtà per una sorta di dichiarazione dei redditi periodica che richiede la presenza dei proprietari sui loro beni immobili. Quest’operazione si faceva, di solito, in dicembre, periodo dell’anno tranquillo perché non disturbava né la semina né il raccolto.
E qui abbiamo una nuova prova che la nascita è avvenuta proprio in dicembre.
RD: Insomma, una famiglia benestante…
Messori: Che il Cristo fosse figlio della media borghesia lo si sa da sempre. Suo padre, Giuseppe, era un imprenditore affermato, titolare di un’azienda per la costruzione di serramenti e attrezzi in legno. Da San Giustino martire, palestinese e lontano parente di Giuseppe, sappiamo che aveva un laboratorio rinomato non solo a Nazareth ma in tutta la Galilea, soprattutto per la costruzione di aratri di legno e gioghi per buoi. Luca precisa che Maria e Giuseppe erano si, in una mangiatoia che fungeva da dependance del caravanserraglio, perché non c’era più posto in albergo, non perché‚ non se lo potevano permettere. Matteo, poi, ci informa degli enigmatici Magi venuti dall’Oriente con doni preziosi.
E i genitori di Gesù li accettano. Va ricordato anche che i carnefici del Cristo si stupiscono della bellezza dell’abito
indossato da Gesù (oggi diremmo firmato) tanto che non lo strappano ma se lo disputano ai dadi: era una tunica senza cucitura, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Molte cose dei Vangeli vanno lette come paradossi. “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”, dice, ad esempio, il Signore. Questa frase non va presa alla lettera, va interpretata come la testimonianza di uno sradicamento, disumano in Oriente, dalla famiglia, dal clan, dal villaggio e non come segno di penuria di denaro. Tutta la storia narrata nei Vangeli è paradossale: parlano del Dio che si fa uomo e che invece di finire sul trono finisce a morte sulla croce.
RD: Paradossale tutto, il passato, il futuro di quei luoghi che non trovano pace. Perché?
Messori: Il giorno di Natale del 1974 assisto alla Messa di mezzanotte sui luoghi della natività, un altipiano desolato a quasi mille metri spazzato dal vento freddo del deserto. Penso a Luca quando dice: i pastori vegliavano all’aperto. Poi scendo giù, sul Mar Morto: tanto freddo c’era in alto, tanto caldo lì, dove la gente faceva il bagno, nel punto più basso del mondo. Il Mar Morto – era appena passata la guerra del ’73 – è zona di frontiera, ma non immaginavo che fosse anche una zona di confine dell’umanità intesa come pietà dell’uomo. Noleggiai un costume da bagno e mi tuffai in questo strano lago dove stai a galla anche senza nuotare. Dall’altra parte. d’un tratto, un cecchino giordano comincia a sparare con la mitragliatrice, mi acquatto e vedo che, da questa parte, il bagnino corre, con estrema naturalezza, a un mitragliatore che era coperto da un telone e risponde al fuoco. Questi sono i luoghi dove si è manifestato il più grande atto di amore per l’uomo.
RD: Ha citato il Mar Morto, anche a proposito della scoperta sulla datazione della nascita di Gesù. Quali misteri ancora racchiudono i rotoli di Qumran?
Messori: I rotoli non hanno rivoluzionato nulla. Ci hanno invece aiutato a capire. Del resto già sapevamo da Giuseppe Flavio e da Plinio dell’esistenza di una setta, gli esseni, che era andata a vivere in grotte vicino al Mar Morto. Abbiamo trovato dei documenti che assolutamente non contrastano il racconto dei Vangeli, anzi, completano la loro verità storica. Mostrano i fatti da diversi punti di vista: è come se domani trovassimo la biblioteca di Vercingetorige. Ci consentirebbe di integrare tutto ciò che sappiamo dal De Bello Gallico di Giulio Cesare. Ci sarà un diverso punto di vista, ma i fatti storici e il clima religioso e culturale coincidono.
RD: Dunque, Messori, quarant’anni sulle tracce di Gesù e mai un dubbio?
Messori: lo vengo dalla Torino più laica: ho fatto le elementari nella scuola in cui De Amicis ha ambientato Cuore e il liceo classico al D’Azeglio, che ha sfornato due cose, la Juventus e la Einaudi. Ho fatto studi storici, tesi con Alessandro Galante Garrone, Luigi Firpo e Norberto Bobbio. Ma un bel giorno dei 1964 ho incontrato il Vangelo e, in un mese, la mia vita è cambiata. Sono uno storico e vengo convertito dal Vangelo in senso storico. Sono stato talmente tanto sulle tracce di Gesù che quando scrivevo il mio libro le hostess del volo Milano-Tel Aviv mi davano del tu. Tutta la mia vita è una ricerca storica di Gesù attraverso i Vangeli. E ho imparato una cosa: bisogna crederci fino in fondo ma anche verificare, con la certezza che non si troveranno brutte sorprese.
Come diceva Jean Guitton, forse il maggior filosofo cattolico del secolo scorso: “L’intelligenza non è nemica ma alleata della fede”. Dopo una vita di ricerca senza pregiudizi è anche il mio bilancio.
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Gesù era povero… ma chi l’ha detto?
Il fatto che Gesù sia nato nella grotta o stalla non significa che era povero, ma come dice la bibbia gli alberghi erano pieni, quindi se erano pieni vuol dire che Giuseppe aveva cercato posto in albergo e quindi aveva i soldi per pagare.
Era figlio di un falegname, sì vero, ma i falegnami di allora non sono gli stessi di oggi, inoltre gli artigiani si sono sempre fatti pagare bene, e in nessun posto c’è scritto che Giuseppe fosse povero.
La famiglia di Gesù facevano pellegrinaggi a Gerusalemme. I pellegrinaggi costavano, sicuramente un povero non poteva permettersi di soggiornare per giorni a Gerusalemme in albergo e mangiare in osteria.
Gesù sapeva scrivere, a quei tempi solo le famiglie facoltose potevano portare i figli dai maestri, le scuole non esistevano, ma c’erano i maestri che offrivano istruzione a pagamento.
Gesù aveva un mantello, il mantello non era un capo per i povero, solo i facoltosi usavano i mantelli
Gesù aveva vestiti di valore, al momento della morte le guardie si spartiscono i vestiti, se questi fossero stati stracci di un povero li avrebbero buttati via, se li hanno spartiti vuol dire che avevano un qualche valore.
La tunica di Gesù era preziosa, le guardie romane si giocano a dadi la tunica di Gesù perché era di un sol pezzo e non poteva essere divisa, una tunica del genere costava molto, inoltre erano tuniche preferite dai rabbini.
Questi altri indizi fanno capire che Gesù non era povero.
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Gesù scelse come modello di vita un modello sobrio sebbene figlio di artigiano (che si presuppone, per l’ epoca, come benestante se non ricco). La storpiatura è mirata a far dire cose al Vangelo che non sono state dette. Gesù disse: beati i poveri (in spirito) non in moneta. A giovane ricco che gli chiedeva:”come faccio ad avere la vita eterna?”, Gesù rispose di osservare i comandamenti. Solo se voleva essere perfetto aggiunse di vendere tutto quello che aveva e di darlo ai poveri. La frase: “E’ più facile che un cammello passi nella cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli.” non condanna a priori il ricco ma l’ amore della ricchezza sopra ogni cosa.
Gesù non ha mai condannato la ricchezza in se stessa, perché può essere pure onesta, Egli condanna fermamente la ricchezza fraudolenta (vedi episodio dei mercanti del tempio) e l’ amore sviscerato per il denaro che acceca al punto di passare anche sui cadaveri.
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Infatti non sta scritto in nessun posto che fosse povero. La nascita nella mangiatoia fu perché Maria ebbe le doglie mentre erano in viaggio e non trovarono posto per dormire; del resto c’era il censimento e molti erano in viaggio, perché dovevano registrarsi nelle città di origine e non in quelle dove vivevano. Tuttavia sembra di capire che quando iniziò la predicazione lasciò tutto, compreso il lavoro di falegname nel quale sicuramente aiutava il padre. Sicuramente, insieme agli apostoli, che erano per la maggior parte pescatori, vivevano di questo, della pesca. Giuda era il “tesoriere”, come riferisce Giovanni nel Vangelo era lui che teneva in custodia “la borsa”. Anche se la nascita in un ricovero di animali è stata casuale (o no?), questo ha tuttavia un forte valore simbolico. Con una nascita così Dio si è fatto uomo (o meglio, bambino, in modo che proprio non si potesse aver paura di Lui!) vicino alle persone più povere, i pastori. I pastori allora erano considerati la feccia della società, non erano nemmeno ammessi alle cerimonie nel tempio, forse anche perché puzzavano, e proprio a loro, ai quali era inibito il culto religioso, è stato dato il primo annuncio della nascita del Signore. Non trovi che tutto questo sia bellissimo?
Anche Giovanni Battista non nacque povero: il padre, Zaccaria, apparteneva alla classe sacerdotale di Abia, e anche Elisabetta, cugina di Maria, discendeva da una classe sacerdotale. Poi però lasciò tutto e andò a predicare vivendo nel deserto.
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di certo non era Ricco..diciamo che era benestante visto che la provvidenza aiutò sempre lui e la sua famiglia.
C’è un fraintendimento sul giudizio che molte ideologie attribuiscono a Gesù nei confronti della povertà..il fatto che Gesù avesse detto al giovane ricco di lasciare tutto e seguirlo non era per disprezzo della ricchezza(un bene agli occhi di Dio e non il contrario) ma il fatto che con quella richiesta ha fatto capire al giovane quale posto occupava Dio nel suo cuore,ovvero che preferiva il denaro a Dio..
E’ quindi confutata l’idea che vorrebbe Gesù come primo comunista..in realtà Gesù parlava di amore mentre ,come sappiamo,il comunismo aveva ben altri fini/mezzi.
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Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».
Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!».
Vangelo di Marco

Terra Santa – L’apartheid che separa le famiglie palestinesi
Segnalazione del Centro Studi Federici
Quelle famiglie separate per legge, di Emma Mancini (da www.http://www.terrasanta.net del 9/5/2013)
Gerusalemme – Lei vestita di bianco con il bouquet tra le mani, lui in grigio con la cravatta azzurra. Il 9 marzo scorso un gruppo di attivisti palestinesi ha portato sulle spalle un giovane, prossimo a sposarsi con una ragazza che vive al di là del Muro di Separazione. Lui, Hazim, è di Abu Dis, villaggio palestinese vicino Ramallah; lei è di Nazaret, Stato di Israele. Si sono incontrati al check-point di Hizma, che divide la Cisgiordania dal resto della Palestina storica. Gli ospiti ballavano e cantavano, sventolando bandiere palestinesi nel giorno del loro matrimonio.
Ma l’amore non è stato coronato: i soldati israeliani hanno disperso i circa 200 partecipanti alla singolare cerimonia nuziale, lanciando gas lacrimogeni e bombe sonore. Era un matrimonio-protesta quello di Hazim: mostrare al mondo gli effetti delle leggi israeliane sulla vita quotidiana del popolo palestinese. Ad organizzare la manifestazione sono stati i ragazzi di Love in the time of apartheid. «L’amore al tempo dell’apartheid» è il nome con il quale un gruppo di attivisti palestinesi ha battezzato la campagna contro la legge di riunificazione familiare reiterata dal governo israeliano lo scorso 22 aprile.
Una legge controversa che da undici anni pesa sulle giovani coppie palestinesi separate dal Muro. Ratificata per la prima volta nel 2003, è stata costantemente riapprovata dal parlamento israeliano, ultima volta in ordine di tempo pochi giorni fa. La normativa nega a decine di migliaia di famiglie palestinesi il diritto di vivere sotto lo stesso tetto. Come? Impedendo ai coniugi residenti in Cisgiordania e Gaza e sposati con palestinesi residenti in Israele di entrare nel Paese, per vivere una vita normale, nella stessa casa.
In mezzo resta il Muro di separazione, impossibile da varcare anche solo per amore. A battersi contro la legge sulla riunificazione familiare è da mesi un gruppo di attivisti palestinesi, sulla base delle numerose risoluzioni e convenzioni firmate dalle Nazioni Unite che vietano simili normative. Tra questi, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani che dal 2003 ad oggi ha più volte chiesto al governo israeliano di stralciare una legge che nega il basilare diritto dei coniugi alla coabitazione.
A farne le spese sono 130 mila coppie palestinesi alle quali restano ben poche opzioni: restare divise o emigrare. Tenendo a mente che l’emigrazione si trasformerà in una trappola: una volta trasferitosi, il palestinese israeliano perderà tutti i diritti di residenza e cittadinanza in Israele, nella sua terra. Per questo non sono pochi quelli che decidono di vivere separati: uno di qua e uno di là, uno con in mano la carta d’identità verde dalla Cisgiordania e l’altro quella blu israeliana. Una necessità imposta dalle normative interne israeliane: nel caso la coppia abbia un bambino, questi potrà ricevere il passaporto israeliano solo se effettivamente residente all’interno dello Stato di Israele e potrà accedere a tutti i benefici, educativi, medici e sociali che alle comunità palestinesi che vivono in Cisgiordania sono preclusi.
La campagna Love in the time of apartheid prova a fare pressioni sul governo israeliano o almeno ad attirare l’attenzione su una palese forma di discriminazione: la stessa legge non si applica agli ebrei cittadini israeliani, ma solo agli arabi. E se un ebreo cittadino di un qualsiasi Stato del mondo ha diritto a diventare cittadino israeliano in qualsiasi momento della sua vita sotto l’ombrello della Legge del ritorno, a un palestinese rimasto al di là del Muro e nato su questa terra tale diritto è precluso.
«La nostra campagna è nata per combattere nello specifico la legge sulla riunificazione familiare – ci spiega Najwan Berekdar, palestinese di Nazaret e portavoce di Love in the time of apartheid –. Ma più in generale intendiamo sfidare le politiche israeliane contro i palestinesi. Questa è solo un’altra legge, che va ad aggiungersi alle oltre 60 normative discriminatorie all’interno dello Stato di Israele. È una legge razzista perché prende di mira solo i cittadini palestinesi e ha come obiettivo quello di allargare la divisione con i Territori Occupati, una divisione che è da tempo reale, concreta, a causa di check-point militari e muri di separazione».
Dopo il matrimonio al check-point di Hizma, i ragazzi palestinesi hanno proseguito tentando la via legale: «Abbiamo saputo che la Knesset avrebbe riapprovato la legge solo due giorni prima del voto. Abbiamo manifestato di fronte alla sede del parlamento e presentato petizioni. Ma non ci fermiamo: abbiamo in programma una serie di altre iniziative per attirare l’attenzione della comunità internazionale su una legge vergognosa».
«Dietro una legge come questa – conclude Najwan – c’è una battaglia demografia. Israele, per continuare a potersi definire uno Stato ebraico, deve controllare i livelli di crescita della popolazione palestinese, deve mantenerli il più bassi possibile. Non solo: l’altro obiettivo israeliano è quello di dividerci: separandoci in enclavi chiuse, senza alcun tipo di contatto, l’identità palestinese finirà per scomparire. Come può un popolo definirsi uno e unito, se viene disperso in mille diversi rivoli ed etichettato con quattro diverse carte d’identità?».
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MARIA, REGINA DELL’UNIVERSO
Chi spesso pensa alla morte ? provvede alla vita futura
La celebrazione di Maria Regina fu istituita dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) nel 1955 al termine dell?anno mariano, centenario della proclamazione del dogma dell?Immacolata Concezione.
Si celebrava, fino alla recente riforma del calendario liturgico, il 31 maggio, a coronamento della singolare devozione mariana nel mese a Lei dedicato. Il 22 agosto era riservato alla commemorazione del Cuore Immacolato di Maria, al cui posto subentra la festa di Maria Regina per avvicinare la regalità della Vergine alla sua glorificazione nell?assunzione al cielo. Questo posto di singolarità e di preminenza le deriva dai molteplici titoli, illustrati da Pio XII nella lettera enciclica «Ad caeli Reginam» (11 ottobre 1954), di Madre del Capo e dei membri del Corpo mistico, di augusta sovrana e regina della Chiesa, che la rende partecipe non solo della dignità regale di Gesù, ma anche del suo influsso vitale e santificante sui membri del Corpo mistico. In latino ?regina?, come ?rex?, deriva da ?regere?, cioè reggere, governare, dominare.
Dal punto di vista umano è difficile attribuire a Maria il ruolo di dominatrice, Lei che si è proclamata la serva del Signore e ha trascorso tutta la vita nel più umile nascondimento. Luca, negli Atti degli apostoli, colloca Maria in mezzo agli Undici, dopo l?Ascensione, raccolta con essi in preghiera; ma non è lei che impartisce ordini, bensì Pietro. E tuttavia proprio in quella circostanza Maria costituisce l?anello di congiunzione che tiene uniti al Risorto quegl?uomini non ancora irrobustiti dai doni dello Spirito Santo. La Marialis Cultus scrive: ?La solennità dell?Assunzione ha un prolungamento festoso nella celebrazione della Beata Maria Vergine Regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla Colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre?.
La Lumen Gentium presenta in questi termini il rapporto Assunzione-Regalità di Maria: ?L?Immacolata Vergine? finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo, e dal Signore esaltata come Regina dell?universo, perché fosse più pienamente conformata al suo Figlio, Signore dei dominanti, e vincitore del peccato e della morte?.
Tutti i cristiani vedono e venerano in lei la sovrabbondante generosità dell?amore divino che l?ha colmata di ogni bene. Ma Lei distribuisce regalmente e maternamente quanto ha ricevuto dal Re; protegge con la sua potenza i figli acquisiti in virtù della sua corredenzione e li rallegra con i suoi doni, poiché il Re ha disposto che ogni grazia passi per le sue mani di munifica regina. Per questo la Chiesa invita i fedeli a invocarla non solo col dolce nome di madre, ma anche con quello reverente di regina, come in cielo la salutano con felicità e amore gli angeli, i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini. Maria è stata coronata col duplice diadema della verginità e della maternità divina: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell?Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.» (Luca 1,35).
Tre delle antifone mariane più conosciute dai cristiani invocano Maria con il titolo di Regina; esse sono: la Salve Regina, il Regina C?li e l?Ave Regina C?lorum.
LA “SALVE, REGINA”
Della liturgia della Chiesa latina l’enciclica “Ad coeli reginam” ricorda “l’antica e dolcissima preghiera: “Salve, Regina”, le gioconde antifone “Ave, o Regina dei cieli”, “Regina del cielo, rallegrati, alleluia”, le litanie lauretane, il quinto mistero glorioso del Rosario. Tra queste preghiere emerge la “Salve, Regina”, provvista di particolari doti che l’hanno fatta sentire attuale in ogni tempo e ne assicurano la popolarità anche per il più lontano futuro.
La storia
Per quanto si sia cercato, non si è ancora riusciti a individuarne l’autore. Si è pensato al vescovo spagnolo Pietro Martinez (+ 1000), al vescovo francese Ademaro (+ 1098), uno dei capi della prima crociata, all’italiano Anselmo di Lucca (+ 1086), al monaco tedesco benedettino Ermanno Contratto (+ 1054), ma senza arrivare a una certezza.
Non si esclude che più di uno abbia messo mano a perfezionare questa preghiera. Si dice, per esempio, che quelle che sono oggi le parole di chiusura siano di san Bernardo che le avrebbe pronunziate la vigilia del Natale 1146 nel Duomo di Spira (Germania) rispondendo, in qualità di Delegato Apostolico, al popolo che lo aveva acclamato con il canto della “Salve, Regina” e facendo tre genuflessioni là dove poi sono state poste in ricordo tre lastre di bronzo. Pare anche che la parola iniziale “Madre” sia stata inserita da san Carlo di Bloiss (s,h 1364).
E’ accertato comunque che la copia di “Salve, Regina” più antica è del secolo undicesimo ed è dell’abbazia benedettina di Reichenau (presso il lago di Costanza).
Grazie a san Bernardo (+ 1153) e all’abate Pietro il Venerabile (+ 1156) la preghiera si diffuse nei monasteri dei diversi Ordini Religiosi del medioevo, e poi anche in mezzo ai fedeli. Pare che la preghiera dovesse servire ai crociati. Papa Giovanni XXII (+ 1334) concesse alla recita della “Salve, Regina” l’indulgenza di quaranta giorni. Si usava dirla la sera, immancabilmente il sabato sera, anzi in chiesa era una cerimonia a sè stante. Precisamente in occasione di questa cerimonia nasceva già dal 1600 l’abitudine di dare la benedizione del Santissimo Sacramento mostrando ai fedeli l’Ostia consacrata, in risposta alle parole che chiedono a Maria di mostrarci Gesù.
E’ anche certo che venivano rilasciate notevoli somme di denaro perché questa funzione, recita della “Salve, Regina” e benedizione con l’Ostia, venisse introdotta nelle diverse chiese.
Per quanto pochi e fiacchi, non mancarono i nemici della “Salve, Regina”. “I protestanti nel 1500 e i giansenisti nel 1600 insorsero contro di essa per togliere, per esempio, la parola “vita” applicata alla Madonna ritenendola troppo contraria al prestigio di Cristo. Arrivarono a dire che era peccato mortale recitare la “Salve, Regina”.
Si oppose a loro una associazione che si proponeva non solo di difendere ma anche di diffondere il più possibile la preghiera, all’insegna del versetto rivolto alla Madonna: “Degnami di lodarti”. San Pier Canisio (+ 1597) e sant’Alfonso Maria dei Liguori (+ 1787) scrissero dotti e fervorosi commenti alla “Salve, Regina”, anzi su di essa sant’Alfonso compose la parte principale della sua opera “Le glorie di Maria”.
Anche valenti musicisti misero in note la “Salve Regina”: basti ricordare Pergolesi (+ 1736), Coccia (4 1873), Verdi (+ 1901), Perosi (+ 1956).
Ancora oggi, come da almeno sei secoli, l’uso di questa preghiera e universale in tutta la Chiesa. Anche oggi, per esempio, conclude la recita del Rosario.
La composizione
Sono riconoscibili nella “Salve, Regina” tre parti che si possono distinguere come introduzione, corpo e conclusione.
L’introduzione è nelle parole: “Salve, Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve”. La prima parola “Salve” indica un saluto, un augurio, un compiacimento, un omaggio; e richiama istintivamente alla memoria l’iniziale Ave che annuncia l’Ave Maria.
La seconda parola “Regina” è il titolo che la preghiera vuol mettere in evidenza. E ciò è tanto più significativo quanto più si pensa che era citato sì ma non studiato, nel tempo in cui nasceva questa preghiera.
La terza parola o meglio espressione “Madre di misericordia” preannuncia già i motivi che saranno sviluppati nelle invocazioni seguenti. Dopo la considerazione della regalità segnata dal termine precedente potrebbe, nascere nell’animo un certo senso di soggezione, e perciò ecco; subito a dissiparlo la precisazione consolante di Madre e Madre di misericordia riferita alla Regina. Non si pensa più a una Donna seduta in trono e incoronata di gemme, ma stringente al seno un bambino.
Incalzano poi le parole: “vita, dolcezza e speranza nostra”. Tre sostantivi carichi di significati, il più forte dei quali è messo al primo posto come per sottolineare l’urgenza del sentimento più sentito e più meritevole di essere espresso: cioè non si può vivere senza Maria, come non si vive senza aria, senza sangue, senza respiro. E quel possessivo “nostra” ancor più carico di affetti! Chi prega non è uno solo; anche se prega da solo, è con tutti come tutti sono con lui. Siamo una famiglia sola davanti a Maria: fratelli tra noi e figli dinanzi alla medesima Madre. Da Lei la dolcezza, in Lei la speranza. Torna in mente il “nostro” che Gesù ha legato al “Padre” nella preghiera da Lui insegnataci.
L’ultima parola è quella usata per prima: “Salve” come per riaffermare la gioia dell’incontro già avvenuto con Maria attraverso la preghiera e più sentita man mano che passa il tempo.
Insomma questa introduzione sembra uno squillo di tromba risuonante a gloria già. nella seconda parola “Regina” e pur placantesi in tenerezza; nella terz’ultima parola “speranza”, uno squillo aperto e chiuso con la medesima nota. Il corpo della preghiera comprende due parti: una costatazione e una domanda.
La costatazione dice alla Regina: “A Te ricorriamo, esuli figli di Eva; a Te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime”. Con queste parole esprimiamo due concetti: lo slancio della nostra fiducia in Lei, “A Te ricorriamo”, e i titoli della nostra miseria, “esuli … gementi e piangenti”. Confessiamo cioè il nostro stato di bisogno e di dolore nelle due manifestazioni più pietose e più capaci di attirare misericordia: l’esilio e il pianto. Dimostrando così un senso molto umano e una concretezza molto realistica; dettatici dalla lunga triste esperienza, riconosciamo la nostra vera situazione e apriamo nel migliore dei modi la via alla domanda che dobbiamo rivolgere alla Regina.
La domanda chiede: “Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi e mostraci – dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tua seno”. Nominiamo a questo punto ? quello che ci preme più di tutto – non più la Regina e nemmeno la Madre di misericordia, ma l’Avvocata. E? il terzo titolo nel breve volgere di poche parole alla medesima Persona, vero come gli altri due. L’Avvocata è quella che difende gli accusati. E gli accusati siamo noi. Non abbiamo avuto il coraggio di dirlo prima. Prima ci è sembrato sufficiente dire solo quanto siamo miserabili per il fatto di essere gementi e piangenti. Ma c?è di peggio. Siamo anche accusati. Accusati perchè colpevoli. Accusati, dalla giustizia del Re, colpevoli di troppi peccati. Non osiamo dirlo esplicitamente, ma Lei l’ha già capito. Ci difenda adesso concedendoci due grazie.
La prima è: “Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi”. Si, gli occhi! I suoi occhi. Occhi come i nostri. Quelli vedono e sanano. Ci bastano. D’altronde non meritiamo di più. E a Lei non occorre che si parli o si muova. E’ così potente che basta il suo sguardo a ottenere quello che vuole.
La seconda grazia è: “Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno”. Quale balzo in avanti, fin dentro l’eternità che verrà dopo questo esilio, fino a Gesù, che è il frutto del suo seno e dev’essere il frutto della nostra conversione! Un balzo, di colpo! Si vede che la fiducia è aumentata in chi prega. Un balzo da fare con Lei perchè riesca. E Lei ci mostrerà il suo Gesù, come già ai pastori, ai magi, a Simeone, ad Anna.
Questo corpo della preghiera non continua io squillo di tromba suonato nell’introduzione, ma si estende più lungamente come un sommesso singhiozzo. E’ ovvia la differenza. L’introduzione era tutta rivolta alla Regina e non poteva essere che festa, mentre il corpo è diretto quasi tutto a noi e non può essere che lutto. Un lutto però raddolcito dal riflesso che si sprigiona dall’Avvocata e dà il tono alle ultime invocazioni.
La conclusione è tutta in cinque parole: “O clemente, o pia, o dolce Vergine, Maria”, e in un crescendo continuo di valori. Si parla di nuovo di Lei, e solo di Lei, e ritorna la festa. E la chiusura in bellezza; l’ovazione finale, l’entusiasmo portato al massimo in quel “Vergine” aggiunto al “Madre” detto poco prima, per ricordare le due possibili grandezze della donna riunire eccezzionalmente in questa Regina che si sta pregando e solo in Lei; ed entusiasmo esplodente, nell’ultima parola: un nome mai detto prima, sebbene sembrasse il primo da doversi dire, e ora messo qui a suggello della preghiera; nome proprio di Persona, nome che dice tutto: Maria. La Regina è Maria.
Le caratteristiche
La “Salve, Regina”, pur chiamando la Madonna con il titolo regale, non si preoccupa affatto di spiegarlo, ma insinua dolcemente questo pensiero: Maria è Regina non perchè si goda da sola la sua grandezza, ma perchè la metta tutta a nostro servizio. E’ un pensiero cristiano che la Madonna è la prima ad accettare, perchè vuole veramente usare della sua autorità soltanto per il nostro bene.
Confrontata con l’Ave Maria, alla cui composizione hanno collaborato cielo e terra, cioè l’Angelo Gabriele, santa Elisabetta e la Chiesa, la “Salve, Regina” è certamente meno teologica ma, in compenso, è più umana perchè più vibrante di esperienza terrena, più proporzionata alle varie situazioni della vita, più vicina ai bisogni del cuore. Per questo è tanto popolare, nonostante che sia più lunga dell’Ave Maria e meno facile da ritenere a memoria.
E’ gustata sopratutto come preghiera della sera, cioè del tempo più raccolto e più religioso della giornata, per quel senso di commozione e di speranza che circola nelle sue invocazioni.
E si presta ad essere cantata. Non è vera poesia, ma ha con il suo ritmo un andamento sinceramente poetico. – Era cantata di sera, nei secoli passati, dai marinai; oggi è cantata dai benedettini, cistercensi, carmelitani, trappisti, domenicani e altri, come ultima preghiera della giornata. Ed è un rito solenne. Il canto comincia in chiesa, prosegue lungo i corridoi del convento e termina nelle celle dei monaci.
Quei cento carmelitani che furono uccisi dai saraceni sul monte Carmelo nel 1291, affrontarono il martirio cantando la “Salve, Regina”.
San Vincenzo de’ Paoli ( + 1660) determinò la conversione del suo padrone, a Nizza, con il canto di questa preghiera.
Nell’Ordine Domenicano si canta la “Salve, Regina” ad ogni frate che muore. Il Domenicano P. Vincent Mc. Nabb la cantò al morente Gilbert Chesterton (sh 1936).
E questa preghiera noi ripetiamo qui, a conclusione di queste pagine, e vorremmo davvero che fosse un canto.. con il nostro lettore:
Salve, Regina,
Madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A Te ricorriamo, esuli figli di Eva;
a Te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, Avvocata nostra,
rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi
e mostraci dopo questo esilio Gesù,
il frutto benedetto del tuo seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine, Maria.
Maria accolta nel Tempio
Posté par atempodiblog le 21 novembre 2012
Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza.
[30 agosto 1944]
Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme. I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve e avvolta in un leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l’avvolge in una nuvoletta leggera e lucida di una vaghezza rara. Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli. L’abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve. Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero, soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la protezione del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino, che del resto ha il suo occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di lacrime già scese e ancora scendenti, e che va molto curvo sotto il suo velo messo a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso. Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse bisnonno della piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero padre un passo strascicante, una lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di un vent’anni, e il viso pare quello di un malato oltre che vecchio, tanto è stanco e triste, con la bocca che ha un lieve tremito fra le due rughe, che sono così marcate oggi, ai lati del naso. Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono per Maria, che per la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo, guarda alternativamente il padre e la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro mano sulla manina minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare: «Ecco. Un’altra volta di meno da vedere questo sorriso». Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino. Tutto serve a fermarsi… Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire. Ecco là, in cima a questo ultimo pezzo di strada che sale, le mura di cinta del Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la manina di Maria. «Anna, cara, io sono con te!» dice una voce, uscendo dall’ombra di un basso arco gettato su un incrocio di strade. E’ Elisabetta, che certo era in attesa, la raggiunge e stringe al cuore. E, posto che Anna piange, le dice: «Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è anche Zaccaria. Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona, certo amica di Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando liberi i sopraggiunti. «Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore» spiega Anna fra le lacrime… «ma è che il cuore… oh! il mio cuore come duole, il mio vecchio cuore che torna nella sua solitudine di senza figli!… Se sentissi…» «Lo capisco, Anna mia… Ma tu sei buona e Dio ti conforterà nella tua solitudine. Maria pregherà per la pace della sua mamma. Non è vero?». Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata, e Anna serra fra le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare. Entra Zaccaria e saluta: «Ai giusti la pace del Signore». «Sì» dice Gioacchino, «supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano nell’offerta come quelle di padre Abramo mentre saliva il monte, e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo vorremmo fare, perché siamo fedeli a Dio. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di Dio, comprendici e non ti scandalizzare di noi». «Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all’infedeltà, mi è scuola nell’amare l’Altissimo. Ma fatevi cuore. Anna profetessa avrà molta cura di questo fiore di Davide e Aronne. In questo momento è l’unico giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e sarà curato come perla regale. Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle madri della stirpe di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il Messia, pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel Tempio, e di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or sono tre anni, Sara di Eliseo. Vero che ancora sei lustri mancano al termine, ma… Ebbene, speriamo che Maria sia la prima di molte vergini di Davide davanti al Sacro Velo. E poi… chissà…». Zaccaria non dice altro. Ma guarda pensoso Maria. Poi riprende: «Io pure veglierò su Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là dentro. Lo userò per quest’angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla…». «Oh! di certo! Io ho tanto bisogno di Dio e verrò a dirlo a questa Bambina, perché lo dica all’Eterno». Anna si è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: «Non è il tuo velo di sposa questo? Oppure hai filato del nuovo bisso?». «E’ quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi… E anche le ricchezze sono molto scemate per tasse e sventure… Non mi era lecito fare gravi spese. Ho provveduto solo ad un ricco corredo per il suo tempo nella Casa di Dio e per poi… perché penso che non sarò io quella che la vestirà per le nozze… e voglio sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la para alle nozze e le fila i lini e le vesti da sposa». Oh! perché pensare così?!». «Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L’ultime forze della mia vita le ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora… ed ora.. – sulle estreme soffia il dolore di perderlo e le disperde». Non dire così, per Gioacchino». «Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo». Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha udito e sospira forte con gli occhi lucidi di pianto. «Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare» dice Zaccaria. Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare. Ma, prima di uscire, Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!». Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un interno singulto, ha più che mai il trepido gemito della tortorina. Il visetto è più pallido e l’occhio ha quello sguardo di rassegnata angoscia che, più forte sino a divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le vedrò sul Calvario e nel Sepolcro. I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare… Elisabetta piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto voglia non mostrarlo, è commosso. Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie. Eccoli dentro le mura del Tempio. «Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla grande terrazza. Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo incoronato d’oro. Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme, sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade a perpendicolo sul vasto cortile che circonda il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e l’ampia scalinata che conduce al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la facciata, è in ombra, e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce. Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata. Fra padre e madre. Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a fianco di Anna, ma un poco indietro, di un mezzo passo. Uno squillo di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di cetra nel girare sulle sfere di bronzo. Appare l’interno con le sue lampade nel profondo, ed un corteo viene dall’interno verso l’esterno. Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d’incenso e luci. Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote. Un vecchio solenne, vestito di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica pure di lino, e su questa una specie di pianeta, qualcosa fra la pianeta e la veste dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si alternano e brillano come gemme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al sommo delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca splendente di gemme, sostenuta da una catena d’oro. E pendagli e ornamenti splendono alla base della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del copricapo, che mi ricorda quello dei preti ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché a punta come quella cattolica. Il solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata, nell’oro del sole che lo fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona fuor dalla porta, sotto il portico ombroso. A sinistra è un gruppo candido di fanciulle con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre. Il Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride. Le deve parere ben piccina ai piedi di quella scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo in una preghiera. Tutti curvano il capo, come annichiliti davanti alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà eterna. Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale, come affascinata sale. E sorride. Sorride all’ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso… E’ in alto della scalinata, ai piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima è accettata. Quale ostia più pura aveva mai avuto il Tempio? Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all’ara, l’Agnellina senza macchia, la conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede: «Maria di David, sai il tuo voto?». Al «sì» argentino, che gli risponde, egli grida: «Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii perfetta». E Maria entra e l’ombra l’inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi quello dei leviti, sempre più la nascondono, la separano… Non c’è più… Ora anche la porta gira sui suoi cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto permette vedere il corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è più niente. Chiusa. All’ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi e un grido unico: «Maria! Figlia!»; e poi due gemiti che si invocano: «Anna!», «Gioacchino! ; e terminano: «Diamo gloria al Signore, che la riceve nella sua Casa e la conduce sulla sua via». E tutto finisce così. Dice Gesù: «Il Sommo Sacerdote aveva detto: “Cammina in mia presenza e sii perfetta”. Il Sommo Sacerdote non sapeva che parlava alla Donna solo a Dio inferiore in perfezione. Ma parlava in nome di Dio e perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro, ma specie alla Ripiena di Sapienza. Maria aveva meritato che la “Sapienza la prevenisse e le si mostrasse per prima”, perché “dal principio del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando d’istruirsi, per amore, volle esser pura per conseguire l’amore perfetto e meritare d’averla a maestra. Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d’esser nata e che l’unione con la Sapienza non era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva immaginare questo. E quando nel silenzio del cuore Dio le diceva parole sublimi, Ella umilmente pensava fossero pensieri di orgoglio, e levando a Dio un cuore innocente supplicava: “Pietà della tua serva, Signore! Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin dall’alba del suo giorno: “Rivolgere a Dio il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore, pregando davanti all’Altissimo”, chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore, come la sua umiltà le suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di perdono per i peccatori, che avrebbe fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente. “Quando poi il gran Signore lo vorrà, Ella sarà riempita dello Spirito d’intelligenza” e comprenderà allora la sua sublime missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio allaccia, “riallaccia” sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con Dio. Questo è per tutti. Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo Maestro?. “Cammina in mia presenza, sii perciò perfetta”. Modifico lievemente la sacra frase e te la dò per ordine. Perfetta nell’amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire. Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano, o vogliono ignorare, perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro spirito. Il dolore. Maria lo ha avuto dalle prime ore della vita. Esser perfetta come Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità. Perciò più acuto doveva esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza possiede amore, chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica. In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.